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L’organismo di vigilanza ex Decreto Legislativo 231/2001 nell’ambito della nuova normativa antiriciclaggio (Decreto Legislativo 231/2007)

- L’integrazione del d.lg. 231/2001 ad opera del d.lg. 231/2007

Il d.lg. 231/2007, attuativo della III Direttiva Antiriciclaggio, ha operato importanti integrazioni al d.lg. 231/2001 sulla responsabilità da reato degli enti collettivi.

Innanzitutto inserendo nel d.lg. 231/2001 i delitti di ricettazione (art 648 c.p.), riciclaggio (art 648 bis c.p.) e c.d. reimpiego (art 648 ter c.p.) e prevedendo a carico dell’ente, in relazione ad essi:

- in via ordinaria, la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote;

- nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote;

- le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2 d.lg. 231, per una durata non superiore a due anni.

Sulle linee guida delle associazioni di categoria (ABI in primis, ma anche CONFINDUSTRIA, ANIA, ASSOGESTIONI, ASSOSIM,ASSIFACT ecc.) – sulla cui base, come noto, possono essere adottati i singoli Modelli aziendali - il Ministero della Giustizia formulerà eventuali osservazioni, sentito il parere dell’UIF (Unità di informazione finanziaria, presso la Banca d’Italia, che sostituisce il soppresso Ufficio italiano dei Cambi).

In secondo luogo, il decreto abroga i commi 5 e 6 dell’articolo 10 della legge 16 marzo 2006, n. 146 (recante ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale): per tale via, come unanimemente auspicato, costituirà reato presupposto il riciclaggio (e il reimpiego) tout court e non soltanto quello avente il carattere della transnazionalità ai sensi di quest’ultima normativa.

Ma è un’altra disposizione a suscitare davvero l’interesse di chi scrive, perché radicalmente innovativa del “sistema 231”.

Ci si riferisce all’art 52 del decreto, che si riporta testualmente con evidenziazioni dello scrivente:

1. Fermo restando quanto disposto dal codice civile e da leggi speciali, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza, il comitato di controllo di gestione, l’organismo di vigilanza di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e tutti i soggetti incaricati del controllo di gestione comunque denominati presso i soggetti destinatari del presente decreto vigilano sull’osservanza delle norme contenute nel presente decreto.

2. I soggetti di cui al comma 1:

a. comunicano, senza ritardo, alle autorità di vigilanza di settore tutti gli atti o i fatti di cui vengono a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una violazione delle disposizioni emanate ai sensi dell’articolo 7, comma 2;

b. comunicano, senza ritardo, al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato, le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 41 di cui hanno notizia;

c. comunicano, entro trenta giorni, al Ministero dell’economia e delle finanze le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12 e 13 e all’articolo 50 di cui hanno notizia;

d. comunicano, entro trenta giorni, alla UIF le infrazioni alle disposizioni contenute nell’articolo 36 di cui hanno notizia.

- L’inedita figura dell’”ODV antiriciclaggio”

Innanzitutto va rilevato che, per la prima volta, si grava l’ODV di un obbligo di controllo dell’osservanza della normativa da parte dei soggetti destinatari del d.lg. 231/2007.

La normativa in questione pone dei divieti e degli obblighi e li presidia con sanzioni amministrative e penali; vigilare sul rispetto del decreto significa vigilare sull’adempimento degli obblighi e sul rispetto dei divieti dallo stesso posti.

Una simile vigilanza potrebbe essere inquadrata nel genus “prevenzione degli illeciti”.

L’art 52 comma 1 d.lg. 231/2007 rischia di avallare, ad avviso di chi scrive, la configurazione di una vera e propria “posizione di garanzia” a carico dell’ODV, il quale verrebbe ad essere coinvolto ope legis nella prevenzione di illeciti penali.

Insomma, l’ODV non dovrà “soltanto” vigilare sull’attuazione dei Modelli ma, direttamente e in modo più pregnante, sul rispetto, da parte della società, della normativa de qua.

Diventerebbe così concreta la possibilità di muovere un rimprovero all’ODV di non aver impedito un evento (sub specie di reato altrui, nelle ipotesi in cui la violazione del precetto integra tale forma di illecito) che aveva l’obbligo di impedire: id est una responsabilità a titolo di concorso omissivo nel reato altrui (combinato disposto degli artt 110 e 40 cpv. c.p.)

