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Interesse legittimo e sue tecniche di tutela alla luce del nuovo codice del processo amministrativo

La capacità giuridica, prevista dall’art. 1 c.c., può essere definita come quell’attitudine di ogni individuo ad essere titolare di rapporti giuridici. La capacità di agire, invece, si definisce come l’idoneità del soggetto agente a compiere atti giuridici al fine di tutelare i propri interessi, la propria sfera giuridica.

 

Quindi sia la capacità giuridica che la capacità di agire si pongono quali situazioni prodromiche perché ogni individuo, soggetto di diritto, possa espletare la propria attività liberamente, all’interno dell’ordinamento giuridico, al fine di perseguire i propri interessi.

 

L’individuo diviene, quindi, titolare di posizioni giuridiche, afferenti sia situazioni giuridiche attive che passive, tutelate, perché ritenute meritevoli di protezione, dall’ordinamento giuridico.

 

Tra le situazioni giuridiche attive, accanto alle aspettative, le potestà e le facoltà, assumono rilevanza il diritto soggettivo e l’interesse legittimo.

 

Il diritto soggettivo può essere definito come quella posizione giuridica assoluta idonea a soddisfare l’interesse perseguito dall’agente senza che si frapponga un determinato soggetto o che sia richiesta una cooperazione da parte di quest’ultimo. Si pensi al diritto di proprietà o, secondo una parte della dottrina (ma una posizione unanime non si rinviene) i diritti della personalità.

 

L’interesse legittimo, a sua volta, rappresenta quella tipica situazione giuridica che rapporta il privato con la pubblica amministrazione (di seguito PA), situazione che presuppone in capo alla PA un agere legittimo, non pregiudizievole per la sfera giuridica del privato, rispettoso dei parametri di cui all’art. 97 Cost.

 

Il discrimen tra diritto soggettivo ed interesse legittimo si riscontra nella distinzione tra norme di azione e norme di relazione, queste ultime si caratterizzano per il fatto che sono attributive di una data situazione giuridica a prescindere dall’intervento della PA, la quale dovrà conformarsi alle medesime norme; le norme di azione, invece, si caratterizzano per il fatto che, perché il soggetto possa ambire a soddisfare un dato interesse, appare doveroso e necessario l’intervento della PA, che si pone quale intermediaria tra norma e privato.

 

La distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo assume rilievo ai fini del riparto di giurisdizione, di fatti se con riguardo alla tutela dei diritti soggettivi provvede, ex art. 2907 c.c., il giudice ordinario; alla tutela degli interessi legittimi, ai sensi degli artt. 103 e 113 Cost., provvede il giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, per le “particolari materie” ex art. 103 Cost. ha anche la cognizione dei diritti soggettivi in sede di giurisdizione esclusiva.

 

Con specifico riguardo alla natura giuridica dell’interesse legittimo varie sono state le tesi elaborate dalla dottrina.

 

Secondo una prima opinione l’interesse legittimo si porrebbe come interesse occasionalmente protetto, nel senso che la sua tutela coinciderebbe con la legittimità del provvedimento amministrativo.

 

Ai fini della cura di un dato interesse pubblico un provvedimento amministrativo è illegittimo quando non soddisfa tale interesse, per cui in caso di legittimità del medesimo l’interesse del privato non sarebbe scalfito.

 

Tuttavia tale tesi non può essere accolta perché oggi, a seguito della novella del 2005 di riforma della legge n. 241/90 sul procedimento amministrativo, la stessa PA, nell’esercizio dei suoi poteri in via di autotutela, può anche non provvedere con l’illegittimità dell’atto quando lo stesso, seppur viziato, persegue sempre quel dato interesse pubblico.

 

Per altra tesi, definita processualistica, l’interesse legittimo coinciderebbe con l’interesse ad agire in giudizio ex art. 100 c.p.c. per la tutela della propria posizione giuridica avverso l’agere illegittimo della PA.

 

Tale tesi è stata criticata nella parte in cui non prende in considerazione il fatto che la medesima posizione vantata dal privato non sorge con l’emanazione del provvedimento illegittimo ma con l’inizio del procedimento amministrativo volto alla emanazione del medesimo.

 

Tale posizione è suffragata dal dato normativo della legge n. 241/90 la quale contempla una serie di istituti quali l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento od il diritto di accesso agli atti, istituti che rafforzano la posizione vantata dal privato nei confronti della PA.

 

Una terza tesi propende per una definizione dell’interesse legittimo quale mezzo per accertare la legittimità dell’operato della PA ai sensi dell’art. 97 Cost.

