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Ingente quantità di stupefacente: elementi per l'aggravante

Nota a Corte di Cassazione - Sezioni Unite Penali, Sentenza 20 settembre 2012, n. 36258
Abstract:

Ricorre l’aggravante dell’ingente quantità ogniqualvolta la sostanza stupefacente non sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo in milligrammi così come determinato nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006 e, qualora tale quantità sia superata, il giudice la ritenga ingente.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, intervenuta ad affrontare la vexata quaestio inerente i profili di criticità applicativa sottesi all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80 del d.p.r. n. 309/90, ha affermato il seguente principio di diritto: l’  “aggravante dell’ingente quantità, di cui al comma 2 dell’art. 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia) determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata”.

Gli Ermellini sono giunti a siffatta conclusione decisoria attraverso un percorso argomentativo articolato e non privo di interessanti spunti di riflessione.

Procedendo per gradi, la Corte, in questo decisum, ha innanzitutto tracciato i principali orientamenti nomofilattici elaborati in subiecta materia.

Infatti, il Supremo Consesso ha evidenziato un primo e risalente indirizzo ermeneutico che “faceva riferimento al mercato”.

In particolare, si trattava di quel filone interpretativo che, partendo dal presupposto secondo cui  la "ratio" della previsione sta “nella esigenza di evitare che la detenzione di rilevanti quantità di sostanza stupefacente si risolva in una vasta diffusione della droga sul mercato, in misura idonea al consumo di un numero molto elevato di tossicodipendenti ed alla saturazione di una apprezzabile area di spaccio”[1], perveniva alla conclusione secondo la quale, per appurare la sussistenza dell’aggravante de qua, è necessario che vi sia “una valutazione ponderale della quantità e della qualità della droga rispetto alla tutela della salute pubblica, con incidenza sulla mobilità del mercato, sia pure a livello locale, in rapporto all’offerta, all’assorbimento ed alla diffusione”[2].

Ciò nonostante, tale approdo ermeneutico è successivamente mutato.

La conferma di tale mutamento ermeneutico è stato inoltre nitidamente scolpito nella nota sentenza “Primavera” dato che, in questo provvedimento, si è preso atto come la giurisprudenza di legittimità avesse “negli ultimi tempi, adottato criteri più sintetici, consapevole delle non poche aporie logiche e difficoltà fattuali conseguenti alla parametrazione della quantità di sostanza stupefacente su indici labili e difficile accertamento, quali il mercato di destinazione nelle sue componenti spaziali, temporali e di consistenza della domanda”.

Quindi, alla luce di tale obiter dictum, è stata ravvisata la ratio di questo elemento accidentale non tanto nel mercato in sé, quanto piuttosto  “nell’esigenza di contrastare il più efficacemente possibile, e quindi con la comminatoria di più gravi pene, la diffusione del consumo di sostanze stupefacenti, specie tra i giovani, a causa dei deleteri effetti prodotti sulla salute fisica e mentale di chi ne fa uso; diffusione che è agevolata sia dall’elevazione del livello di offerta (maggior facilità di reperimento), sia dal calo del prezzo di scambio collegato, secondo dati di comune esperienza, alla quantità disponibile per la cessione”[3] proprio perché tale elemento accidentale è stato inserito nel nostro ordinamento alla luce del rilevante pericolo per la salute pubblica che sussiste per l’appunto “tutte le volte in cui il quantitativo di sostanza oggetto d’imputazione, pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili”[4].

A tal proposito, sempre in quella sentenza, ritenuto che il riferimento al mercato introdurrebbe “nell’esegesi della disposizione di legge, un elemento non richiesto e spurio rispetto alla ratio della disposizione, di profilo mercantilistico ma di impossibile accertamento con gli ordinari strumenti di indagine dei quali il giudice può processualmente disporre; quindi, del tutto immaginario affidato abilità dialettica di chi fornisce la motivazione della decisione, quale che sia”[5], si decise di ricorrere ad un parametro valutativo avente ad oggetto “la quantità di sostanza tossica oggetto della specifica indagine nel dato procedimento”[6] finalizzato a stabilire se il quantitativo “superi notevolmente, con accento di eccezionalità, la quantità usualmente trattata in transazioni del genere nell’ambito territoriale nel quale il giudice del fatto opera e, per questo, è in grado di formarsi una esperienza fondata sul dato reale presente nella comunità nella quale vive”[7].

Tornando ad esaminare la decisione in argomento, si osserva che la Corte, alla luce di tale arresto giurisprudenziale, ha preso atto come tale approccio ermeneutico fosse rimasto inalterato anche in altre pronunce.

                                                                                                                    

Tra queste decisioni, ad esempio, la Cassazione ha richiamato la sentenza n. 44518 del 2003 con la quale, la Sez. IV ha stabilito che emerge tale aggravante qualora “il quantitativo, pur non raggiungendo il vertice massimo di valore, sia tale da rappresentare un pericolo per la salute pubblica, ovvero per un rilevante, ancorché indefinito, numero di tossicodipendenti e, pertanto, allorchè sia idoneo a soddisfare le esigenze di un numero molto elevato di tossicodipendenti, senza ulteriore riferimento al mercato e alla eventuale sua saturazione”.

Inoltre, la Corte, nella sentenza in esame, ha rilevato un terzo orientamento nomofilattico così come cristallizzato nella decisione n. 20119 adottata dalla Sez. VI in data 2/03/10.

In tale sentenza, i Giudici di “Piazza Cavour”, difatti, pur condividendo  in linea di massima l’impostazione dogmatica tracciata nella sentenza “Primavera”, al fine di “meglio definire l’ambito di apprezzamento rimesso al giudice del merito”, hanno individuato ulteriori parametri ermeneutici.

