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Il Giudice di Pace in Italia

[Intervento svolto al 16° Convegno Nazionale dell’associazione Giudici di Pace Tenutosi a Roma, all’Hotel Nazionale il 22 Aprile 2010].

Introduzione

Ringrazio l’Associazione Nazionale dei Giudici di Pace per avermi gratificato, per la prima volta, dell’invito che mi consente di dare il mio contributo in sede di convegno nazionale dei GP.

Il GIUDICE di PACE in Italia, per funzioni svolte e riconoscimento normativo qualificato, è il principale appartenente al grande e variegato mondo della magistratura onoraria di cui fa parte anche la Magistratura di Pace all’interno dell’unica categoria dei “giudici non professionali” (ricordo che “magistratura onoraria” è terminologia che gode di uno specifico rilievo costituzionale nell’art. 106 Cost.).

Ricostruzione storica della giustizia laica in Italia

Per operare una sintetica e completa ricostruzione storica della magistratura onoraria o laica in Italia occorre ricordare gli antenati prossimi e remoti del giudice di pace.

ANTENATI REMOTI del GIUDICE di PACE

La figura del giudice di pace è stata introdotta nel nostro paese, seguendo una tradizione di esperienza della giustizia di pace in alcune nazioni europee vicine per cultura giuridica alla nostra nazione (in Spagna dal 1855, in Francia introdotto con la legislazione rivoluzione francese del 1790 come simbolo della “fraternità” nell’ideologia dell’illuministica del tempo e Inghilterra come figura del Justice of the Peace che risale addirittura al 1327).

Del resto, come ricordato in un recente convegno storico sul giudice di pace svolto a Napoli, il GP è un organo di giustizia storicamente presente nei regni preunitari d’Italia in applicazione delle disposizioni del codice civile napoleonico (in Emilia-Romagna a Bologna e Faenza nel 1807), anche nel regno borbonico delle due sicilie a Napoli come giudice di pace dei quartieri nel 1808 con competenze civili, commerciali e penali (“spegne le risse, ufficiale di PG nel suo dipartimento, decide in materia di diritto criminale”).

ANTENATI PROSSIMI del GIUDICE di PACE

Si tratta delle figure del conciliatore e del VPO che sono giudici onorari storicamente risalenti nel tempo come antesignani delle nuove figure di giudici onorari.

Con la legge 6 dicembre 1865 n. 2626, sull’ordinamento giudiziario del Regno, il giovane Stato italiano pensava alla figura del conciliatore quale organo capillare della giurisdizione contenziosa civile, presente in ogni comune e competente per le controversie di modico valore, nonché per la composizione preventiva e bonaria delle controversie civili di ogni valore, ad istanza delle parti (infatti, la 1egge 16 giugno del 1892, n. 261 aveva poi introdotto la denominazione «Ufficio di conciliazione», regolandone il funzionamento).

Successivamente l’Ordinamento Giudiziario del 1941 aveva introdotto all’art. 32 la figura del vicepretore onorario: al quale, in conseguenza della commistione di ruoli propria del sistema processuale previgente, erano attribuite dall’art. 72 anche le funzioni requirenti, peraltro esercitabili pure da avvocati, notai, funzionari di PS, sindaci, assessori, consiglieri comunali o loro delegato.

Le norme menzionate evocano, dunque, un’immagine quasi arcaica di magistrato onorario: una sorta di bonus paterfamilias al quale, specie in piccoli centri urbani o in contesti rurali, si rivolgeva una popolazione poco incline alle controversie giudiziarie in senso stretto, bisognosa prevalentemente di un autorevole compositore di liti ovvero (per le funzioni inquirenti) di un homo publicus, sinanche di diretta derivazione politica, capace di patrocinare le ragioni della collettività rispetto alle infrazioni dei singoli.

LA COSTITUZIONE E LA MAGISTRATURA ONORARIA

Quella sopra disegnata era, dunque, l’esperienza presente ai Costituenti, i quali ritennero opportuno riproporre tra l’altro che «la parola “onoraria” sta a indicare che la carica è elettiva e non di carriera…..è una funzione che si presta non come attività professionale, ma come una partecipazione spontanea che esce dalle normali occupazioni della vita» (Giovanni Leone, Atti dell’Assemblea Costituente, seduta antimeridiana del 26 novembre 1947 avente ad oggetto l’attuale art. 106).

Passando all’esame delle norme che, nella costituzione della repubblica italiana in vigore, fanno riferimento alla magistratura onoraria si devono richiamare le disposizioni contenute nel titolo IV sulla Magistratura e, nello specifico, il dettato dell’art.106 Costituzione.

Il primo comma dell’art.106, invero, stabilisce che la nomina dei magistrati ordinari può avvenire soltanto per concorso, collegando la “stabilità” a questo strumento selettivo di ingresso ed escludendo, implicitamente, quindi, che tale connotato possa caratterizzare anche i magistrati onorari, la cui nomina è contemplata dal secondo comma, laddove si sancisce che essa, oltre che essere elettiva, può essere ammessa, evidentemente, attraverso altri criteri di designazione, ovvero dalla legge sull’ordinamento giudiziario.

L’articolo 106 della Costituzione, al secondo comma, regola i rapporti tra magistratura ordinaria e onoraria in un ordinamento giudiziario in cui la magistratura onoraria è un sistema eventuale (il costutuente utilizza l’espressione “può”) e che si è sempre di più consolidato e potenziato, divenendo un sistema integrativo di supporto necessario e indispensabile per la giustizia civile e penale del nostro paese.

Recita, infatti, il secondo del comma citato articolo che “la legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”.

Ai sensi dell’art. 116 Cost. con legge dello stato (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta, in conformità di un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata) possono essere attribuite alle Regioni che ne facciano richiesta ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche in materia di “organizzazione della giustizia di pace”.

L’autonomia legislativa regionale è, in ogni caso, attribuita esclusivamente alla struttura e dislocazione degli uffici e la previsione della partecipazione, sia di un rappresentante dei giudici di pace sia di rappresentanti della Regione, si inserisce in quest’ambito costituzionale quale forma di “decentramento” di talune attribuzioni anche in materia di giustizia.

LA FIGURA DEL GIUDICE DI PACE NEL NOSTRO ORDINAMENTO

Passando ai nostri giorni, con la stagione delle riforme inaugurata dal codice di procedura penale del 1988 e dalle novelle processualcivilistiche degli anni novanta, il legislatore italiano ha ritenuto di prevedere, con la legge 21 novembre 1991 n. 374, una nuova figura di magistrato onorario: il Giudice di Pace.

La legislazione originaria ha trovato successive e ripetute modifiche, soprattutto in correlazione con l’introduzione del giudice unico e esplicito riconoscimento come giudice civile e penale di primo grado nelle disposizioni del nuovo orinmento giudiziario.

La figura del giudice di pace è stata inizialmente realizzata, forse sulla suggestione di analoghi istituti di altri ordinamenti, come giudice dell’equità, della seconda età (l’accesso era previsto inizialmente per persone tra i 50 e i 70 anni) e di prossimità per i cittadini attraverso una distribuzione territoriale molto articolata che si avvicina a quelle delle soppresse preture mandamentali.

In questo momento l’istituto si è molto trasformato in quanto è stata allargata la fascia di età dei giudici di pace (ora dai 30 ai 70 anni) e ne sono state gradualmente ampliate le originarie competenze civili, includendovi competenze penali di primo grado per reati di modesta gravità e di microconflittualità tra cittadini, con un sistema processuale innovativo caratterizzato dalla valorizzarione della funzione conciliativa e dalla scomparsa di pene detentive (1egge 24 novembre 1999, n. 468).

Più di recente, sono state previste nuove competenze:

1. competenza giurisdizionale di convalida delle espulsioni emesse dall’Autorità amministrativa nei confronti degli immigrati extracomunitari e di decisione sui relativi ricorsi (legge 12 novembre 2004, n. 271)

2. convalida delle sanzioni amministrative emesse per il contrasto all’uso di sostanze stupefacenti e di decisione sui relativi ricorsi (legge 21 febbraio 2005, n. 272);

3. reato di immigrazione clandestina;

4. in materia civile, aumento della competenza e si è limitato il ricorso al giudizio di equità con la modifica all’att. 113 c.p.c..

