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Istigazione all’anoressia: in Italia potrebbe diventare un reato

istigazione all'anoressia
istigazione all'anoressia

Abstract

L’utilizzo dei primi blog e siti web volti a promuovere l’anoressia risale ai primi anni Novanta: si trattava per lo più di siti interamente dedicati a questo fenomeno e perciò facilmente rintracciabili dalla polizia postale, che poteva facilmente individuarli e chiuderli.

L’avvento delle piattaforme social ha poi reso difficoltosa la lotta verso i canali pro-anoressia, in quanto, essendo più aperti e flessibili, possono essere raggiunti da un maggior numero di utenti e sfuggono ad un vero controllo.

 

Indice:

1. La portata del fenomeno

2. verso l’introduzione del reato di istigazione all’anoressia: la proposta di legge del 2008 e il Decreto Bipartisan del 2014

3. la tutela della giurisprudenza verso le persone affette da disturbi alimentari

4. considerazioni conclusive

 

1. La portata del fenomeno

Nel 2012 la nota piattaforma Tumblr aveva approvato una nuova politica di moderazione verso gli account e i post che istigavano alla perdita di peso: il sito si riservava di cancellare tutti i contenuti che glorificavano o promuovevamo anoressia, bulimia e altri disordini alimentari, oltre che autolesionismo e suicidio.

In seguito, il problema migrò sulla piattaforma Pinterest, in cui iniziò a dilagare la parola chiave “thinspo”, per rintracciare immagini di corpi scheletrici e consigli di ogni tipo per ottenerlo.

è in questo periodo che viene coniato il termine “thinspiration”, l’ispirazione alla magrezza che è tutt’ora il nome usato da chi soffre di disturbi alimentari per motivarsi a perdere peso.

Un fenomeno pericoloso, divagante e mai realmente combattuto che oggi è tornato in risalto per via della notizia delle limitazioni dei profili che promuovono perdita di peso e diete rigide da parte di Tik Tok, che ha conseguentemente deciso di oscurare tutti gli account di questo genere.

 

2. Verso l’introduzione del reato di istigazione all’anoressia: la proposta di legge del 2008 e il Decreto Bipartisan del 2014

L’importanza del problema è innegabile e spinge a chiedersi quale sia attualmente la situazione legislativa e giurisprudenziale in merito all’istigazione all’anoressia e alla tutela delle persone affette da disturbi alimentari.

Nel nostro paese una legge ancora non c’è, nonostante i solleciti che si sono susseguiti nel corso degli anni:

-il 28 novembre 2008, venne presentata una proposta di legge che mirava ad oscurare i circa trecentomila siti Internet italiani che promuovevano anoressia e bulimia: il testo prevedeva l’introduzione del reato di istigazione all’anoressia e alla bulimia, disponendolo topograficamente all’articolo 580 bis del codice penale, rubricato “Istigazione al ricorso a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia o la bulimia”. La proposta di legge prevedeva la reclusione fino a un anno per chi incitava alla malattia, che sarebbero diventati due se l’istigazione avesse coinvolto minori o persone prive della capacità di intendere e di volere. Si stabilivano inoltre criteri per impedire l’accesso a siti che diffondevano messaggi pro-anoressia e bulimia.

Tuttavia, si trattò di una legge che non trovò approvazione.

-nel 2014 è stato sottoposto all’esame della commissione sanità del Senato, il Decreto Bipartisan

che, nelle more del medesimo scopo di combattere il fenomeno dell’incitamento all’anoressia e alla bulimia, prevedeva anch’esso di introdurre un titolo di reato dedicato all’istigazione all’anoressia.

Il testo mirava, al pari della proposta di legge del 2008, all’enucleazione dell’articolo 580 bis del codice penale rubricandolo stavolta “Istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l’anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare” e prevedendo che “Chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, istiga esplicitamente a pratiche di restrizione alimentare prolungata, idonee a provocare l’anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare, o ne agevola l’esecuzione è punito con la reclusione fino a un anno e con una sanzione pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000". Se il reato è commesso nei confronti di una persona minore di 14 anni o di una persona priva della capacità di intendere e di volere, si applica la pena della reclusione fino a due anni e di una sanzione pecuniaria da euro 20.000 a euro 100.000".

Il testo del Decreto Bipartisan riconoscerebbe finalmente in modo definitivo l’anoressia e gli altri disturbi dell’alimentazione come vere e proprie patologie, al fine di combattere qualsiasi voglia forma di incentivo.

Rispetto al 2008, questa proposta ha dunque la pregevolezza di aver determinato uno specifico piano di azione, che passerebbe anche tramite una maggiore educazione sanitaria ed alimentare verso la popolazione italiana ed una idonea formazione -e aggiornamento- del personale sanitario e degli insegnanti. L’ulteriore pregio si riscontra nell’intenzione di porre l’accento anche sulla necessità di diagnosi precoci di tutti i disturbi del comportamento alimentare, in un’ottica anche di prevenzione.

La previsione del regime carcerario, comune ad ambedue le proposte, è del tutto sintomatica della gravità del fenomeno, che si fa sempre più spazio soprattutto tra i più giovani.

