x

x

La tutela del software nell’Unione Europea e il caso Oracle: una forte scossa al diritto d’autore

La tutela del software nell’Unione Europea e il caso Oracle: una forte scossa al diritto d’autore
La tutela del software nell’Unione Europea e il caso Oracle: una forte scossa al diritto d’autore

SOMMARIO:  1. Introduzione. – 2. Analisi del contesto normativo, un processo ancóra in fieri. – 3. La sentenza C-128/11 e l’affermazione del principio di distribuzione. – 4. Gli effetti erga omnes della pronuncia della Corte. – 5. Ulteriori considerazioni sugli effetti della sentenza, e la “scossa” al diritto d’autore. – 6. La pronuncia della corte come concreta base per la formazione di una grundnorm.


1. Tra le recenti sentenze, rientranti nel multiverso del diritto dell’informatica, che hanno avuto maggior risonanza, vi è sicuramente  quella della Grande Sezione della Corte di giustizia europea n. C-128/11 del 3 luglio 2012, nota ai più come “Caso Oracle” (Corte giust., 3 luglio 2012, c. 128/11, UsedSoft GmbH c. Oracle International Corp., in Il Foro Italiano, 2012, p. 377 e ss.).


2. Prima di approfondire nel merito la sentenza, è necessario, però, analizzare il contesto normativo in cui si pone, e dunque è bene fissare subito una data importante per la “tutela del software”, quella del 16 marzo 2000, quando fu approvato in norme della Comunità (con la decisione 2000/278/CE del Consiglio) il “Trattato dell’OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Industriale) sul diritto d’autore” (in prosieguo: “Trattato sul diritto d’autore”) al cui articolo 4 così recita: “I programmi per elaboratore sono protetti in quanto opere letterarie ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione di Berna. Tale protezione si applica a qualsiasi modo o forma di espressione di un programma per elaboratore”.
Ma la scelta di individuare nei programmi per elaboratore delle opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore è stata caratterizzata da un lungo dibattito dottrinale, sfociato anzitutto nella esclusione del software dal novero delle invenzioni suscettibili di essere brevettate, avvenuta nell’àmbito della Euopean Patent Convention di Monaco di Baviera, e poi, successivamente, anche nell’entrata in vigore della direttiva 1991/250/CEE, che all’articolo 1 stabilisce che “gli Stati membri tutelano i programmi per elaboratore mediante il diritto d’autore, come opere letterarie ai sensi della Convenzione di Berna sulla tutela delle opere letterarie ed artistiche”.
A suggellare il tutto è stata poi la direttiva 2009/24/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore, volta a fornire un’uniforme applicazione in tutti gli stati membri del diritto d’autore in àmbito informatico, sulla scorta di quanto avvenuto negli Stati Uniti d’America con il Computer Software Amendment Act, e in numerosi paesi anglosassoni.
Facendo un passo indietro, e tornando agli anni che portarono alla formazione del trattato, è da rilevare che ben presto, però, ci si rese conto che quello che si stava creando non fosse un procedimento analogico del tutto completo, tant’è che il legislatore avvertì fin da subito l’esigenza di diversificare la tutela del software da quella delle opere letterarie, introducendo con l’articolo 6 del Trattato sul diritto d’autore, al primo comma, un’importante concetto, fin ad all’ora estraneo al diritto d’autore stesso: “Gli autori di opere artistiche e letterarie godono del diritto esclusivo di autorizzare la messa a disposizione del pubblico dell’originale e di esemplari delle loro opere attraverso la vendita o mediante qualsiasi altro modo di trasferimento della proprietà”.  Con questo comma veniva dunque introdotto il c.d. “Diritto di distribuzione”, di cui ne veniva regolato anche il relativo principio di esaurimento nel successivo comma: “Nessuna disposizione del presente Trattato pregiudica la facoltà delle Parti contraenti di determinare le eventuali condizioni in cui ha luogo l’esaurimento del diritto riconosciuto dal paragrafo 1) dopo la prima vendita od altra operazione di trasferimento della proprietà dell’originale o di un esemplare dell’opera, effettuate con l’autorizzazione dell’autore”.
La reale portata di questa norma probabilmente non è stata del tutto colta, almeno in un primo momento, e probabilmente proprio grazie al “Caso Oracle” si è riusciti ad apprezzare quella lungimiranza tipica di un legislatore che mira a regolare gli interessi della pluralità dei consociati.
Ma prima di entrare nello specifico, è da sottolineare che in realtà questo processo di diversificazione non può ritenersi concluso con l’introduzione del principio di distribuzione, bensì va considerato come un processo ancóra in fieri, sicuramente lungo e complesso, che impiegherà ancóra del tempo prima di giungere a conclusione, tant’è vero che sono tutt’oggi in discussione tutte quelle divergenze legate alla non perfetta omologabilità delle opere letterarie ai programmi per elaboratore, rilevata in dottrina.
Sostenere oggi, dunque, sulla scorta delle norme su richiamate, che i software costituiscano entità perfettamente omologabili alle opere letterarie, suscita non poche perplessità. Parte della dottrina rileva infatti che mancherebbero i requisiti propri delle invenzioni tutelabili, quali l’originalità, la novità e l’industrialità. Ma bisogna far attenzione a non leggere queste considerazioni a favore del diritto industriale. L’esclusione fatta a Monaco  non è del tutto priva di fondamenti. Al riguardo, infatti, si è sostenuto che tale esclusione, ai sensi dell’art. 45 del Decreto Legislativo n. 30/2005 (“Codice della Proprietà Industriale”), costituirebbe la riprova più fedele dell’ontologica connotazione del software proprio in termini di invenzione.
È evidente, dunque, che la scelta del legislatore Europeo è nata dall’urgenza di proteggere uniformemente in àmbito comunitario la disciplina dei programmi per elaboratore, individuando, dunque, nel diritto d’autore la disciplina più idonea a regolare, di fatto, gli interessi di chi, come le software house, effettua ingenti investimenti nella realizzazione dei prodotti informatici.
E questa scelta potrebbe essere considerata condivisibile, ma forse, solo in parte. A suscitare anzitutto alcuni dubbi è l’affermazione insita proprio nella direttiva 2009/24/CE, che ricomprende nel termine “software” anche il materiale preparatorio utilizzato per la progettazione dei software stessi. Bisogna considerare, però, che tale materiale è costituito da una serie di procedimenti di calcolo matematico, codici, diagrammi e/o algoritmi che, in realtà, sembrerebbero risultare difficilmente assimilabili a quella categoria che ricomprende le opere letterarie, artistiche, cinematografiche eccetera. Se si entra in contatto con una bozza preparatoria dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, o con le minute del Manzoni, esse, secondo il comune sensu, sono facilmente distinguibili e categorizzabili come opere dell’ingegno soggette alla tutela del diritto d’autore, cosa che invece risulterebbe difficilmente realizzabile per una serie di lettere e numeri, apparentemente senza senso, costituenti il materiale preparatorio di un programma per elaboratore.
Si ritiene, infatti, che questo si concretizza in impulsi che obbiettivamente assumono una forma espressiva difficilmente inquadrabile nell’idea tradizionale di opera letteraria protetta, e sconta un evidente deficit di capacità comunicativa, incompatibile con la logica normativa di protezione delle opere dell’ingegno dettata dalla legge n. 633 del 1941 (Legge recante disposizioni sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio).
In chi scrive, le suesposte considerazioni appaiono difficilmente contestabili, e quindi ampiamente condivisibili. Da un’analisi così profonda e specifica della natura di un programma per elaboratore, non può che emergere un certo scetticismo sull’effettività della tutela posta dal diritto d’autore. Al riguardo è sostenibile l’auspicio del Professor Giovanni Capo in un “ampliamento – di fatto – della sfera del monopolio oltre i confini tracciati dalla legge 633 del 1941” dal momento che ritiene non tanto agevole “orientare la disciplina di protezione esclusivamente sulla forma espressiva del software, senza investirne il contenuto”.


