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L'adolescenza nella Criminologia contemporanea

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L'adolescenza nella Criminologia contemporanea

 

Le difficoltà caratteriali dell'ultra-13enne

Nella Criminologia italiofona, Ronco & Pepe (2002)[1] affermano che “l'adolescenza è una terra di mezzo ricca di ambivalenze e contraddizioni; è il periodo per eccellenza del cambiamento, che meglio rappresenta il mistero totale del processo della vita, perché in esso sono più profondamente segnati i caratteri della crescita e del divenire”. Tuttavia, come osservato da Buzzi & Cavalli & De Lillo (2007)[2], la psicopedagogia, a tutt'oggi, non è riuscita a delimitare, sotto il profilo anagrafico, i limiti dell'inizio e del termine dell'età adolescenziale. A tal proposito, Maggiolini & Pietropolli Charmet (2004)[3] propongono di fissare la fine dell'adolescenza non prima dei 25 anni d'età “visto l'attuale protrarsi dell'assunzione delle competenze e dei requisiti che decretano il passaggio all'adultità”. D'altronde, anche nella Giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimità, l'AG manifesta molte forme di temperamento istituzionale e di riduzionismo nei confronti degli infrattori infra-25enni. Anche l'esecuzione penitenziaria adotta generose mitigazioni espiative a beneficio del condannato da poco uscito dalla fase del pieno sviluppo adolescenziale. Tuttavia, il limite suddetto del 25.mo anno non è universalmente pacifico o, perlomeno, esso va adeguatamente circostanziato.

In effetti, Bauman (2006)[4] nota che “nella nostra società definita liquida, risulta particolarmente problematico individuare quali siano i caratteri distintivi capaci di sancire la fine dell'adolescenza, poiché, al di là degli aspetti prettamente biologici ed esteriormente visibili, sembra che l'adolescenza sia sospesa a fattori dai contorni meno definibili di un tempo (quali, ad esempio, l'ingresso nel mondo del lavoro e l'indipendenza economico-familiare) e legati, perciò, a dimensioni interiori e soggettive, connesse a modi di stare, comprendere e relazionarsi al reale. Bauman (ibidem)[5] non intende negare la prevalenza del fattore della maturazione biologica, ma egli, nondimeno, invita l'operatore a contestualizzare lo sviluppo del/della ragazzo/a. P.e., avere una figliolanza o essere domiciliati lontano dall'abitazione d'origine reca, inevitabilmente, ad una maggiore responsabilizzazione ed autonomia. Sempre Bauman (ibidem)[6] rimarca che la fine del periodi adolescenziale dipende soprattutto “da elementi profondi dell'essere, che fluidamente permeano e si disseminano lungo l'intero arco dell'esistenza dell'individuo: [si tratta di] aspetti che hanno a che fare con la dimensione propriamente esistenziale della personalità”. Dunque, il problema della misurazione della durata dell'adolescenza dipende da variabili che connotano il singolo e concreto contesto di ciascun ultra-13enne. Inoltre, molto varia a seconda del sesso dell'individuo, vista l'assai diversa modalità di sviluppo dei maschi e delle ragazze. Un ruolo, poi, centrale ha pure la quantità e la qualità della sessualizzazione, specialmente nella fattispecie dell'adolescente femmina, la quale, quasi sempre, denota una precoce maturità fisica ancorché non affettiva.

Probabilmente, il discrimine fondamentale tra l'adolescenza e l'adultità consta nella maniera con cui l'individuo interpreta la realtà fenomenica. Secondo Husserl (2008)[7], la maturità del/della ragazzo/a non risiede o, perlomeno, non risiede esclusivamente nella maggiore o minore sessualizzazione, bensì nei criteri che l'ultra-13enne impiega per “dare senso al reale”. Entro tale ottica, Bertolini & Caronia (1993)[8] reputano che “affiora, nel periodo adolescenziale, un nuovo modo personale di stare al mondo, grazie alla disposizione dell'individuo ad essere luogo di significazione della realtà”. Pertanto, in Bertolini & Caronia (ibidem)[9], l'adolescente cessa di modellare le proprie opinioni sulla base di un'imitazione formale delle figure educative di riferimento; il giovane pone in essere valutazioni autonome, diverse, se non contrastanti, con il bagaglio valoriale acquisito in età infantile.

Similmente, Bertolini & Caronia (ibidem)[10] evidenziano che “[tutto dipende] dalla capacità [del giovane] di investire di senso il reale e di agire in funzione di un personale schema di significati. La centralità, ribadiamo, non è sui comportamenti manifesti dell'adolescente, ma sui processi attraverso cui egli percepisce, fa proprie, investe o svuota di senso le sue condizioni dell'esistenza […] sul contributo del soggetto alla costruzione del proprio modello di interpretazione del mondo e di azione nel mondo”. Torna, dunque, la ratio dell'abbandono progressivo di condotte basate su modelli di imitazione meramente formale delle direttive pedagogiche infantili. L'adolescente è tale nella misura in cui egli dà senso alla realtà circostante in modo autonomo. La valorialità, nell'ultra-13enne, è interiorizzata e, soprattutto, personalizzata, con una conseguente, nonché inevitabile decadenza del ruolo esterno delle agenzie di controllo, quali la famiglia e l'istituzione scolastica.

