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La parabola degli “onesti in politica”

L’onestà politica
Benedetto Croce
Benedetto Croce

Sono trascorsi quasi cent’anni dalla stesura del saggio “Etica e politica” di Benedetto Croce, prima edizione del 1931. Una raccolta di quattro suoi lavori già apparsi a stampa negli anni dal 1918 al 1928. La lettura dell’opera lascia interdetti per l’attualità dei temi e dei ragionamenti.

Riccardo Radi

 

Un’altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa dell’«onestà» nella vita politica.

L’ideale che canta nell’anima di tutti gl’imbecilli e prende forma nelle non cantate prese delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta d’areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia per altro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica.

Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo fatto salire al potere un quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine.

È strano (cioè, non è strano, quando si tengano presenti le spiegazioni psicologiche offerte di sopra) che, laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatoria, nelle cose della politica si chiedano, invece, non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura.

«Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica?»  – si domanderà – l’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze.

«È questo soltanto? E non dovrà essere egli uomo, per ogni rispetto, incensurabile e stimabile? e la politica potrà essere esercitata da uomini in altri riguardi poco pregevoli?».

Obiezione volgare, di quel tal volgo, descritto di sopra. Perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo renderanno improprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre, e simili; al modo stesso che censuriamo, in un poeta giocatore e dissoluto e adultero, il giocatore, il dissoluto e l’adultero, ma non la sua poesia, che è la parte pura della sua anima, e quella in cui di volta in volta si redime (…).

«Ma no», si continuerà obiettando, «noi non ci diamo pensiero solo di ciò, ossia della vita privata; ma di quella disonestà privata che corrompe la stessa opera politica, e fa che un uomo politicamente abile tradisca il suo partito o la sua patria; e per questo richiediamo che egli sia anche privatamente, ossia integralmente, onesto». Senonché non si riflette che un uomo dotato di genio o capacità politica si lascia corrompere in ogni altra cosa, ma non in quella, perché in quella è la sua passione, il suo amore, la sua gloria, il fine sostanziale della sua vita. Allo stesso modo che il poeta, per vizioso e dissoluto che sia, se è poeta, transigerà su tutto ma non sulla poesia, e non si acconcerà a scrivere brutti versi.

«E se, nonostante l’impulso del suo genio, nonostante l’amore per la propria arte, soggiacerà ai suoi cattivi istinti e farà cattiva politica? » Allora, il presente discorso è finito, perché siamo rientrati nel caso in cui la disonestà coincide con la cattiva politica, con l’incapacità politica, da qualunque lontano motivo sia prodotta, virtuoso o vizioso, e in qualunque forma si presenti, cioè come incapacità abitudinaria e connaturata, o incapacità intermittente e accidentale. Può altresì il poeta geniale, talvolta, per compiacenza o a prezzo, comporre versi senza ispirazione e adulatori; senonché, in quel caso, non è più poeta.