3. È alla luce di questa doverosa premessa che occorre leggere la sentenza C-128/11, con la quale la Corte si è pronunciata sulla domanda pregiudiziale dell’interpretazione degli articoli 4, paragrafo 2 e 5, paragrafo 1 della direttiva 2009/24/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore.
Tale domanda è stata proposta nell’àmbito di una controversia tra la Oracle International Corporation (in prosieguo: la “Oracle”) e la UsedSoft GmbH (in prosieguo: la “UsedSoft”) in merito alla commercializzazione da parte di quest’ultima di licenze di programmi per elaboratore usati della Oracle.
La Corte ha stabilito che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2009/24/CE deve essere interpretato nel senso che il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore è esaurito qualora il titolare del diritto d’autore, che abbia autorizzato, eventualmente anche a titolo gratuito, il download della copia su un supporto informatico via internet, abbia parimenti conferito, a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentirgli di percepire una remunerazione corrispondente al valore economico della copia dell’opera di cui è proprietario, il diritto di utilizzare la copia stessa, senza limitazioni di durata.
Con la medesima pronuncia ha inoltre statuito che gli articoli 4, paragrafo 2, e 5, paragrafo 1, della direttiva di cui sopra, devono essere interpretati nel senso che, in caso di rivendita di una licenza di utilizzazione che implichi la rivendita di una copia di un programma per elaboratore scaricata dal sito internet del titolare del diritto d’autore, licenza che era stata inizialmente concessa al primo acquirente dal titolare medesimo senza limitazione di durata ed a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentire a quest’ultimo di ottenere una remunerazione corrispondente al valore economico della copia della propria opera, il secondo acquirente della licenza stessa, al pari di ogni suo acquirente successivo, potrà avvalersi dell’esaurimento del diritto di distribuzione previsto dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva medesima e, conseguentemente potrà essere considerato quale legittimo acquirente di una copia di un programma per elaboratore, ai sensi del successivo articolo 5 paragrafo 1, di tale direttiva, beneficiando del diritto di riproduzione previsto da quest’ultima disposizione.
Senza voler entrare in questa sede nell’analisi specifica di questo noto caso, e volendone evidenziare, piuttosto, la portata generale dei suoi effetti, che di fatto oltre che alla Oracle e alla UsedSoft sembrerebbero rivolti verso tutto il mercato europeo del software, va sottolineato in primis l’iter logico giuridico seguito dalla Corte di giustizia in questa pronuncia.
Quindi occorre precisare anzitutto che la Oracle ha impostato la sua difesa sostenendo di non procedere alla vendita di copie dei software, ma bensì di metterle gratuitamente a disposizione per tutti i propri clienti che avessero concluso uno specifico contratto di licenza, a séguito del quale sarebbero entrati in possesso della “chiave di accesso” per poter effettuare il download gratuito dal loro sito web.
La Corte invece ha ritenuto non plausibile questa tesi difensiva, ritenendo impossibile scindere il momento del download da quello della sottoscrizione del contratto di licenza, sottolineando che ove si effettuasse il download di un programma senza stipulare un contratto di licenza, il programma stesso non potrebbe essere utilizzato legittimamente da chi lo abbia scaricato.
E come prima conseguenza dell’affermazione di questo principio di inscindibilità fra contratto di licenza e download, c’è quella dell’abolizione della distinzione, formatasi nella prassi, tra la vendita di software su supporto fisico e quella su supporto immateriale. E ciò suggerisce una riflessione.


4. Precedentemente si è scritto che la decisione del legislatore Europeo nel tutelare i programmi per elaboratore con il diritto d’autore è stata presa perché in esso fu individuata la disciplina più idonea a regolare gli interessi di chi effettuava ingenti investimenti nella realizzazione dei prodotti informatici.
Ma se si va ad analizzare la portata di questa pronuncia della Corte di giustizia, non ci si può non rendere conto che qui ad essere regolati non sono solo ed esclusivamente gli interessi delle parti in causa, bensì quelli di tutti i consociati. La Corte si è nettamente distaccata dal rigore dello schema classico del diritto d’autore, indicando, di fatto, una nuova strada da percorrere.
Risulta evidente, infatti, che con questa pronuncia la Corte voglia creare i presupposti per regolare l’ipotetica nascita di un mercato dell’usato dei software, anche di tipo immateriale (cioè via download), la qual cosa non dovrebbe destare stupore alcuno, essendoci stata analoga conseguenza anche per le altre opere dell’ingegno (si pensi, ad esempio, al mercato dei libri o dei film usati).
Del resto bisogna considerare che ormai, oltre alle attività professionali, per ottimizzare l’organizzazione dei propri affari anche la quasi totalità delle attività aperte al pubblico si stanno sempre più affidando ai più svariati software. Come i ristoranti o i bar che vogliono gestire telematicamente le ordinazioni, o come i negozi di vestiti o scarpe che vogliono controllare il loro inventario, o come i distributori di carburante che vogliono gestire una raccolta punti fedeltà. E l’elenco si potrebbe estendere anche ai software che rientrano nelle sfere quotidiane della vita cittadina, come i software per il controllo dei semafori o dei treni metropolitani, e della vita privata di ciascun consociato, come i software di navigazione satellitare, sempre più presenti nelle dotazioni delle autovetture, o come quelli di gestione di elettrodomestici  (non a caso oggi si sta cominciando a parlare sempre di più di “Internet delle cose”). E l’elenco potrebbe continuare ancóra a lungo, ma non sembra essere questa la sede più opportuna. Insomma il software sta diventando sempre di più parte della vita quotidiana di ciascun cittadino dell’Unione Europea, e proprio per questo è fortemente ipotizzabile che a breve si avvertirà sempre di più l’esigenza della nascita di un vero e proprio mercato “second hand” (si pensi a un soggetto che decide di aprire un ristorante, e che per limitare i costi di inizio attività, decida di acquistare un software usato), che coniando un neologismo, che forse però potrebbe essere più vicino ad una licenza poetica, potremmo definire come un mercato di “secondo click”.
A ulteriore riprova di questa chiave di lettura vi è poi la chiara affermazione della Corte con la quale viene tolto ogni dubbio sulla qualifica di “legittimo acquirente” dei successivi acquirenti di un programma per elaboratore, e sul fatto che il titolare del diritto d’autore di un software possa o meno, attraverso apposite disposizioni contrattuali, opporsi alla rivendita del software stesso.


5. Alla luce delle suesposte considerazioni la Corte di giustizia ha dunque legittimato l’attività commerciale della UsedSoft, che quindi avremmo ragione di definire come la pioniera del mercato di “secondo click” dei software nell’ Unione Europea. In virtù di ciò, in chi scrive si è formata forte la convinzione che al fine della risoluzione di tale caso, determinante sia stato l’intervento del legislatore, che se non avesse introdotto, a suo tempo, nel novero del diritto d’autore, il c.d. principio di distribuzione, fino ad all’ora sconosciuto, avrebbe visto oggi l’esito della causa certamente capovolto.
Ma come già asserito, questo non basta. Il multiverso del diritto dell’informatica, infatti, necessita di ulteriori tutele normative e nello specifico la tutela del software non può e non deve rimanere ancorata in toto al diritto d’autore, e sembrerebbe rendersi dunque necessaria la continuazione di quest’opera di “integrazione normativa” avviata dal legislatore europeo.
A supporto di tale affermazione possono considerarsi i numerosi dubbi interpretativi nati in dottrina a séguito della scelta del legislatore italiano di adattare la disciplina del diritto d’autore ai programmi per elaboratore, sulla scorta di quanto accadde nella maggior parte dei paesi anglosassoni. Vi è chi ha accolto questa scelta come uno snaturamento del diritto d’autore, o chi, addirittura, ha ritenuto che l’idea di ricondurre i programmi alla letteratura era talmente peregrina da non meritare neppure considerazione. E a dire il vero non sembra così difficile condividere tali idee.
Ed è dunque per questi motivi che la pronuncia della Corte nel “caso Oracle”, essendosi, come detto, discostata dalla rigidità formale del diritto d’autore, la si può certamente considerare come una vera e propria scossa al diritto d’autore stesso.


6. Oggi è più che mai da rilevare che con il proliferarsi delle nuove tecnologie, e in particolar modo di quelle portabili, come smartphone e tablet, la definizione di software, non può certamente rimanere ancorata a princìpi oramai datati (si pensi che la definizione di software è stata frutto di una elaborazione pluriennale conclusasi nel 1984 a Canberra) e di conseguenza anche la relativa tutela andrebbe rivista.
Il diritto d’autore, dunque, non sembrerebbe oggi rappresentare il mezzo di tutela più adatto per il software. Né sembrerebbe opportuno ricercare analogicamente una tutela maggiormente adattabile da novellare. Parrebbe opportuno, piuttosto, sulla base delle considerazioni appena fatte, creare una forma di tutela ad hoc, senza assimilare il software né alle opere dell’ingegno, né tantomeno a quelle dell’industria, creando bensì una nuova categoria.
E sebbene il lavoro possa sembrare al quanto oneroso, dovendosi creare, per poter categorizzare il software, un’ibrida fusione fra il diritto d’autore e il diritto industriale, appare comunque opportuno compiere questo sforzo per poter offrire il tipo di protezione più adeguata.
E sebbene la casistica oggi, in special modo in Italia, sia ancóra al quanto ridotta, nel resto d’Europa è in costante aumento, ed è dunque impensabile rimanere in questa sorta di limbo, e il legislatore europeo dovrebbe quindi, in ossequio al suo delicato ed importante ruolo, fare un passo avanti e cercare di ridurre al minimo i legittimi dubbi interpretativi derivanti dalla attuale legislazione frammentaria e lacunosa.
La casistica, d’altronde, è destinata ad incrementarsi sempre di più: si pensi che a breve chiunque potrà terminare un acquisto tramite internet, oltre che di beni mobili (come già avviene su larga scala) anche di beni maggiormente onerosi come automobili o motociclette, o addirittura anche di beni immobili. Inoltre a breve sarà possibile aprire conti correnti bancari, o stipulare contratti di assicurazione on-line, senza doversi recare necessariamente in filiale, autenticando il tutto semplicemente con la propria firma digitale.
Oggi, quindi, per ogni attività della vita comune, vi sono uno o più software che ne possono regolare telematicamente lo svolgimento. Lasciare che il diritto ignori tutto questo, potrebbe rappresentare un grave e pericoloso rischio per tutti i cittadini dell’Unione Europea. E perché nella realizzazione di questa grundnorm, che regoli gli interessi generali, non può assumere ruolo di capofila il legislatore italiano, da sempre custode delle origini del diritto, e autore di molteplici norme lungimiranti?