 

Tale opinione non può essere condivisa da coloro i quali, in via prevalente, affermano che non sono ammessi controlli generalizzati sull’operato della PA da parte del privato, di fatti in tema di diritto di accesso agli atti amministrativi l’art. 24, comma 3 legge n. 241/90 prevede che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.

 

La tesi oggi attualmente prevalente è quella elaborata dal Nigro, definita teoria normativa. Secondo tal dottrina la PA nell’esercizio del suo potere discrezionale prima dell’emanazione di un dato provvedimento, incidente tra l’altro sulla sfera giuridica di terzi, deve procedere ad un bilanciamento degli interessi in gioco sulla base delle circostanze del caso concreto.

 

Di fatti si afferma che l’interesse pubblico primario deve essere bilanciato con gli interessi pubblici secondari e con gli interessi dei soggetti privati, si deve pervenire alla cura di un dato interesse pubblico con il minor sacrificio e degli interessi pubblici secondari e degli interessi privati (trattasi del c.d. principio del minimo mezzo).

 

Tale bilanciamento avviene prendendo in considerazione tutte le normative di riferimento incidenti su quella data situazione concreta (i c.d. blocchi normativi) procedendo, quindi, a definire quale sarà il contenuto dell’atto e quale sarà l’iter che seguirà la pubblica amministrazione per la cura di quel dato interesse, in ossequio ai principi del buon andamento, legalità, imparzialità e correttezza ex art. 97 Cost., nonché nel principio comunitario di legittimo affidamento del privato sul corretto operato della PA e da ultimo sui principi contenuti nell’art. 1 della legge n. 241/90.

 

Sulla base di questa raffinata impostazione, partorita nell’alveo della più autorevole dottrina, si passa da una concezione processuale dell’interesse legittimo ad una sostanziale con contestuale rafforzamento delle prerogative del privato nei confronti della PA.

 

Di fatti, da un punto di vista normativo, si è passati da un mancato riconoscimento dell’interesse legittimo, si pensi alla legge abolitiva del contenzioso del 1865 ove si parlava all’art. 3 di “affari non compresi” nell’art. 2, ove era ammissibile solo un ricorso di tipo giustiziale, ad un suo riconoscimento con la legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato.

 

Prima con l’emanazione del Testo Unico del Consiglio di Stato, poi con la Carta Fondamentale (artt. 24-103-113 Cost.), e successivamente con la legge istitutiva dei Tar del 1971 si è avuto un avallo definitivo della suddetta posizione giuridica.

 

In particolare nell’art. 24 Cost. si prevede che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”, e negli artt. 103-113 Cost. si ribadisce tale assunto innanzi agli organi della giustizia amministrativa.

 

Tuttavia si trattava pur sempre di una tutela di tipo impugnatorio dell’atto ove era ammessa solo la possibilità di chiedere l’annullamento dell’atto per i tre vizi canonici di legittimità, quali l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere.

 

La svolta storica si è avuta con la pronunzia n. 500/99 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali avevano ammesso la risarcibilità dei danni derivanti dall’agere illegittimo della PA nel caso di lesione di un interesse legittimo pretensivo, ossia i casi in cui il privato si aspetta dalla PA l’emanazione di un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica (es. permesso per costruire).

 

Con riguardo agli interessi legittimi di tipo oppositivo, ossia nei casi in cui il privato si oppone ad un provvedimento restrittivo della propria sfera giuridica (ad es. un decreto di esproprio), già la giurisprudenza aveva ammesso la risarcibilità del danno patito dal privato per via della teoria della degradazione-affievolimento del diritto soggettivo in interesse legittimo, con contestuale sua riespansione della medesima posizione a seguito della illegittimità del provvedimento emanato dalla PA.

 

L’arresto della Suprema Corte è stato positivizzato con la legge n. 205/00, in tema di riforma del processo amministrativo, modificando l’art. 7 legge Tar ed ammettendo in via generale la risarcibilità dell’interesse legittimo.

 

Questa affermazione normativa, secondo autorevole dottrina, rappresenta la conquista più importante del privato innanzi la PA, ponendo forse termine alla fatidica espressione del Mancini “si rassegni” tanto temuta quanto veritiera.

 

Con gli innesti legislativi dell’ultimo decennio, quali le leggi n. 15 e 80 del 2005 di riforma del procedimento amministrativo, la legge n. 69/09 e soprattutto il d.lgs. n. 104/10, disciplinante il codice del processo amministrativo, l’interesse legittimo, anche in forza dei principi della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 24-103-113 Cost. nonché art. 1 cod. proc. amm. (di seguito c.p.a.), assurge a posizione giuridica sostanziale, non più processuale, alla pari del diritto soggettivo, in definitiva si riscontra una piena equivalenza tra le due situazione giuridiche soggettive attive.

