x

x

La scoperta dell’uomo: frutti del cammino quaresimale

Il cristiano trova in Cristo la sola fonte di guarigione da questa tragica condizione, da questo modo di vivere che la nostra società ha solo messo in maggiore evidenza
Quaresima
Quaresima

La scoperta dell’uomo: frutti del cammino in Quaresima


Un frutto celato

La riflessione quaresimale che la Chiesa ogni anno propone ai credenti è, sotto un certo aspetto, focalizzata sull’uomo. Non sull’essere umano in quanto tale, la cui miseria ci è fin troppo nota, bensì su quella natura umana che Cristo assume a nostro beneficio. Mi si potrebbe rispondere che una simile affermazione troverebbe maggiore coerenza e pregnanza se riferita al periodo d’Avvento, alla gioiosa preparazione che ci consente di accogliere la nascita del Signore; in verità però è proprio la centralità assoluta della Pasqua, nell’Anno Liturgico come nella vita del cristiano, che rende le mie parole più che sostenibili.

Il Mistero pasquale infatti non è semplicemente la tragica conclusione della vita terrena di Gesù, né solo la lieta conseguenza del Suo amore per noi; costituisce anche e soprattutto il solo e unico centro attorno al quale tutta l’Incarnazione ruota. La stessa permanenza di Cristo in mezzo a noi acquisisce senso proprio in quanto cammino, glorioso e doloroso, che l’ha condotto alla croce, a quel patibolo che così straordinariamente coniuga la tragicità della condizione umana, piagata dal peccato, con quella chiamata al Cielo ora non più tragicamente distante.

Dal momento quindi che la Quaresima ci chiama a purificarci all’interno di una sequela più assidua, di una vicinanza più stretta al Maestro, ci consente anche, lungo il cammino, di comprendere con sempre maggior precisione l’umanità che il Signore ha reso mirabile strumento di Salvezza. Se innegabilmente il più evidente frutto di questo percorso è una più perfetta comunione con quella Vita Divina di cui Gesù stesso è Sacramento, non si può ignorare anche un guadagno meno visibile ma altrettanto prezioso: una rinnovata consapevolezza di quale sia il nostro centro.

Non dobbiamo difatti mai dimenticare che il Signore, assumendo la natura umana, non si limitò a dotarsi di uno strumento attraverso il quale amare fino in fondo la Sua creatura, ma fornì anche all’uomo un impareggiabile paradigma di ciò che davvero gli compete. Possiamo dire quindi, riprendendo la fortunata immagine giovannea, che Cristo è Luce, intendendo con ciò non solo evidenziare come Egli illumini la nostra conoscenza rivelando la Somma Verità, ma sostenendo anche che i medesimi raggi, squarciando la nebbia che ci acceca, ci mostrano l’uomo quale dovrebbe essere.


Le nebbie del peccato

Sono certo che leggendo le mie parole vi sia venuta in mente immediatamente la dimensione morale. Quale modo migliore infatti d’intendere l’esemplarità dell’umanità di Gesù se non abbracciando l’ambito etico, il suo essere esempio d’ogni atto ed incarnazione d’ogni virtù?

Naturalmente un simile pensiero è tutt’altro che sbagliato e sta, al contrario, alla base di quella splendida visione del Vangelo che ne fa sublime Regola di vita e santità. Tuttavia, se riflettiamo bene su questa accezione delle mie parole ci accorgiamo di avere, in qualche modo, saltato un passaggio: è vero che le azioni di Cristo devono per noi essere lo specchio in cui scorgiamo la perfezione nel bene cui il nostro agire sempre punta, ma altrettanto innegabile è il fatto che alla base di tale esemplarità sta una perfetta comprensione della natura umana stessa.

In altre parole, Gesù ci si presenta come impareggiabile Maestro di vita proprio in virtù del fatto che Egli comprese ed elevò alla perfezione quell’umanità che in Lui ritrova la perduta eccellenza. Ciò significa che la giusta imitazione dei Suoi atti deriva prima di tutto dalla consapevolezza che l’umanità di Cristo è, ai nostri occhi, archetipo stabile di tutto ciò che è immutabilmente umano.

Questo discorso non è una qualche astrusa elucubrazione cristologica, tanto bella quanto apparentemente distante, bensì la base su cui fondare la vita cristiana al giorno d’oggi.

