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Illegittimo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo: reintregra solo se il fatto materiale non sussiste

Con la recente Sentenza 23669 del 06 novembre 2014 i Giudici della Suprema Corte hanno ridefinito i limiti di applicazione della reintegra ex articolo 18, comma 4, Legge 300/1970, ribaltando un antecedentemente orientamento maggioritario della giurisprudenza.

Nello specifico, la Cassazione ha preliminarmente affermato che, a seguito delle modifiche apportate all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori a mezzo della Legge 92/2012, cosiddetta “Riforma Fornero”, il Legislatore ha introdotto nell’ordinamento due differenti regimi di tutela del prestatore di lavoro, a fronte di illegittimi licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Il cosiddetto “primo regime” è regolato dall’articolo 18, comma 4, Legge 300/1970. Ivi è disposto che ove il Giudice accerti la insussistenza della condotta ascritta al lavoratore, ovvero che la stessa sarebbe stata punibile con una sanzione conservativa in base alle disposizioni del CCNL di categoria o dei codici disciplinari applicabili alla fattispecie, condanna il datore di lavoro alla reintegra del lavoratore ed al pagamento di un indennizzo per un massimo di 12 mensilità, detratto l’aliunde perceptum e l’aliunde percipiendum.

Il comma quinto dello stesso articolo, che prevede la sola tutela indennitaria, invece, si applica in tutte le “altre ipotesi” in cui non vi sono elementi idonei ad integrare un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, con esclusione delle violazioni della procedura di cui all’articolo 7, Legge 300/1970. In quest’ultimo caso, invero, è applicabile l’articolo 18, comma 6 dello Statuto.

Premesso quanto sopra, giova riportare che dottrina e giurisprudenza di merito hanno a lungo dibattuto in merito all’interpretazione della locuzione “fatto contestato” di cui al comma 4. Le prime pronunce successive alla riforma dell’articolo 18 dello Statuto hanno sostenuto che, ai fini della verifica della insussistenza del fatto contestato, è necessario esaminare l’elemento oggettivo della condotta contestata al lavoratore e la proporzionalità della sanzione disciplinare applicata, ossia il cosiddetto fatto giuridico. Di conseguenza, secondo questa tesi, la tutela reale di cui all’articolo 18, comma 4, potrebbe esser disposta anche ove sussista il fatto materiale ma sia accertata l’assenza di proporzionalità della sanzione.

Con la sentenza oggetto di commento la Cassazione ha affrontato per la prima volta il suddetto punto controverso, valorizzando il testo del nuovo articolo 18, e ribaltando la teoria maggioritaria, innanzi riportata, della giurisprudenza di merito.

La Suprema Corte ha sostenuto che, in ipotesi di illegittimo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il discrimine tra tutela reale ed obbligatoria è rappresentato dalla verifica della insussistenza del solo fatto materiale ascritto al prestatore di lavoro, a prescindere dalla proporzionalità della sanzione irrogata da parte del datore. Secondo questa tesi, a seguito della riforma del 2012, la sproporzione può giustificare la reintegra del lavoratore esclusivamente ove la stessa sia sancita a priori dalle norme del Contratto collettivo e dei codici disciplinari applicabili alla fattispecie.

A parere dei primi commentatori, l’interpretazione dei commi 4 e 5 dell’articolo 18 della Legge 300/1970 fornita dalla Suprema Corte sembra meglio attagliarsi al testo della disposizione ed alla ratio della riforma del 2012.

(Cassazione civile, Quarta Sezione Lavoro, Sentenza 6 novembre 2014, n. 23669)

Con la recente Sentenza 23669 del 06 novembre 2014 i Giudici della Suprema Corte hanno ridefinito i limiti di applicazione della reintegra ex articolo 18, comma 4, Legge 300/1970, ribaltando un antecedentemente orientamento maggioritario della giurisprudenza.

Nello specifico, la Cassazione ha preliminarmente affermato che, a seguito delle modifiche apportate all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori a mezzo della Legge 92/2012, cosiddetta “Riforma Fornero”, il Legislatore ha introdotto nell’ordinamento due differenti regimi di tutela del prestatore di lavoro, a fronte di illegittimi licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Il cosiddetto “primo regime” è regolato dall’articolo 18, comma 4, Legge 300/1970. Ivi è disposto che ove il Giudice accerti la insussistenza della condotta ascritta al lavoratore, ovvero che la stessa sarebbe stata punibile con una sanzione conservativa in base alle disposizioni del CCNL di categoria o dei codici disciplinari applicabili alla fattispecie, condanna il datore di lavoro alla reintegra del lavoratore ed al pagamento di un indennizzo per un massimo di 12 mensilità, detratto l’aliunde perceptum e l’aliunde percipiendum.

Il comma quinto dello stesso articolo, che prevede la sola tutela indennitaria, invece, si applica in tutte le “altre ipotesi” in cui non vi sono elementi idonei ad integrare un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, con esclusione delle violazioni della procedura di cui all’articolo 7, Legge 300/1970. In quest’ultimo caso, invero, è applicabile l’articolo 18, comma 6 dello Statuto.

Premesso quanto sopra, giova riportare che dottrina e giurisprudenza di merito hanno a lungo dibattuto in merito all’interpretazione della locuzione “fatto contestato” di cui al comma 4. Le prime pronunce successive alla riforma dell’articolo 18 dello Statuto hanno sostenuto che, ai fini della verifica della insussistenza del fatto contestato, è necessario esaminare l’elemento oggettivo della condotta contestata al lavoratore e la proporzionalità della sanzione disciplinare applicata, ossia il cosiddetto fatto giuridico. Di conseguenza, secondo questa tesi, la tutela reale di cui all’articolo 18, comma 4, potrebbe esser disposta anche ove sussista il fatto materiale ma sia accertata l’assenza di proporzionalità della sanzione.

Con la sentenza oggetto di commento la Cassazione ha affrontato per la prima volta il suddetto punto controverso, valorizzando il testo del nuovo articolo 18, e ribaltando la teoria maggioritaria, innanzi riportata, della giurisprudenza di merito.

La Suprema Corte ha sostenuto che, in ipotesi di illegittimo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il discrimine tra tutela reale ed obbligatoria è rappresentato dalla verifica della insussistenza del solo fatto materiale ascritto al prestatore di lavoro, a prescindere dalla proporzionalità della sanzione irrogata da parte del datore. Secondo questa tesi, a seguito della riforma del 2012, la sproporzione può giustificare la reintegra del lavoratore esclusivamente ove la stessa sia sancita a priori dalle norme del Contratto collettivo e dei codici disciplinari applicabili alla fattispecie.

A parere dei primi commentatori, l’interpretazione dei commi 4 e 5 dell’articolo 18 della Legge 300/1970 fornita dalla Suprema Corte sembra meglio attagliarsi al testo della disposizione ed alla ratio della riforma del 2012.

(Cassazione civile, Quarta Sezione Lavoro, Sentenza 6 novembre 2014, n. 23669)