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La riforma della corruzione tra privati

Il regime di procedibilità della corruzione tra privati
Il regime di procedibilità della corruzione tra privati
Il regime di procedibilità della corruzione tra privati

Parte III

 

Il d.lg. 38/2017 conserva, come si è detto, il regime di procedibilità su querela di parte per la corruzione tra privati[1] (articolo 2635 del codice civile):

  1. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.

Ai sensi del comma 5, pertanto, il pubblico ministero potrà procedere d’ufficio per tale reato solo nell’ipotesi in cui dal fatto sia derivata una distorsione della concorrenza nell’acquisizione di beni o servizi.

Nell’ipotesi in cui il reato sia stato commesso da un amministratore, il diritto di querela spetta all’assemblea; se invece il reato è commesso dagli altri soggetti, il diritto di querela compete al legale rappresentante o all’organo di amministrazione.

 

La nozione di distorsione della concorrenza 

In relazione al testo previgente si riteneva, prevalentemente, che la distorsione alla concorrenza dovesse derivare dal “fatto di reato” complessivamente inteso, vale a dire dalla condotta corruttiva da cui fosse derivato causalmente il nocumento alla società; non, insomma, dalla sola condotta corruttiva[2].

Con il venir meno, dalla struttura della fattispecie, del “nocumento alla società” la questione perde importanza: la distorsione della concorrenza può derivare, eventualmente, da un accordo corruttivo, punito in quanto tale.

Come è stato ben rilevato[3], la “distorsione della concorrenza” presuppone l’esecuzione dell’accordo corruttivo, cioè l’effettivo compimento o l’omissione dell’atto in violazione dei doveri o degli obblighi di fedeltà, mentre il nuovo testo dell’articolo 2635 del codice civile non richiede l’integrazione di un tale requisito.

Incisivamente è stato aggiunto che “sarebbe assai arduo, se non impossibile, dimostrare che un singolo fatto di corruzione privata abbia addirittura inciso negativamente sulla concorrenzialità di un intero settore di mercato. Un simile risultato offensivo può derivare solo da un insieme di condotte seriali e pervasive”[4].

Altra questione di rilievo: quale estensione deve avere la menzionata distorsione della concorrenza?

È chiaro che la norma potrebbe avere una sua apprezzabile sfera di operatività solo ove non si facesse riferimento alla concorrenza all’interno di un singolo mercato, ma a quella nell’ambito di una specifica operazione economica.

In ogni caso la potenzialità lesiva dell’atto corruttivo potrebbe essere esclusa, ad esempio[5], nel caso in cui il corruttore fosse l’unico fornitore sul mercato oppure allorché l’offerta del corruttore risulti già ex ante la migliore in termini competitivi.

Il principio di indivisibilità della querela

Ai sensi dell’articolo 123 del codice penale la querela sporta nei confronti di un solo soggetto si estende di diritto anche agli altri concorrenti nel reato.

Il delitto di corruzione tra privati è qualificabile come reato a concorso necessario (o plurisoggettivo) – secondo lo schema tipico dei classici delitti di corruzione - ed è pertanto interessato dalla disposizione menzionata.

Di conseguenza nessuna improcedibilità deriva dal fatto che la persona offesa (id est: la società del corrotto) abbia sporto querela soltanto contro uno degli autori del reato (il soggetto qualificato corrotto), escludendone gli altri, poiché la querela dispiega ope legis i propri effetti nei confronti del concorrente nel reato (il corruttore), anche senza[6] la volontà del querelante.

La querela è condizione di punibilità del fatto-reato e non di uno o di taluno soltanto degli autori; con essa si rimuove soltanto l’ostacolo della perseguibilità di taluni reati, restando al pubblico ministero il potere di accertamento e di persecuzione dei rei, sicché la querela tempestivamente proposta, conserva valore nei riguardi di coloro che, non indicati inizialmente, risultino poi autori o compartecipi del reato[7].

Nel caso in cui il querelante manifesti contestualmente la volontà di perseguire alcuni colpevoli e non altri, l’intento punitivo ha prevalenza, in quanto esso, in base all’articolo 123 del codice penale, permane e si espande, mentre la rinuncia risulta inoperante, in quanto implicitamente sottoposta alla condizione che vengano perseguiti gli altri responsabili e, dunque, priva di efficacia, secondo quanto disposto dall’articolo 339 comma 2 del codice di procedura penale[8].

Il principio dell’“indivisibilità” della querela trova il limite nel fatto-reato in essa considerato ed opera, quindi, unicamente rispetto ai soggetti che quel fatto hanno commesso, anche se la loro individuazione avvenga in un momento successivo alla proposizione della querela, senza che occorra una nuova proposizione della stessa: condizione essenziale è, peraltro, che si tratti di concorso nello stesso reato.

Infine, la disposizione dell’articolo 123 non può essere intesa nel senso che soltanto se viene accertata la colpevolezza del concorrente in seguito al giudizio deve ritenersi che esattamente la querela sia stata estesa anche a lui, ma nel senso che l’estensione si verifica nei confronti di tutti quelli cui viene attribuita dall’organo istruttorio la commissione del reato[9].

Un esempio di procedibilità “derivata” nei confronti del corruttore e della sua società ai sensi del d.lg. 231/2001

Si faccia il caso di una società offesa ai sensi dell’articolo 2635 del codice civile e si ipotizzi che la stessa proponga querela esclusivamente nei confronti del suo amministratore corrotto.

Ebbene, una simile querela consentirà comunque al pubblico ministero di procedere anche nei confronti del soggetto corruttore (in ipotesi appartenente ad altra società).

Se poi quest’ultimo avesse agito nell’interesse della sua società, lo stesso PM potrebbe procedere anche nei confronti di quest’ultima ai sensi del d.lg. 231.

In altri termini non sussisterebbe alcuna improcedibilità ai sensi dell’articolo 37[10] del d.lg. 231.

 

Parte II

[1] Anche per il nuovo reato di istigazione alla corruzione tra privati si prevede la procedibilità a querela, senza deroga alcuna, non potendosi ipotizzare una distorsione di concorrenza come conseguenza di una condotta che si esaurisce in un semplice “tentativo” di corruzione (La Rosa, Verso una nuova riforma della “corruzione tra privati”: dal modello “patrimonialistico” a quello “lealistico”, www.penalecontemporaneo.it, 23 dicembre 2016).

[2] Con l’effetto di sterilizzare le possibilità applicative della disposizione, essendo difficile (se non impossibile) immaginare una lesione della concorrenza causata da un nocumento alla società. Da qui la prospettazione di una ricostruzione alternativa, che legava l’effetto distorsivo sulla concorrenza alla sola condotta corruttiva.

[3] La Rosa, op. cit.

[4] Mongillo, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale, ESI, 2012, 200.

[5] Mongillo, op. cit., 201.

[6] E, addirittura, eventualmente contro.

[7] Cass., sez. III, 97/209570.

[8] Cass., sez. V, 99/215032.  

[9] Cass., sez. I, 74/129884.

[10]  Ai sensi del quale “Non si procede all'accertamento dell'illecito amministrativo dell'ente quando l'azione  penale non può essere iniziata o proseguita nei confronti dell'autore del reato per la mancanza di una condizione di procedibilità”.