In particolare, sono stati individuati i seguenti indici sintomatici:

1.     “il numero di fruitori finali e non l’area dove essi insistono”[8];

2.     “il valore ponderale, considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in ragione del grado di purezza, e, quindi, delle dosi singole aventi effetti stupefacenti che, in assoluto, può dirsi tale, nel senso di una sua "eccezionale" dimensione rispetto alle usuali transazioni del mercato clandestino”[9];

3.     il tipo di transazioni operate nel senso che esse devono riguardare i “quantitativi importati (non essendovi nel nostro Paese una significativa produzione di sostanze stupefacenti) o su quelli che dalla importazione confluiscono alla rete di smercio territoriale” mentre, viceversa, non sono sufficienti “quelle relative alla vendita al dettaglio” ovvero “quelle che si verificano al livello intermedio tra il "pusher" e il suo fornitore”[10];

4.     il carattere extra ordinem del dato in esame (così come rappresentato nel punto precedente), inoltre, da rapportarsi “con la corrente realtà del mercato”[11].

Alla luce di tali parametri, la Corte di Cassazione, in quella occasione, affermò come non potessero dichiararsi ingenti “quantitativi di droghe "pesanti" (in particolare, tra le più diffuse, eroina e cocaina) che, presentando un valore medio di purezza per il tipo di sostanza, siano al di sotto dei due chilogrammi; e quantitativi di droghe "leggere" (in particolare, hashish e marijuana) che, sempre in considerazione di una percentuale media di principio attivo, non superino i cinquanta chilogrammi”.

E’ evidente, dunque, che, alla luce di tale complesso articolato motivazionale,  il mercato, seppur relegato “sullo sfondo” sotto il profilo motivazionale, dovrebbe rimanere pur sempre un elemento da tenere in considerazione per appurare il carattere “extra ordinem” della sostanza rinvenuta.

Del resto, nella sentenza in commento, dopo essere stata esaminata la decisione n. 20119, subito dopo, è stata richiamata un’altra pronuncia con la quale è stato affermato che “il carattere "ingente" del quantitativo, e cioè la sua eccezionale dimensione rispetto alle usuali transazioni, può certamente essere suscettibile di essere di volta in volta confrontato dal giudice di merito con la corrente realtà del mercato”[12] posto che “non è in discussione che debba essere la corrente realtà del mercato degli stupefacenti a definire caso per caso, e in relazione a una specifica realtà temporale e territoriale, quali siano le quantità che possano definirsi "ingenti"; rappresentando tali valori quantitativi solo parametri indicativi tratti, come detto, dalla casistica apprezzata dalla Corte di cassazione sulla base dei dati provenienti dalla esperienza processuale; parametri che ben possono essere ritenuti non confacenti al caso di specie, a patto però che il giudice di merito offra specifica indicazione dei criteri di riferimento impiegati”[13].

E’ chiaro che, in questa sentenza, il mercato veniva ripreso in considerazione come parametro da doversi considerare ai fini del giudizio de quo.

Tra l’altro, come puntualmente rilevato in questo arresto giurisprudenziale, a fronte di questo richiamo avente ad oggetto i limiti minimi necessari per poter integrata la prefata aggravante, si registrano altre sentenze che hanno invece sostenuto come, in tema di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, non fosse consentito predeterminare i limiti quantitativi minimi per configurare la circostanza aggravante de qua[14].

Questo diverso orientamento nomofilattico, inoltre, è pervenuto a tale considerazione interpretativa alla stregua del fatto che meri criteri numerici sono insufficienti per compiere un giudizio di tal tipo, dato che:

1.     non è dato sapere chi stabilisce i valori medi[15];

2.     non è dato capire come detta valori debbano essere individuati[16];

3.     non è dato comprendere come sia possibile “in una realtà così varia, stabilire un valore medio del principio attivo”[17].

Ebbene, una volta compiuto siffatto excursus ermeneutico, le Sezioni Unite hanno affrontato tale questione nei seguenti termini.

Innanzitutto, in chiave teleologica, gli Ermellini, partendo dal presupposto secondo il quale “il legislatore ha voluto riservare l’applicazione dell’aggravante in questione ai casi di estrema gravità, individuati come tali dalla elevata quantità della sostanza stupefacente trattata”, sono pervenuti, pure alla luce della sentenza “Primavera”, alla conclusione secondo cui la “figura criminale che, attraverso tale previsione, il legislatore individua è quindi quella del “grossista”.

Inoltre, sempre a detta della Corte, non rileva necessariamente “l’importatore in grado di movimentare quantità rilevantissime di sostanza stupefacente (e quindi di eseguire pagamenti per importi altrettanto “impegnativi”)” e neppure, “lo spacciatore di medio livello, in grado di acquistare, stoccare e smerciare quantità pur ragguardevoli di droga, ma non certo “ingenti” ”.

In secondo luogo, quanto al “mercato”, il Supremo Consesso ha affermato, per un verso, che ormai tale locuzione è stata ormai abbandonata sotto il profilo ermeneutico posto che si tratta di “un mercato illegale, e quindi clandestino” tale da far sì che “nessuna credibile rilevazione della dinamica domanda-offerta è possibile”, dall’altro, ha stabilito che, anche a voler riferirsi ai mercati piuttosto che ad un mercato “(atteso che in una determinata zona la saturazione può avvenire in tempi diversi – e quindi con quantità diverse – rispetto a un’altra)”, “si rischia di violare il principio costituzionale di eguaglianza, finendo per attribuire rilevanza, in termini di aggravante, a una circostanza in un determinato contesto e non in un altro”.

Alla luce di tali premesse, quindi, la Cassazione, così riunita, è giunta alla conclusione secondo la quale, a differenza di quanto previsto dal comma quinto dell’art. 73, “l’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 80 del medesimo corpus normativo fa riferimento alla sola quantità (“ingente”) della sostanza” e pertanto, il giudice di merito “non può e non deve fare riferimento a nessun altro parametro, se non a quello (estrinseco e oggettivo” della “ingente” quantità”.

Da ciò, i Giudici di legittimità si sono posti il problema di capire, come ed in che termini, un quantitativo di droga possa stimarsi “ingente”.

