Le misure di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa per fatti corruttivi

Articolo in tre parti
Parte III - Il caso Maltauro
8. La prima applicazione della normativa
La prima applicazione della normativa in esame si è avuta con la richiesta di straordinaria e temporanea gestione della società Maltauro s.p.a., con riferimento all’appalto relativo alle “architetture di servizio” afferenti al sito per l’esposizione universale (EXPO) del 2015.
Sia la richiesta che il Decreto del Prefetto di Milano sono reperibili sul sito web dell’ANAC.
8.1 La richiesta del Presidente dell’ANAC
La richiesta del Presidente dell’ANAC (10 luglio 2014) nel rimarcare il carattere “assolutamente innovativo” dello strumento in esame, evidenzia, innanzitutto, la duplice finalità dell’intervento normativo operato dal Decreto Legge 90.
Un primo è quello di evitare che le doverose indagini della magistratura penale su fatti illeciti connessi alla gestione di appalti possa impedire e/o ritardare la conclusione di opere pubbliche, soprattutto quando esse abbiano importanza strategica per il Paese; un altro, invece, è di evitare che l’esigenza comunque di completamento dei lavori non si traduca in un (indiretto) vantaggio per l’autore dell’illecito, consentendogli cioè dopo essersi aggiudicato in modo non legittimo un appalto per un lavoro pubblico e/o una fornitura, di conseguire il profitto del proprio illecito ottenendo gli utili conseguenti l’attività
In secondo luogo, si sofferma sui presupposti della misura: oltre ai gravi indizi di colpevolezza è necessario valutare la gravità del fatto accertato.
Il secondo presupposto - solo in parte qualificabile come una sorta di periculum in mora è collegato alla graduazione di gravità del fatto accertato che consente di optare per una o l’altra delle due misure; questo elemento non viene espressamente richiamato nel primo comma dell’articolo 32 in esame - che si occupa della richiesta del Presidente dell’ANAC - ma di esso si fa cenno nel secondo comma riferito specificamente ai criteri che devono guidare la scelta del Prefetto ma di cui non può non tener conto il Presidente ANAC nella sua richiesta.
È un requisito che proprio per avere in sé una notevole connotazione valutativa è difficile poter individuare con precisione in astratto; in estrema approssimazione, la valutazione di gravità potrà derivare sia dal complessivo comportamento tenuto dal soggetto autore del fatto illecito sia del livello di coinvolgimento dell’impresa - considerata come soggetto giuridico autonomo - in meccanismi di sistematica illiceità nella gestione degli appalti
Si noti, in particolare, il riferimento al “livello di coinvolgimento dell’azienda”, quale soggetto giuridico autonomo, nei meccanismi di gestione illecita degli appalti.
Si tratta di una espressione vicina a quella utilizzata dal Decreto Legislativo 231/2001 (articolo 11), tra i criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria, laddove si parla di “grado della responsabilità dell’ente”.
Tuttavia nel sistema in esame l’ottica è opposta a quella che permea il Decreto Legislativo 231: di fatto (e anche sub specie iuris) l’impresa viene ad essere colpita da una misura sostanzialmente sanzionatoria, non per fatto proprio ma per fatto altrui.
In nessun passaggio dell’articolo 32 viene, infatti, in rilievo la possibilità dell’impresa di dissociarsi - proprio in quanto autonomo soggetto giuridico - dalla condotta illecita del proprio esponente.
Secondo il documento, inoltre, in subiecta materia non varrebbe il principio della domanda cautelare:
in assenza di indicazioni contrarie, sembrerebbe legittimo per il Prefetto disporre la più grave misura del commissariamento della commessa, anche se la richiesta del Presidente ANAC sia di mera sostituzione dell’amministratore coinvolto nell’illecito.
L’affermazione appare discutibile, dal momento che il primo contenuto del principio della domanda cautelare sussiste pacificamente: il Prefetto, per quanto si è detto, non può decidere ex officio.
Ad ogni modo, un decisione in peius da parte del Prefetto, non motivata facendo ricorso ad ulteriori elementi a carico dell’azienda, presterebbe verosimilmente il fianco a censure dinanzi al giudice amministrativo in sede di impugnativa del decreto impositivo.
Pur nel silenzio della normativa, nel documento si ribadisce che è necessario comunicare all’azienda l’avvio del procedimento, ex articolo 7 della Legge n. 241 del 1990, per permetterle di interloquire con memorie e documenti.
