x

x

Le devianze antigiuridiche degli adolescenti

adolescenti
adolescenti

Le devianze antigiuridiche degli adolescenti

 

I fattori di rischio

In maniera forse eccessivamente apodittica, Lipsey & Derzon (1998)[1] hanno sintetizzato che “il comportamento dei bambini è il risultato di fattori genetici, sociali ed ambientali. Tra i fattori individuali più importanti che predicono i comportamenti devianti ci sono: scarsa intelligenza e rendimento, bassa empatia ed impulsività”. Come prevedibile, gli asserti di Lipsey & Derzon (ibidem)[2] prestano il fianco al rischio di assumere e diffondere posizioni eugenetiche. Del pari, Stattin & Klackenberg (1993)[3] esasperano i dati scientifici e giungono al punto di sostenere, in un censimento criminologico su 120 maschi di Stoccolma, che “una bassa intelligenza misurata all'età di tre anni predice in modo significativo i reati registrati ufficialmente sino all'età di trent'anni. Gli autori di reato (di quattro o più reati) avevano un QI medio di 88 all'età di tre anni, mentre chi non è diventato autore di reato aveva un QI medio (all'età di tre anni) di 101”. Di nuovo, chi redige si dissocia da una tale impostazione radicale ed estremistica. Anche in uno Studio condotto nel Michigan, Schweinhart & Barnes & Weikart (1993)[4] notano che “una bassa intelligenza all'età di quattro anni prediceva significativamente il numero di arresti sino all'età di ventisette anni”. Pure Lipsitt & Buka & Lipsitt (1990)[5] si collocano entro questo solco oltranzista ed evidenziano che “un basso quoziente intellettivo all'età di quattro anni predice la delinquenza giovanile futura”. Simili, per la verità, erano gli asserti razzisti e violenti della Criminologia nazista e di quella sovietica.

Altrettanto iper-selettivo è Farrington (1992)[6], secondo cui “una scarsa intelligenza non verbale è altamente correlata con una bassa intelligenza verbale (vocabolario, comprensione delle parole, ragionamento verbale) e con un basso livello di istruzione all'età di undici anni,e tutte queste misure lasciano prevedere condanne di minori. In aggiunta al loro scarso rendimento scolastico, i delinquenti tendono ad essere spesso dei fannulloni, a lasciare la scuola alla prima età possibile (quindici anni) e a non sostenere gli esami scolastici”. Anzi, nelle Ricerche di lungo periodo di Farrington, il pessimo rendimento scolastico sarebbe criminologicamente correlato alla futura violenza domestica (Farrington, 1994[7]), al bullismo (Farrington, 1989[8]) ed alla recidiva cronica (Farrington & West, 1993[9]). Secondo il testé menzionato Autore anglofono, la c.d. “bassa intelligenza non verbale” favorisce la frequente incarcerazione, nonché la precocità delle infrazioni antinormative. Tuttavia, provvidenzialmente, Farrington (1990)[10] si auto-limita, affermando la natura criminogenetica anche di “altri fattori di rischio”, come “il basso reddito familiare, il comportamento dei genitori inadeguato nell'educazione dei figli e la scarsa supervisione dei genitori”. Come si può notare, Farrington (1990)[11] ammette, come doveroso, la non centralità assoluta del QI. La criminogenesi è sempre e comunque la risultanza di un ambiente multi-fattoriale. P.e., la cultura recepita dall'infrattore va coniugata con il problema della precarietà abitativa, della mancanza di lavoro e dell'eventuale, perenne conflittualità tra i genitori del giovane deviante. P.e., il ruolo di una famiglia patologica è rimarcato da Cohen (1955)[12], in tanto in quanto “certi ambienti familiari sono meno favorevoli di altri per lo sviluppo del ragionamento astratto. Ad esempio, i genitori di ceto sociale basso ed economicamente svantaggiati tendono a parlare in termini concreti piuttosto che astratti e tendono a vivere nel presente, con poca considerazione per il futuro”.

A parere di chi scrive, Cohen (ibidem)[13] dimentica i mille lati oscuri dei nuclei familiari medio-/alto-borghesi. Inaccettabile è pure l'eugenetica implicita di Morgan & Lilienfeld (2000)[14], per i quali “la scarsa intelligenza può essere un elemento da cui conseguono deficit cognitivi e neuropsicologici. Ad esempio, le funzioni esecutive del cervello, situate nei lobi frontali, includono il mantenimento dell'attenzione e della concentrazione, il ragionamento astratto e la formazione di concetti, l'anticipazione e la pianificazione e l'inibizione di comportamenti inappropriati o impulsivi”. Come si vede, Morgan & Lilienfeld (ibidem)[15] manifestano una fiducia incondizionata nei confronti delle neuroscienze. Ciononostante, la devianza giovanile risulta cagionata da variabili non soltanto di natura strettamente medica, come dimostra l'influsso dei pari, l'uso di stupefacenti precoce e l'approccio adolescenziale alle bevande alcoliche. In effetti, in maniera pertinente, i canadesi Seguin & Pihl & Harden & Tremblay & Boulerice (1995)[16] pongono l'accento sulle cc.dd. “avversità familiari”, come il livello di istruzione dei genitori, la provenienza della famiglia ed il basso status socioeconomico domestico. E' necessario abbandonare il mito di una psichiatria onnipotente ed onnipresente. P.e., va rigettata l'idea di Raine & Moffitt & Caspi & Loeber & Stouthamer-Loeber & Lynam (2005)[17], secondo i quali “gli autori di reati, durante tutto il corso della vita, hanno un danneggiamento neuro-cognitivo”. Ecco, nuovamente, il Leviatano di una Medicina tracotante che “patologizza” ogni forma di criminalità. Analogamente, Farrington (2006)[18] commette un grave errore nell'affermare che “un basso indice di intelligenza predice l'insuccesso scolastico e ci sono molte teorie criminali che suggeriscono come l'insuccesso scolastico porti alla delinquenza”.