Ciononostante, quasi tutti i Dottrinari sottolineano che l'adolescente crea le proprie interpretazioni all'interno di un determinato contesto sociale, la cui liquidità odierna inficia l'autosicurezza personale dell'individuo. Frankl (1959)[11], giustamente, mette in evidenza che “quei caratteri connotanti l'attuale società liquida rispecchiano e riproducono sempre più l'incertezza, la provvisorietà e l'indeterminatezza che denotano l'adolescente nel processo di costruzione del suo modo di essere presenza. Forse risulta opportuno, allora, richiamarci al concetto di sociogenesi, e sostenere che una società con sempre minori certezze, come quella odierna, alimenta continuamente un senso di insicurezza in quella fascia di popolazione connotata, già di per sé, come elemento strutturale, dall'instabilità, dal dubbio e dalla precarietà”.

Frankl (ibidem)[12] non erra nell'affermare che i parametri interpretativi dell'ultra-13enne hanno, necessariamente ed ontologicamente, una dimensione sociogenetica; tuttavia, una collettività dominata dal relativismo e dal pensiero debole non è in grado di fornire all'adolescente dei parametri valutativi idonei, giacché la precarietà sociale finisce per riverberarsi, ineluttabilmente, sulla forma mentale dell'individuo nell'età dello sviluppo. Frankl (ibidem)[13] giunge ad asserire che “il disagio dei giovani d'oggi (che si identifica, essenzialmente, con l'insignificanza esistenziale) trova nelle contraddizioni valoriali e nell'evanescenza delle tradizioni la propria matrice, tanto da poter affermare che la mancanza di senso della vita ha origine sociogena, più che psicogena”. Tale sociogenesi delle crisi etiche, nell'adolescente, è inevitabile, in tanto in quanto ogni individuo è, per ontologia, intimamente correlato al contesto sociale e temporale di appartenenza. Per cui, un tessuto collettivo relativista ed amorale non offre la ragazzo alcun parametro valoriale cui appoggiarsi durante lo sviluppo psicofisico. Dunque, viene meno pure la valorialità veicolata dai genitori, giacché, come sostenuto da Buzzi & Cavalli & De Lillo (ibidem)[14] “il mondo adulto alimenta lo stato di incertezza e disorientamento dei giovani, i quali si trovano a convivere con generazioni di adulti che guardano con incertezza al futuro, hanno accorciato i loro orizzonti temporali, hanno abbandonato speranze e illusioni, hanno ridotto il livello delle loro aspirazioni e, soprattutto, hanno spesso rinunciato a porsi come modelli con i quali i giovani possano confrontarsi, per imitarli o rifiutarli”. Come si può notare, in Buzzi & Cavalli & De Lillo (ibidem)[15], la crisi valoriale sociogenetica comporta, come prima conseguenza, la perdita di autorevolezza dell'agenzia di controllo primaria costituita dalla famiglia.

 

Come l'adolescente percepisce il reale

L'adolescente è o non è più tale non in base all'uso spregiudicato della sessualità, bensì alla luce delle proprie interpretazioni del reale. Infatti, Fabbrini & Melucci (1992)[16] osservano che “i nostri giovani affrontano la realtà -e il processo di attribuzione di senso ad essa- secondo le categorie esistenziali dell'incertezza, provvisorietà e reversibilità. Il problema, dunque, di individuare il termine preciso dell'adolescenza non è dovuto solo ai grandi cambiamenti intervenuti nella società contemporanea, che hanno portato alla permanenza più lunga nella famiglia, alla maggiore durata degli studi, alla difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro […]. Ha anche a che fare con il cambiamento delle categorie di analisi con le quali oggi osserviamo questo tempo della vita”. Quindi, nella prospettiva di Fabbrini & Melucci (ibidem)[17], l'ultra-13enne comincia a non subire passivamente la realtà circostante, ma ad interpretare ciò che lo riguarda in un' ottica diversa da quella propostagli dalle agenzie di controllo durante la sua età infantile. Più le categorie ermeneutiche scelte sono forti, più si avvicina il periodo dell'adultità.

