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Il Fattori segreto

Giovanni Fattori, autoritratto
Giovanni Fattori, autoritratto

Un volume di grande formato, stampato bene su ottima carta per oltre 700 pagine: Piero e Francesca Dini “Giovanni Fattori-epistolario edito e inedito(Ed. “Il Torchio” FI). Oltre settecento pagine e per 660 lettere magnificamente corredate di note che rivelano una ricerca al limite del maniacale, e poi fotografie e tutto quanto può fare di un epistolario il romanzo realissimo di una vita.

Ne vien fuori l’autoritratto più vero del vero, di un Uomo bonario e inflessibile, incolto e sapiente, distratto e acuto osservatore, modesto e grande. Lui stesso sembra intravedere l’importanza che potranno assumere nel tempo queste sue lettere, in particolare quelle a Diego Martelli: «Queste lettere ch’io ti scrivo formeranno con le altre avute, se non le hai cestinate, la storia non troppo bella della mia vita», non troppo bella perché piena di difficoltà e di disgrazie, ma che tratteggiano una figura a tutto tondo sullo sfondo di un secolo che ha visto le Guerre d’Indipendenza e l’Italia unita, i sogni e le immancabili delusioni, eterne compagne delle rivoluzioni.

Fattori, il maggiore pittore dell’Ottocento, degno per la qualità della sua pittura di stare accanto ai grandi antichi, nel gruppo dei Macchiaioli appare culturalmente il meno preparato ma pure in grado di esprimersi nelle lettere con lucidità, chiarezza e spesso bellezza d’immagini, dettate dalla sua natura d’artista e di sottile osservatore. Quest’uomo, riservato e schivo, mantiene una corrispondenza con gli amici e i potenti del momento, con i familiari, gli allievi o l’innamorata, forte dei propri principi e guidato da quell’ovvietà che è dei semplici, degli onesti e dei santi; di chi insomma non ha necessità di pensare troppo, soppesare o fare i conti, per schierarsi infallibilmente secondo verità e giustizia.

Giovanni Fattori, il riposo del carro rosso
Giovanni Fattori, il riposo del carro rosso

Una saggezza spontanea e nativa che ha in sé misura, equilibrio e lungimiranza; il tutto espresso tra sgrammaticature e storpiature di nomi e di titoli che però nulla tolgono al senso, al colore e al sapore delle descrizioni.

I suoi corrispondenti vanno dall’allora ministro della Pubblica istruzione Guido Baccelli a Ferdinando Martini, da Arrigo e Camillo Boito a Renato Fucini e quindi i suoi colleghi: Signorini, Cecioni, Lega, Zandomeneghi, De Nittis, Boldini, Abbati, Banti e Cabianca; sembra che conosca tutti e da tutti sia rispettato, stimato, amato.

Ma la corrispondenza più copiosa e interessante, oltre a quella con Amalia Nollenbnerg, una diciannovenne tedesca che ha la capacità di far rifiorire i suoi più delicati sentimenti di cinquantacinquenne, è quella con Diego Martelli.

Lo scrittore e critico illuminato ne ha compresa la tempra pittorica e il grande animo; se Fattori si rivolge a lui ogni volta che ha un problema da risolvere, lo scrittore a sua volta sa di poter contare sull’innata saggezza espressa con bonomia dal pittore. Tra loro non ci sono veli, sotterfugi o furbizie, la realtà viene sviscerata nuda e cruda come si presenta, per questo ormai raro tipo di uomini la schiettezza rappresenta un dovere, un impegno e una necessità. Le lettere divengono un motivo di sfogo se non altro per constatare le miserie degli uomini: «…tutti così, quando sono in terra tutti gatti per graffiare quelli che sono in alto, e tutti pecore per gli amici…ascesi al paradiso, toccali se ti riesce».