Per la categoria dei giudici di pace e per tutte le altre categorie di giudici onorari (GOT, VPO, GOA) è ancora valida la nozione di onorarietà, prevista dai costituenti e sottesa anche alle interpretazioni delle sentenze emanate dalla giurisprudenza di legittimità.

Si ricorda, in proposito, la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 11272 del 9 novembre 1998, ove è stato rilevato che rapporto di pubblico impiego e funzione onoraria si distinguono in base ai seguenti elementi:

1) la scelta del funzionario, che nell’impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura politico-discrezionale;

2) l‘inserimento nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario;

3) lo svolgimento del rapporto, che nel pubblico impiego è regolato da un apposito statuto, mentre nell’esercizio delle funzioni onorarie è privo di una specifica disciplina, quest’ultima potendo essere individuata unicamente nell’atto di conferimento dell’incarico e nella natura di tale incarico;

4) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario e, in senso lato, di ristoro degli oneri sostenuti;

5) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (anche se vi è la possibilità del rinnovo dell’incarico) quanto al funzionario onorario.

A proposito del reclutamento ed alla formazione dei giudici di pace, un nuovo e più razionale sistema è stato introdotto dalla legge n.468 del 1999 (che ha modificato l’assetto originario della legge n. 374 del 1991), nella parte in cui prevede che la nomina del magistrato onorario da parte del CSM debba seguire e non precedere il periodo di tirocinio.

Tale disciplina, che costituisce d’altra parte uno dei punti fermi della proposta elaborata dalla c.d. Commissione Acone, che prevede al riguardo le medesime regole per il genus magistratura onoraria (comprendente appunto giudici di pace, got e vpo), appare in effetti in sintonia con la esigenza di conferire in concreto le funzioni giurisdizioriali (quale ne sia l’estensione) solo a chi abbia dimostrato di essere in grado di svolgere l’incarico che è destinato ad assumere, sia dal punto di vista della preparazione giuridica, sia sotto l’aspetto dell’equilibrio e dell’indipendenza.

Inoltre, attraverso questo sistema gli aspiranti magistrati onorari, che provengono da esperienze diverse dall’avvocatura o non vantano un pregresso esercizio di funzioni onorarie, avranno da un lato la possibilità di avvicinarsi gradualmente alla dialettica processuale e coglierne in concreto il significato e, dall’altro, di realizzare un collegamento, anche di natura personale, con la magistratura togata, incrementando e facilitando gli interscambi e la collaborazione nella successiva fase dell’esercizio delle funzioni che saranno chiamati a svolgere.

Al riguardo, si segnala il contenuto della Circolare del Consiglio Superiore della Magistratura (n. P-750712004 dell’8 aprile 2004) nella quale si è stabilito che ciascun Consiglio giudiziario nominerà una “commissione mista” al fine di promuovere e coordinare le attività di formazione destinate essenzialmente ai giudici di pace, g.o.t. e v.p.o.

Tale attività costituisce integrazione e coordinamento dell’attività di formazione iniziale e permanente che, negli ultimi anni, sono svolte a beneficio della magistratura onoraria a livello centrale dall’Ottava Commissione del CSM e, a livello decentrato di ciascuna Corte di Appello, dalle Commissioni per la formazione della Magistratura onoraria.

Per quanto concerne il governo della categoria dei giudici di pace punto di partenza per un’analisi complessiva della problematica non può che essere il decreto legislativo recante “Disciplina della composizione delle competenze e della durata in carica dei consigli giudiziari ed istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, in attuazione della delega di cui agli articoli 1, comma 1, lettera c) e 2, comma 3, della legge 25 luglio 2005 n. 150”.

La composizione dei nuovi consigli giudiziari prevede la presenza stabile ed organica di “...un rappresentante eletto dai giudici di pace del distretto nel proprio ambito” quale membro effettivo.

Il rappresentante dei giudici di pace partecipa esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio delle seguenti competenze (art. 16):

1. parere sulle tabelle degli uffici giudicanti e sui criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti di cui all’art. 7 ter del r.d. 30 gennaio 1941 n.12;

2. vigilanza sull’ andamento degli uffici giudiziari del distretto;

3. pareri e proposte sull’organizzazione e il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto;

4. ammissione al tirocinio, nomina e tirocinio dei giudici di pace;

5. parere per la conferma del giudice di pace;

6. decadenza, dispensa, ammonimento, censura o revoca della nomina del giudice di pace.

Come anche rilevato dalla relazione allo schema legislativo, si tratta di un modello operativo del consiglio giudiziario “a geometria variabile” in cui i giudici di pace partecipano al governo della propria categoria attraverso la rappresentanza nei Consigli giudiziari.

Questo nuovo modello di Consiglio giudiziario e la partecipazione “rafforzata” dei giudici di pace trova il suo fondamento, non tanto in un principio di armonizzazione di disciplina con la magistratura togata, quanto, piuttosto, nell’adeguamento della struttura e funzioni dei Consigli giudiziari alle modifiche del titolo V della Costituzione.

Ed invero ai sensi del “nuovo” art. 116 Cost. con legge dello stato (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta, in conformità di un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata) possono essere attribuite alle Regioni che ne facciano richiesta ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche in materia di “organizzazione della giustizia di pace”.

L’autonomia legislativa regionale è, in ogni caso, attribuita esclusivamente alla struttura e dislocazione degli uffici e la previsione della partecipazione, sia di un rappresentante dei giudici di pace sia di rappresentanti della Regione, si inserisce in quest’ambito costituzionale quale forma di “decentramento” di talune attribuzioni anche in materia di giustizia.

Rimane ferma l’esclusione dei giudici di pace dal Consiglio Superiore della Magistratura quale conseguenza dalla stessa Costituzione, poiché l’art. 104 Cost. prevede espressamente che possano fare parte del CSM unicamente “magistrati ordinari” intesi quali magistrati togati e non anche magistrati onorari.

POSSIBILI PROSPETTIVE DI RIFORMA DEL PROCESSO PENALE INNANZI AL GIUDICE DI PACE

I lavori della commissione Ministeriale di Riforma presieduti dal Prof. RICCIO, orientati sul corretto equilibrio tra i principi costituzionali del “giusto processo” e della “ragionevole durata del processo”, hanno operato, sulla linea del codice del Vassalli del 1988, una riforma in funzione di indifferibile accellerazione dei tempi del processo penale sicuramente proppo lunghi per un paese civile come il nostro.

In questa ottica di consentire un’accellarazione di tempi e un alleggerimento delle formalità processuali, si decise di definire ed affrontare anche i temi generali della giurisdizione, rimanendo ferma e inalterata la competenza penale del Giudice di Pace ed a quella del Tribunale per i Minorenni (si tratta di procedimenti penali che trovano regolamentazione in leggi speciali fuori del codice processuale e che sono esplicitamente indicati come punti di specifico intervento riformatore dal Ministro della Giustizia nel decreto istitutivo della Commissione di Riforma del 27/7/2006).

FUNZIONALE è stata la scelta di conservare la COMPETENZA PENALE DI PRIMO GRADO DEL GIUDICE di PACE.

Alcune delle principali possibili novita’ della delega in materia di gp (commissione ministeriale di riforma cpp RICCIO):

· ampliamento della competenza del giudice penale di pace a conoscere di reati perseguibili a querela di parte che non presentino rilevanti problemi di valutazione della prova in sede di accertamento giudiziale, semprechè non aggravati da circostanze ad effetto speciale (per i reati contro il patrimonio che sono quelli meno gravi nella scala di valori del vecchio codice ROCCO per esempio furto non aggravato punibile a querela art. 624 c.p.; fruffa non aggravata punibile a querela art. 640 c.p.);

· rimodulare la competenza di primo grado del Giudice di Pace in linea con la prevedibile depenalizzazione di numerose ipotesi di reato oggi nel paniere della competenza penale del GP e strettamente collegata con il nuovo regime sanzionatorio delineato in sede di riforma del codice penale (si prevede come regime alternativo alla pena quello della messa alla prova del condannato).

· Commissione di riforma del Codice Penale PISAPIA: attribuzione alla competenza del tribunale come organo monocratico, salva la competenza dell’organo collegiale per i casi più complessi, e dei reati non attribuiti alla competenza della corte di assise o del giudice di pace (sanzioni penali della Commissione PISAPIA: pena pecuniaria, pena interdittiva, pena prescrittiva, pena restrittiva o privativa della libertà personale).

