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La Corte costituzionale, la Legge "Spazzacorrotti" e il principio di legalità

Tiedosto, Paul Gaugin, 1898, National Gallery of Scotland
Tiedosto, Paul Gaugin, 1898, National Gallery of Scotland

Indice:

1. La nota dell'ufficio stampa della Corte costituzionale

2. La questione di legittimità costituzionale

3. La decisione della Corte costituzionale

3.1 …L'illegittimità è riferita non ad una norma ma ad un indirizzo interpretativo, considerato alla stregua di "diritto vivente"

3.2 …Qualsiasi trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale è soggetta al principio di legalità sancito dall'articolo 25, comma 2, Costituzione 

4. Possibili fattori di influenza sulla decisione della Corte costituzionale

5. Lo spirito della decisione

 

 

1. La nota dell'ufficio stampa della Corte costituzionale

Il 12 febbraio 2020 la Corte costituzionale si è riunita per esaminare le questioni di illegittimità costituzionale poste da vari giudici sulla Legge 3/2019 (cosiddetta Spazzacorrotti) nella parte in cui consente, per l'assenza di norme transitorie, l'estensione retroattiva ai condannati per alcune tipologie di reati contro la pubblica amministrazione delle preclusioni previste dall'articolo 4-bis della Legge 354/1975 (Ordinamento penitenziario) all'accesso ai benefici e alle misure alternative alla detenzione.

In esito alla camera di consiglio, l'ufficio stampa della Consulta ha diffuso una nota di cui si riporta il passaggio essenziale: "La Corte costituzionale ha preso atto chesecondo la costante interpretazione giurisprudenzialele modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente, e che questo principio è stato sinora seguito dalla giurisprudenza anche con riferimento alla legge n. 3 del 2019. La Corte ha dichiarato che questa interpretazione è costituzionalmente illegittima con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna. Secondo la Corte, infatti, l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione".

 

2. La questione di legittimità costituzionale

L'articolo 1, comma 6, lettere a), e b) della Legge 3/2019, per ciò che qui interessa, ha modificato l'articolo 4-bis, comma 1, dell'Ordinamento penitenziario, includendo i condannati per vari delitti contro la pubblica amministrazione[1] nell'ormai ampia schiera dei detenuti e internati ai quali l'assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione possono essere concessi solo se collaborino con la giustizia secondo quanto previsto  dagli articoli 58-ter dello stesso Ordinamento e 323-bis, comma 2, del codice penale.

Un ulteriore effetto di tale inclusione è l'applicazione ai predetti condannati del disposto dell'articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale il quale vieta la sospensione dell'ordine di carcerazione che è invece possibile per i condannati non inclusi nell'elenco dell'articolo 4-bis ed il cui scopo è evitare l'ingresso in carcere di coloro che potrebbero essere ammessi a misure alternative alla detenzione.

Come già evidenziato, la Legge 3/2019 non contiene alcuna norma transitoria che disciplini la condizione di coloro che siano stati condannati prima della sua entrata in vigore (31 gennaio 2019) per uno dei reati aggiunti al citato elenco dell'articolo 4-bis.

Tale omissione, come era ampiamente prevedibile, ha lasciato campo libero ad un indirizzo interpretativo di legittimità, cristallizzato dalle Sezioni unite penali della Cassazione con la decisione 24561/2006 e di seguito costantemente applicato, secondo il quale le disposizioni normative che riguardano esclusivamente le modalità esecutive della pena non sono norme di diritto penale sostanziale sicché, nel silenzio del legislatore, non sono soggette al divieto di irretroattività sfavorevole e si applicano immediatamente alle situazioni giuridiche per la cui disciplina sono state dettate.