A tal proposito, è stato osservato, attraverso un “esame condotto dall’Ufficio del Massimario (…) in relazione al periodo successivo al manifestarsi del contrasto”, come vi sia un “quadro quanto mai “variegato” circa il concetto di quantità ingente, come ritenuto dai giudicanti di primo e secondo grado” tale da indurre la Cassazione a nutrire seri dubbi sulla legittimità costituzionale - per violazione del principio di eguaglianza di questa norma - visto che la “sussistenza dell’aggravante (e l’aggravamento della pena) dipendono dalla concorrenza di una circostanza oggettiva, molto soggettivamente interpretata, però, in quanto essa è rimasta concettualmente incerta e quantitativamente fluttuante”.

Tuttavia, tale questione, come dedotta in questa pronuncia, è stata ritenuta già infondata nella sentenza n. 40792 del 10/07/08.

Invero, in quella occasione, la Sez. IV ebbe modo di affermare la conformità al dettato costituzionale di tale articolo di legge dato che “la scelta del legislatore di evitare più specifiche indicazioni e più precisi parametri valutativi e di limitarsi al richiamo del principio di "ingente quantità" e, dunque, ad un concetto volutamente ampio, risponde chiaramente all’esigenza di evitare l’introduzione di parametri legali precostituiti che finirebbero con l’impedire al giudice di apprezzare, caso per caso, la ricorrenza dell’aggravante, e quindi di determinare la pena in termini di coerente proporzionalità rispetto alla natura e gravità dei fatti accertati ed alla personalità dei soggetti coinvolti”.

Inoltre, a conferma della bontà di tale opzione legislativa, i Giudici di legittimità hanno evidenziato come, già per altre fattispecie incriminatrici, fosse stata introdotta analoga aggravante[18].

Per di più, non vi sarebbero profili di illegittimità costituzionale di questa norma giuridica, neanche sotto il profilo “della tassatività e della determinatezza della figura criminosa, come descritta nella littera legis”, atteso che il Giudice delle leggi ha stimato compatibile, con siffatti principi fondamentali, “l’utilizzo, nella formula descrittiva dell’illecito penale, di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti “elastici” ”[19].

Da ciò, la Corte, avvalendosi pure di contributi dottrinari, ha reputato possibile definire e concretizzare il contenuto di siffatti concetti elastici alle “conoscenze condivise” e alle “massime di esperienze” includendo tra quest’ultime, anche alla luce di quanto sancito nella sentenza n. 17211 del 2011[20],  le “grandezze numeriche, che hanno la peculiarità di esprimere – nella loro astrattezza – parametri valutativi generali e quindi generalmente applicabili”.

Di conseguenza, sempre secondo la Cassazione, non vi sono ragioni ostative per non avvalersi dei parametri quantitativi nel caso di specie anche perché, in materia di stupefacenti, il “decreto-legge n. 272 del 2005, introducendo criteri tabellari, ha dato primario risalto proprio al dato quantitativo, in relazione alle dosi ricavabili”.

Di talchè ne deriva, come “suggerisce parte della dottrina”, che il dato quantitativo “può offrire al giudice nuovi elementi di apprezzamento per valutare la ricorrenza dell’aggravante in discussione” anche poiché i limiti quantitativi previsti nella tabella attuativa riguardano “il principio attivo e dunque  le dosi utilmente realizzabili”[21].

La Cassazione, come ulteriore conseguenza, ha ridefinito la ratio di questa norma nel senso che essa “va ricercata nel fatto che una quantità “ingente” di sostanza stupefacente (tale considerata con riferimento al principio attivo), consentendo il confezionamento di un numero davvero rilevante di dosi, determina un “allargamento della piazza di spaccio”, con le ovvie ricadute, appunto, tanto in termini di illecito e iperbolico arricchimento di chi tale traffico gestisce ai più alti livelli (e si tratta ovviamente di soggetti non estranei alla criminalità organizzata), quanto con riferimento all’ordine pubblico e alla salute dei consociati”.

Da ultimo, alla luce di tale complesso apparato argomentativo, la Corte osservato che, alla luce delle considerazioni esposte, i valori numerici “in quanto “misuratori di grandezza”, costituiscono necessariamente l’oggetto dell’attività valutativa del giudice che sia chiamato a pronunziarsi sulla conformità di tali grandezze rispetto ad (elastici) parametri normativi, cui deve dare concretezza” e tenuto conto altresì della “casistica scaturente dall’indagine condotta dall’Ufficio del Massimario (…) sul “materiale giudiziario” a sua disposizione”, ha stabilito come non possa “ritenersi “ingente”, un quantitativo di sostanza stupefacente che non superi di 2000 volte” il valore massimo in milligrammi (valore-soglia) determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006; termine, questo, “al di sotto del quale non potrà essere di norma contestata l’aggravante della ingente quantità atteso che a tale limite corrispondono, in linea di massima, i valori ponderali individuati come “medi” (rectius: non eccezionali) dalla giurisprudenza di merito”.

Conclude la Corte, come non si tratti “di una rigorosa valutazione statistica, per la buona ed evidente ragione – più volte ribadita – che i numeri sul traffico di sostanze stupefacenti sono numeri oscuri” e quindi tale opzione interpretativa rappresenta piuttosto “una valutazione operata su dati processuali (essendo peraltro, la verità processuale l’unica conoscibile dal giudice), che, tuttavia, pur con inevitabili margini di approssimazione, possono e devono essere assunti”.

Orbene, lo scrivente, a fronte di tale complesso e pregiato canovaccio motivazionale, reputa opportuno formulare delle brevi riflessioni.

Precisamente, per quanto concerne la questione inerente il mercato, l’assunto decisorio ivi sostenuto secondo cui si tratterebbe in sostanza di un mercato clandestino che, in quanto tale, sarebbe insuscettibile di valutazione statistica è vero ma, ad umile avviso dello scrivente, solo in parte.

In effetti, ogni anno vengono diffusi  dati statistici sul quantitativo di droga sequestrato sia a livello nazionale

sia a livello locale.

Ebbene, seppur, ad onor del vero, con un certo grado di approssimazione, si potrebbero utilizzare questi dati (per difetto) al fine di appurare se un preciso quantitativo sia sufficiente a saturare un mercato predeterminato (rapportandolo, ad esempio, ad una data provincia).