Difatti, come ben notava il cardinal Biffi, «Innegabilmente il nostro è un tempo di confusione e di incertezze. E i cambiamenti politici, economici e culturali possono diventare causa di smarrimento e costituire per molti di noi una tentazione di rassegnazione e di resa, quando addirittura non suggeriscono l’assimilazione a posizioni estranee al nostro patrimonio ideale e dissonanti con la nostra storia»[1]. La soluzione al senso di smarrimento evidenziato dal Cardinale non è una qualche forma di adeguamento, di mimesi ai mutevoli gusti del tempo e della società, bensì l’atteggiamento primo del cristiano che «[…] nei momenti difficili e oscuri riparte sempre da Cristo e dalla sincera e totale adesione a lui»[2].

Queste parole ci pongono di fronte all’evidenza di un’umanità annegata nella mutevolezza, terribilmente pregna di quell’illusione d’assoluta fugacità dell’esistenza di cui solo il peccato può essere autore. Mentre la tremenda ferita si pone implicitamente come sola costante nel cosmo, l’uomo finisce per convincersi che l’impetuoso fiume della storia non abbia un letto ma, profondo ed invincibile, si regga solo sulle tenebre. Una simile concezione ci allontana da una retta comprensione di noi stessi, di ciò che ci rende uomini, per il semplice fatto che prende qualcosa di accidentale, ossia la nostra capacità di adattarci ai mutamenti, e ne fa un elemento sostanziale. Inoltre ci costringe a vivere in un costante stato di tensione, di angoscia, poiché il bene che abbiamo trovato e coltivato nella nostra vita ci apparirà sempre come una parentesi fugace, qualcosa che ci spinge non tanto a conservare ciò che è acquisito quanto a cercarne perennemente un sostituto.

Il cristiano trova in Cristo la sola fonte di guarigione da questa tragica condizione, da questo modo di vivere che la nostra società ha solo messo in maggiore evidenza. Non lo fa per un triste moto d’auto convincimento bensì spinto dalla consapevolezza che, nella fede, egli è divenuto capace di squarciare il velo menzognero del peccato e di scorgere in Gesù non un uomo fra tanti, bensì Colui che mostra cosa nell’uomo è da Dio reso capace d’elevarsi al di sopra del tempo.


Sempre amati

Il percorso quaresimale quindi può essere letto anche come la graduale scoperta di ciò che nell’uomo non è figlio del tempo, bensì realtà radicata in Dio. Non si tratta di negare in Cristo la presenza di elementi strettamente legati alla realtà storica che visse, né d’identificare comportamenti o reazioni staccati dalla caducità del temporale; è necessario invece comprendere come ogni tratto ed ombra dell’uomo trovi la sua stabilità nella misura in cui è orientato a Dio.

Ciò che di stabile e d’indissolubile c’è nella natura umana non è infatti costituito solo da una base materiale o spirituale perpetratasi nel tempo, bensì in primo luogo dalla relazione che lega l’uomo a Dio. Egli infatti è il Solo perfettamente Immutabile, sommamente Stabile nella Sua assoluta Perfezione, tanto che ogni creatura che si ponga in relazione con Lui acquisisce un qualche grado di stabilità. L’uomo, che unico nella materia è chiamato a stringere con Dio una relazione d’amore, eredita proprio da questo superbo legame quell’immutabilità dei tratti che riscontriamo così perfettamente in Cristo.

Ci rendiamo conto allora che, per chi ama Dio, tante sono le conoscenze acquisite, ma una e stabile è la Verità che tutte le orienta; ci accorgiamo che infiniti sono i desideri che agitano il nostro cuore, ma unico è il Bene Sommo che a tutti dà senso; vediamo con gioia che tutto scorre nel mondo, ma che costante è la Bellezza cui ogni caducità si ordina.

Questa è l’umanità che visse Gesù e questa è quella che noi dobbiamo acquisire, consolidando nella Grazia del Mistero Pasquale quanto accolto lungo il tragitto. La santa Quaresima ci mostra, in quest’ottica, la natura del cammino cristiano, un procedere costante, spesso lento ma sempre sostenuto dalla centralità di un Dio che, facendosi uomo, ci rivela Se Stesso e quell’Amore nel quale la nostra natura trova stabile riposo.


[1] Giacomo Biffi, Resistere ai miti di moda, in La festa della fatica umana, ESD, Bologna 2022, pp. 105-106.

[2] Ivi, p. 106.

Testo consigliato

  • Giacomo Biffi, La festa della fatica umana, ESD, Bologna 2022.