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Il reato di falso interno bancario

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 7 luglio 2005 - 12 gennaio 2006 , n. 835
Nel corso degli anni ’80 e nei primi anni del decennio in corso il sistema creditizio italiano, anche sotto la sollecitazione delle direttive comunitarie, ha subito profonde modifiche.

La trasformazione è avvenuta partendo da un assetto che attribuiva all’autorità di settore poteri di indirizzo e controllo del mercato sino ad arrivare ad un mercato nel quale vige il principio del libero accesso e la concorrenza tra imprese.

Con l’entrata in vigore del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.P.R. 10 settembre 1993, n. 385 e successive modifiche) è stato sancito il nuovo quadro normativo.

I reati bancari si possono dividere in due classi: quella delle norme che incriminano violazioni di precetti stabiliti altrove e quella dei reati «autonomi».

Invero, il falso interno appartiene a questa seconda classe.

Il mendacio bancario costituisce un’ipotesi di reato plurioffensivo, essendo la norma diretta a tutelare da una parte l’economia pubblica attraverso la protezione dell’attività creditizia, e, dall’altra, a proteggere il patrimonio della banca, che verrebbe pregiudicato dal riconoscimento di concessione del credito determinata sulla base di false dichiarazioni del cliente.

In realtà, la falsa comunicazione viola il dovere di correttezza e di lealtà che deve contraddistinguere la condotta di chi richiede credito alla banca.

Il falso bancario costituisce una figura di reato dalle caratteristiche singolari, che la rendono idonea a colpire determinati comportamenti illeciti.

Rilevanti e problematici sono i rapporti tra il mendacio bancario ed i reati di truffa, insolvenza fraudolenta, ricorso abusivo al credito e false comunicazioni sociali.

Per quanto riguarda i rapporti con la truffa prevista dall’art. 640 c.p., è d’uopo ricordare che gli elementi costitutivi di tale delitto sono l’induzione in errore con artifizi e raggiri ed il conseguente ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, mentre per il mendacio bancario è irrilevante che la banca sia ingannata e conceda il credito e che il richiedente voglia consapevolmente arrecare il danno.

Pertanto, è configurabile il mendacio bancario quando i comportamenti artificiosi si innestano e si limitano alla fase dell’insorgenza del rapporto creditizio.

Si configura, invece, in via esclusiva il delitto di truffa, nella forma tentata, quando il comportamento artificioso sia connotato da idoneità a trarre in inganno la banca e ad indurla a un atto dannoso di disposizione patrimoniale; nella forma consumata, quando il descritto comportamento dia luogo effettivamente a tali conseguenze.

Si sottolinea, altresì, la disarmonia fra queste due figure di reato creata dall’art. 98 l. 24 novembre 1981, n. 689, che rende la truffa perseguibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una circostanza aggravante comune o speciale, quale, ad esempio, quella prevista dall’art. 61, n. 7 c.p. (danno patrimoniale di rilevante gravità).

L’interpretazione sopra richiamata è stata oggetto di recenti critiche da parte di chi ha osservato che, sulla base di una inesatta interpretazione della clausola di sussidiarietà espressa dalla norma, si è negata l’autonomia del reato di mendacio bancario, in quanto quest’ultimo mira a punire la falsa dichiarazione resa alla banca.

In realtà il mendacio bancario mira a rafforzare la tutela della banca attraverso la tutela della banca attraverso la protezione della funzione del credito e del risparmio.

Lo scarso rilievo dato all’autonoma valutazione della proiezione dell’attività creditizia, di primaria importanza, ha consentito l’assorbimento del reato di mendacio bancario in quello più grave di truffa, stravolgendo il principio su cui è fondato il criterio di sussidiarietà, il quale postula in ogni caso un rapporto funzionale tra due fattispecie nella tutela del medesimo bene.

Ed invero, quando le fattispecie rappresentano stadi o gradi di tutela dello stesso interesse, il fatto descritto nella fattispecie sussidiaria resta assorbito in quello descritto nella fattispecie principale.

La tesi prevalente sostiene che nei casi di concorso con i reati di truffa o di tentata truffa, non dovrebbe applicarsi la clausola di sussidiarietà espressa, con il conseguente assorbimento di un reato che attenta alla funzione creditizia in un tipico reato contro il patrimonio.

Quanto ai rapporti con l’insolvenza fraudolenta prevista dall’art. 641 c.p., deve essere esclusa l’ipotizzabilità del concorso di reati. Infatti, mentre l’art. 641 c.p. richiede semplicemente la dissimulazione dello stato di insolvenza, l’art. 137, comma 1, assume, quale elementi costitutivi del mendacio bancario, le notizie o i dati falsi e non attribuisce alcun rilievo all’assunzione o all’adempimento dell’obbligazione. Inoltre, sotto il profilo soggettivo, lo scopo di non adempiere l’obbligazione, richiesto per l’insolvenza fraudolenta, è estraneo al mendacio bancario.

Analoghe considerazioni valgono per i rapporti con il ricorso abusivo al credito, previsto dall’art. 218 l. fall. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267): il mendacio bancario richiede infatti una condotta di falsificazione, mentre il ricorso abusivo al credito presuppone la mera dissimulazione dello stato di dissesto o di insolvibilità.