 

Con riguardo alle tecniche di tutela, accanto a quelle di tipo impugnatorio tramite l’azione di annullamento ed all’azione risarcitoria, il nuovo codice del processo amministrativo ne ammette altre tipologie quali quelle relative all’azione di nullità ed avverso il silenzio.

 

La disciplina delle azioni è prevista dagli artt. 29 e seg. c.p.a., esse sono quella di annullamento (art. 29), di condanna (art. 30), azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità (art. 31), un cenno merita anche l’art. 32 che, al fine di rafforzare la posizione giuridica del privato verso la PA, ammette l’esperibilità di una pluralità di domande, con possibilità di conversione delle azioni.

 

Con specifico riferimento all’azione di annullamento dal combinato disposto degli artt. 29 e 34, comma 1 lettere a) ed e) si deduce una maggiore incisività dei poteri del giudice amministrativo nei confronti della PA.

 

Di fatti il giudice non soltanto può provvedere, accertata la illegittimità, all’annullamento dell’atto ma può disporre “anche misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato” anche attraverso al nomina di un commissario ad acta.

 

Quindi la PA è tenuta a dare attuazione al giudicato conformandosi al decisum del giudice al fine di ripristinare lo status quo ante.

 

Autorevole dottrina sostiene che, con riferimento agli atti vincolati, sia più profondo ed incisivo il sindacato del giudice, escludendo un tale penetrante sindacato negli atti discrezionali, seppur anche con riguardo a questi ultimi si è innanzi a forti limitazioni nei confronti della PA, posto che in caso di violazione od elusione del giudicato, ai sensi dell’art. 21 septies legge n. 241/90, si ha nullità del provvedimento amministrativo.

 

Con riferimento, invece, all’azione di condanna l’art. 30 c.p.a. prevede che può essere esperita contestualmente ad altre od in via autonoma.

 

La precedente formulazione del codice del processo amministrativo aveva disciplinato anche l’azione di esatto adempimento, infatti era previsto che “il ricorrente può chiedere la condanna dell’amministrazione all’emanazione del provvedimento denegato” (prevedendo anche che l’azione potesse essere proposta contestualmente a quella di annullamento o avverso il silenzio), tuttavia nell’attuale formulazione non vi è traccia della medesima.

 

Attenta dottrina comunque ritiene che tale tipologia di azione, seppure non prevista esplicitamente nel codice citato, sia riscontrabile nello stesso. L’art. 34, comma 1 lettera c) nel prevedere che “in caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda,….condanna….all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio” disciplina una azione di esatto adempimento, di condanna atipica potremmo dire, con cui si impone un facere specifico alla PA, sempre nei limiti della legge, e senza invadere, in ossequio al principio di separazione dei poteri, la sfera discrezionale della PA.

 

In passato specifiche ipotesi di esatto adempimento si sono riscontrate, e tuttora si riscontrano, nei giudizi sul silenzio e sull’accesso agli atti amministrativi, ove, nel caso di fondatezza dell’istanza, il giudice ordina alla PA medesima di emanare il provvedimento od impone alla stessa di far visionare, o far estrarre copia, del documento al privato istante.

 

Con riguardo all’azione risarcitoria il nuovo art. 30 c.p.a. pone fine alla guerra insorta tra Sezioni Unite della Cassazione ed Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con riferimento alla c.d. pregiudiziale amministrativa.

 

La tesi avallata dal nuovo c.p.a. è quella della non operatività della pregiudiziale, escludendo quindi che il provvedimento debba essere impugnato ed ammettendosi la possibilità di una azione risarcitoria esperibile anche in via autonoma.

 

Tuttavia autorevole dottrina, sulla base del disposto del terzo comma dell’art. 30, ritiene che si sia in presenza, in realtà, di un sorta di pregiudizialità mascherata, se si prende in considerazione, ai fini del rigetto della domanda di parte, la mancata impugnazione del provvedimento lesivo della posizione giuridica altrui e fonte di danno.

 

Opererebbe in tali casi il meccanismo del concorso colposo del creditore ex art. 1227 c.c. con possibile aggravamento, a livello processuale, della posizione giuridica della parte istante. Si afferma che la domanda non sarebbe più ritenuta inammissibile, come in precedenza, ma rigettata nel merito.

 

Il diritto al risarcimento del danno ingiusto, con tale espressione si intende avallare la tesi della responsabilità extracontrattuale della PA, può essere chiesto sia per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, sia per il mancato esercizio di quella obbligatoria.

