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L’applicabilità del preavviso di rigetto ex articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990

Con particolare riferimento ai procedimenti destinati a concludersi con le varie tipologie di silenzio e a quelli avviati con la presentazione della d.i.a.
alba di cemento
Ph. Luca Martini / alba di cemento

L’applicabilità del preavviso di rigetto ex articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 

Le più recenti novità legislative riguardanti il procedimento amministrativo tendono ad estendere le garanzie partecipative del privato, che con il suo apporto collaborativo può influenzare l’iter decisionale dell’amministrazione.

Già prima della riforma del 2005, la giurisprudenza afferma il principio secondo cui sussiste un potere-dovere dell’amministrazione, desumibile sia dall’art. 97 Cost. che dagli artt. 2 e 6 della legge n. 241 del 1990, di attivarsi affinché l’istruttoria che precede l’adozione dell’atto finale determini il realizzarsi di un contraddittorio “ad armi pari” con il privato interessato.

Con l’introduzione dell’art. 10-bis nel corpo della legge sul procedimento amministrativo si assicura all’istante un’adeguata tutela dell’interesse partecipativo a rappresentare tutti i fatti e gli elementi di diritto utili al fine di conseguire il bene della vita richiesto, anche in contraddizione rispetto agli esiti istruttori e ponderativi dell’amministrazione procedente.

La disposizione in esame prescrive infatti che “nei procedimenti ad istanza di parte, il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”.

L’istituto del preavviso di rigetto svolge anche una funzione deflattiva del contenzioso in quanto è finalizzato a consentire una convergenza di posizioni tra le parti nel procedimento, attraverso un confronto sulle ragioni ostative all’accoglimento della domanda.

Proprio da tale finalità, cui l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 sembra ispirato, la giurisprudenza trae la conclusione della natura ordinatoria e non perentoria del termine di dieci giorni per presentare le osservazioni da parte del privato; in sostanza, si sostiene che, opinando diversamente, l’obiettivo non sarebbe più raggiunto poiché, impedendo all’istante la presentazione delle osservazioni oltre il termine, lo si costringerebbe a farle valere dinanzi all’autorità giudiziaria.

Dall’analisi della disciplina risulta evidente che il preavviso di rigetto si collochi fra l’istruttoria e la fase decisoria; di conseguenza, l’amministrazione deve aver prima esaminato e valutato gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche, acquisiti d’ufficio o rappresentati dagli stessi soggetti interessati, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990, per comunicare all’istante i “motivi” che impediscono l’accoglimento della domanda.

Secondo la ricostruzione prevalente, quindi, l’istituto ha natura di atto endo-procedimentale, non ancora definitivo, ben potendosi verificare che, a seguito del sollecitato intervento del privato interessato, la pubblica amministrazione muti avviso e decida di accogliere l’istanza.

Il preavviso di rigetto, perciò, non è autonomamente ed immediatamente impugnabile in quanto tale comunicazione non costituisce ancora atto lesivo, ma ha solo la funzione di integrare un vero e proprio contraddittorio endo-procedimentale, a carattere necessario.

Ulteriore problematica da analizzare riguarda l’individuazione del soggetto cui compete l’elaborazione e la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Affermata l’appartenenza del preavviso di rigetto alla fase predecisoria, l’articolo 10-bis, sempre che sia stato seguito il modello organizzativo di tipo dualistico, andrebbe applicato dal responsabile del procedimento, che deve anche vagliare, in sede di elaborazione della proposta di provvedimento, le deduzioni eventualmente presentate dal privato.

Quanto al contenuto della comunicazione, la giurisprudenza interpreta il riferimento del legislatore ai “motivi” ostativi all’accoglimento della domanda correlandolo alla natura endo-procedimentale e alla non impugnabilità in via autonoma del preavviso.

Movendo da tale presupposto, si osserva che la pubblica amministrazione debba evidenziare i punti salienti delle ragioni che, allo stato, inducono a determinarsi in senso negativo.