Ciononostante, come evidenziano Buzzi & Cavalli & De Lillo (ibidem)[18] l'esegesi della realtà è sempre e comunque sociogenetica, in tanto in quanto l'adolescente è sostanzialmente e necessariamente condizionato da un contesto sociale. P.e., se il giovane patisce precarietà abitativa, egli applicherà parametri connessi a tale condizione. Oppure, se il ragazzo reca una famiglia dissociata, la disfunzionalità familiare costituirà una ratio della quale egli terrà conto nelle proprie relazioni affettive future. Oppure ancora, se i mass-media veicolano relativismo o incertezze, tale liquidità morale condizionerà, nel bene o nel male, le reazioni del soggetto ai processi di socializzazione. L'individuo in età adolescenziale non pone in essere condotte automatiche, ma il suo contesto sociofamiliare avrà pur sempre un peso nella vita della persona in età dello sviluppo. La realtà circostante non determina, in maniera tassativa, il comportamento, ma sicuramente lo influenza o attraverso processi di adesione o attraverso fenomeni di contestazione e dissociazione. Il problema sorge allorquando le agenzie pedagogiche, come affermano Buzzi & Cavalli & De Lillo (ibidem)[19] non insegnano ad “interpretare il cambiamento” in maniera non passiva. D'altronde, le odierne Dottrine relativistiche propongono al giovane una realtà statica e non modificabile. Del pari, Fabbrini & Melucci (ibidem)[20] rilevano che la famiglia e la scuola hanno rinunciato ad insegnare “il cambiamento e la capacità di farvi fronte”. D'altra parte, una cultura che propone l'epistemologia del pensiero debole toglie all'adolescente l'entusiasmo di affrontare la realtà fenomenica, giacché l'esaltazione del dubbio e della liquidità sociale ostacolano un progetto di vita connotato dalla capacità di modificare le situazioni. Il non-senso della realtà impedisce all'adolescente di fortificarsi e di assumere ruoli fattivi. La teoria del pensiero debole, lungi dall'affrancare l'umanità dai propri disagi, ha generato un tessuto collettivo ove domina la fragilità delle relazioni ed il non-senso dell'esistenza umana.

Nel solco di siffatta precarietà gnoseologica, l'ultra-13enne perde il necessario equilibrio fornito da uno zoccolo duro di certezze assolute poste a fondamento della moralità tanto individuale quanto collettiva. Sicché, l'esercizio sfrenato della sessualità è divenuto l'unica valvola di sfogo delle frustrazioni giovanili. Dal canto suo, Erikson (1995)[21] denunzia anch'egli l'odierno impoverimento etico del “periodo adolescenziale, che si configura come il momento di massima concentrazione, strutturazione ed esercizio – in una sorta di palestra o laboratorio esistenziale- di quei processi che costituiscono l'attrezzatura, l'investimento per una vita sensata”. Come si nota, Erikson (ibidem)[22] evidenzia che l'epistemologia relativistica non toglie problemi al/alla ragazzo/a, bensì reca, seppur implicitamente, ad un edonismo ove il consumo e le soddisfazioni di breve periodo attenuano i dolori esistenziali dell'adolescente e del giovane adulto. Sempre Erikson (1975)[23] sostiene che la liquidità sociale ed il pansessualismo impediscono all'ultra-13enne di “fronteggiare i compiti e le sfide dell'esistenza intera; per dar corso non già alla fisionomia definitiva della persona, quanto alla sua disponibilità a re-inventarsi senza frammentarsi”. Dunque, Erikson (1975)[24] giunge ad asserire che l'incertezza sociale e la non autorevolezza delle agenzie di controllo depersonalizzano ed indeboliscono i ruoli del “sé” adolescenziale, sicché l'individuo in fase evolutiva, come afferma l'Autore qui in parola, “non sa quello che doveva essere, non sa quello che sta per essere, ma non sa neppure quello che era”.

Ecco, a parere di chi redige, la centralità delle tradizioni e dell'appartenenza, almeno culturale, ad un gruppo religioso di riferimento. Anche Galimberti, nelle sue Opere, richiama l'essenzialità della autocoscienza del passato collettivo. Viceversa, vengono a mancare, dopo la pubertà, punti valoriali ai quali fare riferimento per la costruzione di un'identità forte che preserva dalla depressioni giovanili. Anzi, Fabbrini & Melucci (ibidem)[25] reputano che l'assenza di certezze valoriali finisce per procrastinare ad libitum la crisi adolescenziale, ovverosia “siamo davanti ad una questione culturale, poiché l'incertezza, la mobilità, la provvisorietà, la disponibilità al cambiamento, caratteri tradizionalmente attribuiti all'adolescenza come fase transitoria, sembrano estendersi ben al di là dei vincoli biologici. Essi assumono la forma di connotati culturali diffusi che gli individui fanno propri anche in fasi diverse della vita”. Pertanto, Fabbrini & Melucci (ibidem)[26] qualificano pure essi il relativismo agnostico non già alla stregua di una chiave interpretativa emancipante, bensì come un prolungamento sconveniente delle incertezze esistenziali giovanili. Analogamente, Benasayag & Schmit (2004)[27] precisano che “siamo di fronte ad un fenomeno ben più complesso della semplice adolescenza prolungata, vale a dire ad una – se così si può dire – adolescentizzazione della società, espressione della profonda instabilità ed incapacità di offrire al giovane un contesto strutturante, capace di fungere da quadro di riferimento ed orizzonte normativo […]. [Esistono oggi] un clima sociale ed un contesto educativo che non corrispondono più ai nuovi bisogni, non sono più all'altezza della situazione”.