 

Può essere esperito, nei casi di giurisdizione esclusiva, anche per situazioni afferenti il diritto soggettivo.

 

Altre ipotesi sono specificate dal medesimo art. 30 citato, da una parte è prevista l’esperibilità dell’azione di risarcimento danni in forma specifica ex art. 2058 c.c., dall’altra il comma 4 del medesimo art. 30 disciplina l’ipotesi del c.d. danno da violazione di un interesse legittimo procedimentale relativo alla inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, si parla in dottrina di danno da ritardo mero.

 

Sempre in riferimento allo strumentario delle azioni poste a presidio dell’”incolumità” della sfera giuridica del privato rispetto all’agere illegittimo della PA il cod. proc. amm. disciplina le azioni di accertamento avverso il silenzio e della nullità dei provvedimenti emanati dalla PA ex art. 31 c.p.a.

 

Con riguardo all’azione di nullità la medesima si esperisce nel termine di decadenza di 180 giorni, la fattispecie della nullità è stata cristallizzata dal legislatore del 2005 nell’art. 21 septies legge n. 241/90. Il comma 4 dell’art 31 cit. non prevede un termine nei confronti della parte resistente per cui, si è affermato in dottrina, in qualsiasi momento ed in spregio della posizione del privato, la sua sfera giuridica possa essere lesa dalla opposizione della nullità della PA stessa.

 

L’azione avverso il silenzio, in forza anche delle novelle del 2005, del 2009, e da ultimo del 2010, è mutata rispetto al passato posto che, da una parte, si sono rafforzati notevolmente i poteri del giudice nei riguardi della PA, dall’altro conseguentemente anche le prerogative del privato verso la PA medesima sono aumentate.

 

Di fatti, secondo l’orientamento prevalente, avallato dal nuovo codice all’art. 31, il giudice, nei casi di attività vincolata o nei casi in cui residuino margini di discrezionalità della PA, può imporre un facere specifico alla stessa conoscendo della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio.

 

Quindi, se ci trova al cospetto di una attività vincolata, il giudice accerta il rapporto sottostante ed impone nei confronti della PA l’adozione di un dato provvedimento, tale attività si esclude in riferimento ai casi di esercizio di un potere discrezionale pena una illegittima ingerenza nei confronti dell’operato della PA.

 

La bozza del codice del processo precedente a quella attuale aveva, tra l’altro, espressamente disciplinato una azione di accertamento, di fatti era previsto che “chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza di un rapporto giuridico contestato con l’adozione delle consequenziali pronunzie dichiarative” e che il giudice , con la sentenza di merito, avrebbe potuto “dichiarare l’esistenza o l’inesistenza di un rapporto giuridico”.

 

La ratio era quella di porre fine, quindi, alle incertezze di un dato rapporto giuridico obbligatorio tra privato e PA, o di accertare da parte del privato la possibile sussistenza di effetti sfavorevoli derivanti dalla emanazione di un provvedimento amministrativo.

 

L’attuale formulazione del codice, invece, non l’ha prevista, tuttavia attenta dottrina ha rinvenuto nell’art. 34, comma 5 c.p.a. un addentellato normativo della suddetta azione.

 

Di fatti il comma 5 citato nel prevedere che “qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara la cessazione della materia del contendere” introduce una pronunzia che accerta determinati fatti rilevanti per un dato rapporto obbligatorio, l’esempio tipico riguarda i casi in cui la PA, agendo in via di autotutela, rimuove un provvedimento sfavorevole del privato.

 

Comunque già in precedenza il Consiglio di Stato, con la pronunzia n. 917/09 e ribadito nel corso del 2010, aveva ammesso l’esperibilità della suddetta azione in riferimento alla dichiarazione di inizio attività nel caso in cui il terzo potesse essere pregiudicato dall’inizio dell’attività in carenza dei presupposti prescritti dalla legge.

 

De jure condito, sulla base delle sue esposte considerazioni, appare oramai evidente il nuovo ruolo rivestito dall’interesse legittimo all’interno dell’ordinamento giuridico, appare evidente la sussistenza di una posizione dotata di caratteri di sostanzialità che equiparano l’interesse legittimo medesimo alla situazione giuridica per eccellenza quale quella di diritto soggettivo.

 

Questa nuova visione dell’interesse legittimo porta anche a riconsiderare i rapporti tra cittadino e PA, con particolare riferimento al rafforzamento dei poteri e delle azioni esperibili dal medesimo nei casi in cui l’agere illegittimo della PA comporti un possibile vulnus o nocumento nella sfera giuridica del privato, ciò in attuazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 24-103-113 Cost.

