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Ingiusta detenzione: non basta il silenzio dell’indagato per escludere il diritto all’indennizzo

Trabocchi
Ph. Riccardo Radi / Trabocchi

La Cassazione penale sezione IV con la sentenza n. 34367/2021 sottolinea, dopo una ampia disamina dei principi giurisprudenziali, che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo per l’ingiusta detenzione si deve concretizzare in comportamenti specifici “addebitabili all’interessato” e nella indicazione puntuale ed analitica su come tali comportamenti abbiano inciso sull’evento detenzione. L’esercizio del diritto di non rispondere non osta all’indennizzo.

 

La vicenda esaminata dalla Suprema Corte riguarda il rigetto di una domanda di riparazione per ingiusta detenzione da parte della Corte di appello di Bologna.

L’interessato aveva subito la carcerazione per la durata di quattro mesi per poi essere assolto dal Gup del tribunale Felsineo con la formula “per non aver commesso il fatto” all’esito del giudizio abbreviato. Il ricorrente presentava nei termini la domanda di indennizzo che la Corte di appello respingeva sul presupposto di ritenere “connotato da colpa grave il comportamento dell’imputato per essersi avvalso della facoltà di non rispondere”.

Esame analitico della sentenza della Suprema Corte sezione IV del 2 luglio 2021 n. 34367/2021.

 

Ingiusta detenzione: principi informatori della disciplina

Appare preliminarmente opportuno richiamare i principi informatori della disciplina dell'istituto ex art. 314 cod. proc. pen. enucleati dalla Corte di cassazione: va precisato che, trattandosi di principi consolidati, appare superfluo il richiamo puntuale delle numerose pronunzie delle Sezioni semplici, essendo preferibile affidarsi - prevalentemente, anche se non esclusivamente - a passaggi motivazionali della Suprema Corte nella qualificata composizione a Sezioni Unite.

 

Ingiusta detenzione: casi di esclusione

Ebbene, l'equa riparazione per l'ingiusta detenzione è esclusa, secondo l'espresso disposto dell'art. 314 cod. proc. pen., qualora l'istante “vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”, con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all'insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (cfr. Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).

 

Ingiusta detenzione: l’indennizzo

L'indennizzo in questione si risolve “nell'attribuzione di una somma di denaro a riparazione di un pregiudizio lecitamente (perché secondo legge) arrecato, in contrapposizione al risarcimento del danno sempre riferibile ad un fattore causale illecito” (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636; Id., Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035).

 

Ingiusta detenzione: “dolo e colpa grave

Quanto alle valenze definitorie delle espressioni "dolo" e "colpa grave", è stato chiarito (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636) che “dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali (indipendentemente dal fatto di confliggere o meno con una prescrizione di legge), difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dell’Id quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo”, sicché l'essenza del dolo sta, appunto, “nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento all'evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice del procedimento riparatorio”.

Il concetto e la conseguente area applicativa della colpa, invece, vanno ricavati dall'art. 43 cod. pen., secondo cui, come noto, “è colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l'ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere), consegue un effetto idoneo a trarre in errore l'organo giudiziario”: in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti etc.) “pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile [...] ragione di intervento dell'autorità giudiziaria con l'adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà” (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636). E in tale ultimo caso la colpa deve essere "grave", come esige la norma, “connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso” (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).

Posto che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l'indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano "dato causa" o che abbiano "concorso a dare causa" all'instaurazione dello stato privativo della libertà, sicché è ineludibile l'accertamento del rapporto causale tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà, si osserva che ad escludere il diritto in questione è pur sempre necessario che il giudice della riparazione pervenga alla sua decisione in base a dati di fatto certi, cioè elementi "accertati o non negati" (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636; in conformità, tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867), con esclusione, dunque, di dati meramente congetturali.

 

Ingiusta detenzione: perimetro valutativo del giudice della riparazione

Si è anche precisato che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su di un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un'ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all'imputato; il primo, invece, deve valutare non già non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma “se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento "detenzione" [...] Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell'altro [...] spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l'ausilio dei criteri propri all'azione esercitata dalla parte” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203638; cfr., tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867; Sez. 4, n. 1904 del 11/06/1999, Murina e altro, Rv. 214252; Sez. 4, n. 2083 del 24/06/1998, Nennala, Rv. 212114).

Il giudice della riparazione deve seguire un iter logico-motivazionale autonomo rispetto a quello del processo penale e costituiscono compito del giudice del merito la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave.

In particolare, “In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, per decidere se l'imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell'interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione” (Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238; in senso conforme, v. Sez. 4, n. 19180 del 18/02/2016, Buccini, Rv. 266808).

Della decisione sulla ingiusta detenzione il giudice del merito ha, naturalmente, l'obbligo di dare adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata secondo le corrette regole della logica: il mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, congruità e logicità è censurabile in cassazione.