Ma vi è di più.

La cennata posizione di garanzia dell’ODV potrebbe essere fatta discendere dalla lettura congiunta degli artt 6 lett. a) e b), 7 d.lg. 231/2001 con l’art 52 comma 1 d.lg. 231/2007.

L’obiezione diffusa, secondo la quale, anche ad ipotizzarne la titolarità di una posizione di garanzia, l’ODV non avrebbe reali poteri impeditivi, potrebbe essere “aggirata” proprio dal successivo comma 2 dell’art 52, il quale prevede alcuni specifici obblighi di comunicazione – penalmente sanzionati – a carico dell’ODV (reati omissivi propri).

Si potrebbe cioè dire che l’ODV avrebbe potuto impedire il reato adempiendo in modo completo e tempestivo a tali obblighi.

In questo senso si è messa in evidenza l’importanza del futuro orientamento giurisprudenziale che potrebbe di fatto parificare – quanto a sussistenza di poteri impeditivi - l’ODV al collegio sindacale (Lunghini).

Va tuttavia rilevato, in senso contrario, che secondo autorevole dottrina (Mantovani; Leoncini) gli obblighi di attivarsi sanzionati dalle fattispecie omissive proprie non sono idonei a fondare una posizione di garanzia rilevante ai sensi dell’art 40 cpv. c.p..

- La responsabilità dell’ODV per omesso impedimento del reato

La tesi oggi prevalente esclude la configurabilità dell’obbligo giuridico di impedimento del reato in capo ai componenti dell’Organo già in relazione al primo presupposto, affermando che l’ODV avrebbe esclusivamente compiti di controllo in ordine al funzionamento ed all’osservanza dei modelli organizzativi e non in ordine alla prevenzione del reato.

Inoltre, sotto il profilo dell’imputazione oggettiva dell’evento, “la deficienza dei poteri di controllo e d’interdizione in capo al soggetto indicato come garante farebbe venir meno anche la sussistenza del rapporto di causalità o giudizio di equivalenza, in conseguenza dell’inidoneità dei poteri del garante ad esercitare la propria funzione di controllo” (Manzillo).

Per il vero è stato affermato, in senso contrario, che se l’ODV vigila sui modelli e questi sono finalizzati a prevenire i reati, l’obbligo giuridico non può essere escluso in radice: “potrebbe risultare decisivo, oltre all’elemento soggettivo, il raffronto tra la procedura prevista nel modello per la prevenzione del reato e la concreta condotta criminosa: quanto più il protocollo avrà una sua specifica funzione preventiva di una certa condotta e quanto più tale condotta si avvicini alla condotta criminosa concreta, tanto più potrà dirsi che tale condotta è causalmente collegabile all’omessa vigilanza sul rispetto del protocollo” (Iannini – Armone).

In quest’ottica, la fonte dell’obbligo di impedire l’evento potrebbe ravvisarsi negli artt. 6 lett. a), b) e d) e 7 d. lg. 231/2001: la posizione di garanzia dei componenti l’ODV risiederebbe direttamente nei modelli di organizzazione e gestione e verrebbe assunta in forza del contratto, in particolare del contratto di lavoro con la società (Gargani).

- La posizione di Confindustria

La rilevante questione viene affrontata pure dalle nuove linee guida di Confindustria, le quali danno atto che la lettera dell’art 52 potrebbe in effetti far ritenere sussistente in capo agli organi di controllo una posizione di garanzia ex art. 40, co. 2, c.p. finalizzata all’impedimento dei reati di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter c.p..

Tuttavia il documento propende per una diversa interpretazione, ritenuta più corretta e coerente con il sistema 231: il dovere di vigilanza di cui al co. 1 dell’art. 52 è limitato all’adempimento degli obblighi informativi previsti dal co. 2 della medesima disposizione.