SOMMARIO:  1. Introduzione. – 2. Analisi del contesto normativo, un processo ancóra in fieri. – 3. La sentenza C-128/11 e l’affermazione del principio di distribuzione. – 4. Gli effetti erga omnes della pronuncia della Corte. – 5. Ulteriori considerazioni sugli effetti della sentenza, e la “scossa” al diritto d’autore. – 6. La pronuncia della corte come concreta base per la formazione di una grundnorm.


1. Tra le recenti sentenze, rientranti nel multiverso del diritto dell’informatica, che hanno avuto maggior risonanza, vi è sicuramente  quella della Grande Sezione della Corte di giustizia europea n. C-128/11 del 3 luglio 2012, nota ai più come “Caso Oracle” (Corte giust., 3 luglio 2012, c. 128/11, UsedSoft GmbH c. Oracle International Corp., in Il Foro Italiano, 2012, p. 377 e ss.).


2. Prima di approfondire nel merito la sentenza, è necessario, però, analizzare il contesto normativo in cui si pone, e dunque è bene fissare subito una data importante per la “tutela del software”, quella del 16 marzo 2000, quando fu approvato in norme della Comunità (con la decisione 2000/278/CE del Consiglio) il “Trattato dell’OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Industriale) sul diritto d’autore” (in prosieguo: “Trattato sul diritto d’autore”) al cui articolo 4 così recita: “I programmi per elaboratore sono protetti in quanto opere letterarie ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione di Berna. Tale protezione si applica a qualsiasi modo o forma di espressione di un programma per elaboratore”.
Ma la scelta di individuare nei programmi per elaboratore delle opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore è stata caratterizzata da un lungo dibattito dottrinale, sfociato anzitutto nella esclusione del software dal novero delle invenzioni suscettibili di essere brevettate, avvenuta nell’àmbito della Euopean Patent Convention di Monaco di Baviera, e poi, successivamente, anche nell’entrata in vigore della direttiva 1991/250/CEE, che all’articolo 1 stabilisce che “gli Stati membri tutelano i programmi per elaboratore mediante il diritto d’autore, come opere letterarie ai sensi della Convenzione di Berna sulla tutela delle opere letterarie ed artistiche”.
A suggellare il tutto è stata poi la direttiva 2009/24/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore, volta a fornire un’uniforme applicazione in tutti gli stati membri del diritto d’autore in àmbito informatico, sulla scorta di quanto avvenuto negli Stati Uniti d’America con il Computer Software Amendment Act, e in numerosi paesi anglosassoni.
Facendo un passo indietro, e tornando agli anni che portarono alla formazione del trattato, è da rilevare che ben presto, però, ci si rese conto che quello che si stava creando non fosse un procedimento analogico del tutto completo, tant’è che il legislatore avvertì fin da subito l’esigenza di diversificare la tutela del software da quella delle opere letterarie, introducendo con l’articolo 6 del Trattato sul diritto d’autore, al primo comma, un’importante concetto, fin ad all’ora estraneo al diritto d’autore stesso: “Gli autori di opere artistiche e letterarie godono del diritto esclusivo di autorizzare la messa a disposizione del pubblico dell’originale e di esemplari delle loro opere attraverso la vendita o mediante qualsiasi altro modo di trasferimento della proprietà”.  Con questo comma veniva dunque introdotto il c.d. “Diritto di distribuzione”, di cui ne veniva regolato anche il relativo principio di esaurimento nel successivo comma: “Nessuna disposizione del presente Trattato pregiudica la facoltà delle Parti contraenti di determinare le eventuali condizioni in cui ha luogo l’esaurimento del diritto riconosciuto dal paragrafo 1) dopo la prima vendita od altra operazione di trasferimento della proprietà dell’originale o di un esemplare dell’opera, effettuate con l’autorizzazione dell’autore”.
La reale portata di questa norma probabilmente non è stata del tutto colta, almeno in un primo momento, e probabilmente proprio grazie al “Caso Oracle” si è riusciti ad apprezzare quella lungimiranza tipica di un legislatore che mira a regolare gli interessi della pluralità dei consociati.
Ma prima di entrare nello specifico, è da sottolineare che in realtà questo processo di diversificazione non può ritenersi concluso con l’introduzione del principio di distribuzione, bensì va considerato come un processo ancóra in fieri, sicuramente lungo e complesso, che impiegherà ancóra del tempo prima di giungere a conclusione, tant’è vero che sono tutt’oggi in discussione tutte quelle divergenze legate alla non perfetta omologabilità delle opere letterarie ai programmi per elaboratore, rilevata in dottrina.
Sostenere oggi, dunque, sulla scorta delle norme su richiamate, che i software costituiscano entità perfettamente omologabili alle opere letterarie, suscita non poche perplessità. Parte della dottrina rileva infatti che mancherebbero i requisiti propri delle invenzioni tutelabili, quali l’originalità, la novità e l’industrialità. Ma bisogna far attenzione a non leggere queste considerazioni a favore del diritto industriale. L’esclusione fatta a Monaco  non è del tutto priva di fondamenti. Al riguardo, infatti, si è sostenuto che tale esclusione, ai sensi dell’art. 45 del Decreto Legislativo n. 30/2005 (“Codice della Proprietà Industriale”), costituirebbe la riprova più fedele dell’ontologica connotazione del software proprio in termini di invenzione.
È evidente, dunque, che la scelta del legislatore Europeo è nata dall’urgenza di proteggere uniformemente in àmbito comunitario la disciplina dei programmi per elaboratore, individuando, dunque, nel diritto d’autore la disciplina più idonea a regolare, di fatto, gli interessi di chi, come le software house, effettua ingenti investimenti nella realizzazione dei prodotti informatici.
E questa scelta potrebbe essere considerata condivisibile, ma forse, solo in parte. A suscitare anzitutto alcuni dubbi è l’affermazione insita proprio nella direttiva 2009/24/CE, che ricomprende nel termine “software” anche il materiale preparatorio utilizzato per la progettazione dei software stessi. Bisogna considerare, però, che tale materiale è costituito da una serie di procedimenti di calcolo matematico, codici, diagrammi e/o algoritmi che, in realtà, sembrerebbero risultare difficilmente assimilabili a quella categoria che ricomprende le opere letterarie, artistiche, cinematografiche eccetera. Se si entra in contatto con una bozza preparatoria dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, o con le minute del Manzoni, esse, secondo il comune sensu, sono facilmente distinguibili e categorizzabili come opere dell’ingegno soggette alla tutela del diritto d’autore, cosa che invece risulterebbe difficilmente realizzabile per una serie di lettere e numeri, apparentemente senza senso, costituenti il materiale preparatorio di un programma per elaboratore.
Si ritiene, infatti, che questo si concretizza in impulsi che obbiettivamente assumono una forma espressiva difficilmente inquadrabile nell’idea tradizionale di opera letteraria protetta, e sconta un evidente deficit di capacità comunicativa, incompatibile con la logica normativa di protezione delle opere dell’ingegno dettata dalla legge n. 633 del 1941 (Legge recante disposizioni sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio).
In chi scrive, le suesposte considerazioni appaiono difficilmente contestabili, e quindi ampiamente condivisibili. Da un’analisi così profonda e specifica della natura di un programma per elaboratore, non può che emergere un certo scetticismo sull’effettività della tutela posta dal diritto d’autore. Al riguardo è sostenibile l’auspicio del Professor Giovanni Capo in un “ampliamento – di fatto – della sfera del monopolio oltre i confini tracciati dalla legge 633 del 1941” dal momento che ritiene non tanto agevole “orientare la disciplina di protezione esclusivamente sulla forma espressiva del software, senza investirne il contenuto”.