Ad esempio, se nella provincia x, ogni anno vengono sequestrati 10 tonnellate di cocaina, è evidente che un sequestro prossimo a questo quantitativo o anche superiore (ovviamente), potrebbe soddisfare la domanda di droga in quella specifica area territoriale.

Difatti, senza con ciò “rispolverare” quel pregresso indirizzo nomofilattico che, come esposto in precedenza, subordinava l’applicabilità di detta circostanza alla idoneità del quantitativo sequestrato a saturare il mercato, è pur vero che nella nota sentenza “Primavera”, come già dedotto prima, tra i criteri da utilizzare in casi di questo genere, è stato menzionato anche quello di verificare il carattere extra ordinem della sostanza rinvenuta parametrandola “con la corrente realtà del mercato”.

A fronte di tale tesi argomentativa, tuttavia, v’è il problema sollevato dalla Corte (e indicato in precedenza) secondo il quale, considerare la quantità della droga rinvenuta a seconda del mercato o meglio, dell’area territoriale ove è stata prelevata, potrebbe esservi profili di legittimità costituzionale dell’art. 80 sotto il profilo della ragionevolezza.

Tuttavia, in alcune pronunce, la Consulta ha ritenuto che la ragionevolezza non implica necessariamente che una norma debba essere applicata uniformemente su tutto il territorio nazionale.

Ad esempio, con la sentenza n. 83 del 5/03/10, la Corte Costituzionale nel ritenere non “fondata la questione di legittimità dell’art. 6, lett. a) e d) d.l. 6 novembre 2008 n. 172, conv., con modificazioni, in l. 30 dicembre 2008 n. 210, censurato, in riferimento all’art. 3 cost., nella parte in cui, limitatamente alle aree geografiche in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, configura come delitto condotte che, nel restante territorio nazionale, non sono penalmente rilevanti (lett. a) o sono punite a titolo di contravvenzione (lett. d), ha affermato che non sussiste violazione dell’art. 3 Cost. laddove le norme censurate, per un verso, prevedano “come soggetti attivi dei reati in questione tutti coloro che pongano in essere i comportamenti specificamente indicati”, dall’altro, che tali regole possiedano “la necessaria generalità ed astrattezza”.

Nel caso di specie, il modulare l’ingente quantità ad una precipuo contesto territoriale, anzi, garantirebbe una maggiore uniformità applicativa di tale aggravante sotto il profilo teleologico.

Difatti, se, come confermato dalla Cassazione in questo decisum, la ratio di questa aggravante consiste nel preservare la salute pubblica, va da sé che, per verificare se il quantitativo rinvenuto sia idoneo, per quantità, a ledere questo bene giuridico, non si può prescindere dall’area territoriale di riferimento ove il fatto è avvenuto. 

Di conseguenza, per estensione geografica e per numero di persone (nonché di tossicodipendenti) residenti in una data area interna, il quantitativo, per considerarsi ingente, dovrà o meglio, dovrebbe necessariamente variare a seconda della zona territoriale ove esso è stato rinvenuto.

Da un punto di vista probatorio, inoltre, una produzione documentale di tal natura non dovrebbe sollevare particolari problematiche di natura processuale siccome, come noto, nell’ambito del diritto penale, la prova può essere fornita anche mediante una "spiegazione statistica esplicativa dei fenomeni"[22].

Invece, traendo spunto da un passo motivazionale usato nella pronuncia in commento, vi potrebbe essere un profilo di irragionevolezza tra l’art. 80, co. II, d.p.r. n. 309/90 e l’art. 73, co. V, del medesimo testo unico.

In effetti, non vi sono ragioni plausibili sul perché, per quanto concerne l’attenuante della “lieve entità”, il giudice debba tener conto non solo della “qualità e quantità delle sostanze” ma pure “dei mezzi, delle modalità e delle circostanze dell’azione” mentre, per quanto concerne l’aggravante della “ingente quantità”, costui si debba attenere solo alle “quantità ingenti”.

Sarebbe auspicabile, visto anche la natura plurioffensiva di tale aggravante (in sostanza: non solo la salute del singolo tossicodipendente ma anche della salute pubblica tout court), in punto de iure condendo, che l’art. 80, co. II, del d.p.r. n. 309 venisse emendato inserendo, ad esempio, dopo la locuzione se “il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope”, il seguente inciso: “ovvero un fatto che, per i mezzi, per le modalità o le circostanze dell’azione, sia pericoloso alla salute pubblica”.

In tal guisa, infatti, verrebbe introdotta una sorta di norma di chiusura che risolverebbe o meglio, potrebbe contribuire a risolvere le problematiche sottese all’applicabilità di tale elemento accidentale.

[1] Cass. pen., sez. VI, 9/05/96, n. 8287.

[2] Ibidem.

[3] S.S.U.U., 21/06/00, n. 17, “Primavera”.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem.

[8] Cass. Pen., sez. VI, 2/03/10, n. 20119.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] Cass. pen., sez. VI, 19/05/11, n. 31351.

[13] Ibidem.

[14] Ex plurimibus: Cass. pen., sez. IV, 1/02/11, n. 9927.

[15] Cass. pen., sez. IV, 1/02/11, n. 9927.

[16] [“con riferimento alla droga importata, alle transazioni intermedie o a quella che acquista il consumatore finale?” (Cass. pen., sez. IV, 1/02/11, n. 9927).

[17] Ibidem.

[18] Quale quella prevista dall’art. 53 bis del dl.gs, 5/02/97, n. 22, sostituito dall’art. 260 del dl.gs, 3/04/06, n. 152 ovvero quelle contemplate dagli artt. 600 ter e 600 quater c.p. .

[19] Corte Cost., sentenza n. 247 del 1989, n. 34 del 1995, n. 5 del 2004 e n. 395 del 2005.

[20] Difatti, la Sez. III, in questa decisione, ha stabilito che, in materia di pedopornografia, in materia di “ingente quantità” di materiale pedopornografico, ci si può avvalere di “esemplificazioni di natura, appunto, numerica”.

[21] Tra le tante: Cass. pen., sez. VI, 20/11/08, n. 48434.