Questa regolamentazione è apparsa incostituzionale a vari giudici che hanno chiesto l'intervento della Consulta, denunciando la violazione dei principi di irretroattività sfavorevole (articolo 25, comma 2, Costituzione) uguaglianza formale (articolo 3, comma 1, Costituzione, ritenendosi ingiustificata la disparità di trattamento tra coloro che, avendo chiesto prima dell'entrata in vigore della Legge 3/2019 di essere ammessi a una misura alternativa, abbiano ottenuto il beneficio ed evitato l'ingresso in carcere, e coloro, che avendo presentato la medesima istanza, non siano stati così fortunati da vederla accolta prima del 31 gennaio 2019), finalismo rieducativo della pena (articolo 27, comma 3, Costituzione, ritenendosi illegittimo il divieto di concessione dei benefici a coloro che, vigente la regolamentazione precedente alla Legge 3/2019, abbiano già completato il percorso rieducativo necessario).

 

3. La decisione della Corte costituzionale

Pur con tutta la prudenza imposta da una decisione di cui si conosce solo una sintesi essenziale, è già possibile intravedere le linee portanti delle conclusioni cui è pervenuta la Consulta.

 

3.1 …L'illegittimità è riferita non ad una norma ma ad un indirizzo interpretativo, considerato alla stregua di "diritto vivente"

La scure dell'illegittimità si è abbattuta non su una norma, come solitamente avviene, ma su un'interpretazione, precisamente quell'indirizzo di cui si è dato conto nel precedente paragrafo.

È per ciò stesso evidente che i giudici costituzionali gli hanno attribuito il valore di "diritto vivente", espressione cui la Consulta, in molteplici decisioni la cui capostipite è la sentenza 276/1974, attribuisce il significato di "sistema giurisprudenziale formatosi nel difetto di espresse disposizioni", derivabile solo da decisioni del giudice di legittimità ed al quale pertanto non concorrono la giurisprudenza di merito e men che meno la dottrina e le prassi amministrative.

Deve trattarsi di un'interpretazione stabile e diffusa e tali ulteriori requisiti sono assicurati soprattutto allorché essa derivi da pronunce delle Sezioni unite ovvero sia contenuta in formali principi di diritto: in questi casi, infatti, viene sostanzialmente preclusa la possibilità di interpretazioni difformi.

Quando dunque concorrono i parametri necessari perché ad un indirizzo interpretativo possa attribuirsi la natura di diritto vivente, la Corte costituzionale considera non più possibili proprie decisioni interpretative che provino ad individuare differenti soluzioni costituzionalmente orientate e si ritiene obbligata alla dichiarazione di illegittimità ove l'indirizzo censurato sia in conflitto con norme costituzionali (si vedano, ad esempio, le sentenze 299/2005 e 230/2012).

Preso atto di questo, la sensazione immediatamente conseguente è di allarme e preoccupazione. La Corte costituzionale ha appena detto che, nel caso sottoposto al suo scrutinio, la Corte di Cassazione è venuta meno al suo compito di definire criteri interpretativi rispettosi della Costituzione e, ciò che è peggio, lo ha fatto prendendo il posto del legislatore ed a scapito di una categoria di individui dei quali ha indebitamente compresso il diritto, a certe condizioni, a rimanere liberi in attesa che il giudice competente decidesse sulla loro istanza di ammissione a misure alternative alla detenzione. Francamente, non è questo che ci si attende dal nostro giudice supremo.

 

3.2 …Qualsiasi trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale è soggetta al principio di legalità sancito dall'articolo 25, comma 2, Costituzione 

La decisione del 12 febbraio pare avere messo fine, auspicabilmente una volta per tutte, alla tesi che pretende di escludere dall'ambito del principio costituzionale di legalità le norme (ovvero, come in questo caso, l'assenza di norme e l'interpretazione suppletiva del giudice di legittimità) che modificano la natura della pena.

Sembra dunque che d'ora in avanti non sarà più possibile mettere in dubbio che i consociati abbiano il diritto di conoscere preventivamente non solo i comportamenti che devono tenere o omettere per evitare di violare la legge penale, non solo le sanzioni previste per la violazione, ma anche le modalità esecutive di quelle sanzioni e tutti i parametri, nessuno escluso, capaci di incidere in senso favorevole o sfavorevole sulle modalità medesime in quanto attinenti alla libertà personale.

