x

x

La famiglia «società naturale fondata sul matrimonio»: tra diritto costituzionale, “diritto creativo” e trend europeo

Abstract

L’evoluzione della società contemporanea fa registrare la continua emersione di problemi nuovi, i quali richiedono maggiori studi e approfondimenti al fine di staccarsi dalla faziosità quasi implicita nell’affrontare temi di stringente attualità.

A seguito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, I° sezione civile, del 15.03.2012, n.4184, la Scienza Giuridica e l’Ordinamento Costituzionale si sono trovati dinanzi alla pressante questione, in verità mai assopita, riguardo il grado di effettività del dettato Costituzionale ed in particolar modo dell’articolo 29 della Costituzione.

Non a caso, la predetta sentenza, ha conquistato gli onori delle testate giornalistiche italiane, interessando dibattiti politici ed animando il mondo dell’associazionismo di opposta estrazione culturale. Perché tanto scalpore? Quale sono state le reali acquisizioni giuridiche?

Alcune rappresentazioni ( politiche e giornalistiche) hanno esaltato il sostanziale, per quanto piccolo, riconoscimento del <<diritto alla vita famigliare>> alle coppie dello stesso sesso.

Potrebbe dirsi che il 15 marzo 2012 l’Italia ha compiuto un passo epocale? Rivoluzionario? Fino a che punto ha senso discutere di innovazione e rivoluzione nella decisione della I° sezione della Corte di Cassazione? Quali sono state le importanti vere novità apportate dal punto di vista giuridico?

Agli interrogativi avanzati potrebbe darsi facile ed immediata risposta indirizzando una disamina riduttiva e già orientata, scegliendo una tra le opposte e inconciliabili tesi.

Le brevi riflessioni che seguiranno invece provano a rendere più nitido lo scenario creatosi attorno al concetto di famiglia di cui all’articolo 29 della Costituzione Italiana.

1. La sentenza n.138/2010 della Corte Costituzionale e la sua stringente attualità.

L’analisi prospettata non ha la pretesa di rispondere compiutamente ai molti interrogativi avanzati. Persegue semmai il limitato scopo di scomporre la questione giuridica (e non politica) analizzandola da un punto di vista costituzionale, evitando con ciò pilateschi plebisciti su posizioni precostituite e preconcette.

Pertanto al fine di garantire compiutezza e rigore, non ci si può sottrarre dall’effettuare una ricostruzione, seppur breve, del dibattito giurisprudenziale italiano che ha visto come protagonista la Corte Costituzionale con la pronuncia della sentenza n. 138.

La Consulta nello specifico rigettò – correva l’anno 2010 – la questione di legittimità costituzionale (in parte dichiarandola inammissibile ed in parte infondata) sollevata dal Tribunale di Venezia e dalla Corte d’Appello di Trento, riguardo alcuni articoli del codice civile nelle parte in cui non consentivano alle persone di orientamento omosessuale di contrarre matrimonio.

Nell’occasione la Consulta ebbe modo di delineare alcuni principi giuridico-costituzionali:

a. Il diritto di due individui dello stesso sesso di vivere <<liberamente una condizione di coppia>> attribuendo alle unioni omosessuali le caratteristiche di <<formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost.>> (cfr. p.8);

b. l’introduzione di un istituto di riconoscimento generale delle unioni rimesso <<interamente rimesso ai tempi, ai modi e ai limiti decisi dal Parlamento italiano.>> con l’esclusione di realizzare riconoscimenti <<attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio>>;

c. riaffermazione della nozione di matrimonio vigente nell’Ordinamento Italiano indissolubilmente legata alla previsione dell’articolo 29 della Costituzione intendendolo come fondamento della famiglia legittima quale <<società naturale>> (cfr. p.9);

d. impossibilità di superare il <<precetto costituzionale… per via ermeneutica perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa >>.

Affermate dette incontrovertibili acquisizioni la Consulta, nella motivazione della sentenza n. 138/2010, tenne altresì a precisare il ruolo chiave rivestito dal Parlamento, affermando che né giudici né altri soggetti diversi dal legislatore nazionale avrebbero mai potuto ammettere velate parificazioni di “unioni” differenti dalla “famiglia” costituzionalmente fondata sul matrimonio. Nell’occasione la Corte Costituzionale rimarcò la diversità di sesso coniugi (marito e moglie – uomo donna) ritenuta scontata ed implicita, atteso che <<i Costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed articolata disciplina nel codice civile […] essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942 che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso>>(cfr. p.9).