[22] Cass. pen., sez. IV, 27/04/87, fonti: Giust. pen., 88, 360 (s.m.).

Abstract:

Ricorre l’aggravante dell’ingente quantità ogniqualvolta la sostanza stupefacente non sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo in milligrammi così come determinato nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006 e, qualora tale quantità sia superata, il giudice la ritenga ingente.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, intervenuta ad affrontare la vexata quaestio inerente i profili di criticità applicativa sottesi all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80 del d.p.r. n. 309/90, ha affermato il seguente principio di diritto: l’  “aggravante dell’ingente quantità, di cui al comma 2 dell’art. 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia) determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata”.

Gli Ermellini sono giunti a siffatta conclusione decisoria attraverso un percorso argomentativo articolato e non privo di interessanti spunti di riflessione.

Procedendo per gradi, la Corte, in questo decisum, ha innanzitutto tracciato i principali orientamenti nomofilattici elaborati in subiecta materia.

Infatti, il Supremo Consesso ha evidenziato un primo e risalente indirizzo ermeneutico che “faceva riferimento al mercato”.

In particolare, si trattava di quel filone interpretativo che, partendo dal presupposto secondo cui  la "ratio" della previsione sta “nella esigenza di evitare che la detenzione di rilevanti quantità di sostanza stupefacente si risolva in una vasta diffusione della droga sul mercato, in misura idonea al consumo di un numero molto elevato di tossicodipendenti ed alla saturazione di una apprezzabile area di spaccio”[1], perveniva alla conclusione secondo la quale, per appurare la sussistenza dell’aggravante de qua, è necessario che vi sia “una valutazione ponderale della quantità e della qualità della droga rispetto alla tutela della salute pubblica, con incidenza sulla mobilità del mercato, sia pure a livello locale, in rapporto all’offerta, all’assorbimento ed alla diffusione”[2].

Ciò nonostante, tale approdo ermeneutico è successivamente mutato.

La conferma di tale mutamento ermeneutico è stato inoltre nitidamente scolpito nella nota sentenza “Primavera” dato che, in questo provvedimento, si è preso atto come la giurisprudenza di legittimità avesse “negli ultimi tempi, adottato criteri più sintetici, consapevole delle non poche aporie logiche e difficoltà fattuali conseguenti alla parametrazione della quantità di sostanza stupefacente su indici labili e difficile accertamento, quali il mercato di destinazione nelle sue componenti spaziali, temporali e di consistenza della domanda”.

Quindi, alla luce di tale obiter dictum, è stata ravvisata la ratio di questo elemento accidentale non tanto nel mercato in sé, quanto piuttosto  “nell’esigenza di contrastare il più efficacemente possibile, e quindi con la comminatoria di più gravi pene, la diffusione del consumo di sostanze stupefacenti, specie tra i giovani, a causa dei deleteri effetti prodotti sulla salute fisica e mentale di chi ne fa uso; diffusione che è agevolata sia dall’elevazione del livello di offerta (maggior facilità di reperimento), sia dal calo del prezzo di scambio collegato, secondo dati di comune esperienza, alla quantità disponibile per la cessione”[3] proprio perché tale elemento accidentale è stato inserito nel nostro ordinamento alla luce del rilevante pericolo per la salute pubblica che sussiste per l’appunto “tutte le volte in cui il quantitativo di sostanza oggetto d’imputazione, pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili”[4].

A tal proposito, sempre in quella sentenza, ritenuto che il riferimento al mercato introdurrebbe “nell’esegesi della disposizione di legge, un elemento non richiesto e spurio rispetto alla ratio della disposizione, di profilo mercantilistico ma di impossibile accertamento con gli ordinari strumenti di indagine dei quali il giudice può processualmente disporre; quindi, del tutto immaginario affidato abilità dialettica di chi fornisce la motivazione della decisione, quale che sia”[5], si decise di ricorrere ad un parametro valutativo avente ad oggetto “la quantità di sostanza tossica oggetto della specifica indagine nel dato procedimento”[6] finalizzato a stabilire se il quantitativo “superi notevolmente, con accento di eccezionalità, la quantità usualmente trattata in transazioni del genere nell’ambito territoriale nel quale il giudice del fatto opera e, per questo, è in grado di formarsi una esperienza fondata sul dato reale presente nella comunità nella quale vive”[7].

Tornando ad esaminare la decisione in argomento, si osserva che la Corte, alla luce di tale arresto giurisprudenziale, ha preso atto come tale approccio ermeneutico fosse rimasto inalterato anche in altre pronunce.

                                                                                                                    

Tra queste decisioni, ad esempio, la Cassazione ha richiamato la sentenza n. 44518 del 2003 con la quale, la Sez. IV ha stabilito che emerge tale aggravante qualora “il quantitativo, pur non raggiungendo il vertice massimo di valore, sia tale da rappresentare un pericolo per la salute pubblica, ovvero per un rilevante, ancorché indefinito, numero di tossicodipendenti e, pertanto, allorchè sia idoneo a soddisfare le esigenze di un numero molto elevato di tossicodipendenti, senza ulteriore riferimento al mercato e alla eventuale sua saturazione”.

Inoltre, la Corte, nella sentenza in esame, ha rilevato un terzo orientamento nomofilattico così come cristallizzato nella decisione n. 20119 adottata dalla Sez. VI in data 2/03/10.

In tale sentenza, i Giudici di “Piazza Cavour”, difatti, pur condividendo  in linea di massima l’impostazione dogmatica tracciata nella sentenza “Primavera”, al fine di “meglio definire l’ambito di apprezzamento rimesso al giudice del merito”, hanno individuato ulteriori parametri ermeneutici.