· l’attività di indagine sia di regola svolta di iniziativa dalla polizia giudiziaria del luogo del commesso reato e che questa possa essere autorizzata dal pubblico ministero al compimento di atti irripetibili;

· obbligo per il querelante di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni e di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto;

· obbligo per la polizia giudiziaria, a conclusione delle indagini, di sentire il querelante per verificare l’attualità del suo interesse alla prosecuzione del procedimento prevedendo che la ingiustificata comparizione o la impossibilità di citarlo per negligenza a lui addebitabile comportino l’improcedibilità dell’azione penale con conseguente archiviazione;

· previsione che il pubblico ministero, salvo che non debba richiedere l’archiviazione, eserciti l’azione penale entro un anno dalla presentazione della querela (o dalla iscrizione della notizia di reato) formulando l’imputazione con la emissione di decreto di citazione diretta a giudizio;

· previsione che l’azione penale sia prescritta (si tratta di un termine accelleratorio dei tempi del processo cd. di prescrizione processuale nella consapevolezza che la pacificazione è resa più agevole dal trascorrere del tempo che rimuove le ferite del reato) quando, a seguito della mancata conciliazione, siano decorsi dodici mesi senza che sia stata pronunciata sentenza.

Del resto, una tale scelta si armonizza con la storica natura e la funzione giudiziaria del giudice di pace che, come noto, è un giudice onorario di prossimità (modello di giudice conosciuto in altri sistemi giudiziari europei molto vicini ai nostri come quello francese e spagnolo) che, per effetto delle disposizioni dell’ordinamento giudiziario vigente, è autorità giudiziaria cui è affidata l’amministrazine della giustizia di primo grado nella materia civile e penale (in precedenza art.1 del RD 30/1/1941 n.12 come modificato dalla legge 21/11/1991 n.374 che ha istituito il Giudice di Pace ed oggi Legge 30/7/2007 n.111 che ha modificato l’ordinamento giudiziario).

Parlando in materia penale di pace, non posso esimermi dall’evidenziare un aspetto apparentemente contraddittorio ed inconciliabile del termine penale con quello di giustizia di pace ed i limiti originali di un processo affidato ad un magistrato di prossimità che svolge la sua attività in funzione prevalentemente pacificatoria e che, in caso di fallimento di strade di mediazione del conflitto, è chiamato all’accertamento della responsabilità penale ed all’irrogazione della relativa sanzione criminale.

Il legislatore del D. Lvo della legge 274/2000 ( in attuazione della legge delega del 1999) ha creato un modello di giustizia penale diverso da quello tradizionale con aspetti innovativi sia sostanziali che processuali, che si caratterizzano per i seguenti principali elementi di novità: a) scomparsa delle pene detentive; b) valorizzazione della funzione conciliativa tra le parti; c) definizione alternativa del procedimento per particolare tenuità del fatto o per condotte riparatorie dell’imputato.

Per tali motivi il nuovo processo penale affidato al Giudice di Pace è stato per i primi anni un vero e proprio "laboratorio di sperimentazione" di nuovi istituti giuridici (definizione del giudizio per condotte riparatorie o tenuità del fatto) che, in caso di buona riuscita, dovrebbero essere esportati nel processo principale innanzi al giudice togato.

Ritengo finito il periodo del rodaggio del processo penale innanzi al giudice di pace che deve divenire, a pieno titolo, procedimento penale di primo grado con un aumento ed armonizzazione della competenza del giudice anche nella delicata materia penale che non può ritenersi aumentata o soltanto gratificata per la categoria dalla recente attribuzione del reato di immigrazione clandestina.

CONCLUSIONI

Partendo dalle radici storiche e dalle previsioni costituzionali del Giudice di Pace, ho cercato sinteticamente di delineare le possibili strade di riforma del processo penale per la giustizia di pace.

Naturalmente, per ogni grande o piccola riforma giudiziaria, la fase più delicata è quella delle incertezze ed ansie di un iter legislativo d’approvazione sempre incerto.

Partiamo, in ogni caso, da dati statistici della giustizia di pace che, per quantità e qualità delle decisioni, sono confortanti e positivi come segualato ad ogni recente inaugurazione dell’anno giudiziario.

Per gli anni di rilevamento da parte della Direzione Generale statistica del Ministero di Giustizia in materia penale, si segnala un costante numero di procedimenti definiti con sentenza, con riti alternativi, con remissione di querela o con verbale di conciliazione per un totale di procedimenti penali definiti per gli anni 2003 al primo semestre 2006 pari a circa 260,000 procedimenti penali.

Nel libro L’ULTRACASTA di LIVADIOTTI i magistrati onorari sono definiti i “paria della giustizia” che con il loro oscuro e mal retribuito lavoro assicurano il normale funzionamento della giustizia civile e penale (nel libro si parla della definizione annuale di un milione e mezzo di processi civili e di 80.000 processi penali).

A fronte delle definizioni di copertina di qualche giornalista e di tali numeri di definizione di processi in materia civile e penale, credo che non si può più prescindere dal contributo della giustizia onoraria per operare linee di riforma in una logica di efficienza e tenuta del sistema giustizia sul piano operativo nel suo complesso.

Nell’avvicinamento ed nel pubblico dibattito sulle riforme future deve essere apprezzato l’impegno dell’Associazione Nazionale dei Giudici di Pace per aver sempre consentito e agevolto uno spunto di riflessione comune e d’approfondimento su argomenti di particolare interesse generale per la categoria dei giudici onorari.

Il futuro prossimo della giustizia italiana, anche e non solo in funzione deflattiva, ha bisogno di una definitiva affermazione della capacità professionale e dei valori della giurisdizione onoraria nel suo complesso e, in particolare, del Giudice di Pace che ha visto aumentate le sue competenze in materia civile e penale con competenze giurisdizionali di controllo, in settori di preminente interesse e rilevanza sociale come quelli dell’immigrazione e delle tossicodipendenze e con un notevole aumento di competenza civile.

L’auspicio che può essere formulato, in conclusione ed in linea con quanto già avviene negli altri paesi europei vicini alla nostra cultura giuridica, è quello di vedere una riforma della giustizia che valorizzi, per i diversi settori di competenza, il ruolo e la funzione della giurisdizione onoraria.

In una situazione di riforme condivise il giudice di pace deve essere giudice di prossimità del cittadino per la concreta definizione del conflitto sociale che assume precisa rilevanza anche in materia di illecito penale, soprattutto per la gran parte dei reati perseguibili a querela, dove deve prevalere la funzione conciliativa e riparatoria dell’illecito penale sull’interesse dello Stato alla effettiva punizione del colpevole in una concezione moderna e funzionale del diritto penale.

[Intervento svolto al 16° Convegno Nazionale dell’associazione Giudici di Pace Tenutosi a Roma, all’Hotel Nazionale il 22 Aprile 2010].

Introduzione

Ringrazio l’Associazione Nazionale dei Giudici di Pace per avermi gratificato, per la prima volta, dell’invito che mi consente di dare il mio contributo in sede di convegno nazionale dei GP.

Il GIUDICE di PACE in Italia, per funzioni svolte e riconoscimento normativo qualificato, è il principale appartenente al grande e variegato mondo della magistratura onoraria di cui fa parte anche la Magistratura di Pace all’interno dell’unica categoria dei “giudici non professionali” (ricordo che “magistratura onoraria” è terminologia che gode di uno specifico rilievo costituzionale nell’art. 106 Cost.).

Ricostruzione storica della giustizia laica in Italia

Per operare una sintetica e completa ricostruzione storica della magistratura onoraria o laica in Italia occorre ricordare gli antenati prossimi e remoti del giudice di pace.

ANTENATI REMOTI del GIUDICE di PACE

La figura del giudice di pace è stata introdotta nel nostro paese, seguendo una tradizione di esperienza della giustizia di pace in alcune nazioni europee vicine per cultura giuridica alla nostra nazione (in Spagna dal 1855, in Francia introdotto con la legislazione rivoluzione francese del 1790 come simbolo della “fraternità” nell’ideologia dell’illuministica del tempo e Inghilterra come figura del Justice of the Peace che risale addirittura al 1327).