Ora, Benasayag & Schmit (ibidem)[28] ribadiscono, al pari di molti altri Dottrinari, che necessita una Pedagogia fondata su tradizione e stabilità; ovvero, non negare un minimo di certezze esistenziali consente di irrobustire la personalità dell'ultra-13enne, mentre un'ermeneutica della realtà liquida e relativistica conduce inesorabilmente ad impedire la maturazione e la fortificazione dell'adolescente e del giovane adulto. In modo assai simile, Bacolini (2007)[29] postula che “assistiamo […] alla mancanza di riferimenti esterni, di norme sociali e di consuetudini condivise, capaci di decretare l'avvenuto ingresso nel mondo adulto, di modo che il fondamento delle certezze si sposta dal sociale al personale”. Bacolini (ibidem)[30] forse intende anch'egli puntare il dito contro un modo di interpretare la realtà inadeguato e fuorviante, nonché foriero di un'adolescenza perenne connotante pure il modo di pensare dell'adulto. P.e., l'abrogazione sociale odierne del profilo religioso mortifica la crescita armoniosa del soggetto durante la fase postinfantile. Oppure, si ponga mente alla negazione pseudoprogressista di quelle tradizioni che consentono il rafforzamento e la protezione delle identità collettive.

Un Dottrinario particolarmente sensibile alla tematica delle “tradizioni” è Mead (1980)[31], secondo cui “[in Occidente] non è più la comunità di appartenenza ad offrire chiari segnali dell'avvenuto passaggio [all'adultità] quanto parametri interni al soggetto […]. In questa prospettiva, può risultar lecito vedere l'adolescenza – e il dispiegarsi di aspetti considerati ad essa connaturati, quali le note crisi adolescenziali – come fenomeni legati a dinamiche ed aspetti culturali, piuttosto che biologici […] Il disagio abitualmente associato all'adolescente è una creazione culturale, e non biologica […]. Con il mutamento del tessuto sociale e delle coordinate simbolico-culturali del passato, cambia anche il senso dell'adolescenza”. Mead (ibidem)[32], giustamente, parla di una sociogenesi non biologica delle devianze borderline dell'ultra-13enne, oggi sottoposto alle iperstimolazioni erotiche e commerciali della TV e di internet. Tuttavia, Mead (ibidem)[33] non è condivisibile quando si spinge ad affermare che “il disagio adolescenziale è appreso, e, dunque, non naturale”. Tale asserto oltranzista è smentito dal fatto oggettivo-materiale del mancato sviluppo della corteccia cerebrale prefrontale prima dei 24/25 anni d'età circa. D'altra parte, anche Miller (1987)[34] precisa che l'adolescenza è “un aspetto costante tra le diverse culture”, pur se è e rimane innegabile la sociogenesi di malesseri esistenziali che rinvengono la loro radice nei mass-media e in agenzie di controllo primarie incapaci di svolgere appieno il loro ruolo.

 

Le crisi esistenziali nell'adolescenza

Benasayag & Schmit (ibidem)[35] sottolineano anch'essi la non individualità assoluta delle crisi esistenziali nell'adolescenza, ovverosia “ in una società stabile, o mediamente stabile, la crisi dell'adolescenza finisce quando il giovane raggiunge una certa stabilità e può entrare a pieno titolo nella società: oggi, inevitabilmente, muta questo significato del periodo adolescenziale, poiché l'evanescenza delle tradizioni, il cambiamento delle strutture sociali e lo sfaldamento di significati ed orientamenti condivisi non permettono di percepire l'adolescenza se non nei termini della precarietà”. Come si può vedere, Benasayag & Schmit (ibidem)[36] congiungono, nell'ultra-13enne, la psicogenesi della crisi personale alla sociogenesi di bisogni ed inquietudini acuiti da modelli mass-mediatici che propongono o, financo, impongono una sessualizzazione tanto precoce quanto sfrenata, dunque svincolata dai necessari freni inibitori dell'adultità. Internet e le TV veicolano modelli e stili di vita che spesso sfociano nelle parafilie e nell'alterazione dell'equilibrio ormonale della dopamina e della serotonina.

Parimenti, il prolungamento bio-cronologico dell'adolescenza non si verificherebbe senza stimoli sociogenetici. A tal proposito, interessanti sono pure Fabbrini & Melucci (ibidem)[37], secondo i quali l'adolescenza interroga l'adulto, poiché rimanda a dinamiche, paure, desideri, inquietudini, passioni che, lungi dall'esaurirsi, permeano, invece, tutta l'esistenza, come un leitmotiv che, in quel periodo, trova il proprio momento aurorale: quasi avvenisse il passaggio della soglia, al di là della quale si intravvedono i colori della vita in tutta l'ampia gamma dei temi e delle sfumature; piacere, dolore, vicinanza e distacco, incertezza e determinazione, perdita e conquista, insicurezze e certezze. Fabbrini & Melucci (ibidem)[38], a ragion veduta, menzionando l'inadeguatezza del mondo degli adulti, che, una volta sganciato anch'esso dalle tradizioni, rinuncia a svolgere un ruolo pedagogico. In particolar modo, una famiglia dissociata non aiuta di certo la corretta evoluzione del/della ragazzo/a. Ciò non significa condividere il determinismo di Lombroso e Ferri, ma, senza dubbio, l'adolescente contemporaneo ha a che fare con agenzie di controllo estremamente non idonee.