La capacità giuridica, prevista dall’art. 1 c.c., può essere definita come quell’attitudine di ogni individuo ad essere titolare di rapporti giuridici. La capacità di agire, invece, si definisce come l’idoneità del soggetto agente a compiere atti giuridici al fine di tutelare i propri interessi, la propria sfera giuridica.

 

Quindi sia la capacità giuridica che la capacità di agire si pongono quali situazioni prodromiche perché ogni individuo, soggetto di diritto, possa espletare la propria attività liberamente, all’interno dell’ordinamento giuridico, al fine di perseguire i propri interessi.

 

L’individuo diviene, quindi, titolare di posizioni giuridiche, afferenti sia situazioni giuridiche attive che passive, tutelate, perché ritenute meritevoli di protezione, dall’ordinamento giuridico.

 

Tra le situazioni giuridiche attive, accanto alle aspettative, le potestà e le facoltà, assumono rilevanza il diritto soggettivo e l’interesse legittimo.

 

Il diritto soggettivo può essere definito come quella posizione giuridica assoluta idonea a soddisfare l’interesse perseguito dall’agente senza che si frapponga un determinato soggetto o che sia richiesta una cooperazione da parte di quest’ultimo. Si pensi al diritto di proprietà o, secondo una parte della dottrina (ma una posizione unanime non si rinviene) i diritti della personalità.

 

L’interesse legittimo, a sua volta, rappresenta quella tipica situazione giuridica che rapporta il privato con la pubblica amministrazione (di seguito PA), situazione che presuppone in capo alla PA un agere legittimo, non pregiudizievole per la sfera giuridica del privato, rispettoso dei parametri di cui all’art. 97 Cost.

 

Il discrimen tra diritto soggettivo ed interesse legittimo si riscontra nella distinzione tra norme di azione e norme di relazione, queste ultime si caratterizzano per il fatto che sono attributive di una data situazione giuridica a prescindere dall’intervento della PA, la quale dovrà conformarsi alle medesime norme; le norme di azione, invece, si caratterizzano per il fatto che, perché il soggetto possa ambire a soddisfare un dato interesse, appare doveroso e necessario l’intervento della PA, che si pone quale intermediaria tra norma e privato.

 

La distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo assume rilievo ai fini del riparto di giurisdizione, di fatti se con riguardo alla tutela dei diritti soggettivi provvede, ex art. 2907 c.c., il giudice ordinario; alla tutela degli interessi legittimi, ai sensi degli artt. 103 e 113 Cost., provvede il giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, per le “particolari materie” ex art. 103 Cost. ha anche la cognizione dei diritti soggettivi in sede di giurisdizione esclusiva.

 

Con specifico riguardo alla natura giuridica dell’interesse legittimo varie sono state le tesi elaborate dalla dottrina.

 

Interesse legittimo: una prima tesi

 

Secondo una prima opinione l’interesse legittimo si porrebbe come interesse occasionalmente protetto, nel senso che la sua tutela coinciderebbe con la legittimità del provvedimento amministrativo.

 

Ai fini della cura di un dato interesse pubblico un provvedimento amministrativo è illegittimo quando non soddisfa tale interesse, per cui in caso di legittimità del medesimo l’interesse del privato non sarebbe scalfito.

 

Tuttavia tale tesi non può essere accolta perché oggi, a seguito della novella del 2005 di riforma della legge n. 241/90 sul procedimento amministrativo, la stessa PA, nell’esercizio dei suoi poteri in via di autotutela, può anche non provvedere con l’illegittimità dell’atto quando lo stesso, seppur viziato, persegue sempre quel dato interesse pubblico.

L'interesse legittimo secondo la tesi processualistica 

Per altra tesi, definita processualistica, l’interesse legittimo coinciderebbe con l’interesse ad agire in giudizio ex art. 100 c.p.c. per la tutela della propria posizione giuridica avverso l’agere illegittimo della PA.

 

Tale tesi è stata criticata nella parte in cui non prende in considerazione il fatto che la medesima posizione vantata dal privato non sorge con l’emanazione del provvedimento illegittimo ma con l’inizio del procedimento amministrativo volto alla emanazione del medesimo.

 

Tale posizione è suffragata dal dato normativo della legge n. 241/90 la quale contempla una serie di istituti quali l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento od il diritto di accesso agli atti, istituti che rafforzano la posizione vantata dal privato nei confronti della PA.

Una terza tesi sull'interesse legittimo

Una terza tesi propende per una definizione dell’interesse legittimo quale mezzo per accertare la legittimità dell’operato della PA ai sensi dell’art. 97 Cost.