Successivamente, sulla base delle osservazioni del privato, ma anche in via autonoma, l’amministrazione potrebbe precisare meglio le proprie posizioni giuridiche nell’atto di diniego definitivo, il solo ad assumere attitudine lesiva.

La stessa disposizione, infatti, prescrive l’obbligo di dare ragione nella motivazione del provvedimento finale dell’eventuale mancato accoglimento delle osservazioni formulate dal privato.

In ogni caso, è precluso all’amministrazione fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dai “motivi” dell’atto endo-procedimentale.

Il preavviso di rigetto, inoltre, deve essere personale e la relativa comunicazione va effettuata in forma scritta e presumibilmente nel momento stesso in cui l’amministrazione accerti l’infondatezza dell’istanza.

L’applicazione dell’istituto in esame interrompe i termini per la conclusione del procedimento, che cominciano nuovamente a decorrere dalla data in cui l’istante presenta le osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine per l’esercizio di tale diritto in quanto si apre una nuova fase istruttoria, nel corso della quale il privato interessato può rimodulare e riformulare la domanda, tenendo conto delle indicazioni dell’amministrazione.

E’ opportuno chiedersi se l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto implichi inevitabilmente il prodursi di un vizio idoneo a determinare la caducazione giurisdizionale del provvedimento finale.

La giurisprudenza prevalente, facendo applicazione dell’indirizzo pretorio seguito in materia di comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, opta per una lettura non formalistica dell’articolo 10-bis ed esclude l’annullabilità del provvedimento, pur non preceduto dal preavviso, allorché emerga che il privato abbia avuto comunque modo di conoscere aliunde i motivi ostativi.

In ossequio ai principi del raggiungimento dello scopo, di strumentalità delle forme e di conservazione degli atti, si contemperano due esigenze contrapposte: da un lato, la garanzia partecipativa del privato istante; dall’altro, l’efficacia ed il buon andamento dell’agere amministrativo tutelati dall’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 e dall’articolo 97 della Costituzione, che sarebbero inevitabilmente compromessi nel caso della riproposizione delle ragioni ostative all’accoglimento della domanda.

E’ discussa l’applicabilità all’ipotesi dell’omissione del preavviso di rigetto dell’articolo 21-octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, che esclude l’annullabilità del provvedimento amministrativo per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento “qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Secondo una parte della giurisprudenza, la sanatoria prevista da tale disposizione è riferibile alle sole violazioni procedimentali concernenti l’articolo 7 della legge n. 241 del 1990.

Di conseguenza, la violazione dell’obbligo di comunicare i motivi ostativi all’accoglimento ha carattere assorbente, comportando l’annullamento del provvedimento finale, salvo che, trattandosi di atto vincolato, non possa trovare applicazione la prima parte del secondo comma dell’articolo 21-octies.

Sembra preferibile, però, l’orientamento di altra parte della giurisprudenza che, sottolineando l’identità funzionale tra il preavviso di rigetto e la comunicazione di avvio del procedimento, estende l’ambito applicativo dell’ultima parte del secondo comma dell’articolo 21-octies anche all’ipotesi di violazione della garanzia partecipativa prevista dall’articolo 10-bis.

Individuate la ratio e la disciplina dell’istituto esaminato, è necessario interrogarsi sull’ambito di operatività dello stesso in relazione alle ipotesi in cui il legislatore attribuisce all’inerzia dell’amministrazione l’idoneità a produrre effetti provvedimentali, favorevoli (silenzio-assenso), o sfavorevoli (silenzio-rigetto).

Il comma 5 dell’articolo 20 della legge n. 241 del 1990 prevede espressamente l’applicabilità dell’articolo 10-bis al silenzio-assenso.

Quest’ultimo, infatti, resta disciplinato dalle norme sul procedimento ordinario, modificato solo nella fase decisoria, con la sostituzione del provvedimento finale con il silenzio equiparato ex lege all’accoglimento della domanda.

