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La responsabilità degli enti e il principio del ne bis in idem

ne bis in idem
ne bis in idem

Abstract

La Corte di Cassazione ha escluso la violazione del principio del ne bis in idem convenzionale ove concorrano il giudizio penale e quello contabile per danno erariale. La sanzione patrimoniale eventualmente applicabile in esito al primo giudizio ha infatti una finalità punitiva poiché serve a privare il reo del profitto o del prezzo del reato. La condanna eventualmente inflitta in esito al giudizio contabile ha invece una finalità meramente recuperatoria cui è estraneo ogni intento punitivo.

 

Indice:

1. La questione di diritto posta al giudice di legittimità

2. Le ragioni della decisione

3. Il punto conclusivo

 

Avvertenza: tutte le decisioni citate sono disponibili in calce allo scritto.

 

1. La questione di diritto posta al giudice di legittimità

La seconda sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 35462/2019 del 2 luglio 2019, si è pronunciata sulla compatibilità con il principio del ne bis in idem del cosiddetto doppio binario, espressione apparentemente ferroviaria che in realtà designa la previsione, a fronte di una medesima condotta, di due sanzioni appartenenti a al genere penale e a quello amministrativo.

Nella sentenza impugnata la Corte territoriale aveva condannato il ricorrente per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, disposto la confisca per equivalente dei beni oggetto di sequestro preventivo e applicato alla società cooperativa di cui questi era amministratore una sanzione pecuniaria ai sensi degli articoli 2 e 25 del Decreto legislativo 231/2001.

Nel ricorso, l'interessato, sia in proprio che per conto della società amministrata, ha fatto presente di avere subito per lo stesso fatto un giudizio contabile per danno erariale e di essere stato prosciolto dall'addebito con una sentenza emessa prima di quella impugnata.

Ha lamentato pertanto che il giudice penale, anziché prendere atto della pronuncia favorevole in sede contabile e assolvere a sua volta, l'aveva invece ignorata e affermato sia la sua personale responsabilità penale che quella amministrativa dell'ente.

Il collegio di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso.

 

2. Le ragioni della decisione

La sentenza in commento ha escluso l'applicabilità al caso concreto del divieto di bis in idem

L'estensore ha richiamato a tal fine Cassazione penale, sezione 1, sentenza n. 39874/2018, per la quale il giudizio contabile e quello penale perseguono differenti finalità (recupero di quanto illecitamente sottratto al patrimonio pubblico nel primo, confisca del profitto illecitamente conseguito nel secondo).

Ha ricordato il convincimento espresso dalla sentenza 34655/2005 delle Sezioni unite penali e dalla decisione 200/2016 della Corte Costituzionale, secondo le quali può riconoscersi l'identità del fatto solo se questa sia estesa a condotta, evento, nesso causale ed ogni altra circostanza significativa.

Ha richiamato infine Cassazione penale, sezione 6, 35205/2017 in cui è affermato che "la giurisdizione penale e la giurisdizione contabile sono reciprocamente autonome anche in caso di azione di responsabilità derivante da un medesimo fatto di reato commesso da un pubblico dipendente e l'eventuale interferenza che può determinarsi tra i relativi giudizi incide solo sulla proponibilità dell'azione di responsabilità e sulla eventuale preclusione derivante dal giudicato, ma non sulla giurisdizione".

 

3. Il punto conclusivo

La decisione qui commentata appare in linea di massima condivisibile, sia pure con talune precisazioni.

In ordine all'identità del fatto, l'estensore si è limitato a citare i riferimenti giurisprudenziali che definiscono gli elementi di cui tenere conto per ammetterla o escluderla.

In nessun passo della motivazione, tuttavia, quei riferimenti teorici sono stati posti a confronto con le contestazioni rispettivamente formulate nella sede penale e in quella contabile sicché l'implicita esclusione dell'identità risulta il frutto di premesse teoriche più che di una verifica effettiva.

Piuttosto sbrigativo è anche il passaggio motivazionale sulla natura dei due giudizi presi in considerazione, delle finalità loro proprie e delle sanzioni che ne possono costituire l'esito.

È bene dunque ricordare che la confisca per equivalente ha una palese natura punitiva, riconosciuta dalle Sezioni unite penali con la sentenza n. 31617/2015, Lucci, cui si è allineata senza esitazioni la giurisprudenza successiva. L'istituto rientra quindi a pieno titolo nel concetto di "materia penale" messo a punto in più di quarant'anni dalla Corte europea dei diritti dell'uomo fin dalla notissima decisione Engel ed altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976 e più volte modificato e aggiornato, da ultimo ad opera della sentenza A. e B. c. Norvegia, 15 novembre 2016.

La confisca per equivalente è di conseguenza un istituto cui deve essere associato lo statuto garantistico messo a punto dai giudici dei diritti umani.

Se poi è applicato congiuntamente ad un altro istituto ugualmente punitivo, il doppio binario è legittimo solo se sia prevedibile dall'interessato e il cumulo di sanzioni non comporti un sacrificio eccessivo.

Nondimeno, nel caso di specie questa eventualità non ricorre poiché, come correttamente rilevato dalla sentenza 35462/2019, il giudizio per danno erariale persegue finalità esclusivamente recuperatorie sicché gli è estranea la logica punitiva.

È tuttavia il caso di sottolineare che l'assenza di intenti afflittivi non è una caratteristica immanente ed immutabile delle procedure di tale genere.

Si pensi infatti che in questo ambito opera anche un procedimento come quello finalizzato al risarcimento del danno all'immagine della pubblica amministrazione. L'istituto è regolato dall'articolo 1, comma 1-sexies della Legge 20/1994 che così dispone: «nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertata con sentenza passata in giudicato si presume, salvo prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra attività illecitamente percepita dal dipendente».

Una mera presunzione, certo, ma farla coincidere col criterio del duplo, senza alcun fondamento empirico che lo giustifichi, equivale a mettere in campo una misura punitiva.

Ecco allora che anche nell'ambito della responsabilità erariale possono emergere istituti che perseguono scopi più ampi del semplice recupero ed è bene che se ne prenda atto.

Resta infine un'ultima puntualizzazione.

La sicura e riconosciuta autonomia tra giudizio penale e giudizio extrapenale non equivale ad indifferenza.

Basti qui considerare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 19, comma 1, Decreto legislativo 231/2001, il quale dispone che «Nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato». Previsione, questa, che, secondo la condivisibile interpretazione della citata sentenza n. 39874/2018, implica che «nel determinare l'ammontare pecuniario sino a concorrenza del quale confiscare in sede penale i beni del condannato e della persona giuridica è necessario tenere conto della già avvenuta totale o parziale restituzione o corresponsione all'ente danneggiato di eventuali somme di denaro, da scomputare dal totale del profitto del reato, che va considerato, non al momento di percezione, ma all'atto della decisione».