Del resto, come ricordato in un recente convegno storico sul giudice di pace svolto a Napoli, il GP è un organo di giustizia storicamente presente nei regni preunitari d’Italia in applicazione delle disposizioni del codice civile napoleonico (in Emilia-Romagna a Bologna e Faenza nel 1807), anche nel regno borbonico delle due sicilie a Napoli come giudice di pace dei quartieri nel 1808 con competenze civili, commerciali e penali (“spegne le risse, ufficiale di PG nel suo dipartimento, decide in materia di diritto criminale”).

ANTENATI PROSSIMI del GIUDICE di PACE

Si tratta delle figure del conciliatore e del VPO che sono giudici onorari storicamente risalenti nel tempo come antesignani delle nuove figure di giudici onorari.

Con la legge 6 dicembre 1865 n. 2626, sull’ordinamento giudiziario del Regno, il giovane Stato italiano pensava alla figura del conciliatore quale organo capillare della giurisdizione contenziosa civile, presente in ogni comune e competente per le controversie di modico valore, nonché per la composizione preventiva e bonaria delle controversie civili di ogni valore, ad istanza delle parti (infatti, la 1egge 16 giugno del 1892, n. 261 aveva poi introdotto la denominazione «Ufficio di conciliazione», regolandone il funzionamento).

Successivamente l’Ordinamento Giudiziario del 1941 aveva introdotto all’art. 32 la figura del vicepretore onorario: al quale, in conseguenza della commistione di ruoli propria del sistema processuale previgente, erano attribuite dall’art. 72 anche le funzioni requirenti, peraltro esercitabili pure da avvocati, notai, funzionari di PS, sindaci, assessori, consiglieri comunali o loro delegato.

Le norme menzionate evocano, dunque, un’immagine quasi arcaica di magistrato onorario: una sorta di bonus paterfamilias al quale, specie in piccoli centri urbani o in contesti rurali, si rivolgeva una popolazione poco incline alle controversie giudiziarie in senso stretto, bisognosa prevalentemente di un autorevole compositore di liti ovvero (per le funzioni inquirenti) di un homo publicus, sinanche di diretta derivazione politica, capace di patrocinare le ragioni della collettività rispetto alle infrazioni dei singoli.

LA COSTITUZIONE E LA MAGISTRATURA ONORARIA

Quella sopra disegnata era, dunque, l’esperienza presente ai Costituenti, i quali ritennero opportuno riproporre tra l’altro che «la parola “onoraria” sta a indicare che la carica è elettiva e non di carriera…..è una funzione che si presta non come attività professionale, ma come una partecipazione spontanea che esce dalle normali occupazioni della vita» (Giovanni Leone, Atti dell’Assemblea Costituente, seduta antimeridiana del 26 novembre 1947 avente ad oggetto l’attuale art. 106).

Passando all’esame delle norme che, nella costituzione della repubblica italiana in vigore, fanno riferimento alla magistratura onoraria si devono richiamare le disposizioni contenute nel titolo IV sulla Magistratura e, nello specifico, il dettato dell’art.106 Costituzione.

Il primo comma dell’art.106, invero, stabilisce che la nomina dei magistrati ordinari può avvenire soltanto per concorso, collegando la “stabilità” a questo strumento selettivo di ingresso ed escludendo, implicitamente, quindi, che tale connotato possa caratterizzare anche i magistrati onorari, la cui nomina è contemplata dal secondo comma, laddove si sancisce che essa, oltre che essere elettiva, può essere ammessa, evidentemente, attraverso altri criteri di designazione, ovvero dalla legge sull’ordinamento giudiziario.

L’articolo 106 della Costituzione, al secondo comma, regola i rapporti tra magistratura ordinaria e onoraria in un ordinamento giudiziario in cui la magistratura onoraria è un sistema eventuale (il costutuente utilizza l’espressione “può”) e che si è sempre di più consolidato e potenziato, divenendo un sistema integrativo di supporto necessario e indispensabile per la giustizia civile e penale del nostro paese.

Recita, infatti, il secondo del comma citato articolo che “la legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”.

Ai sensi dell’art. 116 Cost. con legge dello stato (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta, in conformità di un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata) possono essere attribuite alle Regioni che ne facciano richiesta ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche in materia di “organizzazione della giustizia di pace”.

L’autonomia legislativa regionale è, in ogni caso, attribuita esclusivamente alla struttura e dislocazione degli uffici e la previsione della partecipazione, sia di un rappresentante dei giudici di pace sia di rappresentanti della Regione, si inserisce in quest’ambito costituzionale quale forma di “decentramento” di talune attribuzioni anche in materia di giustizia.

LA FIGURA DEL GIUDICE DI PACE NEL NOSTRO ORDINAMENTO

Passando ai nostri giorni, con la stagione delle riforme inaugurata dal codice di procedura penale del 1988 e dalle novelle processualcivilistiche degli anni novanta, il legislatore italiano ha ritenuto di prevedere, con la legge 21 novembre 1991 n. 374, una nuova figura di magistrato onorario: il Giudice di Pace.

La legislazione originaria ha trovato successive e ripetute modifiche, soprattutto in correlazione con l’introduzione del giudice unico e esplicito riconoscimento come giudice civile e penale di primo grado nelle disposizioni del nuovo orinmento giudiziario.

La figura del giudice di pace è stata inizialmente realizzata, forse sulla suggestione di analoghi istituti di altri ordinamenti, come giudice dell’equità, della seconda età (l’accesso era previsto inizialmente per persone tra i 50 e i 70 anni) e di prossimità per i cittadini attraverso una distribuzione territoriale molto articolata che si avvicina a quelle delle soppresse preture mandamentali.

In questo momento l’istituto si è molto trasformato in quanto è stata allargata la fascia di età dei giudici di pace (ora dai 30 ai 70 anni) e ne sono state gradualmente ampliate le originarie competenze civili, includendovi competenze penali di primo grado per reati di modesta gravità e di microconflittualità tra cittadini, con un sistema processuale innovativo caratterizzato dalla valorizzarione della funzione conciliativa e dalla scomparsa di pene detentive (1egge 24 novembre 1999, n. 468).

Più di recente, sono state previste nuove competenze:

1. competenza giurisdizionale di convalida delle espulsioni emesse dall’Autorità amministrativa nei confronti degli immigrati extracomunitari e di decisione sui relativi ricorsi (legge 12 novembre 2004, n. 271)

2. convalida delle sanzioni amministrative emesse per il contrasto all’uso di sostanze stupefacenti e di decisione sui relativi ricorsi (legge 21 febbraio 2005, n. 272);

3. reato di immigrazione clandestina;

4. in materia civile, aumento della competenza e si è limitato il ricorso al giudizio di equità con la modifica all’att. 113 c.p.c..

Per la categoria dei giudici di pace e per tutte le altre categorie di giudici onorari (GOT, VPO, GOA) è ancora valida la nozione di onorarietà, prevista dai costituenti e sottesa anche alle interpretazioni delle sentenze emanate dalla giurisprudenza di legittimità.

Si ricorda, in proposito, la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 11272 del 9 novembre 1998, ove è stato rilevato che rapporto di pubblico impiego e funzione onoraria si distinguono in base ai seguenti elementi:

1) la scelta del funzionario, che nell’impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura politico-discrezionale;

2) l‘inserimento nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario;

3) lo svolgimento del rapporto, che nel pubblico impiego è regolato da un apposito statuto, mentre nell’esercizio delle funzioni onorarie è privo di una specifica disciplina, quest’ultima potendo essere individuata unicamente nell’atto di conferimento dell’incarico e nella natura di tale incarico;

4) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario e, in senso lato, di ristoro degli oneri sostenuti;

5) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (anche se vi è la possibilità del rinnovo dell’incarico) quanto al funzionario onorario.

A proposito del reclutamento ed alla formazione dei giudici di pace, un nuovo e più razionale sistema è stato introdotto dalla legge n.468 del 1999 (che ha modificato l’assetto originario della legge n. 374 del 1991), nella parte in cui prevede che la nomina del magistrato onorario da parte del CSM debba seguire e non precedere il periodo di tirocinio.

Tale disciplina, che costituisce d’altra parte uno dei punti fermi della proposta elaborata dalla c.d. Commissione Acone, che prevede al riguardo le medesime regole per il genus magistratura onoraria (comprendente appunto giudici di pace, got e vpo), appare in effetti in sintonia con la esigenza di conferire in concreto le funzioni giurisdizioriali (quale ne sia l’estensione) solo a chi abbia dimostrato di essere in grado di svolgere l’incarico che è destinato ad assumere, sia dal punto di vista della preparazione giuridica, sia sotto l’aspetto dell’equilibrio e dell’indipendenza.