In questa prospettiva, con riferimento all’art. 3 Cost. la censurata normativa codicistica che non prevedeva il matrimonio tra uomo e donna non poteva essere considerata <<illegittima sul piano costituzionale>>.

In definitiva la Consulta – quasi lapidariamente – ammise che le unioni omosessuali non potessero ipso facto essere ritenute <<omogenee al matrimonio>> (cfr. p.9).

D’altro canto all’epoca dei fatti -quasi unanimemente- si sostenne che un eventuale riconoscimento del Parlamento del diritto a contrarre matrimonio a soggetti dello stesso pur trovando ancoraggio giuridico nella Costituzione non poteva comunque significare il superamento del limite previsto nella Costituzione all’art. 29.

2. Corte di Cassazione sentenza 4184/2012: ossequio formale alla sent. 138/2010 e “creazione di nuovo diritto”.

A distanza di circa due anni dalla sentenza n. 138, l’Ordinamento Italiano si è ritrovato a dover nuovamente riflettere su alcune questioni ritenute ormai già acquisite e risolte dalla Corte Costituzionale.

Il riferimento è alla vicenda giudiziaria sollevata dinanzi alla I° sezione civile della Corte di Cassazione (decisa con la ormai celebre sentenza n. 4184) avente ad oggetto il riconoscimento della trascrizione dell’atto di matrimonio contratto in Olanda di due soggetti dello stesso sesso [La nota vicenda può così riassumersi: il Sindaco del Comune di Latina aveva rifiutato la trascrizione dell’atto di matrimonio ritenuta contraria all’ordine pubblico. Gli interessati, avverso il provvedimento di rifiuto, si rivolgevano al Tribunale di Latina il quale si pronunciava respingendo il ricorso. Avverso tale pronuncia venne investita la Corte d’Appello di Roma che si pronunciava rigettando il reclamo in quanto l’atto di cui si richiedeva la trascrizione non possedeva uno dei requisiti per la sua configurabilità come matrimonio nell’ordinamento italiano, ossia il diverso sesso dei coniugi].

L’intervento dei Supremi Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza n. 4184/2012, ha offerto un’ottima panoramica della situazione attuale e delle evoluzioni prevalentemente (ma non esclusivamente) giurisprudenziali realizzatesi in Italia e con motivazione particolarmente estesa ha prospettato l’esistenza di un mutamento (normativo e sociale) in atto fuori dal territorio italiano [Infatti la I° Sezione della Corte di Cassazione nella sent. n. 4184/2012 riprende come riferimento del mutato contesto europeo la decisione, del 24.06.2010, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso Schalk e kopf /Austria].

Dovendo partire obbligatoriamente dalla vicenda giudiziale per la quale si intraprese il giudizio di primo grado corre in prima istanza segnalare che la Corte di Cassazione pur cadendo nel tranello della “creatività giurisprudenziale” ha concluso per negare la trascrizione dell’atto di matrimonio di persone dello stesso sesso anche se contratto all’estero.

La Corte richiamando il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso quali formazione sociale ai sensi dell’art. 2 Cost. riprende tuttavia senza alterarlo il dictum della Consulta in merito alla libertà del Parlamento di definire tempi, modi e limiti.

Sotto tale aspetto nulla di nuovo. Già nel 2010 i Giudici della Consulta erano stati ampiamente puntuali ed espliciti in merito.

La Suprema Corte pur citando e reiterando in più punti espressioni univoche contenute nella sentenza n. 138/2010 della Consulta finisce però per distaccarsi dalle stesse al punto da ritenerle idonee a fissare paletti assai chiari in merito all’omogeneità di trattamento. Omogeneità di trattamento che potrà – secondo quanto asserito dalla Cassazione – rappresentare una pretesa dalle coppie gay e lesbiche.

Pare evidente che se sotto il profilo più utilitaristico la sentenza n. 4184, rigettando il ricorso, non ha variato l’assetto disegnato dalla Corte Costituzionale, ha però esposto argomentazioni (creative) a favore del riconoscimento dei matrimoni omosessuali contratti all’estero.

Ecco spiegato il carattere rivoluzionario (o creativo) contenuto nella sentenza n. 4184/2012 della Cassazione.

Infatti, dalla lettura della decisione, si percepisce la volontà dei Supremi Giudici di ammettere l’esistenza di un diritto fondamentale a contrarre matrimonio per persone di sesso uguale, così come previsto per quelle di sesso diverso, riportando ampi passaggi di altre fonti (sovranazionali) e proponendo opzioni interpretative maggiormente favorevoli alla tutela dei singoli e delle unioni omosessuali.