A parere di chi commenta, Farrington (2006)[19] assolutizza il ruolo dell'agenzia di controllo di matrice scolastica. P.e., la famiglia, se dissociata, risulta essere un fattore criminogeno assai più rilevante. Oppure ancora, si ponga mente all'eventuale approccio dell'infra-18enne al mondo delle sostanze d'abuso. Di più, si pensi alla variabile del gruppo etnico di provenienza. A tal proposito, Lynam (1996)[20] ha messo in evidenza le differenze profonde tra ragazzi afroamericani e coetanei infrattori caucasici. Dunque, le cc.dd. “funzioni esecutive” del cervello non costituiscono una chiave di lettura universale, poiché l'approccio sociologico rimane indispensabile.

Un'altra variabile da considerare è la capacità di sintonia empatica con la parte lesa. Tuttavia, a titolo preliminare, giova distinguere tra l'empatia cognitiva, ovvero quella superficiale, e l'empatia emozionale, la quale determina il pentimento del reo e la sua volontà riparatrice. Secondo Jolliffe & Farrington (2004)[21] “una bassa empatia cognitiva è fortemente correlata con i reati”, in tanto in quanto il responsabile dell'infrazione antigiuridica non riesce a prevedere il grado di dolore causato alla parte offesa e, eventualmente, ai relativi familiari. Sempre con attinenza al legame più o meno empatico tra soggetto agente e vittima, l'australiano Mak (1991)[22] ha evidenziato che “le donne delinquenti hanno una minor empatia rispetto alle donne non delinquenti, [...[ ma non vi sono differenze significative nei maschi”. Nella Criminologia finlandese, Kaukiainen & Bjorkvist & Lagerspetz & Osterman & Salmivalli & Rothberg & Ahlbom (1999)[23] rimarcano che “l'empatia (cognitiva ed emotiva insieme) sono correlate proporzionalmente con l'aggressività” Il reo è solitamente privo di empatia anche nello Studio degli spagnoli Luengo & Otero & Carillo de la Pena & Miron (1994)[24].

Assai degna di nota è la “scala dell'empatia di base” teorizzata da Jolliffe & Farrington (2006)[25]. E' opinione dei due predetti Dottrinari britannici che “la bassa empatia affettiva è correlata al crimine ed alle violenze auto-denunziate sia per i maschi, sia per le femmine. Una bassa empatia cognitiva è correlata a gravi furti (inclusi i furti con scasso e furto d'auto) nei maschi. La bassa empatia affettiva e cognitiva è correlata alle risse ed al vandalismo nei maschi ed al furto da un'altra persona nelle femmine. Perciò, una bassa empatia potrebbe essere un importante fattore di rischio per la delinquenza”. In effetti, nella Prassi trattamentale carceraria quotidiana, il soggetto non empatico cognitivamente non percepisce il dolore arrecato alla persona offesa ed affettivamente reputa inutile o, perlomeno, secondario intraprendere un percorso di giustizia riparativa.

 

Il problema della famiglia criminogena

Fatte salve le debite eccezioni, consta che una famiglia “tossica” può aumentare il rischio di criminogenesi nella prole in età adolescenziale. A tal proposito, Lipsey & Derzon (ibidem)[26] hanno monitorato un campione di ragazzi dai 15 ai 25 anni, i quali manifestavano segnali di evidente devianza già all'età di 6-11 anni. Da tale Studio del 1998 è emerso che tali infrattori evidenziavano, sin dall'infanzia, “genitori con comportamento antisociale, [erano] di sesso maschile e [presentavano] stato socioeconomico familiare basso e fattori psicologici [destabilizzanti] (impulsività e bassa concentrazione)”. Del pari, Farrington (2006)[27] sottolinea che “[altri] predittori che si sono dimostrati fortemente correlati con i reati sono: far parte di una minoranza etnica, poche relazioni genitore-bambino (poca supervisione, disciplina, basso coinvolgimento dei genitori, basso calore genitoriale) ed altre caratteristiche familiari (stress dei genitori e discordia tra i genitori), gruppo dei pari antisociale, bassa intelligenza e basso rendimento scolastico. Al contrario, gli abusi genitoriali sono un fattore predittivo debole”. Nuovamente, chi commenta esorta l'interprete a non assolutizzare gli asserti di Farrington (2006)[28]. L'agenzia di controllo familiare, infatti, non va percepita come la causa di tutti i mali. E' sempre e comunque necessaria un'attenta contestualizzazione. Sempre Farrington (1996)[29], con un fare eccessivamente apodittico e schematico, individua sette categorie di fattori familiari malsani, ovverosia “genitori e fratelli criminali ed antisociali, metodi di educazione dei figli, abuso fisico e sessuale o negligenza, conflitti genitoriali (giovane età, abuso di sostanze, stress o pressione, madri lavoratrici)”.