Inoltre, attraverso questo sistema gli aspiranti magistrati onorari, che provengono da esperienze diverse dall’avvocatura o non vantano un pregresso esercizio di funzioni onorarie, avranno da un lato la possibilità di avvicinarsi gradualmente alla dialettica processuale e coglierne in concreto il significato e, dall’altro, di realizzare un collegamento, anche di natura personale, con la magistratura togata, incrementando e facilitando gli interscambi e la collaborazione nella successiva fase dell’esercizio delle funzioni che saranno chiamati a svolgere.

Al riguardo, si segnala il contenuto della Circolare del Consiglio Superiore della Magistratura (n. P-750712004 dell’8 aprile 2004) nella quale si è stabilito che ciascun Consiglio giudiziario nominerà una “commissione mista” al fine di promuovere e coordinare le attività di formazione destinate essenzialmente ai giudici di pace, g.o.t. e v.p.o.

Tale attività costituisce integrazione e coordinamento dell’attività di formazione iniziale e permanente che, negli ultimi anni, sono svolte a beneficio della magistratura onoraria a livello centrale dall’Ottava Commissione del CSM e, a livello decentrato di ciascuna Corte di Appello, dalle Commissioni per la formazione della Magistratura onoraria.

Per quanto concerne il governo della categoria dei giudici di pace punto di partenza per un’analisi complessiva della problematica non può che essere il decreto legislativo recante “Disciplina della composizione delle competenze e della durata in carica dei consigli giudiziari ed istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, in attuazione della delega di cui agli articoli 1, comma 1, lettera c) e 2, comma 3, della legge 25 luglio 2005 n. 150”.

La composizione dei nuovi consigli giudiziari prevede la presenza stabile ed organica di “...un rappresentante eletto dai giudici di pace del distretto nel proprio ambito” quale membro effettivo.

Il rappresentante dei giudici di pace partecipa esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio delle seguenti competenze (art. 16):

1. parere sulle tabelle degli uffici giudicanti e sui criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti di cui all’art. 7 ter del r.d. 30 gennaio 1941 n.12;

2. vigilanza sull’ andamento degli uffici giudiziari del distretto;

3. pareri e proposte sull’organizzazione e il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto;

4. ammissione al tirocinio, nomina e tirocinio dei giudici di pace;

5. parere per la conferma del giudice di pace;

6. decadenza, dispensa, ammonimento, censura o revoca della nomina del giudice di pace.

Come anche rilevato dalla relazione allo schema legislativo, si tratta di un modello operativo del consiglio giudiziario “a geometria variabile” in cui i giudici di pace partecipano al governo della propria categoria attraverso la rappresentanza nei Consigli giudiziari.

Questo nuovo modello di Consiglio giudiziario e la partecipazione “rafforzata” dei giudici di pace trova il suo fondamento, non tanto in un principio di armonizzazione di disciplina con la magistratura togata, quanto, piuttosto, nell’adeguamento della struttura e funzioni dei Consigli giudiziari alle modifiche del titolo V della Costituzione.

Ed invero ai sensi del “nuovo” art. 116 Cost. con legge dello stato (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta, in conformità di un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata) possono essere attribuite alle Regioni che ne facciano richiesta ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche in materia di “organizzazione della giustizia di pace”.

L’autonomia legislativa regionale è, in ogni caso, attribuita esclusivamente alla struttura e dislocazione degli uffici e la previsione della partecipazione, sia di un rappresentante dei giudici di pace sia di rappresentanti della Regione, si inserisce in quest’ambito costituzionale quale forma di “decentramento” di talune attribuzioni anche in materia di giustizia.

Rimane ferma l’esclusione dei giudici di pace dal Consiglio Superiore della Magistratura quale conseguenza dalla stessa Costituzione, poiché l’art. 104 Cost. prevede espressamente che possano fare parte del CSM unicamente “magistrati ordinari” intesi quali magistrati togati e non anche magistrati onorari.

POSSIBILI PROSPETTIVE DI RIFORMA DEL PROCESSO PENALE INNANZI AL GIUDICE DI PACE

I lavori della commissione Ministeriale di Riforma presieduti dal Prof. RICCIO, orientati sul corretto equilibrio tra i principi costituzionali del “giusto processo” e della “ragionevole durata del processo”, hanno operato, sulla linea del codice del Vassalli del 1988, una riforma in funzione di indifferibile accellerazione dei tempi del processo penale sicuramente proppo lunghi per un paese civile come il nostro.

In questa ottica di consentire un’accellarazione di tempi e un alleggerimento delle formalità processuali, si decise di definire ed affrontare anche i temi generali della giurisdizione, rimanendo ferma e inalterata la competenza penale del Giudice di Pace ed a quella del Tribunale per i Minorenni (si tratta di procedimenti penali che trovano regolamentazione in leggi speciali fuori del codice processuale e che sono esplicitamente indicati come punti di specifico intervento riformatore dal Ministro della Giustizia nel decreto istitutivo della Commissione di Riforma del 27/7/2006).

FUNZIONALE è stata la scelta di conservare la COMPETENZA PENALE DI PRIMO GRADO DEL GIUDICE di PACE.

Alcune delle principali possibili novita’ della delega in materia di gp (commissione ministeriale di riforma cpp RICCIO):

· ampliamento della competenza del giudice penale di pace a conoscere di reati perseguibili a querela di parte che non presentino rilevanti problemi di valutazione della prova in sede di accertamento giudiziale, semprechè non aggravati da circostanze ad effetto speciale (per i reati contro il patrimonio che sono quelli meno gravi nella scala di valori del vecchio codice ROCCO per esempio furto non aggravato punibile a querela art. 624 c.p.; fruffa non aggravata punibile a querela art. 640 c.p.);

· rimodulare la competenza di primo grado del Giudice di Pace in linea con la prevedibile depenalizzazione di numerose ipotesi di reato oggi nel paniere della competenza penale del GP e strettamente collegata con il nuovo regime sanzionatorio delineato in sede di riforma del codice penale (si prevede come regime alternativo alla pena quello della messa alla prova del condannato).

· Commissione di riforma del Codice Penale PISAPIA: attribuzione alla competenza del tribunale come organo monocratico, salva la competenza dell’organo collegiale per i casi più complessi, e dei reati non attribuiti alla competenza della corte di assise o del giudice di pace (sanzioni penali della Commissione PISAPIA: pena pecuniaria, pena interdittiva, pena prescrittiva, pena restrittiva o privativa della libertà personale).

· l’attività di indagine sia di regola svolta di iniziativa dalla polizia giudiziaria del luogo del commesso reato e che questa possa essere autorizzata dal pubblico ministero al compimento di atti irripetibili;

· obbligo per il querelante di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni e di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto;

· obbligo per la polizia giudiziaria, a conclusione delle indagini, di sentire il querelante per verificare l’attualità del suo interesse alla prosecuzione del procedimento prevedendo che la ingiustificata comparizione o la impossibilità di citarlo per negligenza a lui addebitabile comportino l’improcedibilità dell’azione penale con conseguente archiviazione;

· previsione che il pubblico ministero, salvo che non debba richiedere l’archiviazione, eserciti l’azione penale entro un anno dalla presentazione della querela (o dalla iscrizione della notizia di reato) formulando l’imputazione con la emissione di decreto di citazione diretta a giudizio;

· previsione che l’azione penale sia prescritta (si tratta di un termine accelleratorio dei tempi del processo cd. di prescrizione processuale nella consapevolezza che la pacificazione è resa più agevole dal trascorrere del tempo che rimuove le ferite del reato) quando, a seguito della mancata conciliazione, siano decorsi dodici mesi senza che sia stata pronunciata sentenza.

Del resto, una tale scelta si armonizza con la storica natura e la funzione giudiziaria del giudice di pace che, come noto, è un giudice onorario di prossimità (modello di giudice conosciuto in altri sistemi giudiziari europei molto vicini ai nostri come quello francese e spagnolo) che, per effetto delle disposizioni dell’ordinamento giudiziario vigente, è autorità giudiziaria cui è affidata l’amministrazine della giustizia di primo grado nella materia civile e penale (in precedenza art.1 del RD 30/1/1941 n.12 come modificato dalla legge 21/11/1991 n.374 che ha istituito il Giudice di Pace ed oggi Legge 30/7/2007 n.111 che ha modificato l’ordinamento giudiziario).