I Giudici della I° Sezione della Cassazione ammettono che la diversità di sesso dei nubendi costituisce un <<requisito minimo indispensabile per l’esistenza del matrimonio civile come atto giuridicamente rilevante>>(cfr. sent. 4184/2012 p. 2.2.2) ed asseriscono che due cittadini dello stesso sesso che abbiano contratto matrimonio all’estero non sono titolari del diritto di trascrizione di tale atto ma ciò dipende <<non dalla sua contrarietà all’ordine pubblico>> bensì <<dalla previa e più radicale ragione…della sua non riconoscibilità come atto di matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano>>. (cfr. p. 2.2.3.).

L’innovazione più marcata la Corte la esprime laddove si schiera chiaramente a favore di un ancoraggio costituzionale delle coppie omosessuali a contrarre matrimonio ciò in considerazione del << mutuato quadro normativo europeo>>> il quale <<produce effetti anche in Italia>>.

3. La Risoluzione n.2012/2656(RSP) del Parlamento Europeo del 24.05.2012

Se i caratteri delineati dalla sentenza 138/2010 e creativamente orientati dalla Cassazione hanno in un certo senso concorso a produrre un dibattito dottrinale di ampio respiro, a far ripiombare in discussioni “di parte” è stata l’approvazione, in seno al Parlamento Europeo, della “Risoluzione comune sulla lotta all’omofobia in Europa” del 24 maggio 2012, avvenuta con 430 voti a favore, 105 contrari e 59 astensioni.

Detta Risoluzione, ammirevole nell’obiettivo di proteggere e garantire gay, lesbiche transgender da discriminazioni omofobe e di incitamento all’odio e alla violenza, ha però effettuato un nuovo tentativo di oltrepassare alcuni limiti insiti negli ordinamenti nazionali (come esempio l’Italia) invitando la Commissione e gli Stati membri a proporre misure volte al riconoscimento degli effetti dei documenti di stato civile in base al principio del riconoscimento reciproco (lett. L) ed in ultimo affermando di ritenere i diritti fondamentali delle persone LGBT maggiormente tutelati se questi ultimi avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio (p.9).

Sebbene la risoluzione in parola non è in grado di imprimere alcuna immediata ripercussione giuridica nell’ordinamento degli Stati membri, concretizza comunque quel filo di innovazione già prospettata con entusiasmo della Corte di Cassazione Italiana.

A tal riguardo però non si può fare a meno che riprendere le annotazioni espresse sapientemente nella sentenza n. 138/2010, ammettendo con che, proprio l’art. 9 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea prevedendo un incontrovertibile rinvio della delicata questione alle leggi nazionali, conferma <<che la materia è affidata alla discrezionalità del Parlamento >>.

4. L’art. 29 della Costituzione. Un precetto costituzionale insuperabile.

I giuristi tutti non possono dimenticare che la Carta Costituzionale rappresenta il metro di valutazione e l’unico mezzo risolutivo, poiché – come autorevolmente sostenuto dall’Ordinario Costituzionalista Roberto Bin – essa è <<anche un testo normativo, una fonte del diritto da cui derivano diritti e doveri, obblighi e divieti giuridici, attribuzioni di potere e regole per il loro esercizio.>> [R. Bin, Capire la Costituzione, Laterza, Bari, 2002, pag. 6.].

Nel prescrivere che la Repubblica riconosce “la famiglia come società fondata sul matrimonio” (art. 29 Cost., comma 1.) la Costituzione non esclude certo il riconoscimento giuridico di altre formazione sociali. Piuttosto la Costituzione garantisce alla famiglia un regime di favore conferendogli rilevanza privilegiata e diversa da quella che potrebbe essere garantita ad altre formazioni, ciò in ragione dell’infungibile funzione svolta nella società.

Par vero ammettere che viene tutelata la famiglia come cellula creatrice della vita sociale (Aldo Moro), in quanto capace di trasmettere al singolo il primo impulso al sentimento della solidarietà (Costantino Mortari).

I Padri Costituenti avevano ben chiaro il delicatissimo compito affidato alla <<famiglia fondata sul matrimonio>> esclusero che tale funzione potesse essere riconosciuta ad una mera ed aleatoria comunità di affetti questo in considerazione del <<maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè stabile istituzione sovrintendente.>>(cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 8/1996).

In tal senso gli interventi, le discussioni e alcune schematizzazioni che i Costituenti fecero in sede di Assemblea Costituente chiariscono, meglio di chiunque altro, l’imprescindibile dogma racchiuso nell’art. 29 Cost.. Non può esservi nulla di più impreciso nella lettura della Costituzione senza attingere a piene mani della linfa dei lavori preparatori per la Costituzione.

