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Napoleone Buonaparte morì 200 anni fa. Il cinque maggio.

Napoleone Bonaparte morì il cinque maggio di 200 anni fa. Fu vera gloria?
Napoleone ritratto dal pittore Jacques-Louis David
Napoleone ritratto dal pittore Jacques-Louis David

200 anni fa, il 5 maggio 1821, presso Longwood, Isola di Sant'Elena, moriva Napoleone Bonaparte, il politico, condottiero e generale francese nato in Corsica, e fondatore del Primo Impero Francese, protagonista della prima fase della storia contemporanea europea detta proprio "Età napoleonica".

Per ricordare l'avvenimento pubblichiamo la celebre poesia a lui dedicata da Alessanro Manzoni "Il cinque maggio", e di seguito un commento alla lirica tratto dal sito Fareletteratura.it

Il cinque maggio fa parte dei componimenti manzoniani di argomento storico e fu insolitamente scritta di getto (in soli tre giorni), ispirata da un evento contemporaneo e contingente: la morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 sull’isola di Sant’Elena. Nonostante i divieti della censura austriaca, l’ode ebbe grande diffusione e Goethe la tradusse subito in tedesco.

Per Manzoni, dopo la conversione, la letteratura deve avere “l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo” e ciò si realizza pienamente, oltre che negli Inni sacri e nelle tragedie, anche nelle odi di argomento politico e civile come questa e Marzo 1821. I fatti contemporanei sono analizzati in chiave religiosa e con l’entusiasmo fideistico dato dalla recente conversione: è la prospettiva dell’eternità che dà pieno significato alla vicenda terrena di Napoleone, in cui si sono alternate continuamente gloriose ascese e rovinose cadute.

I due monosillabi isolati ed antitetici con cui si apre Il cinque maggio – “Ei” (“quel grande”, “quel famoso”) e “fu” (“è morto”) – racchiudono già tutta l’essenza della vita del personaggio, che non ha bisogno di essere nominato esplicitamente sia perché la sua identità si può dedurre dal titolo, sia perché il suo ricordo è ancora vivo nel pensiero di tutti: infatti, in tutta la poesia, non è mai nominato apertamente.

Tutta la lirica si basa su una serie di antitesi: tra stasi e movimento (“ei fu”, “immobile” vs “con vece assidua / cadde, risorse e giacque”; “mobili, lampo, onda, concitato, celere”, “fulmine, baleno, scoppiò, rai fulminei” vs “ozio, stanca man, tacito, inerte”), tra luce e tenebre (“orba, tenebre” vs “raggio, fulmine, baleno, rai”), tra lo spazio immenso delle conquiste (“dall’Alpi alle Piramidi…”) e quello angusto dell’esilio (la “breve sponda”). Nella prima parte dell’ode, fino al verso 54, è rievocata la vicenda terrena dell’eroe, del quale Manzoni non aveva mai tessuto elogi finché era in vita. La rievocazione storica è interrotta da una pausa di riflessione sulla gloria terrena (vv. 31-32).

Nella seconda parte (che inizia con “e sparve”, evidentemente parallelo all’”ei fu” iniziale), è rievocato l’esilio a Sant’Elena, durante il quale l’eroe ripensa alla sua vita ed arriva alla disperazione più nera: ciò che poteva sembrare una grande impresa, nel ricordo resta solo un fallimento. Ma nella parte finale, i contrasti vengono superati grazie all’ingresso di una nuova dimensioni, fuori dallo spazio e dal tempo: l’eternità, dinnanzi alla quale la gloria terrena si annulla nel silenzio e l’immobilità, inizialmente simbolo della negatività della morte, diventa conquista della pace per l’eternità.

Il tema di fondo è la meditazione sull’eroismo dei grandi uomini e sul loro ruolo nella storia, guardato da Manzoni con grande pessimismo, in quanto cercare la gloria su questa terra può provocare solo dolore, sofferenza, morte. Secondo Manzoni, nella storia, o si è oppressi o si è oppressori: se si decide di agire e compiere il male si è oppressori, se ci si rifiuta di farlo, si è oppressi, come è più volte ribadito nell’Adelchi (che, morente, afferma: “non resta / che far torto o patirlo”) Anche Napoleone, nonostante la grandezza delle sue imprese, alla fine, è un oppresso: oppresso dai suoi ricordi, da se stesso, dal suo fallimento. Nella prospettiva dell’eterno, invece, si svela il vero significato della vita, che si può comprendere solo nel momento estremo della morte.

Sintatticamente, prevalgono i periodi brevi e concitati per rendere la rapidità d’azione dell’eroe (se si escludono il lungo periodo iniziale e quello che occupa i vv. 37-48); sono frequenti le anastrofi, gli iperbati e le collocazioni del verbo in fondo alla frase. Sono numerosissimi gli aggettivi, spesso di sapore latineggiante (“immemore”, “cruenta”, “anelo”….).

Il cinque maggio

di Alessadro Manzoni


Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita  
La terra al nunzio sta,

Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale           
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:

Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;

Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,

La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.

Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;

Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;

E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.


Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.