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L’indegnità di Giuseppe

Tacendo si trova il Maestro
San Giuseppe
San Giuseppe

Molto spesso quando si riflette su di un passo biblico o su di un momento dell’anno liturgico, si cerca disperatamente di scovare un elemento originale dal quale partire. Ovviamente, a meno di compiere pericolose acrobazie, il numero di appigli è limitato e si finisce coll’inserirsi in un differente tipo di ordinarietà.

Personalmente non mi sento attratto da questa “neofilia” per cui, parlandovi dell’Avvento, mi sono semplicemente rivolto ai due protagonisti di questo attutito inizio della Redenzione: san Giuseppe e la Vergine Maria. Vuoi per una certa vicinanza spirituale, vuoi invece per un indiretto legame di omonimia, la scelta è caduta sul santo falegname; la sua personale chiamata, definente anche in buona parte il tipo di contributo lui richiesto, ci viene narrata da san Matteo nel primo capitolo del suo Vangelo[1].

Leggendo la descrizione che l’Evangelista fa di Giuseppe, si viene subito colpiti dal suo silenzio: egli, in una società in cui competeva solo all’uomo il diritto di prendere la parola in pubblico, si presenta come colui che tace e, con umiltà, si pone in ascolto di chi vanta un diritto basato sulla santità. Ecco che quindi, in un’ottica imitativa, ho deciso di attendere all’esempio di san Giuseppe e lasciar parlare un uomo ben più degno di me: san Tommaso d’Aquino.

 

Eco di lezioni lontane

Capita a volte di dimenticarsi che per san Tommaso il compito primario, derivante dal suo essere Maestro in Sacra Pagina, era proprio la lettura ed il commento delle Sacre Scritture[2]; proprio per questo il punto più alto del suo magistero è esperibile in opere come il Commento al Vangelo di Matteo[3].Fra queste pagine ho cercato la voce del maestro e, fra le varie intuizioni, ne ho scovate due che voglio condividere e sulle quali intendo provare a costruire una proposta per il prossimo Avvento.

 Nel commentare Mt 1,19, e nello specifico la decisione di Giuseppe di ripudiare Maria in segreto, Tommaso propone varie interpretazione, tratte dai Padri, fra le quali una che vi riporto qui di seguito: “Infatti Giuseppe conosceva la pudicizia di Maria: […]. Credeva più facilmente che ciò (cioè il concepimento) si fosse adempiuto in lei piuttosto che avesse fornicato. Per cui ritenendosi indegno di coabitare con una così grande santità, volle congedarla in segreto, […]”[4]. Questa lettura, che l’Aquinate attribuisce a san Girolamo ed a Origene, ci presenta un san Giuseppe fedele e pio, al punto da avere la capacità di riconoscere la volontà di Dio attraverso la sua fede. Questo gli permette non solo di comprendere l’animo di Maria, ma anche d’intuire la sua indegnità nei confronti di un prodigio così grande. Tommaso associa questo atteggiamento a quello tenuto da san Pietro in Lc 5,8, dove il riconoscere la santità di Cristo va di pari passo con il riconoscimento della propria indegnità, in un processo che potremmo definire di “sano confronto”.

Il Dottore Angelico non prende posizione a favore di questa o di altre letture del passo, anche se nel proseguo del lavoro esegetico sembra considerare come acquisite le conclusioni sopra citate. Nel commentare infatti il sogno nel quale l’angelo parla a Giuseppe[5], l’Aquinate si chiede per quale motivo il messo celeste abbia scelto proprio quel mezzo per manifestarsi, e così risponde: “Si può assegnare un’altra ragione migliore, poiché come dice l’Apostolo (cioè san Paolo in 1 Cor 14,22), «la profezia è stata data a quelli che credono, i segni a quelli che non credono». Ora, la rivelazione che è data mediante la profezia avviene propriamente nel sonno; […]; quindi, dato che Giuseppe era giusto, e fedele, l’apparizione doveva essere fatta a lui come a un credente, ossia doveva trattarsi di una rivelazione quasi profetica”[6]. Questa lettura del passo arriva ad interpretare la fede di san Giuseppe alla luce di quella degli antichi profeti, al punto da conoscere la volontà divina attraverso i medesimi mezzi. Questa immagine molto alta dello sposo di Maria fonda, in un certo senso, l’interpretazione più ardita di cui vi ho parlato sopra presentandolo come uomo capace di ascoltare.

 

Vedo di non vedere

La proposta dell’Aquinate ci permette di vivere l’Avvento, ossia la preparazione alla venuta di Cristo, secondo l’esempio di colui che, uomo peccatore come tanti, fu scelto come suo padre putativo. Di fronte al concretizzarsi dell’Incarnazione, l’atteggiamento cui siamo chiamati è quello del pubblicano al Tempio[7], ossia di chi scorge nella grandezza della gloria divina lo sgradevole riflesso della propria indegnità. Riconoscersi indegni di ricevere, nel Natale, la visita del Verbo incarnato è un atto di giustizia per il semplice fatto che implica l’umile cognizione della distanza che intercorre fra la grandiosità dell’evento e la nostra percezione dello stesso. San Giuseppe non si riteneva indegno di condividere con Maria questa benedizione solo in virtù di un astratto concetto di purezza, ma in quanto consapevole che la sua umanità gli avrebbe impedito di vivere a fondo la grandezza dell’azione divina.

Allo stesso modo, noi dobbiamo renderci conto, di fronte all’offerta di se stesso implicita nell’Incarnazione del Verbo, che lo sguardo con cui la contempliamo ed accogliamo è quello di un bambino, ossia non in grado di dare all’esperienza la sua corretta dimensione.

 Ma la giusta distanza che la consapevolezza di tale indegnità genera è colmata dalla Misericordia divina, la quale viene incontro a chi crede con la delicatezza di una rivelazione e con tutta la fiducia propria di un sogno che sfiora appena la nostra vita lasciandoci il compito di non lasciarlo passare oltre. Nel preparaci quindi al Santo Natale, cerchiamo di porci in ascolto del delicato invito di Dio, così da comprendere sempre un po’ meglio la grandezza del suo dono. Come san Giuseppe, e per sua intercessione, permettiamo alla Misericordia di Dio di tramutare la consapevolezza della nostra piccolezza in strumento che ci permette di superarla. Solo così a Natale, alla presenza di Gesù Bambino, la nostra meraviglia si tramuterà in silenziosa adorazione.

 

[1] Cfr Mt 1, 18-25. 2

[2] Cfr sull’argomento Jean-Pierre Torrell, Amico della Verità, ESD, Bologna 2017, cap. 5, pp. 107-135.

[3] Cfr Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo secondo Matteo Capitoli 1-14 (trad. Roberto Coggi), ESD, Bologna 2018.

[4] Cfr Tommaso, Commento al Vangelo di Matteo, Lezione 4, n. 117.

[5] Cfr Mt 1, 20-23.

[6] Cfr Tommaso, Commento al Vangelo di Matteo, Lezione 4, n. 123.

[7] Cfr Lc 18, 9-14.

Testi consigliati:

  • Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo secondo Matteo Capitoli 1-14 (trad. Roberto Coggi), ESD, Bologna 2018.
  • Jean-Pierre Torrell, Amico della Verità, ESD, Bologna 2017.