 

Tale opinione non può essere condivisa da coloro i quali, in via prevalente, affermano che non sono ammessi controlli generalizzati sull’operato della PA da parte del privato, di fatti in tema di diritto di accesso agli atti amministrativi l’art. 24, comma 3 legge n. 241/90 prevede che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.

 

La tesi oggi attualmente prevalente è quella elaborata dal Nigro, definita teoria normativa. Secondo tal dottrina la PA nell’esercizio del suo potere discrezionale prima dell’emanazione di un dato provvedimento, incidente tra l’altro sulla sfera giuridica di terzi, deve procedere ad un bilanciamento degli interessi in gioco sulla base delle circostanze del caso concreto.

 

Di fatti si afferma che l’interesse pubblico primario deve essere bilanciato con gli interessi pubblici secondari e con gli interessi dei soggetti privati, si deve pervenire alla cura di un dato interesse pubblico con il minor sacrificio e degli interessi pubblici secondari e degli interessi privati (trattasi del c.d. principio del minimo mezzo).

 

Tale bilanciamento avviene prendendo in considerazione tutte le normative di riferimento incidenti su quella data situazione concreta (i c.d. blocchi normativi) procedendo, quindi, a definire quale sarà il contenuto dell’atto e quale sarà l’iter che seguirà la pubblica amministrazione per la cura di quel dato interesse, in ossequio ai principi del buon andamento, legalità, imparzialità e correttezza ex art. 97 Cost., nonché nel principio comunitario di legittimo affidamento del privato sul corretto operato della PA e da ultimo sui principi contenuti nell’art. 1 della legge n. 241/90.

 

Sulla base di questa raffinata impostazione, partorita nell’alveo della più autorevole dottrina, si passa da una concezione processuale dell’interesse legittimo ad una sostanziale con contestuale rafforzamento delle prerogative del privato nei confronti della PA.

 

Di fatti, da un punto di vista normativo, si è passati da un mancato riconoscimento dell’interesse legittimo, si pensi alla legge abolitiva del contenzioso del 1865 ove si parlava all’art. 3 di “affari non compresi” nell’art. 2, ove era ammissibile solo un ricorso di tipo giustiziale, ad un suo riconoscimento con la legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato.

 

Prima con l’emanazione del Testo Unico del Consiglio di Stato, poi con la Carta Fondamentale (artt. 24-103-113 Cost.), e successivamente con la legge istitutiva dei Tar del 1971 si è avuto un avallo definitivo della suddetta posizione giuridica.

 

In particolare nell’art. 24 Cost. si prevede che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”, e negli artt. 103-113 Cost. si ribadisce tale assunto innanzi agli organi della giustizia amministrativa.

 

Tuttavia si trattava pur sempre di una tutela di tipo impugnatorio dell’atto ove era ammessa solo la possibilità di chiedere l’annullamento dell’atto per i tre vizi canonici di legittimità, quali l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere.

 

La svolta storica si è avuta con la pronunzia n. 500/99 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali avevano ammesso la risarcibilità dei danni derivanti dall’agere illegittimo della PA nel caso di lesione di un interesse legittimo pretensivo, ossia i casi in cui il privato si aspetta dalla PA l’emanazione di un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica (es. permesso per costruire).

 

Con riguardo agli interessi legittimi di tipo oppositivo, ossia nei casi in cui il privato si oppone ad un provvedimento restrittivo della propria sfera giuridica (ad es. un decreto di esproprio), già la giurisprudenza aveva ammesso la risarcibilità del danno patito dal privato per via della teoria della degradazione-affievolimento del diritto soggettivo in interesse legittimo, con contestuale sua riespansione della medesima posizione a seguito della illegittimità del provvedimento emanato dalla PA.

 

L’arresto della Suprema Corte è stato positivizzato con la legge n. 205/00, in tema di riforma del processo amministrativo, modificando l’art. 7 legge Tar ed ammettendo in via generale la risarcibilità dell’interesse legittimo.

 

Questa affermazione normativa, secondo autorevole dottrina, rappresenta la conquista più importante del privato innanzi la PA, ponendo forse termine alla fatidica espressione del Mancini “si rassegni” tanto temuta quanto veritiera.

 

Con gli innesti legislativi dell’ultimo decennio, quali le leggi n. 15 e 80 del 2005 di riforma del procedimento amministrativo, la legge n. 69/09 e soprattutto il d.lgs. n. 104/10, disciplinante il codice del processo amministrativo, l’interesse legittimo, anche in forza dei principi della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 24-103-113 Cost. nonché art. 1 cod. proc. amm. (di seguito c.p.a.), assurge a posizione giuridica sostanziale, non più processuale, alla pari del diritto soggettivo, in definitiva si riscontra una piena equivalenza tra le due situazione giuridiche soggettive attive.