L'ovvia conseguenza è che modifiche alla natura della pena come quelle introdotte dalla Legge 3/2019 potranno, anche in assenza di esplicite disposizioni transitorie, essere applicate solo a fatti di reato compiuti dopo la loro entrata in vigore e qualunque norma o interpretazione che disapplichi questo principio sarà giudicata incostituzionale per contrasto con l'articolo 25, comma 2, Costituzione

 

4. Possibili fattori di influenza sulla decisione della Corte costituzionale

È possibile che sulla decisione della Consulta abbiano influito plurimi e significativi input, sia interni che sovranazionali.

Casi del primo genere si sono verificati da ultimo – e non è di poco conto - nello stesso panorama giurisprudenziale di legittimità.

La sentenza n. 1799/2020 della prima sezione penale della Corte di cassazione (pronunciata in un caso in cui l'interessato era già stato condannato in via definitiva, l'ordine di carcerazione era già stato e l'interessato medesimo aveva già presentato istanza di sospensione dell'esecuzione prima dell'entrata in vigore della Legge 3/2019) è un ottimo esempio di un rilevante mutamento di sensibilità. Vi si legge quanto segue: "L'intervento legislativo de quo [il riferimento è alla L. 3/2019] ha determinato da un lato dubbi di legittimità costituzionale sul terreno della ragionevolezza e del rispetto della finalità rieducativa della pena (si veda, sul tema, Sez. 1, 31853/2019), dall'altro interrogativi di sistema circa la corretta individuazione del regime intertemporale, non essendo stata dettata una disciplina transitoria. Su tale secondo profilo, tuttavia, sono intervenute più decisioni. Nel caso in esame è pacifica sia la formazione del giudicato che l'avvenuta emissione dell'ordine di esecuzione prima della vigenza della nuova disciplina peggiorativa e - dunque - in un momento in cui la legge vigente portava alla doverosa sospensione temporanea (articolo 656, comma 9, c.p.p.) dell'ordine medesimo. In casi del genere si ritiene che la vigenza sopravvenuta (anche se in un momento che precede la decisione del tribunale di sorveglianza sulla richiesta del condannato di misura alternativa alla detenzione) di una disciplina 'peggiorativa' non possa determinare la perdita di efficacia dei provvedimenti emessi nel vigore della disciplina più favorevole, proprio in ragione del generale principio per cui tempus regit actum. La linea interpretativa di cui si parla è stata inaugurata da Sez. 1, 25212/2019 e ribadita - con talune specificazioni - da Sez. 1, 39609/2019. In tali arresti si è evidenziato come non risulti decisiva - a fini di ricostruzione del diritto intertemporale - la individuazione della - pur riaffermata - natura processuale delle disposizioni di legge che regolamentano, in via generale, la fase della esecuzione, atteso che a venire in rilievo è il portato del principio generale per cui un atto (processuale) validamente compiuto secondo la legge vigente al momento della sua venuta in essere è 'insensibile' alle modifiche di disciplina posteriori. Tale constatazione va riaffermata specie lì dove la modifica legislativa (posteriore) sia tesa ad introdurre limitazioni a diritti o facoltà che da quell'atto derivavano. Da tale elaborazione dogmatica deriva, ulteriormente, che lì dove l'atto processuale in questione vada ad inserirsi in una «sequenza» (qui rappresentata dalla correlazione funzionale tra emissione del provvedimento di esecuzione con contestuale sospensione, domanda di misura alternativa e decisione sulla medesima) è l'intera sequenza a doversi svolgere secondo i contenuti della legge esistente al momento in cui il primo atto della «fattispecie complessa» è stato posto in essere. Ciò esclude, pertanto, che la legge posteriore - come si è detto, sfavorevole - alla emissione di un ordine di carcerazione rimasto sospeso ai sensi dell'articolo 656, comma 9, c.p.p., integri una condizione legittimante la revoca di siffatto provvedimento (Sez. 1, 1799/2020).

La soluzione offerta da questa sentenza, pur giustificata dalla formazione di una sorta di sequenza chiusa e non più modificabile culminata nell'incardinamento dell'istanza di sospensione dinanzi il tribunale di sorveglianza, non nasconde i dubbi di legittimità sulla novella legislativa e prova nondimeno a trovare una soluzione ragionevole ad una disciplina irragionevole.

