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L’unicità di Mattarella e il sogno “infranto” di una donna al Colle

Sergio Mattarella
Sergio Mattarella

La rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica implica “luci” e “ombre”. È indiscutibile la “grandezza” di un Capo dello Stato che, sebbene da tempo avesse espresso l’intenzione di non riproporre quanto accaduto nel 2013, abbia deciso di rimettersi alla guida del Paese, al fine di assicurare un minimo di stabilità al contesto politico e continuità all’azione di Governo. Uno scenario che trova riscontro nell’analisi delle testate giornalistiche estere: il Financial Time ha intravisto nella rielezione di Sergio Mattarella l’unica soluzione per “mettere fino allo stallo politico, essendo il Capo dello Stato uscente “l’unico candidato in grado di garantire la sopravvivenza del fragile governo Draghi"; l’agenzia France Press, invece, ha sottolineato come la risalita al Quirinale di Mattarella sia avvenuta solo dopo una “maratona parlamentare”, rivelatrice di “profonde divisioni tra i partiti al governo, in un periodo cruciale per la ripresa”; El Pais ha evidenziato come le forze politiche non siano state in grado di trovare “una via d'uscita dal baratro istituzionale”; infine, la britannica Reuters ha ironicamente osservato come il Presidente, nell’accettare il secondo mandato, “rinunci alla pensione”.

I commenti più “pungenti” derivanti da una parte della stampa estera prendono le mosse non tanto dal “nodo” della rieleggibilità, quanto invece dalla precedente contrarietà manifestata dallo stesso Mattarella nel ricoprire nuovamente la massima carica istituzionale. Il 2 febbraio 2021, in occasione dei 130 anni della nascita di Antonio Segni, il Capo dello Stato citava lo storico messaggio recapito dal primo alle Camere, nel quale affermava “la convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della ‘non immediata rieleggibilità’ del Presidente della Repubblica”, considerato che il mandato settennale era “sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato”. Qualche mese dopo, lo stesso Presidente, in visita ad un istituto primario di Roma, aveva rimarcato la scadenza del suo mandato e l’urgenza di “riposarsi”. In un incontro al Quirinale, complice i 20 anni dalla morte di Giovanni Leone, il Capo dello Stato in uscita ha ricordato come l’ex Presidente, in un messaggio in merito alle riforme istituzionali inviato al Parlamento, chiese espressamente “la non rieleggibilità del Presidente della Repubblica con l’eliminazione del semestre bianco”. Il settimo discorso di fine anno si è contraddistinto per l’invito al futuro Capo dello Stato “a spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale”.

Un secco “no” al “bis” è giunto anche di recente, quando egli ha presieduto (per l’ultima volta) il CSM, convocato nel plenum per la conferma del primo Presidente e Presidente aggiunto della Corte di Cassazione, rivolgendo “gli auguri più intensi per l’attività che il Consiglio svolgerà nei prossimi mesi con la presidenza del nuovo capo dello Stato”. Sulla volontà di osservare in toto la Costituzione, è prevalsa invece la necessità di non sottrarsi ai doveri. È lo stesso Presidente, dopo avere ricevuto la comunicazione della sua rielezione, ad ammettere che “i giorni difficili trascorsi per l’elezione alla Presidenza della Repubblica e la grave emergenza” richiamano “al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento”.

È fondamentale marcare – ad avviso di chi scrive – come la risalita al Quirinale di Sergio Mattarella debba essere distinta da quella del suo predecessore, Giorgio Napolitano. La riconferma di Napolitano è avvenuta nel 2013 in ragione della radicale frattura coinvolgente il partito di maggioranza relativa. È doveroso segnalare come la scelta tra le due note figure in “gioco” (Marini e Prodi) avrebbe intaccato la conseguente fase di formazione del Governo: il primo avrebbe optato per un Governo di coalizione; il secondo avrebbe sciolto anticipatamente le Camere. Tale circostanza è avallata dalla richiesta sottoposta dai leader al Presidente Napolitano di farsi carico di un altro mandato. A seguito delle spinte politiche, egli accettava il secondo mandato per “non sottrarsi a un’ulteriore assunzione di responsabilità”, pur essendo cosciente del fatto che la sua rielezione fosse la manifestazione più lampante di una paralisi politica e istituzionale senza precedenti.

Dal discordo di insediamento traspariva la preoccupazione verso lo stato di paralisi che aveva impedito alle forze politiche di approvare una riforma della legge elettorale e procedere tempestivamente alla revisione della seconda parte della Costituzione. A differenza della rielezione di Mattarella, quella di Napolitano si configurava come l’eccezione che conferma la regola della non rieleggibilità: superato il grave momento di “stallo” istituzionale, le sue dimissioni (nel 2015, per ragioni di salute) non hanno generato disappunti.

Il “bis” di Mattarella, invece, è imputabile alle nette “spaccature” create dai leader, intenti a rafforzare la loro immagine all’interno e all’esterno del rispettivo partito, rischiando però di pregiudicare l’ampia maggioranza a sostegno dell’Esecutivo. Sull’elezione presidenziale del 2022 ha “pesato” notevolmente – ad avviso di chi scrive – la candidatura del Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi.

Accantonando la soluzione “semipresidenzialista” già trattata in precedenza (L. LEO, Il tramonto italiano del semipresidenzialismo “squilibrato”, in FiloDiritto, 2021), affiorava il “nodo” relativo ai tempi delle sue dimissioni e della relativa apertura della crisi dell’Esecutivo. È evidente che la rielezione del Capo dello Stato uscente risponda alla pressante istanza di solidità; il binomio Mattarella-Draghi rassicura a livello nazionale e sovranazionale. Come attestato nelle ultime ore, l’attenzione del Governo sarà riservata principalmente all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, in quanto ben 47 obiettivi dovranno essere realizzati entro il mese di giugno.

Infine, l’elezione presidenziale più travagliata di sempre delude specialmente per l’incapacità delle forze politiche di accettare l’idea di una donna al Quirinale.

Nell’asse temporale di sei votazioni, i leader hanno proposto un ventaglio di nomi femminili “sfumati” nel giro di poche ore, di indubbio spessore: dalla Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati alla costituzionalista Marta Cartabia, dall’ex sindaco di Milano Letizia Moratti alla generale direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza Elisabetta Belloni.

Angela Merkel, Ursula von der Leyen, Christine Lagarde, Roberta Mtesola sono solo alcune delle figure femminili capaci di lasciare un segno sul piano europeo.  Come già prospettato (L. LEO, Una donna al Quirinale? Riflessioni costituzionali, in FiloDiritto, 2021), dovranno trascorrere molti anni prima di giungere ad una vera e propria “svolta” istituzionale, politica e morale. Occorrerà meditare seriamente sulle modalità di comunicazione dei rappresentanti politici, tali da “offuscare” la rilevanza di talune personalità.