Chi redige si dissocia da una visione automatica del nesso tra famiglia problematica e devianze giovanili. Infatti, nel bene o nel male, la famiglia reca pur sempre un ruolo primario ontologicamente non delegabile. Altrettanto sgradevolmente dogmatico è Robins (1979)[30], a parere del quale “genitori criminali ed antisociali tendono ad avere figli delinquenti ed antisociali”. In Robins (ibidem)[31], il verbo “tendono” significa che la criminogenesi adolescenziale non è mai algebricamente ed inevitabilmente prevedibile, in tanto in quanto l'infra-25enne non sempre segue l'esempio antigiuridico di genitori o fratelli maggiori. Dopo aver esaminato 400 maschi di Cambridge tra gli 8 ed i 48 anni, Farrington & Welsh (2006)[32] concludono che “avere un fratello, una sorella o una madre o un padre condannati ha previsto le stesse condanne nei soggetti maschi. P.e., il 63 % dei ragazzi che avevano padri condannati è stato condannato a sua volta, comparato con il 30 % del resto. Le relazioni tra persone dello stesso sesso erano più forti rispetto alle relazioni tra persone di sesso opposto ed i fratelli maggiori erano predittori più forti rispetto ai fratelli più piccoli”. Farrington & Welsh (ibidem)[33] manifestano le medesime, orribili teorie deterministiche di Lombroso e di Ferri. Parimenti, Loeber & Farrington (1998)[34] giungono ad asserire che “gli arresti di padri, madri, sorelle, fratelli, zii e zie, nonni e nonne hanno tutti predetto la delinquenza dei ragazzi”.

Dunque, nemmeno Loeber & Farrington (ibidem)[35] si sottraggono ad una errata visione assolutizzante della famiglia patologica. D'altronde, pure Farrington & Petrosino (2001)[36] affermano, con eccessiva rigidità interpretativa, che “il parente più importante [e criminogeno, ndr] è il padre; infatti, gli arresti del padre predicono la delinquenza del ragazzo, indipendentemente da tutti gli altri parenti arrestati”. Farrington & Petrosino (ibidem)[37] manifestano una visione criminologica estremamente rigida ed univoca. P.e., nella maggior parte delle fattispecie delittuose, il gruppo dei coetanei possiede un ruolo educativo più importante di quello della famiglia. Da rigettare è pure la conclusione di Farrington & Coid (2003)[38], per i quali “avere un parente arrestato o un fratello maggiore delinquente, entro il decimo anno d'età, è tra i migliori predittori, per l'età compresa tra gli 8 ed i 10 anni, del comportamento antisociale successivo del minorenne”. Da notare è, secondo chi commenta, che da tale determinismo si sottraggono le adolescenti femmine e le giovani donne tra i 18 ed i 25 anni d'età. Quindi, anche nei Paesi anglofoni, la devianza femminile è diversa o, ognimmodo, meno etero-lesiva. Fortunatamente, Farrington (2002)[39] torna ad una prospettiva non mono-fattoriale della delinquenza giovanile, ossia “la delinquenza tende a concentrarsi in certe famiglie ed è trasmessa da una generazione all'altra […]. Potrebbero esserci continuità intergenerazionali nell'esposizione a molteplici fattori di rischio. P.e., ogni generazione successiva può rimanere intrappolata nella povertà, avere famiglie distrutte, genitori single o adolescenti, e probabilmente vivere nei quartieri più svantaggiati”. Pertanto, in Farrington (2002)[40] non è ontologicamente criminogena la famiglia, bensì il contesto familiare in cui deve vivere il nucleo familiare. Ecco, dunque, la centralità del problema della precarietà abitativa o della ghettizzazione urbana delle minoranze etniche.

Anche West & Farrington (1977)[41] debbono riconoscere la multi-fattorialità delle devianze giovanili, in tanto in quanto “ci sono costellazioni di caratteristiche del contesto familiare (tra cui povertà, disarmonia nell'educazione dei figli e la criminalità dei genitori) che porta ad un'altrettanta costellazione di caratteristiche antisociali durante la crescita dei bambini, tra i quali la criminalità è il primo elemento […] la trasmissione intergenerazionale del reato fa parte di un più amplio ciclo di deprivazione e comportamento antisociale”. Suggestiva, seppur non condivisibile, è la teoria dell'”accoppiamento assortativo” di West & Farrington (ibidem)[42], ovverosia “le femmine delinquenti tendono a sposarsi con delinquenti maschi […]. I bambini con genitori criminali sono sproporzionatamente antisociali”. Ancora una volta, West & Farrington (ibidem)[43] richiamano, più o meno volontariamente, il determinismo eugenetico di Lombroso. Aberranti sono pure Farrington & Petrosino (ibidem)[44], i quali giungono al punto di sostenere che “l'effetto di un genitore criminale sulla delinquenza del bambino è mediato da meccanismi ambientali […]. I padri arrestati tendono ad avere figli delinquenti, perché tendono a mettere incinte giovani donne, a vivere in pessimi quartieri e ad utilizzare metodi di educazione che non hanno sviluppato una forte coscienza in loro”. A parere di chi redige, il dogmatismo rigido e rigoroso di Farrington & Petrosino (ibidem)[45] supera i limiti della decenza, in tanto in quanto pure le famiglie benestanti e borghesi possono sviluppare una prole deviante e violenta.