Nella stessa direzione si è mossa, e non da ora, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, particolarmente con la sentenza Del Rio Prada c. Spagna del 21 ottobre 2013 che, a fronte di un caso simile (un'ex terrorista spagnola lamentava un mutamento interpretativo sfavorevole che l'aveva privata del diritto, già acquisito in base al regime precedente, di essere restituita alla libertà in virtù dei periodi di liberazione anticipata ottenuti in forza del lavoro intramurario svolto), affermò significativamente la violazione dell'articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (divieto di irretroattività della legge penale) e, come sua automatica conseguenza, anche dell'articolo 5 per via dell'illegittima detenzione patita sulla base della violazione dell'articolo 7.

La Corte EDU attribuì dunque alle misure premiali per la buona condotta carceraria la natura di istituto di diritto penale sostanziale.

Si può infine osservare che già da tempo la stessa Corte costituzionale, pur rivendicando l'autonomia della via italiana al principio di legalità ed alla sua estensione e non rinunciando a marcare distinguo di non poco conto sugli istituti compresi nel concetto di "materia penale" e sul regime garantistico loro applicabile, ha comunque riconosciuto con crescente perentorietà che a tutti gli istituti del genere si accompagna la garanzia del divieto di irretroattività sfavorevole.

 

5. Lo spirito della decisione

Come si è visto, c'era un humus composito e significativo che rendeva plausibile attendersi dalla Consulta quel tipo di decisione che in effetti ha assunto.

Ma c'è anche qualcosa di più e insieme di antico che i giudici della legge sembrano valorizzare con sempre maggiore trasporto in questa stagione.

Il 15 febbraio 2020, Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale, ha rilasciato un'intervista al quotidiano La Repubblica.

Piace ricordarne letteralmente i passaggi essenziali: "La giustizia deve sempre esprimere un volto umano (…) Ciò significa anzitutto - come dice l’articolo 27 della Costituzione - che la pena non deve mai essere contraria al senso di umanità; ma anche che la giustizia deve essere capace di tenere conto e bilanciare le esigenze di tutti: la sicurezza sociale, il bisogno di giustizia delle vittime e lo scopo ultimo della pena che è quello di recuperare, riappacificare, permettere di ricominciare anche a chi ha sbagliato (…)  La Carta tutela tutti, a partire dagli ultimi: poveri, migranti e carcerati", (e il carcere deve) "rispecchiare il volto costituzionale della pena e dare al detenuto una seconda chance (…) Negli anni più recenti la Corte sta sviluppando in particolare tre principi: proporzionalità, flessibilità della pena, individualizzazione. La proporzionalità è contro le pene eccessive, l’individualizzazione è contro le pene fisse, la flessibilità contro le pene che non possono essere modificate nel corso dell’esecuzione".

La presidente Cartabia ha poi offerto una spiegazione scarna ma preziosa della decisione sulla Spazzacorrotti: "la Corte ha semplicemente applicato uno dei principi fondamentali della civiltà giuridica in materia penale che vieta l’applicazione delle leggi più severe ai fatti commessi prima della loro entrata in vigore".

La Corte dunque non dimentica il suo ruolo ed anzi prova a dargli significati più avanzati e ad acquisire una consapevolezza più profonda delle situazioni individuali e sociali che, assai più di altre, sono state messe a dura prova dal rigorismo di questi anni. Così è stato per l'inedito e meritorio viaggio dei giudici costituzionali nelle carceri per cicli di incontro con i detenuti e una presa di contatto con la loro realtà.

Spiace – lo si ribadisce – che, mentre il giudice delle leggi avverte il dovere della memoria dei principi più alti ed essenziali del nostro ordinamento, in altre sedi giudiziarie si lascino proliferare indirizzi che li contraddicono.

Spiace che la sensibilità di decisioni come quella commentata sembri totalmente assente nelle politiche legislative criminali di questi anni.

 

[1] Peculato, concussione, corruzione per l'esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione di persona incaricata di pubblico servizio, istigazione alla corruzione, peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle  comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri.