Luigi Einaudi, perplessità, conformismi e politicamente corretto
Uno dei pochi liberali di cui l’Italia possa vantarsi, senza dover aggiungere aggettivi per farsi capire. Più che brevi pensieri e aforismi, prosa chiara, parlare schietto, da grande oratore, anche in Parlamento, per sostenere battaglie, che ci parlano ancora oggi di fronte alle scelte che ci presenta l’attualità politica.
Perché se le questioni sono diverse, spirito per affrontarle e valori da difendere sono i medesimi. La consultazione dell’opera omnia disponibile sul sito della Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia ne dà evidente prova.
Oggi propongo un breve passaggio forse poco conosciuto, tratto dalle Prediche inutili.
«Perplesso» è parola divenuta, con altre molte, do gran moda. Non si è mai visto come ora, specie tra i politici ed i pubblicisti, tante gente «perplessa». Indizio di conformismo incerto di se stesso, di timore di dire apertamente la propria opinione? Per lo più quando un tale si dichiara perplesso, segno è che egli considera quell’atto quel provvedimento, quel disegno di legge una sconcezza o poco meno e non osa dirlo. Oramai il «perplesso» ha mutato senso e vuole dire «sono contrario», «scandalizzato», «stupefatto», «indignato» che si possa enunciare sul serio quella tale proposizione. Se così è, non è meglio dirlo? Tanti anni, anzi tanti decenni or sono, se un tale dava inizio al suo parlare con un «dico schietto», subito i colleghi riflettevano: chi sa quale tranello o tiro mancino, ma per ventura erano tranelli minimi, costui sta approntando ai nostri danni! Così è del perplesso, che vuol dire oramai parere decisamente negativo.
[Luigi Einaudi, Prediche inutili, Giulio Einaudi Editore, Terza Edizione, 1969, pagine 321-322]