La questione interpretativa che si pone riguarda l’ipotesi in cui l’amministrazione comunichi i motivi ostativi e successivamente rimanga inerte, facendo spirare il termine previsto dalla legge per la formazione del provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza.

Secondo una parte della dottrina, il preavviso di rigetto, seguito o meno dalle osservazioni del privato istante, impedisce la formazione del silenzio-assenso in quanto la successiva inerzia dell’amministrazione perde quel carattere di univocità ed omogeneità, elementi indispensabili affinché si possa ritenere legittimo un effetto provvedimentale prodotto tacitamente.

Sorge, così, un vero e proprio obbligo dell’amministrazione procedente di esercitare il proprio potere autoritativo espressamente e motivatamente, nei termini di legge; la relativa violazione comporta la qualificazione dell’inerzia in termini comportamentali, come tale sindacabile ai sensi dell’articolo 21-bis della legge n. 241 del 1990.

Altra parte della dottrina, alla quale si ritiene di aderire, sostiene che la formazione del silenzio-assenso non potrà essere impedita dal preavviso di rigetto poiché il provvedimento favorevole si forma per volontà della legge.

Lo stesso comportamento inerte tenuto dall’amministrazione a seguito della presentazione delle osservazioni da parte del privato potrebbe essere interpretato come acquiescenza o, meglio, in termini di accoglimento tacito delle controdeduzioni prospettate.

Quanto al silenzio-rigetto, ipotesi ormai recessiva nell’attuale legislazione, è necessario un coordinamento con l’articolo 2 della legge n. 241 del 1990, che introduce il principio secondo il quale l’amministrazione è obbligata a rispondere in modo espresso e motivato alle richieste formulate dai privati, in ossequio ai canoni di trasparenza, imparzialità, chiarezza e leale collaborazione.

Di conseguenza, se il soggetto istante non presenta osservazioni scritte decorsi dieci giorni dal ricevimento della comunicazione del preavviso di rigetto, il termine del procedimento riprenderà nuovamente a decorrere ed al suo spirare si formerà un provvedimento tacito di diniego della domanda, non concretizzandosi alcuna alterazione dell’iter procedimentale.

Qualora, invece, siano formulate controdeduzioni da parte del privato e le stesse non vengano accolte, l’applicazione dell’articolo 10-bis imporrà l’adozione di un espresso provvedimento di diniego in quanto i “motivi” ostativi all’istanza devono essere esposti nel provvedimento finale, pena l’illegittimità di quest’ultimo.

Quindi, l’eventuale comportamento inerte tenuto dall’amministrazione a seguito delle specifiche richieste del privato, in applicazione dell’articolo 10-bis, potrà essere impugnato ai sensi dell’articolo 21-bis della legge n. 241 del 1990.

Fuori dalle ipotesi in cui è la legge ad equiparare, quoad effectum, l’inerzia dell’amministrazione all’adozione di un provvedimento favorevole o sfavorevole, sussiste ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 241 del 1990 l’obbligo di concludere il procedimento con un atto espresso.

In questo caso, il silenzio serbato dall’amministrazione, successivamente alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di parte, siano state o meno presentate osservazioni, conserva natura di silenzio-inadempimento.

Il preavviso di rigetto, infatti, non è idoneo a consolidarsi in un provvedimento definitivo di reiezione della domanda e non altera il procedimento, eventualmente proposto, del silenzio-inadempimento.

Ciò non esclude che l’attivazione dell’istituto partecipativo di cui all’articolo 10-bis possa esercitare un’influenza sul piano processuale.

In effetti, la valutazione dei fatti e la conseguente ponderazione degli interessi da parte dell’amministrazione, enucleabili dal preavviso di rigetto o dall’eventuale contraddittorio procedimentale, potranno corredare la domanda del privato in sede di giudizio sul silenzio-inadempimento.