Meno apoditticamente, Sampson & Laub (1993)[46] si concentrano sul tipo di pedagogia scelta dai genitori, i quali “agiscono uno scarso controllo [e questo è] un collegamento tra padri criminali e figli delinquenti […] [Ma] la devianza materna e paterna (criminalità o alcolismo) non determina la delinquenza di un ragazzo [poiché esistono pure] altri fattori familiari, come scarsa supervisione, dura disciplina, rifiuto dei genitori o basso attaccamento”. Non manca chi ha rivisitato la teoria delle tare ereditarie. P.e., Brennan & Mednick (1993)[47] reputano che “l'effetto dei genitori criminali sulla delinquenza dei figli è mediato da meccanismi genetici […]. I gemelli omozigoti sono molto più concordi nella delinquenza rispetto a gemelli eterozigoti [...[ [e] Studi sull'adozione mostrano che la delinquenza dei bambini adottati è correlata alla delinquenza dei loro genitori biologici”. Come prevedibile, le posizioni pseudo-criminologiche di Brennan & Mednick (ibidem)[48] vanno totalmente rigettate.

 

Le scelte pedagogiche nei confronti della prole

Senza dubbio, Rothbaum & Weisz (1994)[49] hanno piena ragione nell'affermare che “molti tipi di allevamento dei figli predicono la delinquenza nei bambini. Le più importanti dimensioni sull'educazione dei figli sono: la supervisione o il monitoraggio dei bambini, la disciplina o il rinforzo genitoriale, calore o freddezza nelle relazioni emotive ed il coinvolgimento dei genitori con i bambini […]. Questi costrutti sono difficili da misurare e ne è una prova che i risultati [statistici] differiscano a seconda del metodo di misurazione” Basilare è il monitoraggio della prole; in effetti, assai pertinentemente, Farrington & Loeber (1999)[50] evidenziano che “la scarsa supervisione genitoriale è generalmente il predittore più forte della delinquenza”. A tal proposito, del tutto condivisibili sono Smith & Stern (1997)[51], a parere dei quali “in genere [la mancanza di controllo parentale] predice un rischio duplice di commettere crimini. Molti Studi dimostrano che i genitori che non sanno dove sono i loro figli quando sono fuori, ed i genitori che lasciano vagare i propri figli per strada senza sorveglianza sin dalla tenera età, tendono ad avere figli delinquenti”. Del pari, centrano bene il bersaglio Haapasalo & Pokela (1999)[52] nell'asserire che “la disciplina genitoriale consiste nel come i genitori reagiscono al comportamento di un bambino. E' chiaro che una disciplina dura e punitiva (che coinvolge anche la punizione fisica) predice la delinquenza di un bambino”.

In effetti, molte Ricerche criminologiche redatte nel Regno Unito hanno rivelato che i bambini schiaffeggiati o, comunque, percossi tra i 7 e gli 1 anni tendono maggiormente alla devianza aggressiva. Anzi Farrington & West (1990)[53] notano che “anche una disciplina incoerente o errata predice la delinquenza. Questo può comportare una disciplina errata da parte di un genitore, qualche volta chiudendo un occhio sul cattivo comportamento, qualche volta punendo severamente. Oppure [può sussistere] una disciplina incoerente tra i due genitori, con un genitore che si mostra essere tollerante ed indulgente, e l'altro che mostra di essere troppo punitivo”. In forma dubitativa, Farrington & West (ibidem)[54] asseriscono che “non è chiaro se una disciplina troppo rilassata predìca la delinquenza”. Equilibrato e ragionevole è pure McCord (1997)[55], ovverosia “genitori freddi e rifiutanti tendono ad avere figli delinquenti […] Il calore dei genitori può agire come un fattore protettivo contro gli effetti della punizione fisica”. Evidente e prevedibile, come osservato da Farrington & West (ibidem)[56] è pure il fatto che “un basso coinvolgimento dei genitori nelle attività del bambino predice la delinquenza […] avere un padre che non si è mai unito alle attività creative dei [propri] bambini ha raddoppiato il rischio di commettere reati”.

Similmente, Gorman-Smith (1996)[57] rimarca che “la scarsa comunicazione genitore-figlio predice spesso la delinquenza […] la bassa coesione familiare è il più importante predittore della [futura] violenza dell'adolescente”. In maniera fors'anche eccessivamente schematica, Baumrind (1966)[58] distingueva la pedagogia autoritaria da quella autorevole e da quella permissiva, nel senso che “i genitori autoritari controllano, puniscono, sono esigenti e piuttosto freddi; i genitori autorevoli stabiliscono regole ferme, ma sono anche cordiali e concedono al bambino una certa autonomia; i genitori permissivi sono piuttosto rilassati, non punitivi e calorosi. I genitori autorevoli e permissivi hanno una buona comunicazione con i loro figli, negoziando, spiegando ed essendo sensibili ai bisogni del bambino […]. Avere genitori autoritari è il secondo fattore predittivo più importante (dopo iperattività e scarsa concentrazione) di condanne per violenza”. D'altra parte, l'”attaccamento” psicologico al genitore è decisivo nella crescita della prole. A tal proposito, Carlson & Sroufe (1995)[59] precisano che “la teoria dell'attaccamento suggerisce che i bambini che non sono emotivamente attaccati al calore, all'amore ed al rispetto della legge dei genitori tendono a diventare delinquenti”. Ora, tale “attachment” verso i genitori si trasforma, successivamente, in un legame più o meno forte e rispettoso con gli altri consociati. Per cui, giustamente, Catalano & Arthur & Hawkins & Bergland & Olson (1998)[60] precisano che “la delinquenza dipende dalla forza o dalla debolezza del legame di un bambino con la società”. Come si può notare, nella Dottrina criminologica, l'antisocialità familiare diverrà antisocialità scolastica, per poi trasformarsi in antisocialità verso le regole della pacifica convivenza collettiva. Dunque, un pessimo inserimento nel piccolo gruppo della famiglia genererà un “attachment” altrettanto infrattivo e problematico nella comunità scolastica e, poi, in quella sociale. Le agenzie educative preparano l'inserimento in contesti normativi di mano in mano più allargati.

