La punibilità del tentativo nei delitti dichiarativi
Com’è noto, i reati in materia di dichiarazione dei redditi (articoli da 2 a 4 del Decreto legislativo 74/2000) non sono punibili a titolo di tentativo per espressa previsione normativa di cui all’articolo 6 del medesimo decreto.
Tuttavia, il Decreto legislativo, 14 luglio 2020, n. 75, (“Attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale”) ha introdotto una rilevante modifica alla disciplina penale dei reati tributari.
In particolare, l’articolo 2 cit. (in vigore dal 30 luglio 2020), modificando il citato assetto normativo, ha aggiunto all'articolo 6 del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, il comma 1-bis, che introduce la punibilità anche delle ipotesi di delitto tentato (e non solo consumato) per i reati dichiarativi (di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione infedele) ancorché per fattispecie particolarmente gravi (ipotesi di superamento del valore complessivo di dieci milioni di euro).
A partire dal 30 luglio 2020, dunque, l’articolo 6 Decreto legislativo 74/2000, rubricato, “Tentativo”, così dispone:
«1. I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo.
1-bis. Salvo che il fatto integri il reato previsto dall'articolo 8, la disposizione di cui al comma 1 non si applica quando gli atti diretti a commettere i delitti di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell'Unione europea, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro.»
Dal dato normativo emerge che il tentativo si applica nelle ipotesi di:
- dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2, Decreto legislativo 74/2000);
- dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3, Decreto legislativo 74/2000);
- dichiarazione infedele (articolo 4, Decreto legislativo 74/2000),
quando siano compiuti atti diretti per commettere i reati anche in territorio estero ai fini di evadere l’IVA per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro.
Presupposti oggettivi e imprescindibili per la configurabilità del tentativo nei delitti dichiarativi sono, dunque, l’elemento transnazionale nonché la circostanza che si tratti di evasione dell’IVA per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro; contrariamente, i reati dichiarativi non sono punibili a titolo di tentativo per espressa previsione normativa di cui all’articolo 6, comma 1, cit.
A riguardo, giova premettere che il delitto tentato è disciplinato dall’articolo 56 codice penale ai sensi del quale:
«Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l'azione non si compie o l'evento non si verifica.
Il colpevole di delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l'ergastolo; e, negli altri casi con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.
Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sè un reato diverso.
Se volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà».
In altri termini, il delitto tentato punisce quegli atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, senza però che il crimine sia stato commesso; o perché manca l'evento, nonostante la condotta sia stata realizzata, oppure perché la condotta è stata realizzata solo in parte.
Tanto chiarito, e venendo alla fattispecie dei delitti c.d. dichiarativi, in punto di diritto occorre rilevare che i delitti di cui agli articoli 2, 3 e 4 Decreto legislativo 74/2000 puniscono, rispettivamente, la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; la dichiarazione mediante altri artifici e la dichiarazione infedele. Dalla lettura del compendio normativo emerge, in modo inequivoco, che la punibilità delle dichiarazioni fraudolenti e infedeli da parte del contribuente è subordinata alla presentazione di una dichiarazione di elementi passivi e la violazione può riguardare qualsiasi tipo di modello dichiarativo rilevante ai fini delle imposte dirette e dell’Iva. In particolare, mentre gli articoli 2 e 3 si caratterizzano per l’elemento fraudolento (condotte artificiose attive nonché omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà), diversamente, l’articolo 4 si configura quando il contribuente indica in dichiarazione elementi attivi inferiori o elementi passivi inesistenti superiori rispetto a quelli esistenti, superando le soglie di punibilità. La fattispecie incriminatrice costituisce un reato proprio, sicché il delitto può essere commesso unicamente da un soggetto che, in qualità di contribuente, è tenuto alla presentazione di una delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all'imposta sul valore aggiunto.