La stessa decisione del giudice non si limiterà ad un mero accertamento dell’obbligo di provvedere, ma dispiegherà un concreto effetto conformativo in ordine al potere della pubblica amministrazione, proprio alla stregua degli esiti del sub-procedimento istaurato con il preavviso di rigetto.

E’ opportuno, infine, analizzare il problema della compatibilità dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 con la d.i.a.

La disciplina prevista in tema di d.i.a. edilizia stabilisce un vero e proprio procedimento ad hoc, nel cui ambito sono assicurate al denunciante specifiche garanzie, quali la motivazione dell’ordine inibitorio e la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio di attività, con le modifiche e le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.

Si tratta di norme speciali che prevedono forme di confronto fra il privato e la pubblica amministrazione più pregnanti ed incisive di quelle assicurate dallo stesso articolo 10-bis.

L’inapplicabilità alla d.i.a. dell’istituto della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda emerge anche dalla lettura dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990.

Infatti, l’interruzione procedimentale prevista dal preavviso di rigetto collide con l’esigenza acceleratoria perseguita dalle disposizioni che collegano alla presentazione della d.i.a. l’inizio del procedimento di verifica dei requisiti e dei presupposti dell’attività del privato o, in determinate ipotesi stabilite nella seconda parte del secondo comma dell’articolo 19, l’esercizio anticipato del potere inibitorio a seguito della d.i.a. c.d. “immediata”.

Quest’ultima innovazione legislativa consolida le argomentazioni sostenute a conforto della tesi della natura privata della d.i.a., che è un atto formalmente e soggettivamente privato, cui la legge ricollega direttamente l’effetto di abilitare l’istante all’esercizio dell’attività, senza l’intermediazione del potere della pubblica amministrazione.

Tale conclusione interpretativa, avallata dalla VI Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 717 del 2009, prevale su un precedente orientamento secondo il quale la d.i.a., costituendo un atto amministrativo abilitativo tacito destinato a formarsi in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per l’effetto del decorso del termine assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio, non può essere considerata un’istanza di parte, come tale incompatibile con l’incipit letterale dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990.

Le più recenti novità legislative riguardanti il procedimento amministrativo tendono ad estendere le garanzie partecipative del privato, che con il suo apporto collaborativo può influenzare l’iter decisionale dell’amministrazione.

Già prima della riforma del 2005, la giurisprudenza afferma il principio secondo cui sussiste un potere-dovere dell’amministrazione, desumibile sia dall’art. 97 Cost. che dagli artt. 2 e 6 della legge n. 241 del 1990, di attivarsi affinché l’istruttoria che precede l’adozione dell’atto finale determini il realizzarsi di un contraddittorio “ad armi pari” con il privato interessato.

Con l’introduzione dell’art. 10-bis nel corpo della legge sul procedimento amministrativo si assicura all’istante un’adeguata tutela dell’interesse partecipativo a rappresentare tutti i fatti e gli elementi di diritto utili al fine di conseguire il bene della vita richiesto, anche in contraddizione rispetto agli esiti istruttori e ponderativi dell’amministrazione procedente.

La disposizione in esame prescrive infatti che “nei procedimenti ad istanza di parte, il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”.

L’istituto del preavviso di rigetto svolge anche una funzione deflattiva del contenzioso in quanto è finalizzato a consentire una convergenza di posizioni tra le parti nel procedimento, attraverso un confronto sulle ragioni ostative all’accoglimento della domanda.

Proprio da tale finalità, cui l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 sembra ispirato, la giurisprudenza trae la conclusione della natura ordinatoria e non perentoria del termine di dieci giorni per presentare le osservazioni da parte del privato; in sostanza, si sostiene che, opinando diversamente, l’obiettivo non sarebbe più raggiunto poiché, impedendo all’istante la presentazione delle osservazioni oltre il termine, lo si costringerebbe a farle valere dinanzi all’autorità giudiziaria.