 

Con riguardo alle tecniche di tutela, accanto a quelle di tipo impugnatorio tramite l’azione di annullamento ed all’azione risarcitoria, il nuovo codice del processo amministrativo ne ammette altre tipologie quali quelle relative all’azione di nullità ed avverso il silenzio.

 

La disciplina delle azioni è prevista dagli artt. 29 e seg. c.p.a., esse sono quella di annullamento (art. 29), di condanna (art. 30), azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità (art. 31), un cenno merita anche l’art. 32 che, al fine di rafforzare la posizione giuridica del privato verso la PA, ammette l’esperibilità di una pluralità di domande, con possibilità di conversione delle azioni.

 

Con specifico riferimento all’azione di annullamento dal combinato disposto degli artt. 29 e 34, comma 1 lettere a) ed e) si deduce una maggiore incisività dei poteri del giudice amministrativo nei confronti della PA.

 

Di fatti il giudice non soltanto può provvedere, accertata la illegittimità, all’annullamento dell’atto ma può disporre “anche misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato” anche attraverso al nomina di un commissario ad acta.

 

Quindi la PA è tenuta a dare attuazione al giudicato conformandosi al decisum del giudice al fine di ripristinare lo status quo ante.

 

Autorevole dottrina sostiene che, con riferimento agli atti vincolati, sia più profondo ed incisivo il sindacato del giudice, escludendo un tale penetrante sindacato negli atti discrezionali, seppur anche con riguardo a questi ultimi si è innanzi a forti limitazioni nei confronti della PA, posto che in caso di violazione od elusione del giudicato, ai sensi dell’art. 21 septies legge n. 241/90, si ha nullità del provvedimento amministrativo.

 

Con riferimento, invece, all’azione di condanna l’art. 30 c.p.a. prevede che può essere esperita contestualmente ad altre od in via autonoma.

 

La precedente formulazione del codice del processo amministrativo aveva disciplinato anche l’azione di esatto adempimento, infatti era previsto che “il ricorrente può chiedere la condanna dell’amministrazione all’emanazione del provvedimento denegato” (prevedendo anche che l’azione potesse essere proposta contestualmente a quella di annullamento o avverso il silenzio), tuttavia nell’attuale formulazione non vi è traccia della medesima.

 

Attenta dottrina comunque ritiene che tale tipologia di azione, seppure non prevista esplicitamente nel codice citato, sia riscontrabile nello stesso. L’art. 34, comma 1 lettera c) nel prevedere che “in caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda,….condanna….all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio” disciplina una azione di esatto adempimento, di condanna atipica potremmo dire, con cui si impone un facere specifico alla PA, sempre nei limiti della legge, e senza invadere, in ossequio al principio di separazione dei poteri, la sfera discrezionale della PA.

 

In passato specifiche ipotesi di esatto adempimento si sono riscontrate, e tuttora si riscontrano, nei giudizi sul silenzio e sull’accesso agli atti amministrativi, ove, nel caso di fondatezza dell’istanza, il giudice ordina alla PA medesima di emanare il provvedimento od impone alla stessa di far visionare, o far estrarre copia, del documento al privato istante.

 

L'interesse legittimo secondo il nuovo art.30 c.p.a

 

Con riguardo all’azione risarcitoria il nuovo art. 30 c.p.a. pone fine alla guerra insorta tra Sezioni Unite della Cassazione ed Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con riferimento alla c.d. pregiudiziale amministrativa.

 

La tesi avallata dal nuovo c.p.a. è quella della non operatività della pregiudiziale, escludendo quindi che il provvedimento debba essere impugnato ed ammettendosi la possibilità di una azione risarcitoria esperibile anche in via autonoma.

 

Tuttavia autorevole dottrina, sulla base del disposto del terzo comma dell’art. 30, ritiene che si sia in presenza, in realtà, di un sorta di pregiudizialità mascherata, se si prende in considerazione, ai fini del rigetto della domanda di parte, la mancata impugnazione del provvedimento lesivo della posizione giuridica altrui e fonte di danno.

 

Opererebbe in tali casi il meccanismo del concorso colposo del creditore ex art. 1227 c.c. con possibile aggravamento, a livello processuale, della posizione giuridica della parte istante. Si afferma che la domanda non sarebbe più ritenuta inammissibile, come in precedenza, ma rigettata nel merito.

 

Il diritto al risarcimento del danno ingiusto, con tale espressione si intende avallare la tesi della responsabilità extracontrattuale della PA, può essere chiesto sia per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, sia per il mancato esercizio di quella obbligatoria.