Principalmente, l'adolescenza insegna il senso del limite e dell'equilibrio, in tanto in quanto “si tratta di una stagione esistenziale complessa, ricca di avvenimenti e acquisizioni fondamentali per la formazione del personale ed originale modo di essere nel mondo, dal momento che l'adolescente sperimenta, essenzialmente, un mutamento straordinario della presenza, in virtù degli intensi, quanto veloci cambiamenti che avvengono nelle diverse dimensioni della sua personalità, e che costituiscono la condizione necessaria (anche se non sufficiente) per l'autentico sviluppo e disvelamento della sua originalità” (Fabbrini & Melucci, ibidem[39]). I due testé menzionati Autori italiofoni fanno notare che l'ultra-13enne ha la necessità di manipolare la realtà, non sempre con intenti distruttivi, bensì con l'intenzione di creare nuove interpretazioni alternative agli insegnamenti passivamente recepiti in età infantile.

Similmente, Pietropolli Charmet (2005)[40] rimarca ancor di più l'esigenza del giovane di re-interpretare la realtà, perché “in adolescenza succede che il soggetto viene ghermito da un bisogno pervasivo e profondo di dare vita a nuove forme del sé, quelle che si vedranno in futuro, che, per il momento, sono aurorali, incerte”. In buona sostanza, Pietropolli Charmet (ibidem)[41] riafferma che l'ultra-13enne ha il diritto di plasmare ex novo la realtà circostante, creando egli da solo una forma mentale adulta, quindi autonoma. L'adolescente, in ogni caso, è tenuto a svilupparsi contestando la famiglia e la scuola, senza però divenire un infrattore antinormativo. Pure Scaparro (2003)[42] presenta l'individuo in crescita come un demiurgo che plasma una nuova realtà, nel senso che l'età della transizione è “una sintesi creativa fra gli aspetti cognitivi, emotivi, relazionali, biologici tipicamente caratterizzanti l'adolescenza, che si sostanzia nel processo di significazione della personalità, nel modo unico e singolare di essere di ciascuno, e che si traduce, a sua volta, nella prospetticità, originalità e specificità dei valori intuiti, progressivamente, nel rapporto con la realtà”. Scaparro (ibidem)[43] non esorta ad abbandonare l'adolescente a se stesso, tuttavia le agenzie pedagogiche debbono concedere all'ultra-13enne una discreta autonomia ermeneutica nei confronti delle relazioni interpersonali; quella del giovane non è una libertà arbitraria e distruttiva, bensì un legittimo spazio di autocoscienza lontana dalle imitazioni meramente formali dell'età infantile.

Analogamente, Larocca (1995/1996)[44] non legittima la distruttività fine a se stessa, ovverosia “[nella pedagogia dell'adolescente] alle categorie di inquietudine, sofferenza ed instabilità occorre, perlomeno, accostare quelle della tensione verso il cambiamento, dell'apertura all'imprevedibile, al nuovo ed all'impensabile: elementi, questi, che costituiscono l'essenza della natura squisitamente umana, e che non consentono di incasellarla in fenomeni dagli esiti scontati quanto prevedibili”. In definitiva, Larocca (ibidem)[45] postula che la fase adolescenziale si sostanzia in una distruttività interiore non eterolesiva. Il soggetto in età postpuberale entro i limiti del neminem ledere, è chiamato a crearsi una scala valoriale autonoma e non ridotta alle estreme e univoche conseguenze di una sessualizzazione senza freni inibitori. Dal canto suo, Frankl (2001)[46] dichiara che l'essere nella fase dello sviluppo “è una stagione particolare, contrassegnata dalla specifica e singolare concomitanza di elementi tipici di questa età: la velocità delle trasformazioni (riguardanti il corpo, l'equilibrio dei riferimenti familiari e sociali), la complessità di compiti evolutivi che, proprio in questi anni, si fanno più urgenti e si avvertono con maggiore intensità (pensiamo, in particolare, alla formazione dell'identità ed alla strutturazione del Sé); i mutamenti dell'ambito relazionale (con i pari e con gli adulti), connotati da vissuti emotivi vivaci quanto contrastanti, nonché l'irruzione della dimensione della progettualità e del futuro, ambiguamente accompagnata da vissuti di preoccupazione ed attrazione per il nuovo”.

