Infortunio sul lavoro: risponde la società incorporante
Indice:
1. Fusione societaria e responsabilità della incorporante
2. Le riflessioni conclusive e l’evoluzione del dettato normativo in tema di fusione per incorporazione
1. Fusione societaria e responsabilità della incorporante
La vicenda in commento trae origine dall’impugnazione della sentenza, emessa dai giudici di appello a conferma di quella di primo grado, con la quale la società ricorrente era stata condannata al pagamento, quale soggetto successore del responsabile civile ex articolo 2504 Codice Civile e in ragione della responsabilità, comunque accertata nel merito in capo alla originaria datrice di lavoro, delle somme dovute all’INAIL a titolo di regresso per quanto corrisposto agli eredi del lavoratore deceduto a seguito della malattia professionale contratta a causa del suo servizio.
Più specificatamente, la Corte di Appello rilevava come la fusione di società, anche mediante incorporazione, intervenuta in ben due occasioni rispetto alla prima ed originaria società datrice di lavoro del dipendente, avesse realizzato una successione universale corrispondente a quella mortis causa per cui il soggetto giuridico da ultimo risultante dai predetti processi di fusione era divenuto l’unico e diretto obbligato per i debiti dei soggetti estinti per effetto della stessa fusione.
Avverso tale decisione la società incorporante per fusione proponeva ricorso in Cassazione per violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e segg. cc in relazione all’articolo 11 preleggi ed all’articolo 2504 bis Codice Civile, nonché all’articolo 2049 Codice Civile nonché violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 Codice Procedura Civile per averla la Corte di merito ritenuta soggetto legittimato passivo sulla scorta dell’avvenuta incorporazione da parte sua di altra società a sua volta soggetto incorporante di quella pregressa datrice di lavoro del dipendente deceduto, senza considerare che la disciplina applicata di cui all’articolo 2504 bis Codice Civile fosse intervenuta con Decreto Legislativo n. 22 del 1991 e quindi in data successiva al secondo processo di fusione e che la stessa disciplina non avesse efficacia retroattiva con la conseguenza che si era determinata solo una modificazione dell’assetto societario e non l’estinzione del soggetto incorporato.
Secondo la società ricorrente, dunque, essa non avrebbe potuto rispondere in ordine a domande di natura risarcitoria proposte da un lavoratore che mai aveva avuto alle proprie dipendenze ed in relazione ad un fatto lesivo connesso ad uno stabilimento, nel quale il dipendente aveva prestato la propria attività lavorativa, non avente mai fatto parte della propria azienda.
Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione (Sezione Lavoro – ordinanza n. 12631 del 12 maggio 2021), sullo specifico punto in esame, ha rigettato il ricorso come proposto evidenziando che “secondo il fermo orientamento di questa Corte, la fusione di società, nel vigore del testo dell’articolo 2504-bis Codice Civile, anteriore alla modifica recata dal D. Lgs. n. 6 del 2003, realizza una successione universale corrispondente a quella mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti fusi o incorporati (Cass. nn. 11059 del 2011, 9432 e 16194 del 2005, 18176 del 2004)”.
2. Le riflessioni conclusive e l’evoluzione del dettato normativo in tema di fusione per incorporazione
L’aspetto giuridico che intendiamo con la presente nota a commento prendere in considerazione attiene alla posizione, anche processuale, che il soggetto risultante dalla fusione per incorporazione di altra società assume con riguardo all’azione di regresso avanzata dall’INAIL per il recupero delle somme da detto ente corrisposte a fronte di infortunio o morte sul lavoro in favore del dipendente o, come nel caso di specie, degli eredi di questi.
La particolarità della fattispecie esaminata emerge oltre che dalla rilevanza economica e di immagine della società oggi condannata per essere la stessa uno dei soggetti più rilevanti del panorama nazionale ed internazionale nella produzione e commercializzazione di derivati petroliferi, anche e soprattutto dal fatto che il processo di trasformazione e di incorporazione per fusione si sia realizzato in due differenti fasi e periodi per cui la stessa società condannata è risultata essere l’ultima, in ordine di tempo, subentrata ad altra a sua volta incorporante quella che era l’originaria datrice di lavoro del dipendente deceduto per causa di servizio.
Ovviamente, la vicenda trattata dalla Corte di Cassazione poggia sul presupposto, ineludibile in sede di legittimità, che la responsabilità del datore di lavoro per la morte del proprio dipendente sia stata accertata ed acclarata nei fatti in maniera definitiva, al punto da legittimare l’INAIL, ente tenuto al risarcimento dei relativi danni, ad agire in via di regresso nei confronti di esso datore di lavoro nella sua ultima e definitiva composizione societaria come risultante a fronte dei mutamenti intercorsi nel tempo.