Dall’analisi della disciplina risulta evidente che il preavviso di rigetto si collochi fra l’istruttoria e la fase decisoria; di conseguenza, l’amministrazione deve aver prima esaminato e valutato gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche, acquisiti d’ufficio o rappresentati dagli stessi soggetti interessati, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 241 del 1990, per comunicare all’istante i “motivi” che impediscono l’accoglimento della domanda.

Secondo la ricostruzione prevalente, quindi, l’istituto ha natura di atto endo-procedimentale, non ancora definitivo, ben potendosi verificare che, a seguito del sollecitato intervento del privato interessato, la pubblica amministrazione muti avviso e decida di accogliere l’istanza.

Il preavviso di rigetto, perciò, non è autonomamente ed immediatamente impugnabile in quanto tale comunicazione non costituisce ancora atto lesivo, ma ha solo la funzione di integrare un vero e proprio contraddittorio endo-procedimentale, a carattere necessario.

Ulteriore problematica da analizzare riguarda l’individuazione del soggetto cui compete l’elaborazione e la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Affermata l’appartenenza del preavviso di rigetto alla fase predecisoria, l’articolo 10-bis, sempre che sia stato seguito il modello organizzativo di tipo dualistico, andrebbe applicato dal responsabile del procedimento, che deve anche vagliare, in sede di elaborazione della proposta di provvedimento, le deduzioni eventualmente presentate dal privato.

Quanto al contenuto della comunicazione, la giurisprudenza interpreta il riferimento del legislatore ai “motivi” ostativi all’accoglimento della domanda correlandolo alla natura endo-procedimentale e alla non impugnabilità in via autonoma del preavviso.

Movendo da tale presupposto, si osserva che la pubblica amministrazione debba evidenziare i punti salienti delle ragioni che, allo stato, inducono a determinarsi in senso negativo.

Successivamente, sulla base delle osservazioni del privato, ma anche in via autonoma, l’amministrazione potrebbe precisare meglio le proprie posizioni giuridiche nell’atto di diniego definitivo, il solo ad assumere attitudine lesiva.

La stessa disposizione, infatti, prescrive l’obbligo di dare ragione nella motivazione del provvedimento finale dell’eventuale mancato accoglimento delle osservazioni formulate dal privato.

In ogni caso, è precluso all’amministrazione fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dai “motivi” dell’atto endo-procedimentale.

Il preavviso di rigetto, inoltre, deve essere personale e la relativa comunicazione va effettuata in forma scritta e presumibilmente nel momento stesso in cui l’amministrazione accerti l’infondatezza dell’istanza.

L’applicazione dell’istituto in esame interrompe i termini per la conclusione del procedimento, che cominciano nuovamente a decorrere dalla data in cui l’istante presenta le osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine per l’esercizio di tale diritto in quanto si apre una nuova fase istruttoria, nel corso della quale il privato interessato può rimodulare e riformulare la domanda, tenendo conto delle indicazioni dell’amministrazione.

E’ opportuno chiedersi se l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto implichi inevitabilmente il prodursi di un vizio idoneo a determinare la caducazione giurisdizionale del provvedimento finale.

La giurisprudenza prevalente, facendo applicazione dell’indirizzo pretorio seguito in materia di comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, opta per una lettura non formalistica dell’articolo 10-bis ed esclude l’annullabilità del provvedimento, pur non preceduto dal preavviso, allorché emerga che il privato abbia avuto comunque modo di conoscere aliunde i motivi ostativi.

In ossequio ai principi del raggiungimento dello scopo, di strumentalità delle forme e di conservazione degli atti, si contemperano due esigenze contrapposte: da un lato, la garanzia partecipativa del privato istante; dall’altro, l’efficacia ed il buon andamento dell’agere amministrativo tutelati dall’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 e dall’articolo 97 della Costituzione, che sarebbero inevitabilmente compromessi nel caso della riproposizione delle ragioni ostative all’accoglimento della domanda.