Nel corso degli anni ’80 e nei primi anni del decennio in corso il sistema creditizio italiano, anche sotto la sollecitazione delle direttive comunitarie, ha subito profonde modifiche.

La trasformazione è avvenuta partendo da un assetto che attribuiva all’autorità di settore poteri di indirizzo e controllo del mercato sino ad arrivare ad un mercato nel quale vige il principio del libero accesso e la concorrenza tra imprese.

Con l’entrata in vigore del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.P.R. 10 settembre 1993, n. 385 e successive modifiche) è stato sancito il nuovo quadro normativo.

I reati bancari si possono dividere in due classi: quella delle norme che incriminano violazioni di precetti stabiliti altrove e quella dei reati «autonomi».

Invero, il falso interno appartiene a questa seconda classe.

Il mendacio bancario costituisce un’ipotesi di reato plurioffensivo, essendo la norma diretta a tutelare da una parte l’economia pubblica attraverso la protezione dell’attività creditizia, e, dall’altra, a proteggere il patrimonio della banca, che verrebbe pregiudicato dal riconoscimento di concessione del credito determinata sulla base di false dichiarazioni del cliente.

In realtà, la falsa comunicazione viola il dovere di correttezza e di lealtà che deve contraddistinguere la condotta di chi richiede credito alla banca.

Il falso bancario costituisce una figura di reato dalle caratteristiche singolari, che la rendono idonea a colpire determinati comportamenti illeciti.

Rilevanti e problematici sono i rapporti tra il mendacio bancario ed i reati di truffa, insolvenza fraudolenta, ricorso abusivo al credito e false comunicazioni sociali.

Per quanto riguarda i rapporti con la truffa prevista dall’art. 640 c.p., è d’uopo ricordare che gli elementi costitutivi di tale delitto sono l’induzione in errore con artifizi e raggiri ed il conseguente ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, mentre per il mendacio bancario è irrilevante che la banca sia ingannata e conceda il credito e che il richiedente voglia consapevolmente arrecare il danno.

Pertanto, è configurabile il mendacio bancario quando i comportamenti artificiosi si innestano e si limitano alla fase dell’insorgenza del rapporto creditizio.

Si configura, invece, in via esclusiva il delitto di truffa, nella forma tentata, quando il comportamento artificioso sia connotato da idoneità a trarre in inganno la banca e ad indurla a un atto dannoso di disposizione patrimoniale; nella forma consumata, quando il descritto comportamento dia luogo effettivamente a tali conseguenze.

Si sottolinea, altresì, la disarmonia fra queste due figure di reato creata dall’art. 98 l. 24 novembre 1981, n. 689, che rende la truffa perseguibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una circostanza aggravante comune o speciale, quale, ad esempio, quella prevista dall’art. 61, n. 7 c.p. (danno patrimoniale di rilevante gravità).

L’interpretazione sopra richiamata è stata oggetto di recenti critiche da parte di chi ha osservato che, sulla base di una inesatta interpretazione della clausola di sussidiarietà espressa dalla norma, si è negata l’autonomia del reato di mendacio bancario, in quanto quest’ultimo mira a punire la falsa dichiarazione resa alla banca.

In realtà il mendacio bancario mira a rafforzare la tutela della banca attraverso la tutela della banca attraverso la protezione della funzione del credito e del risparmio.

Lo scarso rilievo dato all’autonoma valutazione della proiezione dell’attività creditizia, di primaria importanza, ha consentito l’assorbimento del reato di mendacio bancario in quello più grave di truffa, stravolgendo il principio su cui è fondato il criterio di sussidiarietà, il quale postula in ogni caso un rapporto funzionale tra due fattispecie nella tutela del medesimo bene.

Ed invero, quando le fattispecie rappresentano stadi o gradi di tutela dello stesso interesse, il fatto descritto nella fattispecie sussidiaria resta assorbito in quello descritto nella fattispecie principale.

La tesi prevalente sostiene che nei casi di concorso con i reati di truffa o di tentata truffa, non dovrebbe applicarsi la clausola di sussidiarietà espressa, con il conseguente assorbimento di un reato che attenta alla funzione creditizia in un tipico reato contro il patrimonio.

Quanto ai rapporti con l’insolvenza fraudolenta prevista dall’art. 641 c.p., deve essere esclusa l’ipotizzabilità del concorso di reati. Infatti, mentre l’art. 641 c.p. richiede semplicemente la dissimulazione dello stato di insolvenza, l’art. 137, comma 1, assume, quale elementi costitutivi del mendacio bancario, le notizie o i dati falsi e non attribuisce alcun rilievo all’assunzione o all’adempimento dell’obbligazione. Inoltre, sotto il profilo soggettivo, lo scopo di non adempiere l’obbligazione, richiesto per l’insolvenza fraudolenta, è estraneo al mendacio bancario.

Analoghe considerazioni valgono per i rapporti con il ricorso abusivo al credito, previsto dall’art. 218 l. fall. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267): il mendacio bancario richiede infatti una condotta di falsificazione, mentre il ricorso abusivo al credito presuppone la mera dissimulazione dello stato di dissesto o di insolvibilità.