Tanta insistenza nell’ammettere l’importanza degli interventi che si precedettero la stesura definitiva dell’articolo dedicato alla famiglia, è data dal fatto che, come il Costituente V. E. Orlando ebbe a puntualizzare, “i lavori preparatori hanno pur sempre una massima importanza per la interpretazione, poiché nessuno può meglio palesare, apprezzare, riconoscere le ragioni profonde che dettarono la legge, di quanto possano gli Autori di essa”.

Siccome nel presente momento storico-politico, il Parlamento, non in grado di intervenire per revisionare la Costituzione né tanto meno sarebbe capace di formulare ex novo l’art. 29, allora si preferisce relativizzare fino a privare di contenuto tale norma poiché in conflitto con qualche momentaneo e spicciolo interesse di parte.

L’azione è chiara : si svuota di contenuto con l’obiettivo di difendere solo in superficie la Costituzione per poi, di fatto, infrangerla!

Fino a che punto può spingersi la giurisprudenza nell’interpretazione? Diritto Costituzionale o diritto creativo? Questi interrogativi richiederebbero discussioni ben più ampie. In estrema sintesi può ammettersi che nessuno, nemmeno un Giudice può oltrepassare il limite rappresentato dagli articoli della Costituzione. Creare nuovi diritti è una prerogativa che spetta al Parlamento e non può assolutamente essere rimessa all’opera di qualche Corte. In caso contrario si giungerebbe pian piano a sovvertire l’architettura istituzionale dell’intero Paese.

Anche se il concetto di famiglia <<non si può ritenere cristallizzato con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore>> tuttavia <<l’ interpretazione non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma>> (cfr. sentenza n. 138/2010 Corte Costituzionale p.9; sentenza n. 4184 Corte Cassazione p. 3.1.), è pertanto impensabile includere nell’art. 29 fenomeni altri e differenti.

L’azione di alcune Corti e l’interventismo esasperato delle istituzioni sovranazionali, evocano un superamento, quasi implicito, dell’art. 29 proponendo, di fatto, una delegittimazione strisciante ed arbitraria della Carta Costituzionale.

Pertanto ove si volesse disciplinare, nell’ordinamento italiano, altre unioni (matrimoni) di soggetti del medesimo sesso equiparandole alla famiglia naturale dell’art. 29 dovrebbe necessariamente provvedersi ad un intervento diretto al testo costituzionale.

5.Conclusioni.

Certamente, a seguito del ragionamento seguito, è chiara, si spera, l’aprioristica ed assoluta esclusione della facoltà di assimilare all’articolo 29 Cost. ipotesi eterogenee e non compatibili con la norma stessa. La valutazione non può essere rimessa alle aule dei Tribunali né tantomeno può ipotizzarsi un allineamento asettico con altre situazioni di Stati Europei e no. Altrimenti così facendo si finirebbe per far percepire la Costituzione come un testo vuoto da cui attingere alcuni articoli con arbitraria discrezione e convenienza.

L’analisi prospettata non può avere, chiaramente, pretese di completezza ma potrebbe (e dovrebbe) comunque condurre ad un quadro d’insieme abbastanza attendibile.

Sarebbe auspicabile che principalmente il legislatore non resti sordo agli stimoli e si cimenti ad affrontare organicamente la questione considerando a tal fine la profonda incidenza dei tempi della modernità.

Purtroppo l’uomo è incline a confondere la famiglia (art. 29 Cost.), essenza della Carta Costituzione, con le contingenze accidentali dei tempi odierni terminando pericolosamente per mercanteggiarne la sostanza con la forma e giungendo a conclusioni oltranziste fino a privare di significato l’art. 29 della Carta Fondamentale.

In questo quadro, allora, dal punto di vista strettamente giuridico non può ammettersi un superamento (né giurisprudenziale né di norme internazionali) del dogma costituzionale giacché in Italia la famiglia, unione tra uomo e donna, è meritevole di protezione di rango superiore.

Certamente non può essere assolutamente minimizzarsi l’esistenza di coppie formate da soggetti dello stesso sesso che, anche in Italia, intendono vivere un rapporto affettivo stabile. Dette unioni, a seguito delle considerazioni emerse, non possono evidentemente essere incluse nell’alveo normativo dell’art. 29 Cost.. Sono però degne di rispetto ed esigono interventi legislativi ma non per questo tali da equipararsi a quell’insuperabile limite insito nella Costituzione.