In particolare, sono stati individuati i seguenti indici sintomatici:

1.     “il numero di fruitori finali e non l’area dove essi insistono”[8];

2.     “il valore ponderale, considerato in relazione alla qualità della sostanza e specificato in ragione del grado di purezza, e, quindi, delle dosi singole aventi effetti stupefacenti che, in assoluto, può dirsi tale, nel senso di una sua "eccezionale" dimensione rispetto alle usuali transazioni del mercato clandestino”[9];

3.     il tipo di transazioni operate nel senso che esse devono riguardare i “quantitativi importati (non essendovi nel nostro Paese una significativa produzione di sostanze stupefacenti) o su quelli che dalla importazione confluiscono alla rete di smercio territoriale” mentre, viceversa, non sono sufficienti “quelle relative alla vendita al dettaglio” ovvero “quelle che si verificano al livello intermedio tra il "pusher" e il suo fornitore”[10];

4.     il carattere extra ordinem del dato in esame (così come rappresentato nel punto precedente), inoltre, da rapportarsi “con la corrente realtà del mercato”[11].

Alla luce di tali parametri, la Corte di Cassazione, in quella occasione, affermò come non potessero dichiararsi ingenti “quantitativi di droghe "pesanti" (in particolare, tra le più diffuse, eroina e cocaina) che, presentando un valore medio di purezza per il tipo di sostanza, siano al di sotto dei due chilogrammi; e quantitativi di droghe "leggere" (in particolare, hashish e marijuana) che, sempre in considerazione di una percentuale media di principio attivo, non superino i cinquanta chilogrammi”.

E’ evidente, dunque, che, alla luce di tale complesso articolato motivazionale,  il mercato, seppur relegato “sullo sfondo” sotto il profilo motivazionale, dovrebbe rimanere pur sempre un elemento da tenere in considerazione per appurare il carattere “extra ordinem” della sostanza rinvenuta.

Del resto, nella sentenza in commento, dopo essere stata esaminata la decisione n. 20119, subito dopo, è stata richiamata un’altra pronuncia con la quale è stato affermato che “il carattere "ingente" del quantitativo, e cioè la sua eccezionale dimensione rispetto alle usuali transazioni, può certamente essere suscettibile di essere di volta in volta confrontato dal giudice di merito con la corrente realtà del mercato”[12] posto che “non è in discussione che debba essere la corrente realtà del mercato degli stupefacenti a definire caso per caso, e in relazione a una specifica realtà temporale e territoriale, quali siano le quantità che possano definirsi "ingenti"; rappresentando tali valori quantitativi solo parametri indicativi tratti, come detto, dalla casistica apprezzata dalla Corte di cassazione sulla base dei dati provenienti dalla esperienza processuale; parametri che ben possono essere ritenuti non confacenti al caso di specie, a patto però che il giudice di merito offra specifica indicazione dei criteri di riferimento impiegati”[13].

E’ chiaro che, in questa sentenza, il mercato veniva ripreso in considerazione come parametro da doversi considerare ai fini del giudizio de quo.

Tra l’altro, come puntualmente rilevato in questo arresto giurisprudenziale, a fronte di questo richiamo avente ad oggetto i limiti minimi necessari per poter integrata la prefata aggravante, si registrano altre sentenze che hanno invece sostenuto come, in tema di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, non fosse consentito predeterminare i limiti quantitativi minimi per configurare la circostanza aggravante de qua[14].

Questo diverso orientamento nomofilattico, inoltre, è pervenuto a tale considerazione interpretativa alla stregua del fatto che meri criteri numerici sono insufficienti per compiere un giudizio di tal tipo, dato che:

1.     non è dato sapere chi stabilisce i valori medi[15];

2.     non è dato capire come detta valori debbano essere individuati[16];

3.     non è dato comprendere come sia possibile “in una realtà così varia, stabilire un valore medio del principio attivo”[17].

Ebbene, una volta compiuto siffatto excursus ermeneutico, le Sezioni Unite hanno affrontato tale questione nei seguenti termini.

Innanzitutto, in chiave teleologica, gli Ermellini, partendo dal presupposto secondo il quale “il legislatore ha voluto riservare l’applicazione dell’aggravante in questione ai casi di estrema gravità, individuati come tali dalla elevata quantità della sostanza stupefacente trattata”, sono pervenuti, pure alla luce della sentenza “Primavera”, alla conclusione secondo cui la “figura criminale che, attraverso tale previsione, il legislatore individua è quindi quella del “grossista”.

Inoltre, sempre a detta della Corte, non rileva necessariamente “l’importatore in grado di movimentare quantità rilevantissime di sostanza stupefacente (e quindi di eseguire pagamenti per importi altrettanto “impegnativi”)” e neppure, “lo spacciatore di medio livello, in grado di acquistare, stoccare e smerciare quantità pur ragguardevoli di droga, ma non certo “ingenti” ”.

In secondo luogo, quanto al “mercato”, il Supremo Consesso ha affermato, per un verso, che ormai tale locuzione è stata ormai abbandonata sotto il profilo ermeneutico posto che si tratta di “un mercato illegale, e quindi clandestino” tale da far sì che “nessuna credibile rilevazione della dinamica domanda-offerta è possibile”, dall’altro, ha stabilito che, anche a voler riferirsi ai mercati piuttosto che ad un mercato “(atteso che in una determinata zona la saturazione può avvenire in tempi diversi – e quindi con quantità diverse – rispetto a un’altra)”, “si rischia di violare il principio costituzionale di eguaglianza, finendo per attribuire rilevanza, in termini di aggravante, a una circostanza in un determinato contesto e non in un altro”.

Alla luce di tali premesse, quindi, la Cassazione, così riunita, è giunta alla conclusione secondo la quale, a differenza di quanto previsto dal comma quinto dell’art. 73, “l’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 80 del medesimo corpus normativo fa riferimento alla sola quantità (“ingente”) della sostanza” e pertanto, il giudice di merito “non può e non deve fare riferimento a nessun altro parametro, se non a quello (estrinseco e oggettivo” della “ingente” quantità”.

Da ciò, i Giudici di legittimità si sono posti il problema di capire, come ed in che termini, un quantitativo di droga possa stimarsi “ingente”.

A tal proposito, è stato osservato, attraverso un “esame condotto dall’Ufficio del Massimario (…) in relazione al periodo successivo al manifestarsi del contrasto”, come vi sia un “quadro quanto mai “variegato” circa il concetto di quantità ingente, come ritenuto dai giudicanti di primo e secondo grado” tale da indurre la Cassazione a nutrire seri dubbi sulla legittimità costituzionale - per violazione del principio di eguaglianza di questa norma - visto che la “sussistenza dell’aggravante (e l’aggravamento della pena) dipendono dalla concorrenza di una circostanza oggettiva, molto soggettivamente interpretata, però, in quanto essa è rimasta concettualmente incerta e quantitativamente fluttuante”.