Parlando in materia penale di pace, non posso esimermi dall’evidenziare un aspetto apparentemente contraddittorio ed inconciliabile del termine penale con quello di giustizia di pace ed i limiti originali di un processo affidato ad un magistrato di prossimità che svolge la sua attività in funzione prevalentemente pacificatoria e che, in caso di fallimento di strade di mediazione del conflitto, è chiamato all’accertamento della responsabilità penale ed all’irrogazione della relativa sanzione criminale.

Il legislatore del D. Lvo della legge 274/2000 ( in attuazione della legge delega del 1999) ha creato un modello di giustizia penale diverso da quello tradizionale con aspetti innovativi sia sostanziali che processuali, che si caratterizzano per i seguenti principali elementi di novità: a) scomparsa delle pene detentive; b) valorizzazione della funzione conciliativa tra le parti; c) definizione alternativa del procedimento per particolare tenuità del fatto o per condotte riparatorie dell’imputato.

Per tali motivi il nuovo processo penale affidato al Giudice di Pace è stato per i primi anni un vero e proprio "laboratorio di sperimentazione" di nuovi istituti giuridici (definizione del giudizio per condotte riparatorie o tenuità del fatto) che, in caso di buona riuscita, dovrebbero essere esportati nel processo principale innanzi al giudice togato. >[Intervento svolto al 16° Convegno Nazionale dell’associazione Giudici di Pace Tenutosi a Roma, all’Hotel Nazionale il 22 Aprile 2010].

Introduzione

Ringrazio l’Associazione Nazionale dei Giudici di Pace per avermi gratificato, per la prima volta, dell’invito che mi consente di dare il mio contributo in sede di convegno nazionale dei GP.

Il GIUDICE di PACE in Italia, per funzioni svolte e riconoscimento normativo qualificato, è il principale appartenente al grande e variegato mondo della magistratura onoraria di cui fa parte anche la Magistratura di Pace all’interno dell’unica categoria dei “giudici non professionali” (ricordo che “magistratura onoraria” è terminologia che gode di uno specifico rilievo costituzionale nell’art. 106 Cost.).

Ricostruzione storica della giustizia laica in Italia

Per operare una sintetica e completa ricostruzione storica della magistratura onoraria o laica in Italia occorre ricordare gli antenati prossimi e remoti del giudice di pace.

ANTENATI REMOTI del GIUDICE di PACE

La figura del giudice di pace è stata introdotta nel nostro paese, seguendo una tradizione di esperienza della giustizia di pace in alcune nazioni europee vicine per cultura giuridica alla nostra nazione (in Spagna dal 1855, in Francia introdotto con la legislazione rivoluzione francese del 1790 come simbolo della “fraternità” nell’ideologia dell’illuministica del tempo e Inghilterra come figura del Justice of the Peace che risale addirittura al 1327).

Del resto, come ricordato in un recente convegno storico sul giudice di pace svolto a Napoli, il GP è un organo di giustizia storicamente presente nei regni preunitari d’Italia in applicazione delle disposizioni del codice civile napoleonico (in Emilia-Romagna a Bologna e Faenza nel 1807), anche nel regno borbonico delle due sicilie a Napoli come giudice di pace dei quartieri nel 1808 con competenze civili, commerciali e penali (“spegne le risse, ufficiale di PG nel suo dipartimento, decide in materia di diritto criminale”).

ANTENATI PROSSIMI del GIUDICE di PACE

Si tratta delle figure del conciliatore e del VPO che sono giudici onorari storicamente risalenti nel tempo come antesignani delle nuove figure di giudici onorari.

Con la legge 6 dicembre 1865 n. 2626, sull’ordinamento giudiziario del Regno, il giovane Stato italiano pensava alla figura del conciliatore quale organo capillare della giurisdizione contenziosa civile, presente in ogni comune e competente per le controversie di modico valore, nonché per la composizione preventiva e bonaria delle controversie civili di ogni valore, ad istanza delle parti (infatti, la 1egge 16 giugno del 1892, n. 261 aveva poi introdotto la denominazione «Ufficio di conciliazione», regolandone il funzionamento).

Successivamente l’Ordinamento Giudiziario del 1941 aveva introdotto all’art. 32 la figura del vicepretore onorario: al quale, in conseguenza della commistione di ruoli propria del sistema processuale previgente, erano attribuite dall’art. 72 anche le funzioni requirenti, peraltro esercitabili pure da avvocati, notai, funzionari di PS, sindaci, assessori, consiglieri comunali o loro delegato.

Le norme menzionate evocano, dunque, un’immagine quasi arcaica di magistrato onorario: una sorta di bonus paterfamilias al quale, specie in piccoli centri urbani o in contesti rurali, si rivolgeva una popolazione poco incline alle controversie giudiziarie in senso stretto, bisognosa prevalentemente di un autorevole compositore di liti ovvero (per le funzioni inquirenti) di un homo publicus, sinanche di diretta derivazione politica, capace di patrocinare le ragioni della collettività rispetto alle infrazioni dei singoli.

LA COSTITUZIONE E LA MAGISTRATURA ONORARIA

Quella sopra disegnata era, dunque, l’esperienza presente ai Costituenti, i quali ritennero opportuno riproporre tra l’altro che «la parola “onoraria” sta a indicare che la carica è elettiva e non di carriera…..è una funzione che si presta non come attività professionale, ma come una partecipazione spontanea che esce dalle normali occupazioni della vita» (Giovanni Leone, Atti dell’Assemblea Costituente, seduta antimeridiana del 26 novembre 1947 avente ad oggetto l’attuale art. 106).

Passando all’esame delle norme che, nella costituzione della repubblica italiana in vigore, fanno riferimento alla magistratura onoraria si devono richiamare le disposizioni contenute nel titolo IV sulla Magistratura e, nello specifico, il dettato dell’art.106 Costituzione.

Il primo comma dell’art.106, invero, stabilisce che la nomina dei magistrati ordinari può avvenire soltanto per concorso, collegando la “stabilità” a questo strumento selettivo di ingresso ed escludendo, implicitamente, quindi, che tale connotato possa caratterizzare anche i magistrati onorari, la cui nomina è contemplata dal secondo comma, laddove si sancisce che essa, oltre che essere elettiva, può essere ammessa, evidentemente, attraverso altri criteri di designazione, ovvero dalla legge sull’ordinamento giudiziario.

L’articolo 106 della Costituzione, al secondo comma, regola i rapporti tra magistratura ordinaria e onoraria in un ordinamento giudiziario in cui la magistratura onoraria è un sistema eventuale (il costutuente utilizza l’espressione “può”) e che si è sempre di più consolidato e potenziato, divenendo un sistema integrativo di supporto necessario e indispensabile per la giustizia civile e penale del nostro paese.

Recita, infatti, il secondo del comma citato articolo che “la legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”.

Ai sensi dell’art. 116 Cost. con legge dello stato (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta, in conformità di un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata) possono essere attribuite alle Regioni che ne facciano richiesta ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche in materia di “organizzazione della giustizia di pace”.

L’autonomia legislativa regionale è, in ogni caso, attribuita esclusivamente alla struttura e dislocazione degli uffici e la previsione della partecipazione, sia di un rappresentante dei giudici di pace sia di rappresentanti della Regione, si inserisce in quest’ambito costituzionale quale forma di “decentramento” di talune attribuzioni anche in materia di giustizia.

LA FIGURA DEL GIUDICE DI PACE NEL NOSTRO ORDINAMENTO

Passando ai nostri giorni, con la stagione delle riforme inaugurata dal codice di procedura penale del 1988 e dalle novelle processualcivilistiche degli anni novanta, il legislatore italiano ha ritenuto di prevedere, con la legge 21 novembre 1991 n. 374, una nuova figura di magistrato onorario: il Giudice di Pace.

La legislazione originaria ha trovato successive e ripetute modifiche, soprattutto in correlazione con l’introduzione del giudice unico e esplicito riconoscimento come giudice civile e penale di primo grado nelle disposizioni del nuovo orinmento giudiziario.