E’ stato acutamente rilevato che una simile presa di posizione – comunque non strettamente attinente alle finalità delle linee guida 231 – può valere se mai a segnalare proprio l’estrema criticità della problematica in esame (Lunghini)

Inoltre, sempre secondo le linee guida, l’adempimento dei doveri di informazione di cui al comma 2 deve essere commisurato ai concreti poteri di vigilanza spettanti a ciascuno degli organi di controllo contemplati dal comma 1 dell’art. 52: di conseguenza il dovere di informativa dell’OdV non può che essere parametrato alla funzione, prevista dal d.lg. 231/2001, di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli e, con specifico riferimento all’antiriciclaggio, di comunicare quelle violazioni di cui venga a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni o nelle ipotesi in cui ne abbia comunque notizia (ad esempio: su segnalazione di dipendenti o altri organi dell’ente).

In altri termini l’espressione “fermo restando quanto disposto … da leggi speciali”, di cui al comma 1 dell’art 52 deve essere intesa, nella sostanza, come “oltre a quanto stabilito dal d.lg. 231/2001” oppure, in senso limitativo, come “ferme restando le attribuzioni e le funzioni previste per l’ODV dal d.lg. 231/2001”?

Il documento, all’evidenza, ritiene di rinvenire una differenza tra le espressioni “venire a conoscenza (delle infrazioni) nell’esercizio dei propri compiti” (utilizzata nella lettera a) del comma 2) e “avere notizia (delle infrazioni)” (utilizzata nelle lettere b), c), d).

Chi scrive ritiene che le due espressioni si equivalgano: la legge vuole che l’ODV adempia ai suoi obblighi informativi allorchè venga a conoscenza delle infrazioni – in qualsivoglia maniera – nell’esercizio delle proprie funzioni.

Sembra infatti irragionevole limitare l’obbligo di attivarsi dell’ODV, nelle ipotesi in cui rilevi le violazioni di cui all’art 52 comma 2 lett. b, c, d ai soli casi in cui riceva una notizia da altri soggetti.

- Gli obblighi informativi dell’ODV (art 52 comma 2)

E’ opportuno precisare il contenuto delle comunicazioni obbligatorie per l’ODV.

In primis, “tutti gli atti o i fatti di cui venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una violazione delle disposizioni emanate ai sensi dell’articolo 7, comma 2”.

Si tratta delle disposizioni delle Autorità di vigilanza, relative alle modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica del cliente, all’organizzazione, alla registrazione, alle procedure e ai controlli interni volti a prevenire l’utilizzo degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività finanziaria a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

In secondo luogo: “le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 41 di cui hanno notizia”.

L’art 41 prevede l’obbligo di segnalazione delle c.d. operazioni sospette, che la nuova normativa riferisce sia alle operazioni aventi ad oggetto denaro/utilità di sospetta provenienza dai delitti di riciclaggio sia a quelle aventi ad oggetto denaro/utilità che si sospetta possano essere destinati al finanziamento del terrorismo.

A ben vedere, tra le violazioni dell’art 41 rientrano:

- l’omessa segnalazione;

- la tardiva segnalazione.

Poi: “le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12 e 13 e all’articolo 50 di cui hanno notizia”.

Si riportano le disposizioni richiamate:

Art. 49 (Limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore)

1. È vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore dell’operazione, anche frazionata, è complessivamente pari o superiore a 5.000 euro. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.A.

5. Gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 5.000 euro devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

6. Gli assegni bancari e postali emessi all’ordine del traente possono essere girati unicamente per l’incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A.

7. Gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari sono emessi con l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

12. Il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere pari o superiore a 5.000 euro.

13. I libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 5.000 euro, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono estinti dal portatore ovvero il loro saldo deve essere ridotto a una somma non eccedente il predetto importo entro il 30 giugno 2008.

Art. 50 (Divieto di conti e libretti di risparmio anonimi o con intestazione fittizia)

1. L’apertura in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia è vietata.

2. L’utilizzo in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia aperti presso Stati esteri è vietata.

Infine, “le infrazioni alle disposizioni contenute nell’articolo 36 di cui hanno notizia”: si tratta degli obblighi di registrazione dei dati e delle informazioni raccolti dalla clientela.

La sanzione prevista per l’inadempimento di questi obblighi risiede nell’art 55 comma 4 e consiste nella reclusione fino ad un anno e nella multa da 100 a 1000 euro.

Anche le nuove linee guida di Confindustria sottolineano che quello in esame è l’unico caso in cui il legislatore ha espressamente disciplinato una specifica fattispecie di reato a carico dell’OdV (reato omissivo proprio), “a seguito del riconoscimento di una atipica attività a rilevanza esterna dello stesso”.