La società ricorrente, ultima incorporante di quelle precedenti, formula del resto una difesa quanto mai disarmante nei suoi presupposti poiché fonda la stessa sulla considerazione della mancanza di qualsivoglia sua legittimazione passiva rispetto alla predetta azione di regresso per il solo fatto che il dipendente deceduto non sia stato alle proprie dipendenze ed essa non abbia avuto alcun collegamento nemmeno con lo stabilimento, o luogo di lavoro, in cui si sia verificato l’evento lesivo.
La stessa difesa inoltre si muove intorno alla problematica dell’efficacia temporale della disposizione normativa di cui all’articolo 2504 bis Codice Civile che, come è noto, sotto la rubrica “Effetti della fusione”, al suo primo comma, nel testo oggi vigente come modificato dall’articolo 23 del Decreto Legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003, recita: “La società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.
Il merito, dunque, dell’ordinanza in commento risiede nel fatto di ricostruire, sia pure in maniera sintetica ma non per questo certamente meno chiara ed esauriente, i principi giuridici di fondo che hanno caratterizzato nel tempo questa particolare fattispecie fino alle novità introdotte dal citato Decreto Legislativo n. 6/2003, meglio noto come la “Riforma del diritto societario”.
I Giudici di legittimità, infatti, rammentano in proposito come l’originario articolo 2504 Codice Civile al suo comma 4 disponesse che "La società incorporante o quella che risulta dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società estinte" e come detto comma sia stato poi soppresso dalla formulazione dello stesso articolo 2504 disposta dall’articolo 12 del Decreto Legislativo n.22 del 16 gennaio 1991 ed “integrato” con l’introduzione dell’articolo 2504 bis, stabilita dall’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 22/1991, che nella sua primigenia stesura riprendeva esattamente il contenuto del menzionato comma 4 della norma modificata.
In definitiva, pertanto, la Corte di Cassazione ha correttamente sottolineato come nel passaggio normativo tra la disposizione originaria dell’articolo 2504, 4° comma e quella, entrata in vigore sin dal 7 febbraio 1991, dell’articolo 2504 bis 1° comma, aventi il medesimo testuale contenuto, vi sia stata sempre soluzione di continuità nell’evidenziare, secondo la volontà legislativa, il verificarsi di “una successione universale corrispondente a quella mortis causa” che “produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti fusi o incorporati (Cass. nn. 11059 del 2011, 9432 e 16194 del 2005, 18176 del 2004)” (in tal senso conformi anche Cass. civ. Sez. Un. Sentenza n. 27183 del 28 dicembre 2007 e Cass. civ. sentenza n. 3695 del 16 febbraio 2007).
Solo con il successivo articolo 23 del Decreto Legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003, infatti, il testo dell’articolo 2504 bis 1° comma è stato modificato, o se vogliamo dire precisato nei suoi contenuti, con la chiara disposizione secondo la quale la società risultante dal processo di fusione o di incorporazione assume “i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione” e prosegue “in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.
Con questa definitiva ed attuale versione normativa, dunque, si delineano, in maniera forse più completa anche sotto un profilo squisitamente semantico, il procedimento che si va ad attuare nei casi di fusione e/o incorporazione e gli effetti, sostanziali e processuali, che lo stesso determina in capo alla società per così dire “subentrante” (ma il termine non è propriamente corretto) poiché ciò “non comporta l’estinzione di un soggetto e la correlativa creazione di un diverso soggetto, ma si risolve in una vicenda meramente evolutiva-modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo” (Cass. civ. Sez. Un. Ordinanza n. 2637 dell’08 febbraio 2006).
Come possiamo vedere, quindi, da un iniziale dato normativo a quell’epoca vigente e da un tradizionale orientamento della giurisprudenza di legittimità che vedevano nella fusione l’estinzione della società e la conseguente successione a titolo universale del soggetto incorporante o di quello risultante dalla fusione paritaria in tutti i rapporti sostanziali e processuali (Cass. civ. Sez. Terza 07.01.2004 n. 50; Cass. civ. Sez. Terza 16.01.2004 n. 554; Cass. civ. Sez. Terza 18.03.2005 n. 5973; Cass. civ. Sez. Quinta 06.05.2005 n. 9432 e Cass. civ. Sez. Seconda 25.01.2006 n. 1413), con l’avvento della attuale formulazione dell’articolo 2504 bis Codice Civile si è andata affermando, invece, la tesi c.d. “modificazionistica” in forza della quale, appunto, la fusione per incorporazione rientra tra le vicende meramente modificative dell’atto costitutivo (Cass. civ. Sez. Unite Ord. 08.02.2006, n. 2637).