E’ discussa l’applicabilità all’ipotesi dell’omissione del preavviso di rigetto dell’articolo 21-octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, che esclude l’annullabilità del provvedimento amministrativo per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento “qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Secondo una parte della giurisprudenza, la sanatoria prevista da tale disposizione è riferibile alle sole violazioni procedimentali concernenti l’articolo 7 della legge n. 241 del 1990.

Di conseguenza, la violazione dell’obbligo di comunicare i motivi ostativi all’accoglimento ha carattere assorbente, comportando l’annullamento del provvedimento finale, salvo che, trattandosi di atto vincolato, non possa trovare applicazione la prima parte del secondo comma dell’articolo 21-octies.

Sembra preferibile, però, l’orientamento di altra parte della giurisprudenza che, sottolineando l’identità funzionale tra il preavviso di rigetto e la comunicazione di avvio del procedimento, estende l’ambito applicativo dell’ultima parte del secondo comma dell’articolo 21-octies anche all’ipotesi di violazione della garanzia partecipativa prevista dall’articolo 10-bis.

Individuate la ratio e la disciplina dell’istituto esaminato, è necessario interrogarsi sull’ambito di operatività dello stesso in relazione alle ipotesi in cui il legislatore attribuisce all’inerzia dell’amministrazione l’idoneità a produrre effetti provvedimentali, favorevoli (silenzio-assenso), o sfavorevoli (silenzio-rigetto).

Il comma 5 dell’articolo 20 della legge n. 241 del 1990 prevede espressamente l’applicabilità dell’articolo 10-bis al silenzio-assenso.

Quest’ultimo, infatti, resta disciplinato dalle norme sul procedimento ordinario, modificato solo nella fase decisoria, con la sostituzione del provvedimento finale con il silenzio equiparato ex lege all’accoglimento della domanda.

La questione interpretativa che si pone riguarda l’ipotesi in cui l’amministrazione comunichi i motivi ostativi e successivamente rimanga inerte, facendo spirare il termine previsto dalla legge per la formazione del provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza.

Secondo una parte della dottrina, il preavviso di rigetto, seguito o meno dalle osservazioni del privato istante, impedisce la formazione del silenzio-assenso in quanto la successiva inerzia dell’amministrazione perde quel carattere di univocità ed omogeneità, elementi indispensabili affinché si possa ritenere legittimo un effetto provvedimentale prodotto tacitamente.

Sorge, così, un vero e proprio obbligo dell’amministrazione procedente di esercitare il proprio potere autoritativo espressamente e motivatamente, nei termini di legge; la relativa violazione comporta la qualificazione dell’inerzia in termini comportamentali, come tale sindacabile ai sensi dell’articolo 21-bis della legge n. 241 del 1990.

Altra parte della dottrina, alla quale si ritiene di aderire, sostiene che la formazione del silenzio-assenso non potrà essere impedita dal preavviso di rigetto poiché il provvedimento favorevole si forma per volontà della legge.

Lo stesso comportamento inerte tenuto dall’amministrazione a seguito della presentazione delle osservazioni da parte del privato potrebbe essere interpretato come acquiescenza o, meglio, in termini di accoglimento tacito delle controdeduzioni prospettate.

Quanto al silenzio-rigetto, ipotesi ormai recessiva nell’attuale legislazione, è necessario un coordinamento con l’articolo 2 della legge n. 241 del 1990, che introduce il principio secondo il quale l’amministrazione è obbligata a rispondere in modo espresso e motivato alle richieste formulate dai privati, in ossequio ai canoni di trasparenza, imparzialità, chiarezza e leale collaborazione.

Di conseguenza, se il soggetto istante non presenta osservazioni scritte decorsi dieci giorni dal ricevimento della comunicazione del preavviso di rigetto, il termine del procedimento riprenderà nuovamente a decorrere ed al suo spirare si formerà un provvedimento tacito di diniego della domanda, non concretizzandosi alcuna alterazione dell’iter procedimentale.