Abstract

L’evoluzione della società contemporanea fa registrare la continua emersione di problemi nuovi, i quali richiedono maggiori studi e approfondimenti al fine di staccarsi dalla faziosità quasi implicita nell’affrontare temi di stringente attualità.

A seguito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, I° sezione civile, del 15.03.2012, n.4184, la Scienza Giuridica e l’Ordinamento Costituzionale si sono trovati dinanzi alla pressante questione, in verità mai assopita, riguardo il grado di effettività del dettato Costituzionale ed in particolar modo dell’articolo 29 della Costituzione.

Non a caso, la predetta sentenza, ha conquistato gli onori delle testate giornalistiche italiane, interessando dibattiti politici ed animando il mondo dell’associazionismo di opposta estrazione culturale. Perché tanto scalpore? Quale sono state le reali acquisizioni giuridiche?

Alcune rappresentazioni ( politiche e giornalistiche) hanno esaltato il sostanziale, per quanto piccolo, riconoscimento del <<diritto alla vita famigliare>> alle coppie dello stesso sesso.

Potrebbe dirsi che il 15 marzo 2012 l’Italia ha compiuto un passo epocale? Rivoluzionario? Fino a che punto ha senso discutere di innovazione e rivoluzione nella decisione della I° sezione della Corte di Cassazione? Quali sono state le importanti vere novità apportate dal punto di vista giuridico?

Agli interrogativi avanzati potrebbe darsi facile ed immediata risposta indirizzando una disamina riduttiva e già orientata, scegliendo una tra le opposte e inconciliabili tesi.

Le brevi riflessioni che seguiranno invece provano a rendere più nitido lo scenario creatosi attorno al concetto di famiglia di cui all’articolo 29 della Costituzione Italiana.

1. La sentenza n.138/2010 della Corte Costituzionale e la sua stringente attualità.

L’analisi prospettata non ha la pretesa di rispondere compiutamente ai molti interrogativi avanzati. Persegue semmai il limitato scopo di scomporre la questione giuridica (e non politica) analizzandola da un punto di vista costituzionale, evitando con ciò pilateschi plebisciti su posizioni precostituite e preconcette.

Pertanto al fine di garantire compiutezza e rigore, non ci si può sottrarre dall’effettuare una ricostruzione, seppur breve, del dibattito giurisprudenziale italiano che ha visto come protagonista la Corte Costituzionale con la pronuncia della sentenza n. 138.

La Consulta nello specifico rigettò – correva l’anno 2010 – la questione di legittimità costituzionale (in parte dichiarandola inammissibile ed in parte infondata) sollevata dal Tribunale di Venezia e dalla Corte d’Appello di Trento, riguardo alcuni articoli del codice civile nelle parte in cui non consentivano alle persone di orientamento omosessuale di contrarre matrimonio.

Nell’occasione la Consulta ebbe modo di delineare alcuni principi giuridico-costituzionali:

a. Il diritto di due individui dello stesso sesso di vivere <<liberamente una condizione di coppia>> attribuendo alle unioni omosessuali le caratteristiche di <<formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost.>> (cfr. p.8);

b. l’introduzione di un istituto di riconoscimento generale delle unioni rimesso <<interamente rimesso ai tempi, ai modi e ai limiti decisi dal Parlamento italiano.>> con l’esclusione di realizzare riconoscimenti <<attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio>>;

c. riaffermazione della nozione di matrimonio vigente nell’Ordinamento Italiano indissolubilmente legata alla previsione dell’articolo 29 della Costituzione intendendolo come fondamento della famiglia legittima quale <<società naturale>> (cfr. p.9);

d. impossibilità di superare il <<precetto costituzionale… per via ermeneutica perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa >>.

Affermate dette incontrovertibili acquisizioni la Consulta, nella motivazione della sentenza n. 138/2010, tenne altresì a precisare il ruolo chiave rivestito dal Parlamento, affermando che né giudici né altri soggetti diversi dal legislatore nazionale avrebbero mai potuto ammettere velate parificazioni di “unioni” differenti dalla “famiglia” costituzionalmente fondata sul matrimonio. Nell’occasione la Corte Costituzionale rimarcò la diversità di sesso coniugi (marito e moglie – uomo donna) ritenuta scontata ed implicita, atteso che <<i Costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed articolata disciplina nel codice civile […] essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942 che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso>>(cfr. p.9).

In questa prospettiva, con riferimento all’art. 3 Cost. la censurata normativa codicistica che non prevedeva il matrimonio tra uomo e donna non poteva essere considerata <<illegittima sul piano costituzionale>>.