Va aggiunto che, per quanto consta, la Commissione ministeriale per la redazione del Testo Unico Antiriciclaggio aveva proposto, coerentemente con tale impostazione, che l’obbligo di comunicazione di cui all’art 52 dello schema, comma 2 lett. b) (operazioni sospette), sussistesse anche nei confronti dell’UIF e non soltanto nei confronti del legale rappresentante.

L’ar.t 52 comma 2 desta perplessità, in quanto ispirato ad una ratio difforme con il sistema generale di cui al d.lg. 231/2001, come fino ad oggi interpretato, che – pacificamente - costruisce l’ODV come organo di controllo che si muove esclusivamente all’interno dell’ente.

E’ pur vero che ci sono alcune indicazioni dell’OCSE a favore di un riporto esterno dell’organo di controllo in caso di illecito del management, ma soltanto nell’estrema ipotesi in cui l’organo amministrativo e gli altri organi di controllo siano integralmente coinvolti nella perpetrazione degli illeciti.

Si pensi, poi, alla disposizione di cui all’art 187 nonies T.U.F., concernente l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette di abuso di mercato.

Ebbene: le operazioni in discorso devono essere individuate e segnalate alla stregua di procedure aziendali ad hoc; l’ODV deve vigilare su queste procedure (facenti parte del Modello organizzativo finalizzato alla prevenzione dei reati e degli illeciti amministrativi di market abuse), ma non addirittura segnalare le operazioni sospette alla Consob.

Infatti la sanzione amministrativa pecuniaria (compresa tra 516 e 25.822 euro) è applicabile, ai sensi del comma 3 dell’art 190, “anche ai soggetti che svolgono funzioni di controllo nelle società o negli enti ivi indicati, i quali abbiano violato le disposizioni indicate nei medesimi commi o non abbiano vigilato, in conformità dei doveri inerenti al loro ufficio, affinché le disposizioni stesse non fossero da altri violate”.

In altri termini, l’ODV non deve segnalare alla CONSOB eventuali infrazioni all’art 187 nonies di cui abbia notizia.

Già in sede di primo commento ci si è chiesti come possano conciliarsi le disposizioni dell’art 52 con le esigenze di riservatezza che circonda la segnalazione di operazione sospetta, “a meno di non volere intendere imposta una procedura di verifica ex post generalizzata, demandata ai soggetti indicati: solo in questo modo, infatti, questi ultimi potranno avere contezza delle eventuali violazioni” (Caputi).

La disposizione sembrerebbe inoltre obbligare ai comportamenti previsti gli organi (e organismi) indicati, nonché i singoli componenti degli stessi: potrebbe verificarsi un “corto circuito” operativo tra controllore e controllato (Caputi).

- Gli scenari possibili

L’art 52 comma 2 porta ad alcune considerazioni sui possibili sviluppi dell’operatività dell’ODV.

La prima: il decreto legislativo potrebbe aprire la strada ad una futura configurazione dell’ODV come “ausiliario di giustizia”, in tutti i settori in cui esiste un’Autorità di vigilanza.

Si pensi in particolare alla normativa sugli abusi di mercato: il T.U.F. potrebbe prevedere l’obbligo, sanzionato, dell’ODV si segnalare alla Consob le operazioni sospette di market abuse riscontrate nell’esercizio delle proprie funzioni.

Le altre tre riflessioni sono eminentemente “pratiche”:

• il ruolo di ODV in un intermediario comporta rischi elevati, perché è all’ordine del giorno l’ispezione della pubblica autorità, che potrebbe sovente ravvisare violazioni dei suoi obblighi informativi (soprattutto tenuto conto della particolare complessità della normativa);

• sotto correlato profilo, l’ODV potrebbe acquistare una posizione di forza all’interno della società, la quale potrebbe condurre a dinamiche non del tutto corrette ed, anzi, strumentali.

Si tratta, per certi aspetti, di situazione analoga alle ipotesi di procedibilità a querela delle false comunicazioni sociali: la querela potrebbe essere utilizzata in modo distorto da un azionista di minoranza, dal creditore o dal collegio sindacale (Mazzacuva).

• Potrebbe infine diventare usuale la richiesta di documenti (verbali, report di audit, ecc.) all’ODV da parte dell’Autorità.