Qualora, invece, siano formulate controdeduzioni da parte del privato e le stesse non vengano accolte, l’applicazione dell’articolo 10-bis imporrà l’adozione di un espresso provvedimento di diniego in quanto i “motivi” ostativi all’istanza devono essere esposti nel provvedimento finale, pena l’illegittimità di quest’ultimo.

Quindi, l’eventuale comportamento inerte tenuto dall’amministrazione a seguito delle specifiche richieste del privato, in applicazione dell’articolo 10-bis, potrà essere impugnato ai sensi dell’articolo 21-bis della legge n. 241 del 1990.

Fuori dalle ipotesi in cui è la legge ad equiparare, quoad effectum, l’inerzia dell’amministrazione all’adozione di un provvedimento favorevole o sfavorevole, sussiste ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 241 del 1990 l’obbligo di concludere il procedimento con un atto espresso.

In questo caso, il silenzio serbato dall’amministrazione, successivamente alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di parte, siano state o meno presentate osservazioni, conserva natura di silenzio-inadempimento.

Il preavviso di rigetto, infatti, non è idoneo a consolidarsi in un provvedimento definitivo di reiezione della domanda e non altera il procedimento, eventualmente proposto, del silenzio-inadempimento.

Ciò non esclude che l’attivazione dell’istituto partecipativo di cui all’articolo 10-bis possa esercitare un’influenza sul piano processuale.

In effetti, la valutazione dei fatti e la conseguente ponderazione degli interessi da parte dell’amministrazione, enucleabili dal preavviso di rigetto o dall’eventuale contraddittorio procedimentale, potranno corredare la domanda del privato in sede di giudizio sul silenzio-inadempimento.

La stessa decisione del giudice non si limiterà ad un mero accertamento dell’obbligo di provvedere, ma dispiegherà un concreto effetto conformativo in ordine al potere della pubblica amministrazione, proprio alla stregua degli esiti del sub-procedimento istaurato con il preavviso di rigetto.

E’ opportuno, infine, analizzare il problema della compatibilità dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 con la d.i.a.

La disciplina prevista in tema di d.i.a. edilizia stabilisce un vero e proprio procedimento ad hoc, nel cui ambito sono assicurate al denunciante specifiche garanzie, quali la motivazione dell’ordine inibitorio e la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio di attività, con le modifiche e le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.

Si tratta di norme speciali che prevedono forme di confronto fra il privato e la pubblica amministrazione più pregnanti ed incisive di quelle assicurate dallo stesso articolo 10-bis.

L’inapplicabilità alla d.i.a. dell’istituto della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda emerge anche dalla lettura dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990.

Infatti, l’interruzione procedimentale prevista dal preavviso di rigetto collide con l’esigenza acceleratoria perseguita dalle disposizioni che collegano alla presentazione della d.i.a. l’inizio del procedimento di verifica dei requisiti e dei presupposti dell’attività del privato o, in determinate ipotesi stabilite nella seconda parte del secondo comma dell’articolo 19, l’esercizio anticipato del potere inibitorio a seguito della d.i.a. c.d. “immediata”.

Quest’ultima innovazione legislativa consolida le argomentazioni sostenute a conforto della tesi della natura privata della d.i.a., che è un atto formalmente e soggettivamente privato, cui la legge ricollega direttamente l’effetto di abilitare l’istante all’esercizio dell’attività, senza l’intermediazione del potere della pubblica amministrazione.

Tale conclusione interpretativa, avallata dalla VI Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 717 del 2009, prevale su un precedente orientamento secondo il quale la d.i.a., costituendo un atto amministrativo abilitativo tacito destinato a formarsi in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per l’effetto del decorso del termine assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio, non può essere considerata un’istanza di parte, come tale incompatibile con l’incipit letterale dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990.