In definitiva la Consulta – quasi lapidariamente – ammise che le unioni omosessuali non potessero ipso facto essere ritenute <<omogenee al matrimonio>> (cfr. p.9).

D’altro canto all’epoca dei fatti -quasi unanimemente- si sostenne che un eventuale riconoscimento del Parlamento del diritto a contrarre matrimonio a soggetti dello stesso pur trovando ancoraggio giuridico nella Costituzione non poteva comunque significare il superamento del limite previsto nella Costituzione all’art. 29.

2. Corte di Cassazione sentenza 4184/2012: ossequio formale alla sent. 138/2010 e “creazione di nuovo diritto”.

A distanza di circa due anni dalla sentenza n. 138, l’Ordinamento Italiano si è ritrovato a dover nuovamente riflettere su alcune questioni ritenute ormai già acquisite e risolte dalla Corte Costituzionale.

Il riferimento è alla vicenda giudiziaria sollevata dinanzi alla I° sezione civile della Corte di Cassazione (decisa con la ormai celebre sentenza n. 4184) avente ad oggetto il riconoscimento della trascrizione dell’atto di matrimonio contratto in Olanda di due soggetti dello stesso sesso [La nota vicenda può così riassumersi: il Sindaco del Comune di Latina aveva rifiutato la trascrizione dell’atto di matrimonio ritenuta contraria all’ordine pubblico. Gli interessati, avverso il provvedimento di rifiuto, si rivolgevano al Tribunale di Latina il quale si pronunciava respingendo il ricorso. Avverso tale pronuncia venne investita la Corte d’Appello di Roma che si pronunciava rigettando il reclamo in quanto l’atto di cui si richiedeva la trascrizione non possedeva uno dei requisiti per la sua configurabilità come matrimonio nell’ordinamento italiano, ossia il diverso sesso dei coniugi].

L’intervento dei Supremi Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza n. 4184/2012, ha offerto un’ottima panoramica della situazione attuale e delle evoluzioni prevalentemente (ma non esclusivamente) giurisprudenziali realizzatesi in Italia e con motivazione particolarmente estesa ha prospettato l’esistenza di un mutamento (normativo e sociale) in atto fuori dal territorio italiano [Infatti la I° Sezione della Corte di Cassazione nella sent. n. 4184/2012 riprende come riferimento del mutato contesto europeo la decisione, del 24.06.2010, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso Schalk e kopf /Austria].

Dovendo partire obbligatoriamente dalla vicenda giudiziale per la quale si intraprese il giudizio di primo grado corre in prima istanza segnalare che la Corte di Cassazione pur cadendo nel tranello della “creatività giurisprudenziale” ha concluso per negare la trascrizione dell’atto di matrimonio di persone dello stesso sesso anche se contratto all’estero.

La Corte richiamando il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso quali formazione sociale ai sensi dell’art. 2 Cost. riprende tuttavia senza alterarlo il dictum della Consulta in merito alla libertà del Parlamento di definire tempi, modi e limiti.

Sotto tale aspetto nulla di nuovo. Già nel 2010 i Giudici della Consulta erano stati ampiamente puntuali ed espliciti in merito.

La Suprema Corte pur citando e reiterando in più punti espressioni univoche contenute nella sentenza n. 138/2010 della Consulta finisce però per distaccarsi dalle stesse al punto da ritenerle idonee a fissare paletti assai chiari in merito all’omogeneità di trattamento. Omogeneità di trattamento che potrà – secondo quanto asserito dalla Cassazione – rappresentare una pretesa dalle coppie gay e lesbiche.

Pare evidente che se sotto il profilo più utilitaristico la sentenza n. 4184, rigettando il ricorso, non ha variato l’assetto disegnato dalla Corte Costituzionale, ha però esposto argomentazioni (creative) a favore del riconoscimento dei matrimoni omosessuali contratti all’estero.

Ecco spiegato il carattere rivoluzionario (o creativo) contenuto nella sentenza n. 4184/2012 della Cassazione.

Infatti, dalla lettura della decisione, si percepisce la volontà dei Supremi Giudici di ammettere l’esistenza di un diritto fondamentale a contrarre matrimonio per persone di sesso uguale, così come previsto per quelle di sesso diverso, riportando ampi passaggi di altre fonti (sovranazionali) e proponendo opzioni interpretative maggiormente favorevoli alla tutela dei singoli e delle unioni omosessuali.