Come prevedibile, peraltro, non sono mancate le Dottrine eugenetiche. P.e., negli USA, taluni attribuiscono l'eventuale insuccesso delle pedagogie familiari a presunti fattori genetici ereditari. Tale era pure l'orribile nozione di “tara mentale” nella pseudo-criminologia nazista. Detti Autori pretendono di sostituire gli influssi familiari, scolastici ed ambientali con la ratio di un “destino” criminale infallibilmente certo e precostituito.

Secondo Bowlby (1951)[61], “le famiglie distrutte causano delinquenza […]. L'amore materno, nell'infanzia, è altrettanto importante, per la salute mentale, quanto le vitamine e le proteine per la salute fisica […]. E' essenziale che un bambino sperimenti una relazione calda, amorevole e continua con una figura materna. Se un bambino soffre di un prolungato periodo di deprivazione materna, durante i primi cinque anni di vita, questo ha effetti negativi irreversibili, incluso il diventare freddo, con un carattere senza affetto e un delinquente […]. In generale, si è riscontrato che i bambini separati da un genitore biologico hanno maggiori probabilità di delinquere rispetto ai figli di famiglie integre” La tesi criminologica di Bowlby (ibidem)[62] ha riscontrato un notevole successo in Dottrina. P.e., una trentina d'anni dopo, McCord (1982)[63] ha evidenziato che “la prevalenza di reati è alta per i ragazzi provenienti da famiglie divise senza madri affettuose (62%) e per quelli provenienti da famiglie distrutte a causa di conflitti genitoriali (52%), indipendentemente dal fatto che abbiano madri affettuose. La prevalenza di reati è bassa per le famiglie distrutte senza conflitti (26%) e, cosa importante, altrettanto bassa per i ragazzi che provengono da famiglie interrotte con madri affettuose. Questi risultati suggeriscono che potrebbe non essere la famiglia distrutta ad essere criminogenetica, quanto, piuttosto, il conflitto genitoriale che spesso la causa. Essi suggeriscono anche che una madre amorevole potrebbe, in un certo senso, essere in grado di compensare la perdita di un padre”.

In buona sostanza, McCord (1982)[64] conferma la plurimillenaria funzionalità della famiglia matriarcale mediterranea. Queste tesi sono confermate da Juby & Farrington (2001)[65], in tanto in quanto “mentre i ragazzi di famiglie distrutte (famiglie distrutte permanentemente) sono più delinquenti dei ragazzi provenienti da famiglie intatte, non sono [però] più delinquenti dei ragazzi provenienti da famiglie intatte [ma] con un alto conflitto”. A parere di chi scrive, ognimmodo, gli asserti di Juby & Farrington (ibidem)[66], come sempre, non hanno il valore di teoremi matematici assolutamente certi ed ineludibili. Similmente, Haas & Farrington & Killias & Sattar (2004)[67] hanno osservato che “nel complesso, i ragazzi che sono rimasti con la loro madre dopo la separazione hanno avuto lo stesso tasso di delinquenza dei ragazzi provenienti da famiglie rimaste unite, ma con un alto conflitto. I ragazzi che sono rimasti con i padri, con parenti o con altri (ad esempio, genitori adottivi) avevano tassi di delinquenza alti”. Tuttavia, tutte le summenzionate Statistiche sono riferite alla criminogenesi di figli maschi, mentre le figlie femmine risultano maggiormente estranee a fenomeni delinquenziali giovanili.

Inoltre, chi commenta ribadisce che Bowlby (ibidem)[68] ed i propri allievi non hanno elaborato teorie assolutamente certe ed infallibili. La criminalità ha sempre un'eziologia multifattoriale. P.e., si ponga mente alle periferie nelle quali si concentrano le minoranze etniche. Oppure ancora, si consideri pure che la gravidanza in età adolescenziale è problematica, giacché, come notato da Morash & Rucker (1989)[69], “le madri adolescenti, associate ad un basso reddito familiare, ed all'assenza dei padri biologici, usano mediocri metodi educativi; i loro figli hanno bassi risultati scolastici e sono delinquenti. Tuttavia, la presenza del padre biologico mitiga molti di questi fattori avversi e, generalmente, sembra avere un effetto protettivo”. Di nuovo, chi commenta non assolutizza le affermazioni suesposte. Infatti, è necessario analizzare singolarmente ogni concreta situazione. P.e., Morash & Rucker (ibidem)[70] sottovalutano il ruolo centrale di supporto dei nonni e dei parenti in linea materna. Analogamente, non vanno ipostatizzati Conseur & Rivara & Emanuel (1997)[71], secondo i quali “i bambini di madri adolescenti o madri non sposate hanno un significativo incremento del rischio di delinquere. I ragazzi nati da 17enni non sposate hanno 11 volte il rischio di delinquere rispetto ai ragazzi nati da madri ventenni (o più) sposate”. P.e., molto dipende dal metodo pedagogico scelto dalla famiglia; la Criminologia non può essere una scienza graniticamente esatta.