 

Ingiusta detenzione e colpa ostativa al riconoscimento all’indennizzo

In ordine alla colpa ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, essa può essere di due tipi: colpa extraprocessuale (ad es., frequentazioni ambigue, connivenza non punibile, comportamenti idonei ad essere percepiti all'esterno come contiguità criminale); ovvero colpa processuale (come, ad es., auto-incolpazione o silenzio consapevole sull'esistenza di un alibi: v. Sez. 4, n. 4372 del 21/10/2014, dep. 6 Corte di Cassazione - copia non ufficiale 2015, Garcia De Medina, Rv. 263197; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, Davoli, Rv. 248074; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, dep. 2002, Pavone, Rv. 220984). 2.6.1.

 

Ingiusta detenzione e colpa extraprocessuale

Quanto alla prima delle due categorie, appare opportuno richiamare le puntualizzazioni della S.C. in tema di colpa extraprocessuale causativa della custodia cautelare ostativa al riconoscimento dell'indennizzo, colpa che può essere integrata, oltre che da comportamenti extraprocessuali quali, a mero titolo di esempio, frequentazioni ambigue con soggetti gravati da specifici. precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti (Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397) o ingiustificate frequentazioni che si prestino oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità (Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, Calò, Rv. 258610; Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, dep. 2008, Pandullo, Rv, 238782) o comportamenti deontologicamente scorretti (Sez. 4, n. 4242 del 20/12/2016, dep. 2017, Farina, Rv. 269034; Sez. 4, n. 52871 del 15/11/2016, Tavelli, Rv. 268685), purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva ìdoneità ad essere interpretati come indizi di colpevolezza, così da essere, quanto meno, in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (cfr. Sez. 4, n. 4242 del 20/12/2016, dep. 2017, Farina, Rv. 269034, cit.; Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436, cit.; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397, cit.; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, Rv. 259082; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, Calò, Rv. 258610, cit.; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, Fratepietro, Rv. 257878; Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, dep. 2008, Pandullo, Rv, 238782, cit.), anche dalla connivenza passiva.

Ed a proposito della connivenza si è precisato (dopo una progressiva elaborazione giurisprudenziale, le cui tappe essenziali possono, schematicamente, dirsi rappresentate dalle pronunzie rese, in ordine cronologico, da: Sez. 4, n. 42039 del 08/11/2006, Cambareri, Rv. 235397; Sez. 4, n. 2659 del 03/12/2008 dep. 2009, Vottari, Rv. 242538; Sez. 4, n. 17/11/2011, dep. 2012, Cantarella, Rv. 252725) che può costituire colpa grave, ostativa al riconoscimento dell'indennità, la connivenza, ove ricorra almeno uno dei seguenti indici:

“a) nell'ipotesi in cui l'atteggiamento di connivenza sia indice del venire meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose;

b) nel caso in cui si concreti non già in un mero comportamento passivo dell'agente riguardo alla consumazione di un reato, ma nel tollerare la consumazione o la prosecuzione dell'attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia;

c) nell'ipotesi in cui la connivenza passiva risulti avere oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell'agente, sebbene il connivente non intenda perseguire questo effetto; in tal caso è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza dell'attività criminosa dell'agente [...nel] giudizio di riparazione [...] la condotta connivente idonea ad inibire la riparazione, per essere qualificata gravemente colposa, deve essere ancorata alla preventiva conoscenza delle attività criminose che si stanno per compiere in presenza del connivente [...] la valutazione del giudice di merito sull'esistenza delle caratteristiche che deve assumere la connivenza, per la rilevanza ai fini della riparazione, si sottrae al vaglio di legittimità ove sia stato dato congruo conto, in modo non illogico, delle ragioni poste a fondamento della descritta efficacia della condotta passiva» (così Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, Di Spirito, Rv. 263139).

Profilo di colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo, affine alla connivenza passiva, di cui si è detto, può essere costituito anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, essendo consapevole dell'attività criminale altrui, abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti all'esterno come una sua contiguità (Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010, Carere, Rv. 249237; in termini: Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, Grigoli, Rv. 241218; v. anche, più recentemente, Sez. 4, n. 8914 del 18/1.2/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436, cit.; Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, Mannino, •Rv. 258485; Sez. 4, n. 5628 del 13/11/2013, dep. 2014, Maviglia, Rv. 258425).

 

Ingiusta detenzione e colpa processuale

Quanto poi alla colpa processuale, si è - condivisibilmente - precisato che anche le concrete estrinsecazioni del diritto di difesa, possono acquisire, a determinate condizioni, rilevanza ai fini in esame.

Non vi è dubbio che la facoltà da parte dell'indagato di non rispondere in sede di interrogatorio costituisce concreto esercizio di un proprio diritto, riconosciuto dalla Costituzione prima ancora che dalla legge ordinaria, funzionale alla propria difesa (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 29967 del 02/04/2014, Bertuccini, Rv. 259941; Sez. 3, n. 44090 del 09/11/2011, Messina e altro, Rv. 251325; Sez. 4, n. 40902 del 23/09/2008, Locci e altro, Rv. 242756): essa è, perciò, circostanza, di norma, del tutto neutra al fine della sua riconducibilità all'area del dolo o della colpa grave rilevanti al fine in esame.