Quanto all'elemento psicologico, la condotta delittuosa è punita a titolo di dolo specifico, che consiste nella coscienza e volontà di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Tale fattispecie incriminatrice è qualificata come un delitto di pericolo con dolo di danno e, inoltre, la giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere i delitti de quibus come reati di mera condotta (Cass., S.U., 25.10.2000; Cass., Sez. II, 29.1.2004), aventi natura istantanea (Cass., Sez. Pen., 16 dicembre 2015, n. 49570; Cass. Pen., Sez. II, 26 novembre 2010, n. 42111; Cass., S.U., 25.10.2000; Cass., Sez. III, 28.2.2003), che si consumano con la presentazione della dichiarazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Specificamente, nel sistema delineato dal legislatore (prima della novella intervenuta con il Decreto legislativo 75/2020), fino alla presentazione della dichiarazione il reato non poteva risultare perfezionato, né la disposizione di legge rendeva ammissibile l'ipotesi del tentativo ex articolo 56 c.p., esplicitamente esclusa dall'articolo 6 del Decreto legislativo n. 74/2000, indipendentemente dal valore complessivo evaso. E invero, l’articolo 6 cit., all’unico comma stabiliva che per i delitti dichiarativi (previsti dagli articoli 2, 3 e 4) il tentativo non era configurabile, con la conseguenza che il reato si realizzava soltanto nel momento della presentazione della dichiarazione e che la condotta precedentemente realizzata e i comportamenti prodromici tenuti dall'agente - ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi, ovvero di false rappresentazioni con l'uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento - non era penalmente rilevante anche se superiore a dieci milioni di euro.
Quindi, l'astratta ipotizzabilità della disposizione evocata era, comunque, subordinata all'accertamento dell'avvenuta presentazione della dichiarazione annuale: altrimenti, e prima di essa, i comportamenti delineati non risultavano rilevanti ai fini penali se non, per i casi di omessa dichiarazione, ai sensi dell'articolo 5 del decreto citato, peraltro integrato dal superamento della soglia di punibilità per l'imposta evasa, indicata al comma 1.
Con la novella introdotta dall’articolo 2 del Decreto legislativo 75/2020, a partire dal 30 luglio 2020, invece, il delitto tentato è stato esteso anche alle fattispecie dichiarative, con la limitazione che gli atti diretti per commettere i reati di dichiarazione fraudolenta ed infedele siano compiuti anche in territorio estero ai fini di evadere l’IVA, per un valore complessivo non inferiore a 10 milioni di euro. Conseguentemente, se prima della presentazione della dichiarazione si ometta la contabilizzazione di ricavi con IVA evasa inferiore a 10 milioni di euro, ovvero siano contabilizzate fatture false, sempre con evasione corrispondente al medesimo importo, non sarà punibile il tentativo.
A tal punto, occorre, tuttavia, evidenziare che la portata applicativa della norma in commento non sembra essere particolarmente chiara, avendo questa già posto numerose criticità in relazione al requisito della transnazionalità.
In particolare, ha destato particolare perplessità la precisazione («(…) anche in altro Stato estero (…)») in quanto non è chiaro se sia condizione necessaria per far scattare la punibilità (nella forma tentata) ovvero se il delitto tentato possa configurarsi anche per violazioni commesse in Italia. A riguardo, seppur non siano intervenuti chiarimenti da parte del legislatore ovvero dell’Amministrazione, a parere di autorevoli autori sembrerebbe preferibile l’opinione secondo cui gli illeciti tributari in questione riguardino anche uno Stato Ue oltre all’Italia, atteso che il Decreto legislativo 75/2020 è emanato in recepimento della direttiva Pif, la quale si riferisce espressamente a «sistemi fraudolenti transfrontalieri» (v. A. Iorio, ne «Il Sole-24 Ore», 24 gennaio 2020, pagina 25). Più nel dettaglio, in relazione ai reati tributari, con il Decreto legislativo 75/2020, viene data attuazione alla Direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (la “Direttiva PIF”), la cui ratio è quella di “proseguire nel ravvicinamento del diritto penale degli Stati membri completando, per i tipi di condotte fraudolente più gravi in tale settore, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione ai sensi del diritto amministrativo e del diritto civile (…).
In conclusione, l’articolo 2 del Decreto legislativo 75/2020, oggetto di esame del presente contributo, con l’aggiunta dell’inedito comma 1-bis in seno all’articolo 6 del Decreto legislativo 74/2000, ha mutato l’assetto normativo, introducendo – a determinate condizioni - la punibilità del tentativo nelle ipotesi di reati dichiarativi. Dunque, ad oggi, in relazione alle operazioni a carattere transnazionale, se prima della presentazione della dichiarazione si ometta la contabilizzazione di ricavi la cui Iva evasa sia superiore a dieci milioni di euro ovvero se vengono contabilizzate fatture false che comportano un’evasione Iva superiore ai dieci milioni si avrà il delitto tentato rispettivamente di dichiarazione infedele e dichiarazione fraudolenta prima della presentazione della dichiarazione Iva. Alla luce del quadro fin qui delineato, data la portata transnazionale della norma in commento, tale novità riguarderà prevalentemente gli enti che svolgono attività di natura industriale, specie se aventi ad oggetto scambi commerciali con l'estero, o le società di servizi che operano nei settori dei trasporti e delle spedizioni transfrontaliere.