Giovanni Fattori, in vedetta
Giovanni Fattori, in vedetta

Per l’onesto Fattori, sarà ovvio constatare come certe cose, addirittura andassero meglio prima: «…sono sfiduciato di tutto e di tutti (…) almeno una volta chi era onesto era apprezzato, ma ora nel formicolaio di cavalieri, commendatori, professori (…), in questo amalgama di sozzure, se sorte qualcuno, più è ruffiano e ladro, più è ricevuto, acclamato e compensato…e però destra, sinistra, centro, repubblica, internazionale, tutta robaccia». Le condizioni dell’Italia, della quale l’artista scrive di non volersi più interessare, in realtà lo preoccupano, continua a chiamarla patria con accenti di mestizia e all’amico Ferdinando Martini, in partenza per l’Eritrea dove è stato nominato governatore, scrive: «Ti auguro buona fortuna, buon viaggio e felice nell’opera tua per onore del nostro, fino ad oggi, povero paese».

Se questo è il Fattori scrittore epistolare, alle prese con gli amici, autorità e fatti del proprio Paese, l’altro, che agisce nel campo prepotentemente suo, quello dell’arte, fornisce anche meglio la misura del proprio equilibrio, senso critico e onestà. Potrà non entusiasmarsi, al meno al primo impatto, di fronte alle due opere di Pissarro portate a Firenze da Martelli con l’ambizioso proposito di un proficuo contatto fra Macchiaioli e Impressionisti, ma non capita mai di registrare nelle sue lettere giudizi errati o anche soltanto incerti.

Per esempio, il tipo di critica che rivolge a Nomellini, Chini e altri suoi ex allievi, è la stessa che con maggiore impeto verrà ripresa dai critici del Novecento, a cominciare da Soffici; mentre il giudizio che anticipa sul giovanissimo Armando Spadini avrà nel tempo la sua bella riprova: «La signora Nannelli mi suggerisce di raccomandarti il concorrente al pensionato Spadini. Lo raccomando a te – lo scrittore e pubblicista Diego Angeli che forse era in commissione – non solo perché è fiorentino, ma perché lo merita, tutti noi vecchi e giovani ne abbiamo molta stima»; Spadini era alle prime armi …

Alla pittura, Fattori si era dato con tutto lo slancio della sua natura generosa, pronta all’entusiasmo e, se necessario, al sacrificio, ora aveva la coscienza di avere imboccato la strada giusta: «Nemico di qualunque imitazione, sieno pure di grandi artisti antichi o moderni, Nemico dell’arte spudorata (fatta) per commercio, sia religiosa, materiale o vana. L’arte si deve amare,» dai suoi ex allievi pretenderebbe almeno una totale e disinteressata onestà di propositi; dopo aver visitato una mostra delle loro opere mette in guardia: «Io amo il realismo e ve l’ho fatto amare, le manifestazioni della natura sono immense, sono grandi, non sempre si presenta viva di luce, non sempre si presenta triste e buia, gli animali, gli uomini, le piante hanno una forma, un linguaggio, un sentimento. Hanno dei dolori, della gioia da esprimere: metterò un eccetera, perché non è delle mie forze fare uno squarcio letterario; però, nella nuova via che credete di aver preso, avete pensato a tutto questo?». Intese e usate secondo il nostro sentire e il nostro tempo, le parole di Fattori sono valide ancora. Se dell’idea di «realismo» accetteremo le diverse sfumature assunte nel tempo, sarà facile riconoscere il filo conduttore che dall’antichità lo ha portato fino a Fattori e a noi.

Trecentosessanta lettere che si leggono con crescente curiosità sia per la loro struggente attualità che per lo spirito indomito dello scrivente, per il quale anche lo sconforto diviene un motivo per rilanciare con l’amico: «Abbiamo ancora qualcosa, nella mente e nelle mani, per rompere i c…. a questo marciume che è la società, tu la penna che non è poco, io il pennello; lottiamo!».

Giovanni Fattori, Rotonda Palmieri
Giovanni Fattori, Rotonda Palmieri
Giovanni Fattori

Il Giornale”, Milano, 22 settembre 1998