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Ludovica Teresa Maria Clotilde di Savoia

(Torino,2 marzo 1843 –Moncalieri, 25 giugno 1911)
Ludovica Teresa Maria Clotilde di Savoia
Ludovica Teresa Maria Clotilde di Savoia
Ludovica Teresa Maria Clotilde

Figlia del re di Sardegna (poi re d'Italia) Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena.

Il 30 gennaio 1859, all'età di 16 anni, sposò a Torino Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte (1822-1891), da cui ebbe tre figli:

- Vittorio (1862-1926);

- Luigi (1864-1932);

- Letizia (1866-1926), che sposò lo zio Amedeo (1845-1890), re di Spagna, poi duca d'Aosta.

Figlia prediletta del padre, per ragion di stato, dovette accettare controvoglia il matrimonio con Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte, noto e attempato libertino, combinato dal Cavour e da Napoleone III. Visse quindi a Parigi sfuggendo gli splendori della Corte imperiale, dedita alla beneficenza con gran dispetto del marito.

Modesta, ma fiera: all'imperatrice Eugenia, che non proveniva da una famiglia reale, ma voleva insegnarle come andare vestita, rispose: "Signora, voi dimenticate che io sono nata a Corte".

Scoppiata la rivoluzione a Parigi nel 1870, decise di rimanere nella città in rivolta, malgrado le insistenze del padre a rientrare in patria, rispondendogli con la famosa lettera che riassumeva tutta la sua vita, improntata ai doveri di una principessa di Casa Savoia. Fuggiti tutti i Bonaparte (l'imperatrice Eugenia lasciò la capitale travestita) e proclamata la Repubblica, lasciò per ultima e da sola, in pieno giorno, Parigi con la sua carrozza scoperta e le sue insegne recandosi alla stazione. La guardia repubblicana le rese gli onori.

Profondamente religiosa subì i comportamenti libertini e la vita dissipata del marito che in seguito la abbandonò lasciandola in ristrettezze economiche. Il 10 luglio 1942 fu iniziata la sua causa di beatificazione. Fu detta "La Santa di Moncalieri" dal nome del castello dove si era ritirata.

 

Lettera di Clotilde a Vittorio Emanuele II

L'assicuro che non è il momento per me di partire (…) la mia partenza farebbe il più pessimo e deplorevole effetto. Non ho la minima paura: non capisco nemmeno ch'io possa aver paura. Di che? E perché? Il mio dovere è il rimanere qui tanto che lo potrò, dovessi io restarci e morirci: non si può sfuggire davanti al pericolo (…). Quando mi sono maritata, quantunque giovane, sapevo cosa facevo, e se l'ho fatto è perché l'ho voluto. Il bene di mio marito, dei miei ragazzi, del mio Paese è ch'io rimanga qui. L'onore persino del mio nome; l'onor suo, caro Papà, se così posso esprimermi, l'onore della mia Patria nativa. Tutto questo glie lo dico, dopo aver riflettuto molto. Lei mi conosce, caro Papà, nulla mi farà mancare al mio dovere. E ci mancherei se io partissi in questo momento. Non tengo al mondo, alle ricchezze, alla posizione che ho; non ci ho mai tenuto, caro Papà, ma tengo ad adempiere , sino alla fine, il mio dovere. Quando non potrò più far diverso, partirò (…). Lei non partirebbe, i fratelli non partirebbero. Non sono una Principessa di Casa Savoia per niente! Si ricorda cosa si dice dei Principi che lasciano il loro Paese? Partire, quando il Paese è in pericolo, è il disonore e l'onta per sempre. Se parto, non abbiamo più che da nasconderci. Nei momenti gravi bisogna avere energia e coraggio; li ho, il Signore me l'ha dati e me li dà. Mi scusi, caro Papà, se forse le parlo troppo liberamente, ma mi è impossibile di non dirle ciò che sento, ciò che ho in cuore. Sia convinto che Mammà mi approva dal cielo.”