La Legge n. 241 prevede (articolo 10) che i soggetti interessati hanno diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
La richiesta in esame aggiunge che il termine concesso all’azienda per interloquire può essere anche “particolarmente contenuto”: in effetti, sia in questa richiesta che nella più recente proposta di straordinaria e temporanea gestione del Consorzio Venezia Nuova (22 ottobre 2014) è stato concesso un termine di tre giorni[1].
Il termine appare eccessivamente contenuto, anche se l’atto in questione è prodromico rispetto a quello decisorio vero e proprio e anche se lo stesso articolo 7 della Legge n. 241 consente di omettere la stessa comunicazione di avvio del procedimento in caso di “esigenze di celerità” del medesimo.
La richiesta, infine, manca di una effettiva valutazione delle argomentazioni difensive della società interessata:
In questa prospettiva, i mutamenti della governance aziendale promossi dalla M. s.p.a. pur essendo decisamente apprezzabili e da valutarsi, anche in prospettiva, favorevolmente, non appaiono ad oggi sufficienti a scongiurare definitivamente i pericoli connessi e conseguenti ad un sistema di rapporti criminali di cui la struttura imprenditoriale si è valsa.
8.2 Il decreto prefettizio
Il decreto del Prefetto di Milano del 16 luglio 2014, nell’accogliere la richiesta del Presidente dell’ANAC, concorda innanzitutto sulla necessità di comunicare l’avvio del procedimento, stante “l’incidenza così invasiva (della norma) nella sfera dell’autonomia privata e di impresa”.
In particolare si dà adeguata contezza che:
- la società ha evidenziato la sua assoluta estraneità alla vicenda giudiziaria;
- sono stati revocati i poteri all’A.D. indagato e che nei suoi confronti è stata promossa azione di responsabilità; lo stesso A.D. deteneva il 25% delle quote della società controllante;
- è stato revocato un incarico di consulenza ad altro soggetto coinvolto dall’ordinanza;
- è stato effettuato un audit dell’organismo di vigilanza sui fatti oggetto dell’ordinanza (si evidenzia pure che il Modello organizzativo ex Decreto Legislativo 231/2001 è stato adottato sin dal 2003).
Appare sicuramente importante la valorizzazione, operata dal Prefetto, di circostanze ulteriori rispetto all’ordinanza cautelare allegata alla richiesta dell’ANAC.
In buona sostanza l’azienda interessata era “sotto osservazione” già dal 2013, da parte della Prefettura e del committente Expo 2015 s.p.a., che anzi, si era già attivato, ad inizio 2014, con l’avvio di un’istruttoria sulla corretta esecuzione dell’appalto, per valutare eventuali azioni in autotutela.
Il decreto viene dichiarato impugnabile[2] con ricorso al TAR ovvero con ricorso amministrativo (ricorso straordinario al Capo dello Stato).
8.3 La sentenza del TAR Lombardia
Prima dell’emanazione del decreto risulta essere stata depositata la sentenza del Tar Lombardia, I, 25 giugno - 9 luglio 2014.
Il giudice amministrativo disponeva la revoca dell’aggiudicazione ottenuta dalla società interessata, lasciando tuttavia alla committente Expo 2015 la decisione sulla risoluzione del contratto.
Interessante, in particolare, il seguente passaggio della sentenza:
Resta infine, da soggiungere che neppure il Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90, entrato in vigore poche ore prima dello svolgimento dell’udienza in Camera di Consiglio, pare poter favorire una rapida soluzione operativa, essendosi in esso previsto, tra le misure straordinarie di prevenzione della corruzione nei pubblici appalti (cfr. articolo 32), che in caso di pendenti indagini penali per l’accertamento di vari reati (tra i quali anche la turbativa delle procedure di evidenza pubblica, cui l’articolo 140 del Decreto Legislativo 163/2006, invece, non fa richiamo), vi sia, da parte del Presidente dell’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione), una proposta al Prefetto competente di adozione, alternativamente, di provvedimenti di rinnovazione degli organi sociali (mediante sostituzione), ovvero - in ipotesi di inerzia o su diretta iniziativa di quest’ultimo - l’assunzione della gestione “straordinaria o temporanea dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto oggetto del procedimento penale”, cui sarebbero preposti appositi amministratori con tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione oggetto dell’attività di commissariamento.
Si tratterebbe, peraltro, di una soluzione:
a) che nulla aggiungerebbe, in termini di speditezza ed efficienza, all’ipotesi di stipulazione del contratto con il RTI ricorrente, dovendosi considerare che quest’ultimo, avendo elaborato l’offerta per l’appalto in questione, conosce in modo approfondito lo stato dei luoghi, la natura dei lavori e il cronoprogramma degli stessi;
b) che non potrebbe garantire la definizione degli insorti conflitti, dal momento che l’eventuale provvedimento emesso dal Prefetto in accoglimento della proposta del Presidente dell’ANAC potrebbe essere oggetto di impugnazione e incidere ancor di più sui tempi di consegna delle opere.