Tuttavia, tale questione, come dedotta in questa pronuncia, è stata ritenuta già infondata nella sentenza n. 40792 del 10/07/08.

Invero, in quella occasione, la Sez. IV ebbe modo di affermare la conformità al dettato costituzionale di tale articolo di legge dato che “la scelta del legislatore di evitare più specifiche indicazioni e più precisi parametri valutativi e di limitarsi al richiamo del principio di "ingente quantità" e, dunque, ad un concetto volutamente ampio, risponde chiaramente all’esigenza di evitare l’introduzione di parametri legali precostituiti che finirebbero con l’impedire al giudice di apprezzare, caso per caso, la ricorrenza dell’aggravante, e quindi di determinare la pena in termini di coerente proporzionalità rispetto alla natura e gravità dei fatti accertati ed alla personalità dei soggetti coinvolti”.

Inoltre, a conferma della bontà di tale opzione legislativa, i Giudici di legittimità hanno evidenziato come, già per altre fattispecie incriminatrici, fosse stata introdotta analoga aggravante[18].

Per di più, non vi sarebbero profili di illegittimità costituzionale di questa norma giuridica, neanche sotto il profilo “della tassatività e della determinatezza della figura criminosa, come descritta nella littera legis”, atteso che il Giudice delle leggi ha stimato compatibile, con siffatti principi fondamentali, “l’utilizzo, nella formula descrittiva dell’illecito penale, di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti “elastici” ”[19].

Da ciò, la Corte, avvalendosi pure di contributi dottrinari, ha reputato possibile definire e concretizzare il contenuto di siffatti concetti elastici alle “conoscenze condivise” e alle “massime di esperienze” includendo tra quest’ultime, anche alla luce di quanto sancito nella sentenza n. 17211 del 2011[20],  le “grandezze numeriche, che hanno la peculiarità di esprimere – nella loro astrattezza – parametri valutativi generali e quindi generalmente applicabili”.

Di conseguenza, sempre secondo la Cassazione, non vi sono ragioni ostative per non avvalersi dei parametri quantitativi nel caso di specie anche perché, in materia di stupefacenti, il “decreto-legge n. 272 del 2005, introducendo criteri tabellari, ha dato primario risalto proprio al dato quantitativo, in relazione alle dosi ricavabili”.

Di talchè ne deriva, come “suggerisce parte della dottrina”, che il dato quantitativo “può offrire al giudice nuovi elementi di apprezzamento per valutare la ricorrenza dell’aggravante in discussione” anche poiché i limiti quantitativi previsti nella tabella attuativa riguardano “il principio attivo e dunque  le dosi utilmente realizzabili”[21].

La Cassazione, come ulteriore conseguenza, ha ridefinito la ratio di questa norma nel senso che essa “va ricercata nel fatto che una quantità “ingente” di sostanza stupefacente (tale considerata con riferimento al principio attivo), consentendo il confezionamento di un numero davvero rilevante di dosi, determina un “allargamento della piazza di spaccio”, con le ovvie ricadute, appunto, tanto in termini di illecito e iperbolico arricchimento di chi tale traffico gestisce ai più alti livelli (e si tratta ovviamente di soggetti non estranei alla criminalità organizzata), quanto con riferimento all’ordine pubblico e alla salute dei consociati”.

Da ultimo, alla luce di tale complesso apparato argomentativo, la Corte osservato che, alla luce delle considerazioni esposte, i valori numerici “in quanto “misuratori di grandezza”, costituiscono necessariamente l’oggetto dell’attività valutativa del giudice che sia chiamato a pronunziarsi sulla conformità di tali grandezze rispetto ad (elastici) parametri normativi, cui deve dare concretezza” e tenuto conto altresì della “casistica scaturente dall’indagine condotta dall’Ufficio del Massimario (…) sul “materiale giudiziario” a sua disposizione”, ha stabilito come non possa “ritenersi “ingente”, un quantitativo di sostanza stupefacente che non superi di 2000 volte” il valore massimo in milligrammi (valore-soglia) determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006; termine, questo, “al di sotto del quale non potrà essere di norma contestata l’aggravante della ingente quantità atteso che a tale limite corrispondono, in linea di massima, i valori ponderali individuati come “medi” (rectius: non eccezionali) dalla giurisprudenza di merito”.

Conclude la Corte, come non si tratti “di una rigorosa valutazione statistica, per la buona ed evidente ragione – più volte ribadita – che i numeri sul traffico di sostanze stupefacenti sono numeri oscuri” e quindi tale opzione interpretativa rappresenta piuttosto “una valutazione operata su dati processuali (essendo peraltro, la verità processuale l’unica conoscibile dal giudice), che, tuttavia, pur con inevitabili margini di approssimazione, possono e devono essere assunti”.

Orbene, lo scrivente, a fronte di tale complesso e pregiato canovaccio motivazionale, reputa opportuno formulare delle brevi riflessioni.

Precisamente, per quanto concerne la questione inerente il mercato, l’assunto decisorio ivi sostenuto secondo cui si tratterebbe in sostanza di un mercato clandestino che, in quanto tale, sarebbe insuscettibile di valutazione statistica è vero ma, ad umile avviso dello scrivente, solo in parte.

In effetti, ogni anno vengono diffusi  dati statistici sul quantitativo di droga sequestrato sia a livello nazionale

sia a livello locale.

Ebbene, seppur, ad onor del vero, con un certo grado di approssimazione, si potrebbero utilizzare questi dati (per difetto) al fine di appurare se un preciso quantitativo sia sufficiente a saturare un mercato predeterminato (rapportandolo, ad esempio, ad una data provincia).

Ad esempio, se nella provincia x, ogni anno vengono sequestrati 10 tonnellate di cocaina, è evidente che un sequestro prossimo a questo quantitativo o anche superiore (ovviamente), potrebbe soddisfare la domanda di droga in quella specifica area territoriale.

