"il parto naturale può causare dolore acuto" non uno slogan, ma un'esenzione da responsabilità
Il dolore sofferto dalla donna durante il parto tende ad essere dimenticato per la salvaguardia della specie; un’assioma che contiene un’evidente certezza: il parto secondo la Genesi provoca alla gestante dolore acuto.
La letteratura scientifica ha ormai concordemente sdoganato la partoanalgesia epidurale, non avendo controindicazioni degne di nota né per la madre, né per il feto.
Tale modalità analgesica garantisce la naturalezza del parto, mantiene la mamma attiva e cosciente nelle diverse fasi dello stesso, elimina il dolore sofferto inutilmente dalla gestante, non ha alcun rischio per il nascituro.
Queste evidenze si innestano a pieno titolo nel "nuovo" rapporto che l’essere umano ha con il dolore, sintetizzato negli indirizzi dell’Organismo Mondiale della Salute, dei Comitati di Bioetica e della Carta dei Diritti del Dolore.
Il cardine, a livello globale, è costituito dal fatto che "ogni individuo ha diritto di sapere che il dolore non va necessariamente sopportato e può essere alleviato con la giusta terapia, in quanto incide pesantemente sulla qualità di vita di colui che lo avverte".
Rimane di certo libera la scelta e garantito il diritto di coloro che intendono convivere con il dolore; ma quando un soggetto chiede all’operatore sanitario di lenire la sofferenza, costui - previo il bilanciamento delle controindicazioni - deve necessariamente esaudire il desiderio del paziente, pena il risarcimento del danno per non aver evitato il repentino peggioramento della qualità di vita del soggetto.
Principi tutti da applicare anche al parto, sebbene l’evento, nella sua dimensione fisiologica, si arresti alla porta d’ingresso della medicina.
La domanda che si pone l’interprete, pertanto, è se esista un diritto della donna di partorire fisiologicamente facendo a meno del tipico dolore acuto del parto?
La risposta è di certo affermativa; ciò non solo in forza delle linee generali d’oltre confine circa il dolore sopra accennate, ma precipuamente per la normativa specifica sorta nel diritto interno.
Mi riferisco in primo luogo alle direttive del Ministero della Sanità del 2006 emanate dalla cosiddetta Commissione Lea. I lavori di questa Commissione nacquero dalla volontà di tutelare la scelta della donna, perché durante il travaglio ed il parto potesse usufruire di un controllo efficace del dolore mediante le più appropriate procedure analgesiche disponibili, nel massimo della sicurezza propria e del nascituro, in coerenza con quanto affermato dal Comitato nazionale di Bioetica e dal Piano Sanitario Nazionale.
Il documento prodotto dai lavori della Commissione definisce i criteri essenziali strategici, gestionali ed organizzativi per l’attivazione e l’organizzazione di un servizio di anestesia in ostetricia, nell’ambito delle misure più complessive dirette ad assicurare la massima tutela alle partorienti e agli operatori.
Tutto all’avanguardia in linea teorica (nonostante molti paesi esteri in quegli anni fossero già ben oltre le semplici direttive ministeriali), ma, a livello pratico, la situazione è ancora ben lontana dai lodevoli presupposti.
Ancora oggi, la grandissima maggioranza degli ospedali italiani (circa l’80%) disapplica le direttive del Ministero della Sanità e non pratica la partoanelgesia epidurale; il più delle volte vengono letteralmente ignorate le esplicite richieste in tal senso delle partorienti.
Una sistematica violazione che può esporre l’ente ospedaliero al risarcimento di un danno per ogni parto indolore negato.
La Regione Veneto è stata la prima ad allinearsi alle direttive del Ministero in tema di parto indolore con l’emanazione della Legge Regionale n.25 del 16.08.2007 "disposizioni regionali in materia di parto fisiologico indolore".
Detta norma, all’art. 1 recita: "nel rispetto del diritto di libera scelta della donna sulle modalità e sullo svolgimento del parto, la Regione Veneto con la presente legge favorisce il parto fisiologico, promuove l’appropriatezza degli interventi, anche al fine di ridurre in modo consistente il ricorso al taglio cesareo e riconosce ad ogni donna in stato di gravidanza il diritto ad un parto fisiologico che le eviti o le riduca la sofferenza usufruendo gratuitamente di tecniche antalgiche efficaci e sicure ed in particolare della partoanelgesia epidurale".
Una norma di autentico pregio, in termini di diritto di scelta dell’individuo.
Nonostante ciò, la situazione dei parti in Veneto è ben lontana dalle linee tracciate dal Ministero e dalla Legge Regionale n.25/2007, vuoi per un retaggio culturale degli operatori in favore del parto secondo la Genesi, vuoi per mancanza di risorse, per un difetto di informazione e quant’altro.
In conclusione, questa condizione di divaricazione fra teoria (rectius: legge) e pratica può comportare per l’ente ospedaliero l’esposizione al rischio di dover risarcire il danno in favore della puerpera che abbia fatto inutile richiesta del parto fisiologico indolore; comporta inoltre l’onere per il comparto che gravita attorno alla maternità, di informare espressamente le gestanti che "il parto può causare dolore acuto", così come lo Stato fa, perdonate l’esempio forse non del tutto calzante, con le confezioni di tabacco.