I Giudici della I° Sezione della Cassazione ammettono che la diversità di sesso dei nubendi costituisce un <<requisito minimo indispensabile per l’esistenza del matrimonio civile come atto giuridicamente rilevante>>(cfr. sent. 4184/2012 p. 2.2.2) ed asseriscono che due cittadini dello stesso sesso che abbiano contratto matrimonio all’estero non sono titolari del diritto di trascrizione di tale atto ma ciò dipende <<non dalla sua contrarietà all’ordine pubblico>> bensì <<dalla previa e più radicale ragione…della sua non riconoscibilità come atto di matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano>>. (cfr. p. 2.2.3.).

L’innovazione più marcata la Corte la esprime laddove si schiera chiaramente a favore di un ancoraggio costituzionale delle coppie omosessuali a contrarre matrimonio ciò in considerazione del << mutuato quadro normativo europeo>>> il quale <<produce effetti anche in Italia>>.

3. La Risoluzione n.2012/2656(RSP) del Parlamento Europeo del 24.05.2012

Se i caratteri delineati dalla sentenza 138/2010 e creativamente orientati dalla Cassazione hanno in un certo senso concorso a produrre un dibattito dottrinale di ampio respiro, a far ripiombare in discussioni “di parte” è stata l’approvazione, in seno al Parlamento Europeo, della “Risoluzione comune sulla lotta all’omofobia in Europa” del 24 maggio 2012, avvenuta con 430 voti a favore, 105 contrari e 59 astensioni.

Detta Risoluzione, ammirevole nell’obiettivo di proteggere e garantire gay, lesbiche transgender da discriminazioni omofobe e di incitamento all’odio e alla violenza, ha però effettuato un nuovo tentativo di oltrepassare alcuni limiti insiti negli ordinamenti nazionali (come esempio l’Italia) invitando la Commissione e gli Stati membri a proporre misure volte al riconoscimento degli effetti dei documenti di stato civile in base al principio del riconoscimento reciproco (lett. L) ed in ultimo affermando di ritenere i diritti fondamentali delle persone LGBT maggiormente tutelati se questi ultimi avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio (p.9).

Sebbene la risoluzione in parola non è in grado di imprimere alcuna immediata ripercussione giuridica nell’ordinamento degli Stati membri, concretizza comunque quel filo di innovazione già prospettata con entusiasmo della Corte di Cassazione Italiana.

A tal riguardo però non si può fare a meno che riprendere le annotazioni espresse sapientemente nella sentenza n. 138/2010, ammettendo con che, proprio l’art. 9 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea prevedendo un incontrovertibile rinvio della delicata questione alle leggi nazionali, conferma <<che la materia è affidata alla discrezionalità del Parlamento >>.

4. L’art. 29 della Costituzione. Un precetto costituzionale insuperabile.

I giuristi tutti non possono dimenticare che la Carta Costituzionale rappresenta il metro di valutazione e l’unico mezzo risolutivo, poiché – come autorevolmente sostenuto dall’Ordinario Costituzionalista Roberto Bin – essa è <<anche un testo normativo, una fonte del diritto da cui derivano diritti e doveri, obblighi e divieti giuridici, attribuzioni di potere e regole per il loro esercizio.>> [R. Bin, Capire la Costituzione, Laterza, Bari, 2002, pag. 6.].

Nel prescrivere che la Repubblica riconosce “la famiglia come società fondata sul matrimonio” (art. 29 Cost., comma 1.) la Costituzione non esclude certo il riconoscimento giuridico di altre formazione sociali. Piuttosto la Costituzione garantisce alla famiglia un regime di favore conferendogli rilevanza privilegiata e diversa da quella che potrebbe essere garantita ad altre formazioni, ciò in ragione dell’infungibile funzione svolta nella società.

Par vero ammettere che viene tutelata la famiglia come cellula creatrice della vita sociale (Aldo Moro), in quanto capace di trasmettere al singolo il primo impulso al sentimento della solidarietà (Costantino Mortari).

I Padri Costituenti avevano ben chiaro il delicatissimo compito affidato alla <<famiglia fondata sul matrimonio>> esclusero che tale funzione potesse essere riconosciuta ad una mera ed aleatoria comunità di affetti questo in considerazione del <<maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè stabile istituzione sovrintendente.>>(cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 8/1996).

In tal senso gli interventi, le discussioni e alcune schematizzazioni che i Costituenti fecero in sede di Assemblea Costituente chiariscono, meglio di chiunque altro, l’imprescindibile dogma racchiuso nell’art. 29 Cost.. Non può esservi nulla di più impreciso nella lettura della Costituzione senza attingere a piene mani della linfa dei lavori preparatori per la Costituzione.