- L’integrazione del d.lg. 231/2001 ad opera del d.lg. 231/2007

Il d.lg. 231/2007, attuativo della III Direttiva Antiriciclaggio, ha operato importanti integrazioni al d.lg. 231/2001 sulla responsabilità da reato degli enti collettivi.

Innanzitutto inserendo nel d.lg. 231/2001 i delitti di ricettazione (art 648 c.p.), riciclaggio (art 648 bis c.p.) e c.d. reimpiego (art 648 ter c.p.) e prevedendo a carico dell’ente, in relazione ad essi:

- in via ordinaria, la sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote;

- nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni, la sanzione pecuniaria da 400 a 1000 quote;

- le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2 d.lg. 231, per una durata non superiore a due anni.

Sulle linee guida delle associazioni di categoria (ABI in primis, ma anche CONFINDUSTRIA, ANIA, ASSOGESTIONI, ASSOSIM,ASSIFACT ecc.) – sulla cui base, come noto, possono essere adottati i singoli Modelli aziendali - il Ministero della Giustizia formulerà eventuali osservazioni, sentito il parere dell’UIF (Unità di informazione finanziaria, presso la Banca d’Italia, che sostituisce il soppresso Ufficio italiano dei Cambi).

In secondo luogo, il decreto abroga i commi 5 e 6 dell’articolo 10 della legge 16 marzo 2006, n. 146 (recante ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale): per tale via, come unanimemente auspicato, costituirà reato presupposto il riciclaggio (e il reimpiego) tout court e non soltanto quello avente il carattere della transnazionalità ai sensi di quest’ultima normativa.

Ma è un’altra disposizione a suscitare davvero l’interesse di chi scrive, perché radicalmente innovativa del “sistema 231”.

Ci si riferisce all’art 52 del decreto, che si riporta testualmente con evidenziazioni dello scrivente:

1. Fermo restando quanto disposto dal codice civile e da leggi speciali, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza, il comitato di controllo di gestione, l’organismo di vigilanza di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e tutti i soggetti incaricati del controllo di gestione comunque denominati presso i soggetti destinatari del presente decreto vigilano sull’osservanza delle norme contenute nel presente decreto.

2. I soggetti di cui al comma 1:

a. comunicano, senza ritardo, alle autorità di vigilanza di settore tutti gli atti o i fatti di cui vengono a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una violazione delle disposizioni emanate ai sensi dell’articolo 7, comma 2;

b. comunicano, senza ritardo, al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato, le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 41 di cui hanno notizia;

c. comunicano, entro trenta giorni, al Ministero dell’economia e delle finanze le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12 e 13 e all’articolo 50 di cui hanno notizia;

d. comunicano, entro trenta giorni, alla UIF le infrazioni alle disposizioni contenute nell’articolo 36 di cui hanno notizia.

- L’inedita figura dell’”ODV antiriciclaggio”

Innanzitutto va rilevato che, per la prima volta, si grava l’ODV di un obbligo di controllo dell’osservanza della normativa da parte dei soggetti destinatari del d.lg. 231/2007.

La normativa in questione pone dei divieti e degli obblighi e li presidia con sanzioni amministrative e penali; vigilare sul rispetto del decreto significa vigilare sull’adempimento degli obblighi e sul rispetto dei divieti dallo stesso posti.

Una simile vigilanza potrebbe essere inquadrata nel genus “prevenzione degli illeciti”.

L’art 52 comma 1 d.lg. 231/2007 rischia di avallare, ad avviso di chi scrive, la configurazione di una vera e propria “posizione di garanzia” a carico dell’ODV, il quale verrebbe ad essere coinvolto ope legis nella prevenzione di illeciti penali.

Insomma, l’ODV non dovrà “soltanto” vigilare sull’attuazione dei Modelli ma, direttamente e in modo più pregnante, sul rispetto, da parte della società, della normativa de qua.

Diventerebbe così concreta la possibilità di muovere un rimprovero all’ODV di non aver impedito un evento (sub specie di reato altrui, nelle ipotesi in cui la violazione del precetto integra tale forma di illecito) che aveva l’obbligo di impedire: id est una responsabilità a titolo di concorso omissivo nel reato altrui (combinato disposto degli artt 110 e 40 cpv. c.p.)