Come prevedibile, in ogni caso, gli asserti di Frankl (ibidem)[47] sono spesso vanificati da agenzie di controllo che, talvolta, mortificano oltremodo l'autonomia del Sé giovanile. Spesso, la famiglia e la scuola ipostatizzano la sottomissione etica dell'ultra-13enne al mondo già definito degli adulti. L'auto-valorialità  dell'adolescente è, del pari, al centro del pensiero di Fabbrini & Melucci (ibidem)[48], giacché “ci sono questioni […] che si incontrano per la prima volta proprio in adolescenza: la necessità di prendere autonomamente delle decisioni, di risolvere problemi, di pensare in proprio, di stabilire nuovi legami affettivi, di rapportarsi con situazioni sconosciute quanto imprevedibili, poiché sono concentrati in quest'età gli snodi più significativi dell'esperienza umana, quegli stessi che incontriamo diluiti nell'arco della vita: il dramma della scelta, la necessità di cambiare e la paura di farlo”. Dunque, Fabbrini & Melucci (ibidem)[49] nuovamente ribadiscono che, nell'età adolescenziale, le istituzioni pedagogiche sono tenute a non modificare eccessivamente l'inizio dell'autonomia del Sé.

Secondo Borgna (2005)[50], “moltissimo è stato detto e scritto sull'età adolescenziale. Le descrizioni e le spiegazioni abbondano, col rischio, però, di ridurla ad un oggetto, ad un fatto, un già dato che il nostro lavoro deve solo esplorare e conoscere meglio”. Tale è pure il parere di Fizzotti (1977)[51], per il quale l'adolescenza reca modalità dinamiche e non statiche o predefinite, perché “[bisogna] coglierne l'aspetto dinamico, evolutivo, creativo e performativo, in un farsi che si snoda continuamente nel contatto diretto con la realtà, che non si esaurisce mai del tutto, permeando l'intero arco dell'esistenza (e risultando, così, difficilmente comprimibile in precise chiavi interpretative statiche)”.

Questa è la medesima posizione di Pietropolli Charmet (2008)[52], ovverosia, nella Criminologia occidentale contemporanea, “poniamo l'attenzione sui processi e non sugli esiti – che sono sospesi all'imprevedibilità ed unicità del singolo soggetto – nella volontà non tanto di spiegare come siano realmente le cose ( a partire da – e in conformità a – qualche teoria sull'argomento), bensì, fenomenologicamente, di andare alle cose stesse, all'adolescente inteso quale animale simbolico, intento a costruire nuove rappresentazioni mentali del Sé e del mondo”. Secondo Pietropolli Charmet (2008)[53] mancano teorie criminologiche proiettate nel lungo periodo. Tale non è stato l'errore della Kriminelle Statistik (KriSta) di Killias in Canton Zurigo, ove gli Operatori si sono impegnati, in un progetto pluridecennale, a monitorare gli adolescenti anche durante la vita adulta, senza ingabbiare le singole storie personali entro catalogazioni scientifiche apodittiche.

 

Conclusioni

A ragion veduta, Pietropolli Charmet & Scaparro (1993)[54] affermano che “ciò che costituisce lo specifico dell'adolescenza […] sta proprio nel particolare modo di rapportarsi al mondo. Cambia, in questa fase e a partire da questo periodo, la qualità della presenza, si ridefinisce un nuovo modo di essere nel mondo, di fare esperienza e di apprendere da essa (che coinvolge il simultaneo fluire di parti somatiche, emotive ed intellettive) per l'attivarsi di risorse che permettono al ragazzo di dislocare il proprio campo esperienziale dalla giurisdizione familiare ad un'area autonoma, in cui […] elabora uno stile di azione più personale, costruito sulle proprie esplorazioni, su opinioni distinte da quelle degli adulti”. Pertanto, come si evince da Pietropolli Charmet & Scaparro (ibidem)[55] l'adolescenza, in ultima analisi, altro non è se non l'inizio di una nuova “interpretazione” della realtà, la quale non necessariamente e non sempre viene modificata, bensì essa è intesa in modo alternativo rispetto all'epistemologia del reale veicolata dai genitori, dalla scuola e, più in generale, dalla agenzie educative.

L'adolescente, nel bene o nel male, contesta nel nome di criteri conoscitivi autonomi, con tutti i pro e i contra del caso. Giustamente, Pietropolli Charmet & Scaparro (ibidem)[56] sintetizzano l'essenza dell'età dello sviluppo evidenziando che “[dopo i 13/14 anni circa] irrompe la dimensione soggettiva del futuro, […] del confronto diretto e nuovissimo con gli adulti, quasi del tutto smitizzati […]. Ciò che conta è la percezione di dover affrontare compiti nuovi […] e, soprattutto, di dover fare leva su nuove e mai sperimentate capacità di simbolizzazione”; proprio, dunque, questa nuova “simbolizzazione” ermeneutica è il centro della fase adolescenziale, che è una nuova, inedita e personale interpretazione etico-valoriale. Analogo è il parere di Frankl (2005)[57], ovverosia “in sostanza [nell'età adolescenziale] si attivano risorse che permettono al soggetto (e, in primis, alla sua coscienza) di intessere un rapporto diverso con l'alterità, lo spazio, il tempo, se stesso ed i propri vissuti, a partire dalla possibilità soggettiva di provare sensazioni, di poterle situare e contenere nel proprio corpo. Queste, insieme al pensiero che le coglie e le elabora prendono forma di gesto, di espressione, di azione”.