Va aggiunto che il Consiglio di Stato[3] ha sospeso in via cautelare l’esecutività della sentenza de qua, rinviando per la decisione del merito all’udienza del 18 dicembre 2014.
Di rilievo il seguente passaggio motivazionale del giudice di secondo grado:
Rilevato, ancora, che la sopravvenuta disciplina di cui al Decreto Legge 24 giugno 2014, nr. 90 (in forza della quale risulta in concreto oggi nominato un Commissario Straordinario nella gestione dell’impresa aggiudicataria, con sostanziale estromissione dei soggetti sottoposti ad indagini), oltre a rafforzare le esigenze cautelari rappresentate dalle parti appellanti, costituisce la piena dimostrazione ex post - contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice - della non automatica incidenza sulla legittimità degli atti di gara delle indagini penali in corso, pur nell’estrema gravità dei reati ipotizzati, essendo evidente che il legislatore si è posto il problema dei rimedi da predisporre per fattispecie come quella oggi all’esame ed ha predisposto un meccanismo, quello del “commissariamento” dell’impresa appaltatrice fino all’esito del procedimento penale, ritenuto idoneo a conciliare l’interesse pubblico alla rapida esecuzione dell’opera pubblica con l’esigenza di impedire la percezione dei profitti d’impresa da parte di soggetti sospettati di illeciti, almeno fino alla conclusione del procedimento penale (soluzione nella quale - è appena il caso di sottolinearlo - natura del tutto recessiva è stata attribuita all’interesse a subentrare nella commessa delle altre imprese partecipanti alla gara, le quali evidentemente potranno far valere le proprie ragioni in altre e diverse sedi)…
9. Osservazioni conclusive
Lo strumento della gestione straordinaria dell’impresa per fatti corruttivi presenta numerosi aspetti critici.
Condivisibili, in particolare, le menzionate osservazioni di Confindustria, rese in sede di audizione parlamentare durante i lavori di conversione del Decreto Legge 90, che si possono riassumere come segue:
1) vengono imputati alle imprese fatti che attengono alla responsabilità personale (sarebbe da aggiungere: bypassando completamente il sistema di cui al Decreto Legislativo 231);
2) l’autorità amministrativa può adottare misure di gravità analoga a quelle previste dal Decreto Legislativo 231, senza le necessarie garanzie derivanti dal procedimento penale;
3) il potere di intervento dell’autorità amministrativa è, peraltro, legato a presupposti generici e indefiniti;
4) l’articolo 32 consente di addossare all’impresa un pregiudizio patrimoniale e reputazionale anche a fronte di fatti incerti, mentre non è prevista alcuna forma di indennizzo nel caso in cui le indagini si risolvano in un provvedimento di archiviazione;
5) mancano del tutto meccanismi procedurali di garanzia e contraddittorio che consentano alle imprese coinvolte di far valere in via preventiva le proprie ragioni.
Sotto questo profilo, molti degli emendamenti illustrati nella Parte II del presente contributo avrebbero migliorato il testo di legge, specie con riferimento all’eliminazione del presupposto delle “situazioni anomale e comunque sintomatiche di eventi illeciti”[4].
Il sistema in esame deve essere ulteriormente approfondito, soprattutto in relazione all’operatività del Decreto Legislativo 231/2001 e ai, conseguenti, rapporti con la magistratura.
Quest’ultima normativa prevede già il commissariamento giudiziale, che è però disposto - in via sostitutiva - allorché si debba applicare l’interdizione dell’attività: tale misura viene disposta nell’ambito di un procedimento penale, da un Giudice, con contraddittorio preventivo adeguato e idonee impugnazioni.
Si potrebbe integrare l’articolo 15 comma 1 lettera a), prevedendo la possibilità di commissariamento non solo se l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività; ma anche (richiamando la ratio della novella di cui all’articolo 32) nelle ipotesi in cui sussista “urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione di un contratto pubblico, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici”.
Tale modifica potrebbe essere ulteriormente legata a specifici reati-presupposto (reati contro la P.A. in primis).
L’argomento merita ulteriore approfondimento, ma appariva opportuno ribadire la centralità del “sistema 231”, che invece non è valorizzata in alcun modo dal disposto dell’articolo 32.