La giustizia e l’amore
"La giustizia è giustizia senza qualificazioni ed ha in sé il suo irrigettabile limite di rigore. L’essenziale è che sia giustizia appunto e non vendetta, vivificata perciò dall’amore strumentale e provvisoria, fiduciosa nelle capacità di recupero dell’uomo, rispettosa dell’uomo, in una parola."
L’incipit non è della guardasigilli Marta Cartabia ma di un Aldo Moro giovanissimo. In questi giorni di ricordi agiografici, spesso retorici, noi vogliamo ricordare la figura dello statista con uno scritto datato ma di una attualità sconvolgente.
Il 9 maggio del 1978, dopo 54 giorni di prigionia, Aldo Moro viene ucciso dalle Brigate Rosse. Sono trascorsi 43 anni che lo statista della Democrazia Cristiana non c’è più.
Credo che alla "resa dei conti" anche gli uomini che non lo hanno amato e che lo hanno dipinto come il "politico mediatore ad ogni costo", oggi lo rimpiangano come esempio morale e politico di quell’altissimo livello a cui le vicende di questi ultimi anni di Repubblica ci hanno "disabituato".
Oggi la ricerca dell’uomo della provvidenza, che come il demiurgo risolve i problemi è l’esatto contrario del pensiero di Aldo Moro. Un pensiero incentrato sulla partecipazione di tutti per la ricerca di una sintesi sempre proiettata sul futuro.
La visione politica di Moro era incentrata sul "dinamismo della realtà e sulla assunzione di responsabilità nelle scelte". La vera politica non abdica dalla sua responsabilità, non asseconda le tendenze, ma cerca di cogliere la logica degli accadimenti per disinnescarne e prevenirne gli esiti più indesiderati o tragici.
Negli scritti di Moro si percepisce la ricerca spasmodica di esaminare il presente guardando in avanti, verso il futuro. La politica senza ideali e senza speranza, per lo più adagiata, pessimisticamente, sulla gestione dell’esistente non apparteneva a Moro.
Ripensare oggi Aldo Moro significa rimettere, forse, la barra al centro e riprendere la navigazione, avendo in mente cosa differenzia la politica, con la p minuscola, da quella Politica con la P maiuscola come servizio nei confronti dei cittadini.
In questa ottica di visione del futuro governando il presente, propongo la lettura di uno scritto lontanissimo nel tempo ma di stretta attualità: "La giustizia e l’amore".
Un Aldo Moro giovanissimo scrisse sulla rubrica Osservatorio nel 1945 questo brano:
"Vi sono in questo momento nel nostro Paese (e presumibilmente non soltanto nel nostro Paese) dolorosi fenomeni di rigorosa intransigenza. Naturalmente non si vuol negare qui che la giustizia debbe fare il suo corso né si ha la pretesa di ridurre semplice e piano quel che è terribilmente complesso.
Ma non si può fare a meno di avvertire del carattere non risolutivo dei mezzi adoperati per risolvere questa gravissima crisi.
Vogliamo eliminare?
Vogliamo punire? Va bene.
Ma poi? Qual è il domani che noi prepariamo?
Perché non possiamo farci illusioni che queste cose siano altro che urto di forza contro forza, anche se una di esse ha il diritto dietro di sé e si suole chiamare, con un nome più conciliante, giustizia.
Può sembrare che dopo tanta compressione la libertà, la irriducibile libertà umana, sia andata perduta, tanto che la via da percorrere diventi ora immensamente più facile per la mancanza di questo formidabile ostacolo. Invece la libertà, benché compressa, non è mai perduta del tutto e ci impone di comportarci, anche nella lotta, nel giudizio, nella condanna, come uomini liberi di fronte ad uomini liberi. Proprio contro la libertà la forza è impotente; su di essa incide efficacemente soltanto la persuasione. Qui una sola forza può operare ed è quella dell’amore.
La nostra civiltà sembrava avere durevolmente ricevuto il principio che soltanto l’amore, ch’è attesa di redenzione, ch’è fiducia nella possibilità della redenzione, giustifichi ed esalti la reazione punitiva della società anche la più dura.
Si badi, non si tratta di ammorbidire la giustizia, di renderla clemente, di agevolare le evasioni. La giustizia è giustizia senza qualificazioni ed ha in sé il suo irrigettabile limite di rigore. L’essenziale è che sia giustizia appunto e non vendetta, vivificata perciò dall’amore strumentale e provvisoria, fiduciosa nelle capacità di recupero dell’uomo, rispettosa dell’uomo, in una parola.
Dopo l’odio una rinascita è possibile.
Questa crisi, come tutte le crisi, non sarà chiusa con il sangue, neppure per coloro che hanno sofferto e pagato di persona. Come tutte le grandi fratture che nascono dall’oscuramento della verità (e chi può dire di non esserne, anche in minima parte, responsabile?), questa può essere superata soltanto da un ritrovamento della verità operato dall’amore. Benché possa costare gravissimi sforzi, benché all’istinto possa apparire esperienza impossibile, questa rinascita dell’amore, dopo l’odio e contro l’odio, è la sola cosa seria e costruttiva. Ed è poi in definitiva anche la più utile".
Queste parole sono del 1945, dopo le devastazioni di una dittatura, di una guerra anche fratricida e sono un inno all’amore la più grande rivoluzione di tutti i tempi, che vince ogni avversità, dura più del tempo ed è più forte del dolore e finanche della morte.
Non c’è uomo giusto sopra la terra che faccia sempre il bene e non pecchi mai (Ecclesiaste).