Per Frankl (2005)[58], l'adolescente è tale nella misura in cui egli “(ri)elabora” la realtà fenomenica, corporale e morale attraverso metodiche esegetiche personali e quasi totalmente affrancate dal predominio delle categorie apprese durante l'infanzia. Il problema sorge allorquando tali griglie interpretative sconfinano nell'eterolesività antisociale e/o antigiuridica. Per parte loro, in maniera assai similare, Banasayag & Schmit (ibidem)[59] parlano di una “rivoluzione copernicana” fondata su “condotte esplorative” diverse da quelle infantili. Pure Binswanger (1973)[60] postula, nel giovane in età evolutiva, l'esistenza di un “nuovo modo di essere nel mondo”. Anche in Cargnello (1966)[61] l'essere adolescente consta nell'adottare nuovi parametri cognitivi de Sé e dell'altro; più dettagliatamente, “[l'adolescenza] è una nuova relazione soggetto-oggetto, è un nuovo rapporto io-mondo, [poiché] proprio tale dinamica relazionale è intimamente connessa all'intuizione del senso o, viceversa, alla percezione della mancanza di significato nella propria esistenza. Il significato è, infatti, un fatto di rapporto”. In Cargnello (ibidem)[62], ciò che conta, nell'ultra-13enne, non è la contestazione, ma la destrutturalizzazione del reale finalizzata ad una diversa percezione del Sé e dell'oggettività circostante. Bertolini (2006)[63] reputa che la più grande mutazione adolescenziale è il passaggio alla “intenzionalità della coscienza”, la quale presuppone necessariamente l'abbandono delle tecniche conoscitive fondate sull'imitazione formale degli educatori. Entro siffatta ottica si collocano pure Bertolini & Caronia (ibidem)[64], secondo cui “tutto dipende dall'intenzionalità della coscienza, la quale è sempre coscienza di qualche cosa. Del resto, da un punto di vista fenomenologico, ogni individuo, in quanto essere vivente, ha nell'intenzionalità della coscienza, nella sua capacità di investire di senso il mondo naturale e sociale, la sua caratteristica essenziale”. Nuovamente, in Bertolini & Caronia (ibidem)[65], essere adolescente significa, in ultima istanza, re-interpretare, dare una ratio, adottare un'ottica personale sganciata dai condizionamenti pregressi. Sublime è la sintesi, molto apprezzabile, di Fizzotti (2007)[66]: “nella relazione tra la coscienza e la realtà risiede quel processo di significazione attiva che consiste nell'attribuzione di significati e valori al reale, che diventa la realtà per me, non avente senso in sé, ma solo in rapporto all'intenzionamento di una coscienza, ad un punto di vista che coglie alcuni elementi dell'esistente, facendone prospetticamente emergere alcuni aspetti, quale figura che si staglia su di uno sfondo”.

Come si può notare, Fizzotti (2007)[67] insiste sulla necessità di un'interiorizzazione adolescenziale dei valori proposti dalla famiglia e dalla società; come prevedibile, le disfunzioni nascono nel momento in cui le agenzie educative, il gruppo dei pari e la scuola propongono di interiorizzare valori auto-/etero-lesivi. Baraldi & Rossi (2002)[68] sostengono che “[durante l'adolescenza] si crea un salto di coscienza legato allo sviluppo cognitivo […] in questa fase dello sviluppo viene acquisita la capacità di riflettere su di sé e sul proprio pensiero”. In buona sostanza, il giovane ultra-13enne sviluppa quei valori interiori (rectius: interiorizzati) che lo accompagneranno nel corso della vita. Interessante è Marcia (1967)[69], che, pertinentemente, individua, entro una prospettiva psicanalitica, quattro tipi di prospettive “connotanti la fase adolescenziale: la prospettiva cognitiva, quella psicosociale, quella psicosessuale e quella morale”. A parere di chi scrive, la Pedagogia contemporanea insiste molto sull'aspetto cognitivo e psicosociale, mentre completamente distorti sono i riguardi della sessualità e della moralità. L'ultra-13enne, infatti, è abituato, già in età infantile, a non praticare freni inibitori di matrice metanormativa, donde, in epoca postpuberale, un esercizio sfrenato della sessualità, specialmente da parte dei soggetti di sesso femminile. Tale sessualizzazione esasperata reca ad una maggiore tendenza all'eterolesività, sostituita, nell'età matura, da disturbi alimentari o prodigalità patologica. Solitamente, infatti, la mancanza di limiti alle pulsioni erotiche sprigiona, nel lungo periodo, condotte aggressive generate da un'assenza totale di valorialità. Marcia (ibidem)[70] rimarca anch'egli, nell'adolescente contemporaneo, un carente equilibrio tra Ego e Super-Ego, donde la necessità di una formazione morale non meno importante di quella tecnico-culturale

 

 

[1]Ronco & Pepe, Identità e valori nell'adolescenza. Una ricerca sperimentale su alunni di scuola secondaria superiore di Napoli, Orientamenti Pedagogici, vol. 49, n. 1, 2002

 

[2]Buzzi & Cavalli & De Lillo, Rapporto giovani. Sesta indagine dell'Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna, 2007

 

[3]Maggiolini & Pietropolli Charmet, Manuale di psicologia dell'adolescenza: compiti e conflitti, Franco Angeli, Milano, 2004

 

[4]Bauman, Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2006

 

[5]Bauman, op. cit.