Il dolore sofferto dalla donna durante il parto tende ad essere dimenticato per la salvaguardia della specie; un’assioma che contiene un’evidente certezza: il parto secondo la Genesi provoca alla gestante dolore acuto.
La letteratura scientifica ha ormai concordemente sdoganato la partoanalgesia epidurale, non avendo controindicazioni degne di nota né per la madre, né per il feto.
Tale modalità analgesica garantisce la naturalezza del parto, mantiene la mamma attiva e cosciente nelle diverse fasi dello stesso, elimina il dolore sofferto inutilmente dalla gestante, non ha alcun rischio per il nascituro.
Queste evidenze si innestano a pieno titolo nel "nuovo" rapporto che l’essere umano ha con il dolore, sintetizzato negli indirizzi dell’Organismo Mondiale della Salute, dei Comitati di Bioetica e della Carta dei Diritti del Dolore.
Il cardine, a livello globale, è costituito dal fatto che "ogni individuo ha diritto di sapere che il dolore non va necessariamente sopportato e può essere alleviato con la giusta terapia, in quanto incide pesantemente sulla qualità di vita di colui che lo avverte".
Rimane di certo libera la scelta e garantito il diritto di coloro che intendono convivere con il dolore; ma quando un soggetto chiede all’operatore sanitario di lenire la sofferenza, costui - previo il bilanciamento delle controindicazioni - deve necessariamente esaudire il desiderio del paziente, pena il risarcimento del danno per non aver evitato il repentino peggioramento della qualità di vita del soggetto.
Principi tutti da applicare anche al parto, sebbene l’evento, nella sua dimensione fisiologica, si arresti alla porta d’ingresso della medicina.
La domanda che si pone l’interprete, pertanto, è se esista un diritto della donna di partorire fisiologicamente facendo a meno del tipico dolore acuto del parto?
La risposta è di certo affermativa; ciò non solo in forza delle linee generali d’oltre confine circa il dolore sopra accennate, ma precipuamente per la normativa specifica sorta nel diritto interno.
Mi riferisco in primo luogo alle direttive del Ministero della Sanità del 2006 emanate dalla cosiddetta Commissione Lea. I lavori di questa Commissione nacquero dalla volontà di tutelare la scelta della donna, perché durante il travaglio ed il parto potesse usufruire di un controllo efficace del dolore mediante le più appropriate procedure analgesiche disponibili, nel massimo della sicurezza propria e del nascituro, in coerenza con quanto affermato dal Comitato nazionale di Bioetica e dal Piano Sanitario Nazionale.
Il documento prodotto dai lavori della Commissione definisce i criteri essenziali strategici, gestionali ed organizzativi per l’attivazione e l’organizzazione di un servizio di anestesia in ostetricia, nell’ambito delle misure più complessive dirette ad assicurare la massima tutela alle partorienti e agli operatori.
Tutto all’avanguardia in linea teorica (nonostante molti paesi esteri in quegli anni fossero già ben oltre le semplici direttive ministeriali), ma, a livello pratico, la situazione è ancora ben lontana dai lodevoli presupposti.
Ancora oggi, la grandissima maggioranza degli ospedali italiani (circa l’80%) disapplica le direttive del Ministero della Sanità e non pratica la partoanelgesia epidurale; il più delle volte vengono letteralmente ignorate le esplicite richieste in tal senso delle partorienti.
Una sistematica violazione che può esporre l’ente ospedaliero al risarcimento di un danno per ogni parto indolore negato.
La Regione Veneto è stata la prima ad allinearsi alle direttive del Ministero in tema di parto indolore con l’emanazione della Legge Regionale n.25 del 16.08.2007 "disposizioni regionali in materia di parto fisiologico indolore".
Detta norma, all’art. 1 recita: "nel rispetto del diritto di libera scelta della donna sulle modalità e sullo svolgimento del parto, la Regione Veneto con la presente legge favorisce il parto fisiologico, promuove l’appropriatezza degli interventi, anche al fine di ridurre in modo consistente il ricorso al taglio cesareo e riconosce ad ogni donna in stato di gravidanza il diritto ad un parto fisiologico che le eviti o le riduca la sofferenza usufruendo gratuitamente di tecniche antalgiche efficaci e sicure ed in particolare della partoanelgesia epidurale".
Una norma di autentico pregio, in termini di diritto di scelta dell’individuo.
Nonostante ciò, la situazione dei parti in Veneto è ben lontana dalle linee tracciate dal Ministero e dalla Legge Regionale n.25/2007, vuoi per un retaggio culturale degli operatori in favore del parto secondo la Genesi, vuoi per mancanza di risorse, per un difetto di informazione e quant’altro.
In conclusione, questa condizione di divaricazione fra teoria (rectius: legge) e pratica può comportare per l’ente ospedaliero l’esposizione al rischio di dover risarcire il danno in favore della puerpera che abbia fatto inutile richiesta del parto fisiologico indolore; comporta inoltre l’onere per il comparto che gravita attorno alla maternità, di informare espressamente le gestanti che "il parto può causare dolore acuto", così come lo Stato fa, perdonate l’esempio forse non del tutto calzante, con le confezioni di tabacco.