La proposta di regolamento della Commissione sugli European crowdfunding service providers

La proposta di regolamento della Commissione sugli European crowdfunding service providers
La proposta di regolamento della Commissione sugli European crowdfunding service providers

Lo scorso 29 agosto la Commissione per i problemi economici e monetari del parlamento Ue ha discusso la proposta di regolamento “per facilitare la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento collettivo e che modifica i regolamenti (UE) n. 345/2013 e (UE) n. 346/2013” avanzata a marzo 2018 dalla Commissione europea, che prevede un quadro unico europeo per disciplinare le piattaforme di crowdfunding, potenziando le “forme di finanziamento alternativo” per startup e aziende a corto di capitali.

La proposta di regolamento, prevista nel programma di lavoro della Commissione per il 2018, dev’essere inquadrata nel più ampio contesto del “Capital Market Union” (http://www.consob.it/web/investor-education/verso-il-mercato-unico-dei-capitali), progetto portato avanti fin dal 2014 dalla Commissione europea che, come suggerisce il nome, mira all’unione dei mercati di capitali.

Obiettivo finale del progetto è la creazione di un autentico mercato interno di capitali, ottenibile riducendo la frammentazione dei mercati, appianando gli ostacoli normativi al finanziamento dell’economia ed offrendo alle aziende europee, incluse le Pmi, un sempre più ampio ventaglio di fonti di finanziamento e capitali.

Con tale regolamento nascerebbe un’etichetta europea per le piattaforme di crowdfunding alla quale i portali accreditati dovrebbero aderire per essere abilitati all’attività internazionale.

A supervisionare il progetto vi è l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma).

 

La prima lettura di marzo è parsa limitante: come mai?

A marzo, alla prima lettura del testo, erano emersi punti che rendevano limitante, se non addirittura controproducente, l’eventuale adesione delle piattaforme crowdfunding al proposto modello europeo. 

Anzitutto, il tetto massimo di raccolta è stato fissato a €1 milione, mentre in molti Paesi il limite è notevolmente maggiore. In Italia, ad esempio, è di 5 milioni. Inoltre, il limite è riferito non alla singola campagna ma a un periodo di 12 mesi da quando la società lancia la raccolta; in tal modo una società non potrebbe lanciare due round in un anno per un importo complessivo maggiore al 1 milione. 

La proposta di regolamento è stata molto rigida anche riguardo alla comunicazione e al marketing: le piattaforme non potranno comunicare le campagne con nessun mezzo di comunicazione, incluse email, anche interne, e social network. 

L’utilizzo di SPV (Special Purpose Vehicle) come strumento di raccolta è vietato a meno che ESMA non lo ritenga giustificato. Se teniamo conto che nel mercato del real estate l’utilizzo degli Spv è praticamente obbligatorio, si capisce che tale prescrizione potrebbe risultare un problema per le piattaforme di real estate crowdfunding. 

Anche la gestione dei conflitti di interesse risulta essere piuttosto restrittiva: per esempio, non consente a chi detiene almeno il 20% di quote della piattaforma di lanciare campagne di crowdfunding per sé o per società controllate. Misura che renderebbe complesso a fondi VC, banche o grandi imprese che puntano su Open Innovation, finanziare le piattaforme di Crowd Investing entrando nel loro capitale. 

 

Possibili modifiche

II testo è stato discusso a Bruxelles lo scorso 29 agosto dalla Commissione per i problemi economici e monetari del parlamento Ue.

In tale sede sono state ipotizzate modifiche che renderebbero più appetibile l’adesione alla label per le piattaforme: il tetto massimo di raccolta passerebbe dall’attuale milione a 8 milioni di euro e nel regolamento verrebbero inclusa anche la possibilità di lanciare I.C.O. (Initial Coin Offering).