3. È alla luce di questa doverosa premessa che occorre leggere la sentenza C-128/11, con la quale la Corte si è pronunciata sulla domanda pregiudiziale dell’interpretazione degli articoli 4, paragrafo 2 e 5, paragrafo 1 della direttiva 2009/24/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore.
Tale domanda è stata proposta nell’àmbito di una controversia tra la Oracle International Corporation (in prosieguo: la “Oracle”) e la UsedSoft GmbH (in prosieguo: la “UsedSoft”) in merito alla commercializzazione da parte di quest’ultima di licenze di programmi per elaboratore usati della Oracle.
La Corte ha stabilito che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2009/24/CE deve essere interpretato nel senso che il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore è esaurito qualora il titolare del diritto d’autore, che abbia autorizzato, eventualmente anche a titolo gratuito, il download della copia su un supporto informatico via internet, abbia parimenti conferito, a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentirgli di percepire una remunerazione corrispondente al valore economico della copia dell’opera di cui è proprietario, il diritto di utilizzare la copia stessa, senza limitazioni di durata.
Con la medesima pronuncia ha inoltre statuito che gli articoli 4, paragrafo 2, e 5, paragrafo 1, della direttiva di cui sopra, devono essere interpretati nel senso che, in caso di rivendita di una licenza di utilizzazione che implichi la rivendita di una copia di un programma per elaboratore scaricata dal sito internet del titolare del diritto d’autore, licenza che era stata inizialmente concessa al primo acquirente dal titolare medesimo senza limitazione di durata ed a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentire a quest’ultimo di ottenere una remunerazione corrispondente al valore economico della copia della propria opera, il secondo acquirente della licenza stessa, al pari di ogni suo acquirente successivo, potrà avvalersi dell’esaurimento del diritto di distribuzione previsto dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva medesima e, conseguentemente potrà essere considerato quale legittimo acquirente di una copia di un programma per elaboratore, ai sensi del successivo articolo 5 paragrafo 1, di tale direttiva, beneficiando del diritto di riproduzione previsto da quest’ultima disposizione.
Senza voler entrare in questa sede nell’analisi specifica di questo noto caso, e volendone evidenziare, piuttosto, la portata generale dei suoi effetti, che di fatto oltre che alla Oracle e alla UsedSoft sembrerebbero rivolti verso tutto il mercato europeo del software, va sottolineato in primis l’iter logico giuridico seguito dalla Corte di giustizia in questa pronuncia.
Quindi occorre precisare anzitutto che la Oracle ha impostato la sua difesa sostenendo di non procedere alla vendita di copie dei software, ma bensì di metterle gratuitamente a disposizione per tutti i propri clienti che avessero concluso uno specifico contratto di licenza, a séguito del quale sarebbero entrati in possesso della “chiave di accesso” per poter effettuare il download gratuito dal loro sito web.
La Corte invece ha ritenuto non plausibile questa tesi difensiva, ritenendo impossibile scindere il momento del download da quello della sottoscrizione del contratto di licenza, sottolineando che ove si effettuasse il download di un programma senza stipulare un contratto di licenza, il programma stesso non potrebbe essere utilizzato legittimamente da chi lo abbia scaricato.
E come prima conseguenza dell’affermazione di questo principio di inscindibilità fra contratto di licenza e download, c’è quella dell’abolizione della distinzione, formatasi nella prassi, tra la vendita di software su supporto fisico e quella su supporto immateriale. E ciò suggerisce una riflessione.