 

L'eventuale ruolo criminogeno dei coetanei

Secondo Elliott & Huizinga & Ageton (1985)[72] “il comportamento deviante [giovanile] è fortemente correlato al coinvolgimento con i pari devianti […]. Avere coetanei antisociali è l'unica variabile con un effetto diretto sulla delinquenza successiva”. Del pari, Hoge & Andrews & Leschied (1994)[73] rimarcano anch'essi che “fattori quali il comportamento delinquenziale tra i pari, l'approvazione da parte dei pari del comportamento deviante, l'attaccamento e la fedeltà ai coetanei, il tempo trascorso con loro, sono [quasi sempre] tutti associati al comportamento deviante degli adolescenti”. Ragionevoli e realisti sono pure Thornberry & Lizotte & Krohn & Farnworth & Joon-Jang (1994)[74], ovverosia “si può dire che gli effetti che i coetanei devianti hanno sulla delinquenza aumentano se gli adolescenti si sentono approvati per i loro comportamenti dai coetanei, se trascorrono molto tempo con loro e se percepiscono la pressione dei loro pari a compiere atti delinquenti” A parere di Dishion & Andrews (1995)[75], esiste una sorta di “contagio” criminogeno all'interno dei gruppi giovanili, in tanto in quanto “gran parte della ricerca evolutiva sulle influenze dei pari si è concentrata sulla delinquenza adolescenziale. Studi sociologici hanno dimostrato che il comportamento deviante è concentrato in alcuni gruppi di adolescenti. Gang, cricche e gruppi di pari variano nei loro tassi di devianza, ma se un membro del gruppo è coinvolto in un problema comportamentale, esiste un'alta probabilità che gli altri membri facciano lo stesso”. Nessuno, nella Criminologia occidentale, dubita, come sostenuto da Thornberry & Krohn (2003)[76], “l'affiliazione con pari devianti è associata alla crescita del comportamento delinquenziale [e questa] è una delle scoperte più solide nella Letteratura sulla delinquenza giovanile”. Anzi, Thornberry & Krohn (ibidem)[77] evidenziano che, nella prassi quotidiana, “l'esposizione a coetanei devianti è collegata [spesso] all'aumento di un'ampia gamma di comportamenti delinquenti, compreso l'uso di droghe”. A parere di chi redige, in effetti, le sostanze d'abuso, comprese le bevande alcoliche, potenziano il dolo eventuale, nella sua dimensione di assunzione di rischi antigiuridici sproporzionatamente gravi. Elliott & Menard (1996)[78] asseriscono che “[la criminogenesi del gruppo dei pari reca a] comportamenti antisociali nascosti, reati violenti e comportamento sessuale precoce e ad alto rischio […] L'affiliazione tra pari devianti è un predittore più forte del comportamento delinquenziale rispetto a variabili come le caratteristiche della famiglia, della scuola e della comunità”.

Dunque, si può ben affermare che, sovente, il gruppo dei coetanei si tramuta in un'anti-agenzia educativa che scardina gli approcci pedagogici corretti veicolati dall'ambito familiare e da quello scolastico. Tuttavia, in Sutherland (1936)[79] è espresso il dubbio legittimo “se i pari devianti diano un contributo unico allo sviluppo del comportamento delinquenziale, o se semplicemente riflettano un fattore esplicativo sottostante comune tra coloro i quali hanno una predisposizione alla criminalità”. Come si può notare, Sutherland (ibidem)[80] ribadisce la multi-fattorialità delle devianze adolescenziali. Anche Elliott & Huizinga & Ageton (ibidem)[81] rafforzano tale idea della multi-fattorialità, giacché “tutti i fattori si influenzano reciprocamente nel corso della carriera criminale di un adolescente”. Pertanto, molti Dottrinari esortano a non demonizzare solo la famiglia dissociata o solo una formazione scolastica che è stata fallimentare. Inoltre, per Patterson & Dishion & Yoerger (2000)[82], molto dipende dall'età in cui inizia la criminogenesi. Taluni infra-25enni sono a-sintomatici per molto tempo, mentre altri esprimono la loro violenza etero-lesiva già durante il periodo della scuola dell'obbligo. Anche Elliott & Menard (ibidem)[83] asseriscono, a ragion veduta, che “il gruppo che inizia ad avere comportamenti devianti in ritardo riceve la spinta primaria dall'esposizione a giovani che, al contrario, iniziano presto. In effetti, esistono prove considerevoli a sostegno dell'ipotesi che le influenze devianti tra pari giochino un ruolo importante sia nell'iniziazione sia nell'aggravamento della delinquenza ad esordio tardivo”. Di nuovo, tra l'altro, molti Dottrinari anglofoni giungono al punto di affermare che la famiglia, anche se “tossica”, influisce in misura minore rispetto al gruppo dei coetanei antisociali. Perciò, non errava Sutherland (ibidem)[84] nell'osservare che “le persone apprendono definizioni o atteggiamenti riguardo alle violazioni della legge nel contesto di gruppi primari intimi [ancorché non solo nel contesto della famiglia, ndr]”. Oppure ancora, svariati Autori hanno evidenziato la pericolosità estrema delle prime esperienze tossicomaniacali di gruppo
 

 

[1]Lipsey & Derzon, Predictors of violent or serious delinquency in adolescence and early adulthood: A synthesis of longitudinal research, in Loeber & Farrington, Serious and violent juvenile offenders: Risk factors and succesful interventions, Sage Publications, New York, 1998

 

[2]    Lipsey & Derzon, op. cit.