 

[6]Bauman, op. cit.

[7]Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia, Quodlibet, Macerata, 2008

 

[8]Bertolini & Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, la Nuova Italia, Firenze, 1993

 

[9]Bertolini & Caronia, op. cit.

 

[10]Bertolini & Caronia, op. cit.

 

[11]Frankl, The Spiritual Dimension in Existential Analysis and Logotherapy, Journal of Individual Psychology, 15, 1959

 

[12]Frankl, op. cit.

 

[13]Frankl, op. cit.

[14]Buzzi & Cavalli & De Lillo, op. cit.

 

[15]Buzzi & Cavalli & De Lillo, op. cit.

 

[16]Fabbrini & Melucci, L'età dell'oro. Adolescenti tra sogno ed esperienza, Feltrinelli, Milano, 1992

 

[17]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[18]Buzzi & Cavalli & De Lillo, op. cit.

 

[19]Buzzi & Cavalli & De Lillo, op. cit.

 

[20]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[21]Erikson, gioventù e crisi d'identità, Armando, Roma, 1995

 

[22]Erikson, op. cit.

 

[23]Erikson, Infanzia e società, Armando, Roma, 1975

 

[24]Erikson (1975), op. cit.

 

[25]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[26]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[27]Benasayag & Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004

 

[28]Benasayag & Schmit, op. cit.

 

[29]Bacolini, Giudicate tutto, trattenete ciò che vale ! Spunti di riflessione sui giovani di oggi per educare a un senso della vita, Ricerca di Senso, vol. 5, n. 2, 2007

 

[30]Bacolini, op. cit.

 

[31]Mead, L'adolescenza in Samoa, Giunti-Barbera. Firenze, 1980

 

[32]Mead, op. cit.

 

[33]Mead, op. cit.

 

[34]Miller, Teorie dello sviluppo psicologico, Il Mulino, Bologna, 1987

 

[35]Benasayag & Schmit, op. cit.

 

[36]Benasayag & Schmit, op. cit.

 

[37]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[38]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[39]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[40]Pietropolli Charmet, Adolescenza. Istruzioni per l'uso, Fabbri, Milano, 2005

 

[41]Pietropolli Charmet, op. cit.

 

[42]Scaparro, La bella stagione. Dieci lezioni sull'infanzia e sull'adolescenza, Vita e Pensiero, Milano, 2003

 

[43]Scaparro, op. cit.

 

[44]Larocca, Introduzione alla metodologia della ricerca pedagogica. Dispensa per il corso di Scienze dell'Educazione, Università di Verona, a.a. 1995/1996

 

[45]Larocca, op. cit.

 

[46]  Frankl, Logoterapia medicina dell'anima, Gribaudi, Milano, 2001

 

[47]Frankl, op. cit.

 

[48]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[49]Fabbrini & Melucci, op. cit.

 

[50]Borgna, Le figure dell'ansia, Feltrinelli, Milano, 2005

 

[51]Fizzotti, L'immagine frankliana dell'uomo tra teoria e prassi, Humanitas, 32, 11, 1977

 

[52]Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo. Ritratto dell'adolescente di oggi, Laterza, Roma-Bari, 2008

 

[53]Pietropolli Charmet (2008), op. cit.

 

[54]Pietropolli Charmet & Scaparro, Belletà. Adolescenza temuta, adolescenza sognata, Bollati Boringhieri, Torino, 1993

 

[55]Pietropolli Charmet & Scaparro, op. cit.

 

[56]Pietropolli Charmet & Scaparro, op. cit.

 

[57]Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia, 2005

 

[58]Frankl (2005), op. cit.

 

[59]Benasayag & Schmit, op. cit.

 

[60]Binswanger, Essere nel mondo, Astrolabio, 1973

 

[61]Cargnello, Alterità e alienità. Introduzione alla fenomenologia antropoanalitica. Feltrinelli, Milano, 1966

 

[62]Cargnello, op. cit.

 

[63]Bertolini, Per un lessico di pedagogia fenomenologica, Erckson, Trento, 2006

 

[64]Bertolini & Caronia, op. cit.

 

[65]Bertolini & Caronia, op. cit.

 

[66]Fizzotti, Adolescenti in ricerca. Itinerari di sviluppo tra dubbi e certezze, LAS, Roma, 2007

 

[67]Fizzotti (2007), op. cit.

 

[68]Baraldi & Rossi, La prevenzione delle azioni giovanili a rischio, Franco Angeli, Milano, 2002

 

[69]Marcia, Ego identity Status: Relationship to change in self-esteem, general malajustement and authoritarianism, Journal of Personality, 35, 1967

 

[70]Marcia, op. cit.