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La Cassazione si pronuncia sulla cessazione dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne

Quando cessa l’obbligo di mantenimento del figlio? Nel caso di specie una donna si era vista rifiutare in sede di giudizio di primo e secondo grado (Tribunale e Corte d’appello di Genova) la domanda di mantenimento in quanto risultava provato che il figlio da sei anni gestiva una attività commerciale, essendo legale rappresentante di una società esercente commercio al minuto di articoli di cancelleria, libri, bigiotteria e giocattoli.

Sempre la Corte d’appello aveva considerato privo di rilevanza “il dato, allegato dalla difesa della donna a sostegno della asserita insufficiente capacità reddituale del figlio, della negatività dell’andamento degli affari, desunto dal contenuto delle dichiarazioni dei redditi, oltreché da una relazione peritale di parte, atteso che la negatività dell’andamento dell’attività, che si protrae da sei anni e che, secondo la consulente, deriverebbe dalla posizione decentrata del punto vendita, evidentemente non depone per una incapacità reddituale del soggetto che la conduce ma sembra… derivare da fattori obiettivi a fronte dei quali, ove rispondenti a verità, il titolare è tenuto ad attivarsi, assumendo iniziative adeguate, se del caso modificando l’ubicazione dell’attività, senza che ciò possa costituire presupposto per il permanere, o la reviviscenza, dell’obbligo contributivo a carico del genitore”.

La Cassazione ha ripercorso il proprio orientamento consolidato secondo cui il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore.

La Cassazione ha pertanto confermato la sentenza della Corte d’appello, ribadendo, con particolare riguardo al caso sottoposto alla propria attenzione, che “Non può avere rilievo il sopravvento di circostanze ulteriori, come, ad esempio, l’abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, o la negatività dell’andamento dell’attività, che, se pure determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno, nel senso esattamente che il fondamento del diritto del coniuge convivente a percepire l’assegno de quo risiede, oltre che nell’elemento oggettivo della convivenza (il quale lascia presumere il perdurare dell’onere del mantenimento), nel dovere dell’altro coniuge di assicurare al figlio un’istruzione ed una formulazione professionale rapportate alle capacità di quest’ultimo (oltreché alle condizioni economiche e sociali dei genitori), così da consentire al medesimo una propria autonomia economica, onde tale dovere cessa con l’inizio appunto dell’attività lavorativa da parte di quello”.

(Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 2 dicembre 2005, n.26259).

Quando cessa l’obbligo di mantenimento del figlio? Nel caso di specie una donna si era vista rifiutare in sede di giudizio di primo e secondo grado (Tribunale e Corte d’appello di Genova) la domanda di mantenimento in quanto risultava provato che il figlio da sei anni gestiva una attività commerciale, essendo legale rappresentante di una società esercente commercio al minuto di articoli di cancelleria, libri, bigiotteria e giocattoli.

Sempre la Corte d’appello aveva considerato privo di rilevanza “il dato, allegato dalla difesa della donna a sostegno della asserita insufficiente capacità reddituale del figlio, della negatività dell’andamento degli affari, desunto dal contenuto delle dichiarazioni dei redditi, oltreché da una relazione peritale di parte, atteso che la negatività dell’andamento dell’attività, che si protrae da sei anni e che, secondo la consulente, deriverebbe dalla posizione decentrata del punto vendita, evidentemente non depone per una incapacità reddituale del soggetto che la conduce ma sembra… derivare da fattori obiettivi a fronte dei quali, ove rispondenti a verità, il titolare è tenuto ad attivarsi, assumendo iniziative adeguate, se del caso modificando l’ubicazione dell’attività, senza che ciò possa costituire presupposto per il permanere, o la reviviscenza, dell’obbligo contributivo a carico del genitore”.

La Cassazione ha ripercorso il proprio orientamento consolidato secondo cui il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore.

La Cassazione ha pertanto confermato la sentenza della Corte d’appello, ribadendo, con particolare riguardo al caso sottoposto alla propria attenzione, che “Non può avere rilievo il sopravvento di circostanze ulteriori, come, ad esempio, l’abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, o la negatività dell’andamento dell’attività, che, se pure determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno, nel senso esattamente che il fondamento del diritto del coniuge convivente a percepire l’assegno de quo risiede, oltre che nell’elemento oggettivo della convivenza (il quale lascia presumere il perdurare dell’onere del mantenimento), nel dovere dell’altro coniuge di assicurare al figlio un’istruzione ed una formulazione professionale rapportate alle capacità di quest’ultimo (oltreché alle condizioni economiche e sociali dei genitori), così da consentire al medesimo una propria autonomia economica, onde tale dovere cessa con l’inizio appunto dell’attività lavorativa da parte di quello”.

(Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 2 dicembre 2005, n.26259).