4. Precedentemente si è scritto che la decisione del legislatore Europeo nel tutelare i programmi per elaboratore con il diritto d’autore è stata presa perché in esso fu individuata la disciplina più idonea a regolare gli interessi di chi effettuava ingenti investimenti nella realizzazione dei prodotti informatici.
Ma se si va ad analizzare la portata di questa pronuncia della Corte di giustizia, non ci si può non rendere conto che qui ad essere regolati non sono solo ed esclusivamente gli interessi delle parti in causa, bensì quelli di tutti i consociati. La Corte si è nettamente distaccata dal rigore dello schema classico del diritto d’autore, indicando, di fatto, una nuova strada da percorrere.
Risulta evidente, infatti, che con questa pronuncia la Corte voglia creare i presupposti per regolare l’ipotetica nascita di un mercato dell’usato dei software, anche di tipo immateriale (cioè via download), la qual cosa non dovrebbe destare stupore alcuno, essendoci stata analoga conseguenza anche per le altre opere dell’ingegno (si pensi, ad esempio, al mercato dei libri o dei film usati).
Del resto bisogna considerare che ormai, oltre alle attività professionali, per ottimizzare l’organizzazione dei propri affari anche la quasi totalità delle attività aperte al pubblico si stanno sempre più affidando ai più svariati software. Come i ristoranti o i bar che vogliono gestire telematicamente le ordinazioni, o come i negozi di vestiti o scarpe che vogliono controllare il loro inventario, o come i distributori di carburante che vogliono gestire una raccolta punti fedeltà. E l’elenco si potrebbe estendere anche ai software che rientrano nelle sfere quotidiane della vita cittadina, come i software per il controllo dei semafori o dei treni metropolitani, e della vita privata di ciascun consociato, come i software di navigazione satellitare, sempre più presenti nelle dotazioni delle autovetture, o come quelli di gestione di elettrodomestici  (non a caso oggi si sta cominciando a parlare sempre di più di “Internet delle cose”). E l’elenco potrebbe continuare ancóra a lungo, ma non sembra essere questa la sede più opportuna. Insomma il software sta diventando sempre di più parte della vita quotidiana di ciascun cittadino dell’Unione Europea, e proprio per questo è fortemente ipotizzabile che a breve si avvertirà sempre di più l’esigenza della nascita di un vero e proprio mercato “second hand” (si pensi a un soggetto che decide di aprire un ristorante, e che per limitare i costi di inizio attività, decida di acquistare un software usato), che coniando un neologismo, che forse però potrebbe essere più vicino ad una licenza poetica, potremmo definire come un mercato di “secondo click”.
A ulteriore riprova di questa chiave di lettura vi è poi la chiara affermazione della Corte con la quale viene tolto ogni dubbio sulla qualifica di “legittimo acquirente” dei successivi acquirenti di un programma per elaboratore, e sul fatto che il titolare del diritto d’autore di un software possa o meno, attraverso apposite disposizioni contrattuali, opporsi alla rivendita del software stesso.