 

[3]Stattin & Klackenberg, early language and intelligence development and their relationship to future criminal behavior. Journal of Abnormal Psychology, 102(3)

 

[4]Schweinhart & Barnes & Weikart, Significant Benefits: The High/Scope Perry Preschool Study Through Age 27, Ypsilanti, High/Scope Press, Michigan, 1993

 

[5]Lipsitt & Buka & Lipsitt, Early intelligence scores and subsequent delinquency: A prospective study. American Journal of Family Therapy, 18, 1990

 

[6]Farrington, Juvenile delinquency. In Coleman, The School Years, Routledge, London, 1992

 

[7]Farrington, Editorial. Criminal Behaviour and Mental Health, 4(2), 1994

 

[8]Farrington, early predictors of adolescent aggression and adult violence. Violence and Victims, 4(2), 1989

 

[9]Farrington & West, Criminal, penal and life histories of chronic offenders; Risk and protective factors and early identification. Criminal Behaviour and Mental Health, 3, 1993

[10]Farrington, Implications of criminal career research for the prevention of offending. Journal of Adolescence, 13, 1990

 

[11]Farrington, op. cit.

 

[12]Cohen, Delinquent Boys: The Culture of the Gang, Free Press, Illinois, 1955

 

[13]Cohen, op. cit.

 

[14]Morgan & Lilienfeld, A meta-analytic review of the relation between antisocial behaviour and neuropsychological measures of executive function. Clinical Psychology Review, 20, 2000

 

[15]Morgan & Lilienfeld, op. cit.

 

[16]Seguin & Pihl & Harden & Tremblay & Boulerice, Cognitive and neuropsychological characteristics of physically aggressive boys. Journal of Abnormal Psychology, 104, 1995

 

[17]Raine & Moffitt & Caspi & Loeber & Stouthamer-Loeber & Lynam, Neurocognitive impairments in boys on the life-course persistent antisocial path. Journal of Abnormal Psychology, 114, 2005

 

[18]Farrington, Developmental and life-course criminology, in Schneider, International Handbook of Criminology, De Gruyter, Berlin, 2006

 

[19]Farrington, op. cit.

 

[20]Lynam, Early identification of chronic offenders: Who is the fledgling psychopath ? Psychological Bulletin, 120, 1996

 

[21]Jolliffe & Farrington, Empathy and offending: A systematic review and metaanalysis. Aggression and Violent Behaviour, 9, 2004

 

[22]Mak, Psychosocial control characteristics of delinquents and nondcelinquents. Criminal Justice and Behaviour, 18, 1991

 

[23]Kaukiainen & Bjorkvist & Lagerspetz & Osterman & Salmivalli & Rothberg & Ahlbom, The relationship between social intelligence, empathy and three types of aggression. Aggressive Behaviour, 25, 1999

 

[24]Luengo & Otero & Carillo de la Pena & Miron, Dimensions of antisocial behaviour in juvenile delinquency: A study of personality variables. Psychology, Crime and Law, 1, 1994

 

[25]Jolliffe & Farrington, Development and validation of the Basic Empathy Scale, Journal of Adolescence, 2006

 

[26]Lipsey & Derzon, op. cit.

 

[27]Farrington, op. cit.

 

[28]Farrington, op. cit.

 

[29]Farrington, Understanding and Preventing Youth Crime, Joseph Rowntree Foundation, 1996

 

[30]Robins, Study childhood predictors od adult outcomes: Replications from longitudinal studies, in Barrett & Rose & Klerman, Stress and Mental Disorder, Raven Press, New York, 1979

 

[31]Robins, op. cit.

 

[32]Farrington & Welsh, A half-century of randomized experiments on crime and justice, in Tonry, Crime and Justice, Vol. 34, University of Chicago Press, Chicago, 2006

 

[33]Farrington & Welsh, op. cit.

 

[34]Loeber & Farrington, Serious and Violent Juvenile Offenders: Risk Factors and Successful Interventions. Contemporary Sociology, 28(4), Thousand Oaks, California, 1998

 

[35]Loeber & Farrington, op. cit.

 

[36]Farrington & Petrosino, The Campbell Collaboration Crime and Justice Group. Annals of the American Academy of Political and Social Science, 578, 2001

 

[37]Farrington & Petrosino, op. cit.

 

[38]Farrington & Coid, early Prevention of Adult Antisocial Behaviour, Cambridge University Press, Cambridge, 2003

 

[39]Farrington, Multiple risk factors for multiple problem violent boys, in Corrado & Roesch & Hart & Gierowski, Mlti-problem Violent Youth: A Foundation for Comparative Research on Needs, Interventions and Outcomes, IOS Press, Amsterdam, 2002

 

[40]Farrington, op. cit.