Ma vi è di più.

La cennata posizione di garanzia dell’ODV potrebbe essere fatta discendere dalla lettura congiunta degli artt 6 lett. a) e b), 7 d.lg. 231/2001 con l’art 52 comma 1 d.lg. 231/2007.

L’obiezione diffusa, secondo la quale, anche ad ipotizzarne la titolarità di una posizione di garanzia, l’ODV non avrebbe reali poteri impeditivi, potrebbe essere “aggirata” proprio dal successivo comma 2 dell’art 52, il quale prevede alcuni specifici obblighi di comunicazione – penalmente sanzionati – a carico dell’ODV (reati omissivi propri).

Si potrebbe cioè dire che l’ODV avrebbe potuto impedire il reato adempiendo in modo completo e tempestivo a tali obblighi.

In questo senso si è messa in evidenza l’importanza del futuro orientamento giurisprudenziale che potrebbe di fatto parificare – quanto a sussistenza di poteri impeditivi - l’ODV al collegio sindacale (Lunghini).

Va tuttavia rilevato, in senso contrario, che secondo autorevole dottrina (Mantovani; Leoncini) gli obblighi di attivarsi sanzionati dalle fattispecie omissive proprie non sono idonei a fondare una posizione di garanzia rilevante ai sensi dell’art 40 cpv. c.p..

- La responsabilità dell’ODV per omesso impedimento del reato

La tesi oggi prevalente esclude la configurabilità dell’obbligo giuridico di impedimento del reato in capo ai componenti dell’Organo già in relazione al primo presupposto, affermando che l’ODV avrebbe esclusivamente compiti di controllo in ordine al funzionamento ed all’osservanza dei modelli organizzativi e non in ordine alla prevenzione del reato.

Inoltre, sotto il profilo dell’imputazione oggettiva dell’evento, “la deficienza dei poteri di controllo e d’interdizione in capo al soggetto indicato come garante farebbe venir meno anche la sussistenza del rapporto di causalità o giudizio di equivalenza, in conseguenza dell’inidoneità dei poteri del garante ad esercitare la propria funzione di controllo” (Manzillo).

Per il vero è stato affermato, in senso contrario, che se l’ODV vigila sui modelli e questi sono finalizzati a prevenire i reati, l’obbligo giuridico non può essere escluso in radice: “potrebbe risultare decisivo, oltre all’elemento soggettivo, il raffronto tra la procedura prevista nel modello per la prevenzione del reato e la concreta condotta criminosa: quanto più il protocollo avrà una sua specifica funzione preventiva di una certa condotta e quanto più tale condotta si avvicini alla condotta criminosa concreta, tanto più potrà dirsi che tale condotta è causalmente collegabile all’omessa vigilanza sul rispetto del protocollo” (Iannini – Armone).

In quest’ottica, la fonte dell’obbligo di impedire l’evento potrebbe ravvisarsi negli artt. 6 lett. a), b) e d) e 7 d. lg. 231/2001: la posizione di garanzia dei componenti l’ODV risiederebbe direttamente nei modelli di organizzazione e gestione e verrebbe assunta in forza del contratto, in particolare del contratto di lavoro con la società (Gargani).

- La posizione di Confindustria

La rilevante questione viene affrontata pure dalle nuove linee guida di Confindustria, le quali danno atto che la lettera dell’art 52 potrebbe in effetti far ritenere sussistente in capo agli organi di controllo una posizione di garanzia ex art. 40, co. 2, c.p. finalizzata all’impedimento dei reati di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter c.p..

Tuttavia il documento propende per una diversa interpretazione, ritenuta più corretta e coerente con il sistema 231: il dovere di vigilanza di cui al co. 1 dell’art. 52 è limitato all’adempimento degli obblighi informativi previsti dal co. 2 della medesima disposizione.

E’ stato acutamente rilevato che una simile presa di posizione – comunque non strettamente attinente alle finalità delle linee guida 231 – può valere se mai a segnalare proprio l’estrema criticità della problematica in esame (Lunghini)

Inoltre, sempre secondo le linee guida, l’adempimento dei doveri di informazione di cui al comma 2 deve essere commisurato ai concreti poteri di vigilanza spettanti a ciascuno degli organi di controllo contemplati dal comma 1 dell’art. 52: di conseguenza il dovere di informativa dell’OdV non può che essere parametrato alla funzione, prevista dal d.lg. 231/2001, di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli e, con specifico riferimento all’antiriciclaggio, di comunicare quelle violazioni di cui venga a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni o nelle ipotesi in cui ne abbia comunque notizia (ad esempio: su segnalazione di dipendenti o altri organi dell’ente).