5. Alla luce delle suesposte considerazioni la Corte di giustizia ha dunque legittimato l’attività commerciale della UsedSoft, che quindi avremmo ragione di definire come la pioniera del mercato di “secondo click” dei software nell’ Unione Europea. In virtù di ciò, in chi scrive si è formata forte la convinzione che al fine della risoluzione di tale caso, determinante sia stato l’intervento del legislatore, che se non avesse introdotto, a suo tempo, nel novero del diritto d’autore, il c.d. principio di distribuzione, fino ad all’ora sconosciuto, avrebbe visto oggi l’esito della causa certamente capovolto.
Ma come già asserito, questo non basta. Il multiverso del diritto dell’informatica, infatti, necessita di ulteriori tutele normative e nello specifico la tutela del software non può e non deve rimanere ancorata in toto al diritto d’autore, e sembrerebbe rendersi dunque necessaria la continuazione di quest’opera di “integrazione normativa” avviata dal legislatore europeo.
A supporto di tale affermazione possono considerarsi i numerosi dubbi interpretativi nati in dottrina a séguito della scelta del legislatore italiano di adattare la disciplina del diritto d’autore ai programmi per elaboratore, sulla scorta di quanto accadde nella maggior parte dei paesi anglosassoni. Vi è chi ha accolto questa scelta come uno snaturamento del diritto d’autore, o chi, addirittura, ha ritenuto che l’idea di ricondurre i programmi alla letteratura era talmente peregrina da non meritare neppure considerazione. E a dire il vero non sembra così difficile condividere tali idee.
Ed è dunque per questi motivi che la pronuncia della Corte nel “caso Oracle”, essendosi, come detto, discostata dalla rigidità formale del diritto d’autore, la si può certamente considerare come una vera e propria scossa al diritto d’autore stesso.


6. Oggi è più che mai da rilevare che con il proliferarsi delle nuove tecnologie, e in particolar modo di quelle portabili, come smartphone e tablet, la definizione di software, non può certamente rimanere ancorata a princìpi oramai datati (si pensi che la definizione di software è stata frutto di una elaborazione pluriennale conclusasi nel 1984 a Canberra) e di conseguenza anche la relativa tutela andrebbe rivista.
Il diritto d’autore, dunque, non sembrerebbe oggi rappresentare il mezzo di tutela più adatto per il software. Né sembrerebbe opportuno ricercare analogicamente una tutela maggiormente adattabile da novellare. Parrebbe opportuno, piuttosto, sulla base delle considerazioni appena fatte, creare una forma di tutela ad hoc, senza assimilare il software né alle opere dell’ingegno, né tantomeno a quelle dell’industria, creando bensì una nuova categoria.
E sebbene il lavoro possa sembrare al quanto oneroso, dovendosi creare, per poter categorizzare il software, un’ibrida fusione fra il diritto d’autore e il diritto industriale, appare comunque opportuno compiere questo sforzo per poter offrire il tipo di protezione più adeguata.
E sebbene la casistica oggi, in special modo in Italia, sia ancóra al quanto ridotta, nel resto d’Europa è in costante aumento, ed è dunque impensabile rimanere in questa sorta di limbo, e il legislatore europeo dovrebbe quindi, in ossequio al suo delicato ed importante ruolo, fare un passo avanti e cercare di ridurre al minimo i legittimi dubbi interpretativi derivanti dalla attuale legislazione frammentaria e lacunosa.
La casistica, d’altronde, è destinata ad incrementarsi sempre di più: si pensi che a breve chiunque potrà terminare un acquisto tramite internet, oltre che di beni mobili (come già avviene su larga scala) anche di beni maggiormente onerosi come automobili o motociclette, o addirittura anche di beni immobili. Inoltre a breve sarà possibile aprire conti correnti bancari, o stipulare contratti di assicurazione on-line, senza doversi recare necessariamente in filiale, autenticando il tutto semplicemente con la propria firma digitale.
Oggi, quindi, per ogni attività della vita comune, vi sono uno o più software che ne possono regolare telematicamente lo svolgimento. Lasciare che il diritto ignori tutto questo, potrebbe rappresentare un grave e pericoloso rischio per tutti i cittadini dell’Unione Europea. E perché nella realizzazione di questa grundnorm, che regoli gli interessi generali, non può assumere ruolo di capofila il legislatore italiano, da sempre custode delle origini del diritto, e autore di molteplici norme lungimiranti?