 

[41]West & Farrington, The Delinquent Way of Life. British Journal of Psychiatry, 133(2), 1977

 

[42]West & Farrington, op. cit.

 

[43]West & Farrington, op. cit.

 

[44]Farrington & Petrosino, op. cit.

 

[45]Farrington & Petrosino, op. cit.

 

[46]Sampson & Laub, Crime in the making. Crime and Delinquency, 39(3), 1993

 

[47]Brennan & Mednick, Parental psychopathology, congenital factors and violence, in Hodgins, Mental disorder and crime, Sage Publications, New York, 1993

 

[48]Brennan & Mednick, op. cit.

 

[49]Rothbaum & Weisz, Parental caregiving and child externalizing behavior in nonclinical samples: A meta-analysis, Psychological Bulletin, 116(1), 1994

 

[50]Farrington & Loeber, Transatlantic replicability of risk factors in the development of delinquency, in Cohen & Slomkowski & Robins, Historical and Geographical Influences on Psychopathology, Lawrence Erlbaum, Mahwah, 1999

 

[51]Smith & Stern, Delinquency and antisocial behaviour: A review of family processes and intervention research, Social Service Review, 71, 1997

 

[52]Haapasalo & Pokela, Child-rearing and child abuse antecedents of criminality, Aggression and Violent Behaviour, 4(1), 1999

 

[53]Farrington & West, The Cambridge Study in Delinquent Development: A long-term follow-up of 411 London males, in Kerner & Kaiser, Criminality: Personality, Behaviour and Life History, Springer Verlag, Berlin, 1990

 

[54]Farrington & west, op. cit.

 

[55]Mc Cord, On discipline. Psychological Inquiry, 1997

 

[56]Farrington & West, op. cit.

 

[57]Gorman-Smith, The Relation of Family Functioning to Violence Among Inner-City Minority Youths, Journal of Family Psychology, 10(2), 1996

 

[58]Baumrind, Effects of Authoritative Parental Control on Child Behavior, Child Development, 37(4), 1966

 

[59]Carlson & Sroufe, Contribution of attachment theory to developmental psychopathology, in Cicchetti & Cohen, Developmental Psychopathology, Vol. 1, Theory and Methods, Wiley, New York, 1995

 

[60]Catalano & Arthur & Hawkins & Bergland & Olson, Comprehensive community and school-based interventions to prevent antisocial behavior, in Loeber & Farrington, Serious and violent juvenile offenders: Risk factors and successful interventions, Sage Publications, Thousand Oaks, CA, 1998

 

[61]Bowlby, Maternal Care and Mental Health. Bulletin of the World Health Organization, 3(3), 1951

 

[62]Bowlby, op. cit.

 

[63]McCord, A longitudinal view of the relationship between paternal absence and crime, in Gunn & Farrington, Abnormal Offenders, Delinquency and the Criminal Justice System, Wiley, Chichester, 1982

 

[64]McCord, op. cit.

 

[65]Juby & Farrington, Disentangling the link between disrupted families and delinquency, British Journal of Criminology, 41(1), 2001

 

[66]Juby & Farrington, op. cit.

 

[67]Haas & Farrington & Killias & Sattar, The impact of different family configurations on delinquency, British Journal of Criminology, 44(4), 2004

 

[68]Bowlby, op. cit.

 

[69]Morash & Rucker, An exploratory study of the connection of mother's age at childbearing to her children's delinquency in four data sets. Crime and Delinquency, 35(1), 1989

 

[70]Morash & Rucker, op. cit.

 

[71]Conseur & Rivara & Emanuel, juvenile Delinquency and Adolescent Trauma: How Strong Is the Connection ? Pediatrics, 99(3), 1997

 

[72]Elliott & Huizinga & Ageton, Explaining Delinquency and Drug Use, Sage, Beverly Hills, CA, 1985

 

[73]Hoge & Andrews & Leschied, Tests of three hypotheses regarding the predictors of delinquency, Journal of abnormal child psychology, 22(5), 1994

 

[74]Thornberry & Lizotte & Krohn & Farnworth & Joon-Jang, Delinquent peers, beliefs and delinquent behavior: A longitudinal test of interactional theory, Criminology, 32(1), 1994

 

[75]Dishion & Andrews, Preventing escalation in problem behaviors with high-risk young adolescents: Immediate and 1-year outcomes, Journal Consulting and Clinical Psychology, 63(4), 1995

 

[76]Thornberry & Krohn, Taking Stock of Delinquency: An Overview of Findings from Contemporary Longitudinal Studies, Kluwer/Plenum, New York, 2003

 

[77]Thornberry & Krohn, op. cit.

 

[78]Elliott & Menard, Delinquent friends and delinquent behavior: Temporal and developmental patterns, in Hawkins, Cambridge criminology series. Delinquency and crime: Current theories, Cambridge university Press, Cambridge, 1996

 

[79]Sutherland, Principles of criminology, Lippincott, Philadelphia, 1936

 

[80]Sutherland, op. cit.

 

[81]Elliott & Huizinga & Ageton, op. cit.

 

[82]Patterson & Dishion & Yoerger, Adolescent Growth in New Forms of Problem Behavior: Macro- and Micro-Peer Dynamics. Prevention science: the official journal of the Society for Prevention Research, 1(1), 2000

 

[83]Elliott & Menard, op. cit.

 

[84]Sutherland, op. cit.