In altri termini l’espressione “fermo restando quanto disposto … da leggi speciali”, di cui al comma 1 dell’art 52 deve essere intesa, nella sostanza, come “oltre a quanto stabilito dal d.lg. 231/2001” oppure, in senso limitativo, come “ferme restando le attribuzioni e le funzioni previste per l’ODV dal d.lg. 231/2001”?

Il documento, all’evidenza, ritiene di rinvenire una differenza tra le espressioni “venire a conoscenza (delle infrazioni) nell’esercizio dei propri compiti” (utilizzata nella lettera a) del comma 2) e “avere notizia (delle infrazioni)” (utilizzata nelle lettere b), c), d).

Chi scrive ritiene che le due espressioni si equivalgano: la legge vuole che l’ODV adempia ai suoi obblighi informativi allorchè venga a conoscenza delle infrazioni – in qualsivoglia maniera – nell’esercizio delle proprie funzioni.

Sembra infatti irragionevole limitare l’obbligo di attivarsi dell’ODV, nelle ipotesi in cui rilevi le violazioni di cui all’art 52 comma 2 lett. b, c, d ai soli casi in cui riceva una notizia da altri soggetti.

- Gli obblighi informativi dell’ODV (art 52 comma 2)

E’ opportuno precisare il contenuto delle comunicazioni obbligatorie per l’ODV.

In primis, “tutti gli atti o i fatti di cui venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una violazione delle disposizioni emanate ai sensi dell’articolo 7, comma 2”.

Si tratta delle disposizioni delle Autorità di vigilanza, relative alle modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica del cliente, all’organizzazione, alla registrazione, alle procedure e ai controlli interni volti a prevenire l’utilizzo degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attività finanziaria a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

In secondo luogo: “le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 41 di cui hanno notizia”.

L’art 41 prevede l’obbligo di segnalazione delle c.d. operazioni sospette, che la nuova normativa riferisce sia alle operazioni aventi ad oggetto denaro/utilità di sospetta provenienza dai delitti di riciclaggio sia a quelle aventi ad oggetto denaro/utilità che si sospetta possano essere destinati al finanziamento del terrorismo.

A ben vedere, tra le violazioni dell’art 41 rientrano:

- l’omessa segnalazione;

- la tardiva segnalazione.

Poi: “le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12 e 13 e all’articolo 50 di cui hanno notizia”.

Si riportano le disposizioni richiamate:

Art. 49 (Limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore)

1. È vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore dell’operazione, anche frazionata, è complessivamente pari o superiore a 5.000 euro. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.A.

5. Gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 5.000 euro devono recare l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

6. Gli assegni bancari e postali emessi all’ordine del traente possono essere girati unicamente per l’incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A.

7. Gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari sono emessi con l’indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

12. Il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere pari o superiore a 5.000 euro.

13. I libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 5.000 euro, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono estinti dal portatore ovvero il loro saldo deve essere ridotto a una somma non eccedente il predetto importo entro il 30 giugno 2008.

Art. 50 (Divieto di conti e libretti di risparmio anonimi o con intestazione fittizia)

1. L’apertura in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia è vietata.

2. L’utilizzo in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia aperti presso Stati esteri è vietata.

Infine, “le infrazioni alle disposizioni contenute nell’articolo 36 di cui hanno notizia”: si tratta degli obblighi di registrazione dei dati e delle informazioni raccolti dalla clientela.

La sanzione prevista per l’inadempimento di questi obblighi risiede nell’art 55 comma 4 e consiste nella reclusione fino ad un anno e nella multa da 100 a 1000 euro.

Anche le nuove linee guida di Confindustria sottolineano che quello in esame è l’unico caso in cui il legislatore ha espressamente disciplinato una specifica fattispecie di reato a carico dell’OdV (reato omissivo proprio), “a seguito del riconoscimento di una atipica attività a rilevanza esterna dello stesso”.