 

Può essere esperito, nei casi di giurisdizione esclusiva, anche per situazioni afferenti il diritto soggettivo.

 

Altre ipotesi sono specificate dal medesimo art. 30 citato, da una parte è prevista l’esperibilità dell’azione di risarcimento danni in forma specifica ex art. 2058 c.c., dall’altra il comma 4 del medesimo art. 30 disciplina l’ipotesi del c.d. danno da violazione di un interesse legittimo procedimentale relativo alla inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, si parla in dottrina di danno da ritardo mero.

 

Sempre in riferimento allo strumentario delle azioni poste a presidio dell’”incolumità” della sfera giuridica del privato rispetto all’agere illegittimo della PA il cod. proc. amm. disciplina le azioni di accertamento avverso il silenzio e della nullità dei provvedimenti emanati dalla PA ex art. 31 c.p.a.

 

Con riguardo all’azione di nullità la medesima si esperisce nel termine di decadenza di 180 giorni, la fattispecie della nullità è stata cristallizzata dal legislatore del 2005 nell’art. 21 septies legge n. 241/90. Il comma 4 dell’art 31 cit. non prevede un termine nei confronti della parte resistente per cui, si è affermato in dottrina, in qualsiasi momento ed in spregio della posizione del privato, la sua sfera giuridica possa essere lesa dalla opposizione della nullità della PA stessa.

 

L’azione avverso il silenzio, in forza anche delle novelle del 2005, del 2009, e da ultimo del 2010, è mutata rispetto al passato posto che, da una parte, si sono rafforzati notevolmente i poteri del giudice nei riguardi della PA, dall’altro conseguentemente anche le prerogative del privato verso la PA medesima sono aumentate.

 

Di fatti, secondo l’orientamento prevalente, avallato dal nuovo codice all’art. 31, il giudice, nei casi di attività vincolata o nei casi in cui residuino margini di discrezionalità della PA, può imporre un facere specifico alla stessa conoscendo della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio.

 

Quindi, se ci trova al cospetto di una attività vincolata, il giudice accerta il rapporto sottostante ed impone nei confronti della PA l’adozione di un dato provvedimento, tale attività si esclude in riferimento ai casi di esercizio di un potere discrezionale pena una illegittima ingerenza nei confronti dell’operato della PA.

 

La bozza del codice del processo precedente a quella attuale aveva, tra l’altro, espressamente disciplinato una azione di accertamento, di fatti era previsto che “chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza di un rapporto giuridico contestato con l’adozione delle consequenziali pronunzie dichiarative” e che il giudice , con la sentenza di merito, avrebbe potuto “dichiarare l’esistenza o l’inesistenza di un rapporto giuridico”.

 

La ratio era quella di porre fine, quindi, alle incertezze di un dato rapporto giuridico obbligatorio tra privato e PA, o di accertare da parte del privato la possibile sussistenza di effetti sfavorevoli derivanti dalla emanazione di un provvedimento amministrativo.

 

L’attuale formulazione del codice, invece, non l’ha prevista, tuttavia attenta dottrina ha rinvenuto nell’art. 34, comma 5 c.p.a. un addentellato normativo della suddetta azione.

 

Di fatti il comma 5 citato nel prevedere che “qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara la cessazione della materia del contendere” introduce una pronunzia che accerta determinati fatti rilevanti per un dato rapporto obbligatorio, l’esempio tipico riguarda i casi in cui la PA, agendo in via di autotutela, rimuove un provvedimento sfavorevole del privato.

 

Comunque già in precedenza il Consiglio di Stato, con la pronunzia n. 917/09 e ribadito nel corso del 2010, aveva ammesso l’esperibilità della suddetta azione in riferimento alla dichiarazione di inizio attività nel caso in cui il terzo potesse essere pregiudicato dall’inizio dell’attività in carenza dei presupposti prescritti dalla legge.

 

De jure condito, sulla base delle sue esposte considerazioni, appare oramai evidente il nuovo ruolo rivestito dall’interesse legittimo all’interno dell’ordinamento giuridico, appare evidente la sussistenza di una posizione dotata di caratteri di sostanzialità che equiparano l’interesse legittimo medesimo alla situazione giuridica per eccellenza quale quella di diritto soggettivo.

 

Questa nuova visione dell’interesse legittimo porta anche a riconsiderare i rapporti tra cittadino e PA, con particolare riferimento al rafforzamento dei poteri e delle azioni esperibili dal medesimo nei casi in cui l’agere illegittimo della PA comporti un possibile vulnus o nocumento nella sfera giuridica del privato, ciò in attuazione dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 24-103-113 Cost.