La figura del giudice di pace è stata inizialmente realizzata, forse sulla suggestione di analoghi istituti di altri ordinamenti, come giudice dell’equità, della seconda età (l’accesso era previsto inizialmente per persone tra i 50 e i 70 anni) e di prossimità per i cittadini attraverso una distribuzione territoriale molto articolata che si avvicina a quelle delle soppresse preture mandamentali.

In questo momento l’istituto si è molto trasformato in quanto è stata allargata la fascia di età dei giudici di pace (ora dai 30 ai 70 anni) e ne sono state gradualmente ampliate le originarie competenze civili, includendovi competenze penali di primo grado per reati di modesta gravità e di microconflittualità tra cittadini, con un sistema processuale innovativo caratterizzato dalla valorizzarione della funzione conciliativa e dalla scomparsa di pene detentive (1egge 24 novembre 1999, n. 468).

Più di recente, sono state previste nuove competenze:

1. competenza giurisdizionale di convalida delle espulsioni emesse dall’Autorità amministrativa nei confronti degli immigrati extracomunitari e di decisione sui relativi ricorsi (legge 12 novembre 2004, n. 271)

2. convalida delle sanzioni amministrative emesse per il contrasto all’uso di sostanze stupefacenti e di decisione sui relativi ricorsi (legge 21 febbraio 2005, n. 272);

3. reato di immigrazione clandestina;

4. in materia civile, aumento della competenza e si è limitato il ricorso al giudizio di equità con la modifica all’att. 113 c.p.c..

Per la categoria dei giudici di pace e per tutte le altre categorie di giudici onorari (GOT, VPO, GOA) è ancora valida la nozione di onorarietà, prevista dai costituenti e sottesa anche alle interpretazioni delle sentenze emanate dalla giurisprudenza di legittimità.

Si ricorda, in proposito, la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 11272 del 9 novembre 1998, ove è stato rilevato che rapporto di pubblico impiego e funzione onoraria si distinguono in base ai seguenti elementi:

1) la scelta del funzionario, che nell’impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura politico-discrezionale;

2) l‘inserimento nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione, che è strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario;

3) lo svolgimento del rapporto, che nel pubblico impiego è regolato da un apposito statuto, mentre nell’esercizio delle funzioni onorarie è privo di una specifica disciplina, quest’ultima potendo essere individuata unicamente nell’atto di conferimento dell’incarico e nella natura di tale incarico;

4) il compenso, che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario e, in senso lato, di ristoro degli oneri sostenuti;

5) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego e a termine (anche se vi è la possibilità del rinnovo dell’incarico) quanto al funzionario onorario.

A proposito del reclutamento ed alla formazione dei giudici di pace, un nuovo e più razionale sistema è stato introdotto dalla legge n.468 del 1999 (che ha modificato l’assetto originario della legge n. 374 del 1991), nella parte in cui prevede che la nomina del magistrato onorario da parte del CSM debba seguire e non precedere il periodo di tirocinio.

Tale disciplina, che costituisce d’altra parte uno dei punti fermi della proposta elaborata dalla c.d. Commissione Acone, che prevede al riguardo le medesime regole per il genus magistratura onoraria (comprendente appunto giudici di pace, got e vpo), appare in effetti in sintonia con la esigenza di conferire in concreto le funzioni giurisdizioriali (quale ne sia l’estensione) solo a chi abbia dimostrato di essere in grado di svolgere l’incarico che è destinato ad assumere, sia dal punto di vista della preparazione giuridica, sia sotto l’aspetto dell’equilibrio e dell’indipendenza.

Inoltre, attraverso questo sistema gli aspiranti magistrati onorari, che provengono da esperienze diverse dall’avvocatura o non vantano un pregresso esercizio di funzioni onorarie, avranno da un lato la possibilità di avvicinarsi gradualmente alla dialettica processuale e coglierne in concreto il significato e, dall’altro, di realizzare un collegamento, anche di natura personale, con la magistratura togata, incrementando e facilitando gli interscambi e la collaborazione nella successiva fase dell’esercizio delle funzioni che saranno chiamati a svolgere.

Al riguardo, si segnala il contenuto della Circolare del Consiglio Superiore della Magistratura (n. P-750712004 dell’8 aprile 2004) nella quale si è stabilito che ciascun Consiglio giudiziario nominerà una “commissione mista” al fine di promuovere e coordinare le attività di formazione destinate essenzialmente ai giudici di pace, g.o.t. e v.p.o.

Tale attività costituisce integrazione e coordinamento dell’attività di formazione iniziale e permanente che, negli ultimi anni, sono svolte a beneficio della magistratura onoraria a livello centrale dall’Ottava Commissione del CSM e, a livello decentrato di ciascuna Corte di Appello, dalle Commissioni per la formazione della Magistratura onoraria.

Per quanto concerne il governo della categoria dei giudici di pace punto di partenza per un’analisi complessiva della problematica non può che essere il decreto legislativo recante “Disciplina della composizione delle competenze e della durata in carica dei consigli giudiziari ed istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione, in attuazione della delega di cui agli articoli 1, comma 1, lettera c) e 2, comma 3, della legge 25 luglio 2005 n. 150”.

La composizione dei nuovi consigli giudiziari prevede la presenza stabile ed organica di “...un rappresentante eletto dai giudici di pace del distretto nel proprio ambito” quale membro effettivo.

Il rappresentante dei giudici di pace partecipa esclusivamente alle discussioni e deliberazioni relative all’esercizio delle seguenti competenze (art. 16):

1. parere sulle tabelle degli uffici giudicanti e sui criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti di cui all’art. 7 ter del r.d. 30 gennaio 1941 n.12;

2. vigilanza sull’ andamento degli uffici giudiziari del distretto;

3. pareri e proposte sull’organizzazione e il funzionamento degli uffici del giudice di pace del distretto;

4. ammissione al tirocinio, nomina e tirocinio dei giudici di pace;

5. parere per la conferma del giudice di pace;

6. decadenza, dispensa, ammonimento, censura o revoca della nomina del giudice di pace.

Come anche rilevato dalla relazione allo schema legislativo, si tratta di un modello operativo del consiglio giudiziario “a geometria variabile” in cui i giudici di pace partecipano al governo della propria categoria attraverso la rappresentanza nei Consigli giudiziari.

Questo nuovo modello di Consiglio giudiziario e la partecipazione “rafforzata” dei giudici di pace trova il suo fondamento, non tanto in un principio di armonizzazione di disciplina con la magistratura togata, quanto, piuttosto, nell’adeguamento della struttura e funzioni dei Consigli giudiziari alle modifiche del titolo V della Costituzione.

Ed invero ai sensi del “nuovo” art. 116 Cost. con legge dello stato (approvata dalle Camere a maggioranza assoluta, in conformità di un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata) possono essere attribuite alle Regioni che ne facciano richiesta ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche in materia di “organizzazione della giustizia di pace”.

L’autonomia legislativa regionale è, in ogni caso, attribuita esclusivamente alla struttura e dislocazione degli uffici e la previsione della partecipazione, sia di un rappresentante dei giudici di pace sia di rappresentanti della Regione, si inserisce in quest’ambito costituzionale quale forma di “decentramento” di talune attribuzioni anche in materia di giustizia.

Rimane ferma l’esclusione dei giudici di pace dal Consiglio Superiore della Magistratura quale conseguenza dalla stessa Costituzione, poiché l’art. 104 Cost. prevede espressamente che possano fare parte del CSM unicamente “magistrati ordinari” intesi quali magistrati togati e non anche magistrati onorari.

POSSIBILI PROSPETTIVE DI RIFORMA DEL PROCESSO PENALE INNANZI AL GIUDICE DI PACE

I lavori della commissione Ministeriale di Riforma presieduti dal Prof. RICCIO, orientati sul corretto equilibrio tra i principi costituzionali del “giusto processo” e della “ragionevole durata del processo”, hanno operato, sulla linea del codice del Vassalli del 1988, una riforma in funzione di indifferibile accellerazione dei tempi del processo penale sicuramente proppo lunghi per un paese civile come il nostro.

In questa ottica di consentire un’accellarazione di tempi e un alleggerimento delle formalità processuali, si decise di definire ed affrontare anche i temi generali della giurisdizione, rimanendo ferma e inalterata la competenza penale del Giudice di Pace ed a quella del Tribunale per i Minorenni (si tratta di procedimenti penali che trovano regolamentazione in leggi speciali fuori del codice processuale e che sono esplicitamente indicati come punti di specifico intervento riformatore dal Ministro della Giustizia nel decreto istitutivo della Commissione di Riforma del 27/7/2006).