Difatti, senza con ciò “rispolverare” quel pregresso indirizzo nomofilattico che, come esposto in precedenza, subordinava l’applicabilità di detta circostanza alla idoneità del quantitativo sequestrato a saturare il mercato, è pur vero che nella nota sentenza “Primavera”, come già dedotto prima, tra i criteri da utilizzare in casi di questo genere, è stato menzionato anche quello di verificare il carattere extra ordinem della sostanza rinvenuta parametrandola “con la corrente realtà del mercato”.

A fronte di tale tesi argomentativa, tuttavia, v’è il problema sollevato dalla Corte (e indicato in precedenza) secondo il quale, considerare la quantità della droga rinvenuta a seconda del mercato o meglio, dell’area territoriale ove è stata prelevata, potrebbe esservi profili di legittimità costituzionale dell’art. 80 sotto il profilo della ragionevolezza.

Tuttavia, in alcune pronunce, la Consulta ha ritenuto che la ragionevolezza non implica necessariamente che una norma debba essere applicata uniformemente su tutto il territorio nazionale.

Ad esempio, con la sentenza n. 83 del 5/03/10, la Corte Costituzionale nel ritenere non “fondata la questione di legittimità dell’art. 6, lett. a) e d) d.l. 6 novembre 2008 n. 172, conv., con modificazioni, in l. 30 dicembre 2008 n. 210, censurato, in riferimento all’art. 3 cost., nella parte in cui, limitatamente alle aree geografiche in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, configura come delitto condotte che, nel restante territorio nazionale, non sono penalmente rilevanti (lett. a) o sono punite a titolo di contravvenzione (lett. d), ha affermato che non sussiste violazione dell’art. 3 Cost. laddove le norme censurate, per un verso, prevedano “come soggetti attivi dei reati in questione tutti coloro che pongano in essere i comportamenti specificamente indicati”, dall’altro, che tali regole possiedano “la necessaria generalità ed astrattezza”.

Nel caso di specie, il modulare l’ingente quantità ad una precipuo contesto territoriale, anzi, garantirebbe una maggiore uniformità applicativa di tale aggravante sotto il profilo teleologico.

Difatti, se, come confermato dalla Cassazione in questo decisum, la ratio di questa aggravante consiste nel preservare la salute pubblica, va da sé che, per verificare se il quantitativo rinvenuto sia idoneo, per quantità, a ledere questo bene giuridico, non si può prescindere dall’area territoriale di riferimento ove il fatto è avvenuto. 

Di conseguenza, per estensione geografica e per numero di persone (nonché di tossicodipendenti) residenti in una data area interna, il quantitativo, per considerarsi ingente, dovrà o meglio, dovrebbe necessariamente variare a seconda della zona territoriale ove esso è stato rinvenuto.

Da un punto di vista probatorio, inoltre, una produzione documentale di tal natura non dovrebbe sollevare particolari problematiche di natura processuale siccome, come noto, nell’ambito del diritto penale, la prova può essere fornita anche mediante una "spiegazione statistica esplicativa dei fenomeni"[22].

Invece, traendo spunto da un passo motivazionale usato nella pronuncia in commento, vi potrebbe essere un profilo di irragionevolezza tra l’art. 80, co. II, d.p.r. n. 309/90 e l’art. 73, co. V, del medesimo testo unico.

In effetti, non vi sono ragioni plausibili sul perché, per quanto concerne l’attenuante della “lieve entità”, il giudice debba tener conto non solo della “qualità e quantità delle sostanze” ma pure “dei mezzi, delle modalità e delle circostanze dell’azione” mentre, per quanto concerne l’aggravante della “ingente quantità”, costui si debba attenere solo alle “quantità ingenti”.

Sarebbe auspicabile, visto anche la natura plurioffensiva di tale aggravante (in sostanza: non solo la salute del singolo tossicodipendente ma anche della salute pubblica tout court), in punto de iure condendo, che l’art. 80, co. II, del d.p.r. n. 309 venisse emendato inserendo, ad esempio, dopo la locuzione se “il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope”, il seguente inciso: “ovvero un fatto che, per i mezzi, per le modalità o le circostanze dell’azione, sia pericoloso alla salute pubblica”.

In tal guisa, infatti, verrebbe introdotta una sorta di norma di chiusura che risolverebbe o meglio, potrebbe contribuire a risolvere le problematiche sottese all’applicabilità di tale elemento accidentale.

[1] Cass. pen., sez. VI, 9/05/96, n. 8287.

[2] Ibidem.

[3] S.S.U.U., 21/06/00, n. 17, “Primavera”.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem.

[8] Cass. Pen., sez. VI, 2/03/10, n. 20119.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] Cass. pen., sez. VI, 19/05/11, n. 31351.

[13] Ibidem.

[14] Ex plurimibus: Cass. pen., sez. IV, 1/02/11, n. 9927.

[15] Cass. pen., sez. IV, 1/02/11, n. 9927.

[16] [“con riferimento alla droga importata, alle transazioni intermedie o a quella che acquista il consumatore finale?” (Cass. pen., sez. IV, 1/02/11, n. 9927).

[17] Ibidem.

[18] Quale quella prevista dall’art. 53 bis del dl.gs, 5/02/97, n. 22, sostituito dall’art. 260 del dl.gs, 3/04/06, n. 152 ovvero quelle contemplate dagli artt. 600 ter e 600 quater c.p. .

[19] Corte Cost., sentenza n. 247 del 1989, n. 34 del 1995, n. 5 del 2004 e n. 395 del 2005.

[20] Difatti, la Sez. III, in questa decisione, ha stabilito che, in materia di pedopornografia, in materia di “ingente quantità” di materiale pedopornografico, ci si può avvalere di “esemplificazioni di natura, appunto, numerica”.

[21] Tra le tante: Cass. pen., sez. VI, 20/11/08, n. 48434.

[22] Cass. pen., sez. IV, 27/04/87, fonti: Giust. pen., 88, 360 (s.m.).