Secondo i dati del Ministero della Salute, infatti, ogni cento ragazze tra 12 e 25 anni circa dieci soffrono di disturbi collegati all’alimentazione, che può assumere caratteristiche ossessive. Si tratta di patologie ad alto tasso di mortalità, nell’anoressia nervosa si può arrivare fino al 25% per cento, di cui il 5% è dovuto al suicidio.

Questi dati mettono in luce l’urgenza di un intervento legislativo che purtroppo, allo stato attuale, ancora non è arrivato.

Il Decreto Bipartisan è ancora al vaglio delle Camere e si auspica che divenga finalmente legge, visto che attualmente non esistono linee guida nazionali per questo fenomeno in esponenziale crescita, né misure concrete per fermarlo.

Volgendo lo sguardo sul piano europeo, la Francia ha approvato nel 2016 la “Loi Mannequin” una legge anti-anoressia indirizzata al mondo della moda: per partecipare alle sfilate occorrerà un certificato attestante l’assenza di disturbi del comportamento alimentare ed è prevista la reclusione fino a sei mesi e la multa fino a 75 mila euro per tutti coloro i quali pubblicano immagini modificate, ritraenti corpi di donne pelle ed ossa, senza specificare che si tratta di un’immagine ritoccata.

 

3. La tutela della giurisprudenza verso le persone affette da disturbi alimentari

è doveroso segnalare due interventi della Corte di Cassazione volti a tutelare le persone che soffrono di anoressia e di altri disturbi alimentari: la posizione degli Ermellini è di notevole importanza, poiché conferisce dignità sul piano previdenziale e relazione alle persone affette da disturbi alimentari.

Già nel 2002 la Corte di Cassazione Sezione Lavoro, con sentenza numero 6500, ha riconosciuto che chi rifiuta il cibo per un problema patologico grave deve essere paragonato ad una persona invalida e, pertanto, ha diritto al riconoscimento dell’invalidità.

La vicenda traeva origine dal caso di una donna calabrese affetta da una complessa condizione che inficiava le possibilità di recupero e che, se non fosse stata seguita con costanza dai familiari, avrebbe smesso di alimentarsi. La Cassazione aveva in quel contesto respinto il ricorso del Ministero dell’Interno in cui richiedeva di riconoscere alla donna la sola invalidità parziale. Con l’intervento giurisprudenziale in esame viene per la prima volta riconosciuta la totale inabilità lavorativa e l’indennità di accompagnamento in favore di chi non è capace di svolgere autonomamente gli atti quotidiani della vita, cioè “quelle azioni elementari che espleta quotidianamente una persona normale di corrispondente età e che rendono chi non è in grado di compierle bisognoso di compagnia”. “Rientrano in questa categoria coloro che non riescono autonomamente a vestirsi, a lavarsi, a nutrirsi, ad uscire di casa per fare degli acquisti”: nella sentenza viene riconosciuto che anche chi soffre di anoressia non è in grado di avere cura di sé stesso.

Inoltre, la Cassazione specifica che i diritti di chi soffre di anoressia non devono essere stabiliti in base al rigido criterio delle tabelle che identificano una percentuale di invalidità legata ad una singola patologia, ma chiede che quel criterio debba essere complessivo, cioè bisogna considerare le condizioni di salute del paziente globalmente. Sul piano pratico, ciò si traduce in un notevole passo avanti, perché le tabelle che stabiliscono la percentuale di invalidità di una patologia non fanno riferimento all’anoressia, ma solo ai disturbi psichici, in cui essa rientra.

Occorrerà dunque valutare caso per caso la sindrome anoressica e valutare se lo stadio della malattia dia diritto all’ indennità di accompagnamento: tale diritto si concretizza allorché le condizioni generali fisiche e psichiche siano tali da configurare un grave quadro di deterioramento generale. Anche i casi meno gravi, con condizioni generali solo parzialmente compromesse, potranno ottenere il riconoscimento di una certa percentuale di invalidità, senza il contemporaneo diritto all’accompagnamento.

Anche sotto il profilo dei diritti legati ai rapporti familiari, la Corte di Cassazione è intervenuta con la sentenza numero 6200 del 2009, affrontando il tema del diritto di visita ai figli minorenni da parte della madre affetta da anoressia. La Cassazione ha respinto il ricorso di un uomo avverso la sua ex moglie, in cui chiedeva di vietarle l’incontro con i figli a lui affidati proprio per "la personalità psicotica della madre" che l’aveva portata ad "un ripiegamento in sé stessa con rifiuto della vita sociale". In tal caso, per la Suprema Corte, l’anoressia non deve impedire un rapporto affettivo e ha perciò previsto che la donna debba continuare a incontrare i propri figli, seppur in modo circostanziato.

 

4. considerazioni conclusive

Lo stato dell’arte appena tracciato mette in risalto quanto sia necessario un intervento organico e preciso di repressione del fenomeno dell’istigazione all’anoressia, oltre che un pacchetto di misure necessarie ad intervenire culturalmente, promuovendo una maggiore sensibilizzazione di un fenomeno sempre più divagante e pericoloso.

Lasciare ai gestori dei social network il compito di bannare le pagine e i profili di tutti coloro i quali persuadono a perdere peso non basta, occorre la mano del legislatore.

Si spera perciò che il Decreto Bipartisan non divenga lettera morta, stante l’impellente esigenza di introdurre nel nostro Codice penale, l’articolo 580 bis.