FUNZIONALE è stata la scelta di conservare la COMPETENZA PENALE DI PRIMO GRADO DEL GIUDICE di PACE.

Alcune delle principali possibili novita’ della delega in materia di gp (commissione ministeriale di riforma cpp RICCIO):

· ampliamento della competenza del giudice penale di pace a conoscere di reati perseguibili a querela di parte che non presentino rilevanti problemi di valutazione della prova in sede di accertamento giudiziale, semprechè non aggravati da circostanze ad effetto speciale (per i reati contro il patrimonio che sono quelli meno gravi nella scala di valori del vecchio codice ROCCO per esempio furto non aggravato punibile a querela art. 624 c.p.; fruffa non aggravata punibile a querela art. 640 c.p.);

· rimodulare la competenza di primo grado del Giudice di Pace in linea con la prevedibile depenalizzazione di numerose ipotesi di reato oggi nel paniere della competenza penale del GP e strettamente collegata con il nuovo regime sanzionatorio delineato in sede di riforma del codice penale (si prevede come regime alternativo alla pena quello della messa alla prova del condannato).

· Commissione di riforma del Codice Penale PISAPIA: attribuzione alla competenza del tribunale come organo monocratico, salva la competenza dell’organo collegiale per i casi più complessi, e dei reati non attribuiti alla competenza della corte di assise o del giudice di pace (sanzioni penali della Commissione PISAPIA: pena pecuniaria, pena interdittiva, pena prescrittiva, pena restrittiva o privativa della libertà personale).

· l’attività di indagine sia di regola svolta di iniziativa dalla polizia giudiziaria del luogo del commesso reato e che questa possa essere autorizzata dal pubblico ministero al compimento di atti irripetibili;

· obbligo per il querelante di dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni e di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto;

· obbligo per la polizia giudiziaria, a conclusione delle indagini, di sentire il querelante per verificare l’attualità del suo interesse alla prosecuzione del procedimento prevedendo che la ingiustificata comparizione o la impossibilità di citarlo per negligenza a lui addebitabile comportino l’improcedibilità dell’azione penale con conseguente archiviazione;

· previsione che il pubblico ministero, salvo che non debba richiedere l’archiviazione, eserciti l’azione penale entro un anno dalla presentazione della querela (o dalla iscrizione della notizia di reato) formulando l’imputazione con la emissione di decreto di citazione diretta a giudizio;

· previsione che l’azione penale sia prescritta (si tratta di un termine accelleratorio dei tempi del processo cd. di prescrizione processuale nella consapevolezza che la pacificazione è resa più agevole dal trascorrere del tempo che rimuove le ferite del reato) quando, a seguito della mancata conciliazione, siano decorsi dodici mesi senza che sia stata pronunciata sentenza.

Del resto, una tale scelta si armonizza con la storica natura e la funzione giudiziaria del giudice di pace che, come noto, è un giudice onorario di prossimità (modello di giudice conosciuto in altri sistemi giudiziari europei molto vicini ai nostri come quello francese e spagnolo) che, per effetto delle disposizioni dell’ordinamento giudiziario vigente, è autorità giudiziaria cui è affidata l’amministrazine della giustizia di primo grado nella materia civile e penale (in precedenza art.1 del RD 30/1/1941 n.12 come modificato dalla legge 21/11/1991 n.374 che ha istituito il Giudice di Pace ed oggi Legge 30/7/2007 n.111 che ha modificato l’ordinamento giudiziario).

Parlando in materia penale di pace, non posso esimermi dall’evidenziare un aspetto apparentemente contraddittorio ed inconciliabile del termine penale con quello di giustizia di pace ed i limiti originali di un processo affidato ad un magistrato di prossimità che svolge la sua attività in funzione prevalentemente pacificatoria e che, in caso di fallimento di strade di mediazione del conflitto, è chiamato all’accertamento della responsabilità penale ed all’irrogazione della relativa sanzione criminale.

Il legislatore del D. Lvo della legge 274/2000 ( in attuazione della legge delega del 1999) ha creato un modello di giustizia penale diverso da quello tradizionale con aspetti innovativi sia sostanziali che processuali, che si caratterizzano per i seguenti principali elementi di novità: a) scomparsa delle pene detentive; b) valorizzazione della funzione conciliativa tra le parti; c) definizione alternativa del procedimento per particolare tenuità del fatto o per condotte riparatorie dell’imputato.

Per tali motivi il nuovo processo penale affidato al Giudice di Pace è stato per i primi anni un vero e proprio "laboratorio di sperimentazione" di nuovi istituti giuridici (definizione del giudizio per condotte riparatorie o tenuità del fatto) che, in caso di buona riuscita, dovrebbero essere esportati nel processo principale innanzi al giudice togato.

Ritengo finito il periodo del rodaggio del processo penale innanzi al giudice di pace che deve divenire, a pieno titolo, procedimento penale di primo grado con un aumento ed armonizzazione della competenza del giudice anche nella delicata materia penale che non può ritenersi aumentata o soltanto gratificata per la categoria dalla recente attribuzione del reato di immigrazione clandestina.

CONCLUSIONI

Partendo dalle radici storiche e dalle previsioni costituzionali del Giudice di Pace, ho cercato sinteticamente di delineare le possibili strade di riforma del processo penale per la giustizia di pace.

Naturalmente, per ogni grande o piccola riforma giudiziaria, la fase più delicata è quella delle incertezze ed ansie di un iter legislativo d’approvazione sempre incerto.

Partiamo, in ogni caso, da dati statistici della giustizia di pace che, per quantità e qualità delle decisioni, sono confortanti e positivi come segualato ad ogni recente inaugurazione dell’anno giudiziario.

Per gli anni di rilevamento da parte della Direzione Generale statistica del Ministero di Giustizia in materia penale, si segnala un costante numero di procedimenti definiti con sentenza, con riti alternativi, con remissione di querela o con verbale di conciliazione per un totale di procedimenti penali definiti per gli anni 2003 al primo semestre 2006 pari a circa 260,000 procedimenti penali.

Nel libro L’ULTRACASTA di LIVADIOTTI i magistrati onorari sono definiti i “paria della giustizia” che con il loro oscuro e mal retribuito lavoro assicurano il normale funzionamento della giustizia civile e penale (nel libro si parla della definizione annuale di un milione e mezzo di processi civili e di 80.000 processi penali).

A fronte delle definizioni di copertina di qualche giornalista e di tali numeri di definizione di processi in materia civile e penale, credo che non si può più prescindere dal contributo della giustizia onoraria per operare linee di riforma in una logica di efficienza e tenuta del sistema giustizia sul piano operativo nel suo complesso.

Nell’avvicinamento ed nel pubblico dibattito sulle riforme future deve essere apprezzato l’impegno dell’Associazione Nazionale dei Giudici di Pace per aver sempre consentito e agevolto uno spunto di riflessione comune e d’approfondimento su argomenti di particolare interesse generale per la categoria dei giudici onorari.

Il futuro prossimo della giustizia italiana, anche e non solo in funzione deflattiva, ha bisogno di una definitiva affermazione della capacità professionale e dei valori della giurisdizione onoraria nel suo complesso e, in particolare, del Giudice di Pace che ha visto aumentate le sue competenze in materia civile e penale con competenze giurisdizionali di controllo, in settori di preminente interesse e rilevanza sociale come quelli dell’immigrazione e delle tossicodipendenze e con un notevole aumento di competenza civile.

L’auspicio che può essere formulato, in conclusione ed in linea con quanto già avviene negli altri paesi europei vicini alla nostra cultura giuridica, è quello di vedere una riforma della giustizia che valorizzi, per i diversi settori di competenza, il ruolo e la funzione della giurisdizione onoraria.

In una situazione di riforme condivise il giudice di pace deve essere giudice di prossimità del cittadino per la concreta definizione del conflitto sociale che assume precisa rilevanza anche in materia di illecito penale, soprattutto per la gran parte dei reati perseguibili a querela, dove deve prevalere la funzione conciliativa e riparatoria dell’illecito penale sull’interesse dello Stato alla effettiva punizione del colpevole in una concezione moderna e funzionale del diritto penale.