I Giudici di legittimità, peraltro, hanno sottolineato come anche questa tesi, oggi imperante, sia avvalorata sempre dal mutato tenore dell’articolo 2504 bis Codice Civile poiché dal termine “estinte”, usato ante riforma dal legislatore per riferirsi alle società incorporate, si è passati all’espressione “società partecipanti alla fusione”, in tal modo superando completamente il precedente orientamento sopra ricordato, ed una ulteriore conferma di tanto è ricavabile anche dall’articolo 29 del D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in forza del quale “nel caso di fusione, anche per incorporazione, l’ente che ne risulta risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione”.
In considerazione di tutto ciò, quindi, possiamo certamente affermare come oggi, in maniera univoca e pacifica, non vi sia più alcuna alterità soggettiva tra la società incorporata e quella risultante dalla fusione.
La differenza, comunque, tra le due impostazioni codicistiche è solo di carattere meramente terminologico poiché nell’uno come nell’altro caso, secondo il fondamentale principio di applicazione delle norme ratione temporis la società subentrante risponde degli obblighi e delle responsabilità economiche che le derivano dalla precedente gestione societaria, per cui sotto un profilo pratico ed operativo non riusciamo effettivamente a comprendere la fondatezza delle difese opposte dalla società ricorrente in cassazione nel caso in esame.
Oltretutto, se per assurdo si potesse e dovesse ragionare in maniera differente e si dovesse effettivamente ritenere la società subentrante estranea rispetto al rapporto lavorativo in questione ed all’evento lesivo che ne è derivato, senza invece il doveroso riconoscimento di totale equiparazione giuridica tra i due soggetti o, ancora meglio, di perfetta univocità degli stessi, si finirebbe per legittimare inconsapevolmente anche possibili intenti fraudolenti di società che per il solo fatto di procedere alla fusione con altre andrebbero a liberarsi delle conseguenze pregiudizievoli del proprio operato di natura civilistica e risarcitoria.
È, infatti, naturale pensare in proposito alla possibilità che in tal modo si possano creare impunemente, e nel rispetto della legge se nel tempo non ci fossero mai stati il chiaro ed univoco intervento del legislatore e l’accorta lettura interpretativa della Corte Suprema, dei “vuoti di responsabilità” in capo al soggetto incorporante, oltretutto in un contesto così delicato e rilevante quale è quello della sicurezza sul lavoro, libero di acquisire magari asset aziendali di sicuro profitto senza però farsi carico anche dei rischi e degli obblighi della gestione precedente.
Non dobbiamo, infatti, mai dimenticare come l’istituto della fusione sia di per sé uno dei temi di maggior rilievo in ambito societario proprio per le delicate implicazioni, giuridiche, patrimoniali, fiscali e contabili, che essa comporta e come la stessa rappresenti una delle migliori strategie per avviare e realizzare un riassetto patrimoniale ed imprenditoriale delle società coinvolte, per cui è facile che anche intenti speculativi o fraudolenti si celino dietro queste abili operazioni aziendali.
Occorre anche considerare che, nella pratica, queste operazioni, pur contrassegnate, come detto, da una “vicenda meramente evolutiva-modificativa” del soggetto preesistente, portino poi alla effettiva estinzione di questo mediante la sua cancellazione dal Registro delle Imprese, perché svuotato dei propri asset produttivi e sostanzialmente inattivo ed inoperante, per cui ancora più rilevanza assume la tematica in questione per la piena tutela dei diritti connessi ad un eventuale infortunio sul lavoro.
A tutto ciò si aggiunga altresì, ad ulteriore conferma della fondatezza delle conclusioni assunte dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza in commento, come fusione per incorporazione determini anche degli effetti sotto il profilo processuale poiché i Giudici di legittimità hanno già precisato come la stessa, pur non determinando un fenomeno successorio correlato all’estinzione della società incorporata ed alla creazione di un nuovo soggetto giuridico, la società incorporante, non consenta per ciò solo la conservazione della legittimazione processuale da parte della società incorporata se non nella misura in cui vi sia l’esigenza di tutelare l’affidamento della controparte che ignori l’avvenuta fusione (Cass. Civ. Terza Sezione – sentenza n. 23641 del 24 settembre 2019).
Ancora una volta, dunque, ritorna in auge il vero ed autentico intento del Legislatore, e cioè quello di tutelare al massimo i soggetti, terzi, che possano eventualmente avere dal processo di fusione dei “ritorni” pregiudizievoli in termini di diritti da veder rispettati ed obblighi da far espletare, per cui la pronuncia in commento ancora di più, a nostro parere, sgombra il campo della presente problematica da ogni possibile dubbio che pure l’interpretazione della società ricorrente, per quanto soggettiva e strategicamente diretta alla propria difesa, in qualche modo contribuisce a nutrire per riportare nella sua giusta e corretta visuale quella fondamentale norma dell’articolo 2504 bis del Codice Civile che non può non essere vista come una fondamentale conquista del nostro sistema giuridico.