Tanta insistenza nell’ammettere l’importanza degli interventi che si precedettero la stesura definitiva dell’articolo dedicato alla famiglia, è data dal fatto che, come il Costituente V. E. Orlando ebbe a puntualizzare, “i lavori preparatori hanno pur sempre una massima importanza per la interpretazione, poiché nessuno può meglio palesare, apprezzare, riconoscere le ragioni profonde che dettarono la legge, di quanto possano gli Autori di essa”.

Siccome nel presente momento storico-politico, il Parlamento, non in grado di intervenire per revisionare la Costituzione né tanto meno sarebbe capace di formulare ex novo l’art. 29, allora si preferisce relativizzare fino a privare di contenuto tale norma poiché in conflitto con qualche momentaneo e spicciolo interesse di parte.

L’azione è chiara : si svuota di contenuto con l’obiettivo di difendere solo in superficie la Costituzione per poi, di fatto, infrangerla!

Fino a che punto può spingersi la giurisprudenza nell’interpretazione? Diritto Costituzionale o diritto creativo? Questi interrogativi richiederebbero discussioni ben più ampie. In estrema sintesi può ammettersi che nessuno, nemmeno un Giudice può oltrepassare il limite rappresentato dagli articoli della Costituzione. Creare nuovi diritti è una prerogativa che spetta al Parlamento e non può assolutamente essere rimessa all’opera di qualche Corte. In caso contrario si giungerebbe pian piano a sovvertire l’architettura istituzionale dell’intero Paese.

Anche se il concetto di famiglia <<non si può ritenere cristallizzato con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore>> tuttavia <<l’ interpretazione non può spingersi fino al punto di incidere sul nucleo della norma>> (cfr. sentenza n. 138/2010 Corte Costituzionale p.9; sentenza n. 4184 Corte Cassazione p. 3.1.), è pertanto impensabile includere nell’art. 29 fenomeni altri e differenti.

L’azione di alcune Corti e l’interventismo esasperato delle istituzioni sovranazionali, evocano un superamento, quasi implicito, dell’art. 29 proponendo, di fatto, una delegittimazione strisciante ed arbitraria della Carta Costituzionale.

Pertanto ove si volesse disciplinare, nell’ordinamento italiano, altre unioni (matrimoni) di soggetti del medesimo sesso equiparandole alla famiglia naturale dell’art. 29 dovrebbe necessariamente provvedersi ad un intervento diretto al testo costituzionale.

5.Conclusioni.

Certamente, a seguito del ragionamento seguito, è chiara, si spera, l’aprioristica ed assoluta esclusione della facoltà di assimilare all’articolo 29 Cost. ipotesi eterogenee e non compatibili con la norma stessa. La valutazione non può essere rimessa alle aule dei Tribunali né tantomeno può ipotizzarsi un allineamento asettico con altre situazioni di Stati Europei e no. Altrimenti così facendo si finirebbe per far percepire la Costituzione come un testo vuoto da cui attingere alcuni articoli con arbitraria discrezione e convenienza.

L’analisi prospettata non può avere, chiaramente, pretese di completezza ma potrebbe (e dovrebbe) comunque condurre ad un quadro d’insieme abbastanza attendibile.

Sarebbe auspicabile che principalmente il legislatore non resti sordo agli stimoli e si cimenti ad affrontare organicamente la questione considerando a tal fine la profonda incidenza dei tempi della modernità.

Purtroppo l’uomo è incline a confondere la famiglia (art. 29 Cost.), essenza della Carta Costituzione, con le contingenze accidentali dei tempi odierni terminando pericolosamente per mercanteggiarne la sostanza con la forma e giungendo a conclusioni oltranziste fino a privare di significato l’art. 29 della Carta Fondamentale.

In questo quadro, allora, dal punto di vista strettamente giuridico non può ammettersi un superamento (né giurisprudenziale né di norme internazionali) del dogma costituzionale giacché in Italia la famiglia, unione tra uomo e donna, è meritevole di protezione di rango superiore.

Certamente non può essere assolutamente minimizzarsi l’esistenza di coppie formate da soggetti dello stesso sesso che, anche in Italia, intendono vivere un rapporto affettivo stabile. Dette unioni, a seguito delle considerazioni emerse, non possono evidentemente essere incluse nell’alveo normativo dell’art. 29 Cost.. Sono però degne di rispetto ed esigono interventi legislativi ma non per questo tali da equipararsi a quell’insuperabile limite insito nella Costituzione.