Va aggiunto che, per quanto consta, la Commissione ministeriale per la redazione del Testo Unico Antiriciclaggio aveva proposto, coerentemente con tale impostazione, che l’obbligo di comunicazione di cui all’art 52 dello schema, comma 2 lett. b) (operazioni sospette), sussistesse anche nei confronti dell’UIF e non soltanto nei confronti del legale rappresentante.

L’ar.t 52 comma 2 desta perplessità, in quanto ispirato ad una ratio difforme con il sistema generale di cui al d.lg. 231/2001, come fino ad oggi interpretato, che – pacificamente - costruisce l’ODV come organo di controllo che si muove esclusivamente all’interno dell’ente.

E’ pur vero che ci sono alcune indicazioni dell’OCSE a favore di un riporto esterno dell’organo di controllo in caso di illecito del management, ma soltanto nell’estrema ipotesi in cui l’organo amministrativo e gli altri organi di controllo siano integralmente coinvolti nella perpetrazione degli illeciti.

Si pensi, poi, alla disposizione di cui all’art 187 nonies T.U.F., concernente l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette di abuso di mercato.

Ebbene: le operazioni in discorso devono essere individuate e segnalate alla stregua di procedure aziendali ad hoc; l’ODV deve vigilare su queste procedure (facenti parte del Modello organizzativo finalizzato alla prevenzione dei reati e degli illeciti amministrativi di market abuse), ma non addirittura segnalare le operazioni sospette alla Consob.

Infatti la sanzione amministrativa pecuniaria (compresa tra 516 e 25.822 euro) è applicabile, ai sensi del comma 3 dell’art 190, “anche ai soggetti che svolgono funzioni di controllo nelle società o negli enti ivi indicati, i quali abbiano violato le disposizioni indicate nei medesimi commi o non abbiano vigilato, in conformità dei doveri inerenti al loro ufficio, affinché le disposizioni stesse non fossero da altri violate”.

In altri termini, l’ODV non deve segnalare alla CONSOB eventuali infrazioni all’art 187 nonies di cui abbia notizia.

Già in sede di primo commento ci si è chiesti come possano conciliarsi le disposizioni dell’art 52 con le esigenze di riservatezza che circonda la segnalazione di operazione sospetta, “a meno di non volere intendere imposta una procedura di verifica ex post generalizzata, demandata ai soggetti indicati: solo in questo modo, infatti, questi ultimi potranno avere contezza delle eventuali violazioni” (Caputi).

La disposizione sembrerebbe inoltre obbligare ai comportamenti previsti gli organi (e organismi) indicati, nonché i singoli componenti degli stessi: potrebbe verificarsi un “corto circuito” operativo tra controllore e controllato (Caputi).

- Gli scenari possibili

L’art 52 comma 2 porta ad alcune considerazioni sui possibili sviluppi dell’operatività dell’ODV.

La prima: il decreto legislativo potrebbe aprire la strada ad una futura configurazione dell’ODV come “ausiliario di giustizia”, in tutti i settori in cui esiste un’Autorità di vigilanza.

Si pensi in particolare alla normativa sugli abusi di mercato: il T.U.F. potrebbe prevedere l’obbligo, sanzionato, dell’ODV si segnalare alla Consob le operazioni sospette di market abuse riscontrate nell’esercizio delle proprie funzioni.

Le altre tre riflessioni sono eminentemente “pratiche”:

• il ruolo di ODV in un intermediario comporta rischi elevati, perché è all’ordine del giorno l’ispezione della pubblica autorità, che potrebbe sovente ravvisare violazioni dei suoi obblighi informativi (soprattutto tenuto conto della particolare complessità della normativa);

• sotto correlato profilo, l’ODV potrebbe acquistare una posizione di forza all’interno della società, la quale potrebbe condurre a dinamiche non del tutto corrette ed, anzi, strumentali.

Si tratta, per certi aspetti, di situazione analoga alle ipotesi di procedibilità a querela delle false comunicazioni sociali: la querela potrebbe essere utilizzata in modo distorto da un azionista di minoranza, dal creditore o dal collegio sindacale (Mazzacuva).

• Potrebbe infine diventare usuale la richiesta di documenti (verbali, report di audit, ecc.) all’ODV da parte dell’Autorità.