Stesso discorso vale, di regola, anche per la reticenza (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928; Sez. 4, n. 4159 del 09/12/2008, dep. 2009, Lafranceschina, Rv. 242760; Sez. 4, n. 47041 del 12/11/2008, Calzetta e altro, Rv. 242757) e persino per la menzogna (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. Corte di Cassazione - copia non ufficiale 265287; Sez, 4, n. 47756 del 16/10/2014, Randazzo, Rv. 261068; Sez. 4, n. 40291 del 10/06/2008, Maggi e altro, Rv. 242755), poiché anche la reticenza e la menzogna costituiscono modalità e contenuti dell'esercizio concreto del diritto di difesa.

Si è, nondimeno, precisato che il concreto esercizio del diritto di difendersi tacendo, non collaborando e persino mentendo può, eventualmente, rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave ai fini che in questa sede rilevano nel caso in cui l'indagato sia in grado di rappresentare specifiche circostanze, non note all'organo inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere e caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa che determinarono l'emissione del provvedimento cautelare, ed invece le taccia: in tal caso, infatti, pur nel rispetto del diritto di difesa e delle opzioni attuative dello stesso, v'è un onere di rappresentazione ed allegazione da parte dell'indagato, al fine di porre l'organo inquirente nelle condizioni di valutare quelle prospettazioni ed allegazioni, di comporle nell'unitario quadro investigativo ed indiziario, di rilevare, eventualmente, l'errore in cui si è incorsi nella instaurazione dello stato detentivo (v., tra le numerose pronunzie, Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. 265287; Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928; Sez. 4, n. 40291 del 10/06/2008, Maggi e altro, Rv. 242755).

Si ritiene, in buona sostanza, che, poiché in quel momento soltanto l'indagato è in grado di rappresentare utili e giustificativi elementi di valutazione, la circostanza che, invece, li taccia o che reticentemente ovvero falsamente altri ne prospetti contribuisce, concausalmente, al mantenimento del suo stato detentivo.

Ciò posto, è necessario che il giudice della riparazione accerti, in primo luogo, quali siano gli elementi taciuti o falsamente rappresentati, non potendo questi ritenersi assiomaticamente (con inammissibile presunzione) o in via congetturale, e che valuti, poi, il sinergico nesso di relazione causale tra tale circostanza e l'addebito formulato, dando motivata contezza di come essa abbia influito, concausalmente, nel mantenimento dello stato detentivo (v., ex plurimis, Sez. 4, n. 18711 del 15/02/2006, Carpito, Rv. 234585).

 

Ingiusta detenzione: la massima della Suprema Corte n. 34367/2021

Ricostruita analiticamente la cornice giurisprudenziale e normativa la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza della Corte di appello di Bologna rilevando che: La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo per l'ingiusta detenzione, rappresentata dall'aver dato causa, da parte del richiedente, all'ingiusta detenzione, deve concretizzarsi, dunque, in comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della cognizione e che possono essere, come si è visto (nei "considerata in diritto"), di due tipi: extra-processuale (nel caso di specie non evidenziati dalla Corte di appello di Bologna) ovvero processuale (la Corte territoriale alla base del rigetto il silenzio su di un alibi): ed appunto sugli elementi costitutivi della colpa grave così determinati, il giudice è tenuto sia ad indicare gli specifici comportamenti addebitabili all'interessato sia a motivare in che modo tali comportamenti abbiano inciso sull'evento detenzione.

Ed è appunto sotto i profili della individuazione degli specifici comportamenti addebitabili all'interessato e della spiegazione di come tali comportamenti abbiano inciso sull'evento detenzione che il provvedimento impugnato non resiste alle censure difensive. La Corte territoriale, infatti non si è attenuta ai consolidati principi di cui si è detto, ipotizzando una condotta colposa sinergica alla detenzione cautelare, condotta che, però, appare alquanto vaga nei suoi contorni fattuali e nei suoi fondamenti probatori.

L'unico elemento valorizzato nell'ordinanza impugnata per giustificare il rigetto (ossia il silenzio tenuto nell'interrogatorio dall'indagato) non consente di ricavare certezza processuale circa l'esistenza di un atteggiamento di colposa inerzia o altro dell'indagato suscettibile di essere considerato ostativo alla chiesta riparazione né tanto meno di comprenderne in termini più precisi l'effettiva consistenza.

In particolare, la Corte di appello, che non ha preso in considerazione, nemmeno per escluderle, eventuali condotte extraprocessuali, ha omesso di individuare e di indicare le circostanze di fatto che l'indagato avrebbe potuto e soprattutto, nella prospettiva propria della riparazione, avrebbe dovuto dichiarare nell'interrogatorio, facendo esclusivamente un generico riferimento ad un "alibi che avrebbe potuto scagionarlo"; in realtà, nella_sentenza del G.u.p. di Bologna del 30 gennaio 2020 l'imputato non viene assolto in ragione di un alibi …”.

In conclusione: il mero silenzio, la reticenza e la menzogna costituiscono modalità e contenuti dell'esercizio concreto del diritto di difesa e di per sé, non ostano al riconoscimento all’indennizzo per ingiusta detenzione.