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231 - Cassazione Penale: intercettazioni e modelli per la configurazione della responsabilità dell’ente

231 - Cassazione Penale: intercettazioni e modelli per la configurazione della responsabilità dell’ente
231 - Cassazione Penale: intercettazioni e modelli per la configurazione della responsabilità dell’ente

La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’ente, sono pienamente utilizzabili le intercettazioni, anche nel caso in cui i procedimenti a carico delle persone fisiche e della società siano formalmente separati e l’iscrizione nei confronti dell’ente sia avvenuta a conclusione delle operazioni di captazione.

La sentenza in oggetto, il cui testo è di circa 150 pagine, sarà analizzata con riferimento a due profili, ritenuti più rilevanti: l’uso delle intercettazioni ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’ente e l’adozione di modelli di gestione della qualità ai fini dell’esonero da responsabilità.

 

L’utilizzo delle intercettazioni

I difensori di due società avevano lamentato la legittimità dell’utilizzo nel procedimento a carico degli enti di intercettazioni svolte nell’ambito di un procedimento penale in cui figuravano come imputati i manager di dette società, peraltro eseguite precedentemente l’annotazione a registro degli enti che, a norma dell’articolo 55 del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, apre il procedimento di accertamento degli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto la censura infondata.

Preliminarmente, i giudici di legittimità hanno affermato la piena legittimità dell’applicazione delle norme in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni anche nei confronti degli enti.

Ciò in ragione del combinato disposto degli articoli 34 e 35 del Decreto Legislativo n. 231/2001, che prevedono, il primo, l’applicabilità, nel procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato, delle disposizioni codicistiche in quanto compatibili, il secondo, l’applicabilità all’ente delle disposizioni processuali relative all’imputato.

A conferma di tale assunto, i giudici hanno rilevato che l’unica disposizione del Decreto Legislativo n. 231/2001 in materia di prova è l’articolo 44 che disciplina un particolare profilo della prova testimoniale, nulla prevedendo in materia di intercettazioni.

A ciò si aggiunga che la stessa Relazione ministeriale al Decreto prevede espressamente che “poiché l’illecito penale è uno dei presupposti della responsabilità, occorre disporre di tutti i necessari strumenti di accertamento di cui è provvisto il procedimento penale”.

Inoltre, richiamando l’orientamento giurisprudenziale in base al quale i risultati delle intercettazioni possono essere utilizzati anche con riferimento ai reati per i quali non sussistono i requisiti previsti dalla legge (indicati nell’articolo 266 del Codice di Procedura Penale), ma di cui si è venuto a conoscenza a seguito della captazione, purché sussista una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico tra i reati alla base dell’autorizzazione e quelli captati, la Cassazione ha rilevato l’esistenza di detto intimo rapporto tra il contenuto dell’originaria notizia di reato alla base dell’autorizzazione e quello dell’illecito amministrativo dipendente dal medesimo reato.

Peraltro, a giudizio della Corte, tale conclusione non è suscettibile di differenziazione “nel caso in  cui si procede separatamente per il reato presupposto e per l’illecito amministrativo da esse conseguente, posto che la scissione dei procedimenti non potrebbe essere certo causata dalla eterogeneità delle ipotesi di illecito penale”.

Infine, con riferimento al tema della utilizzabilità delle intercettazioni effettuate prima dell’annotazione del procedimento nei confronti degli enti, la Cassazione ha ritenuto pienamente condivisibile l’orientamento giurisprudenziale in base al quale “l’omessa o ritardata iscrizione del nome dell’indagato nel registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen. non determina alcuna invalidità delle indagini stesse, sicché la tardiva iscrizione può incidere sulla utilizzabilità delle indagini finali, ma non sulla utilizzabilità di quelle svolte prima della iscrizione”, principio che troverebbe applicazione anche in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.

 

In tema di modelli di gestione della qualità e responsabilità 231

Con riferimento alla validità dei modelli adottati dalle società ai fini dell’esonero da responsabilità, la Cassazione ha ritenuto non riconducibile il modello aziendale ISO UNI EN ISO 9001 ai modelli di cui al Decreto Legislativo n. 231/2001, in quanto tale modello “non conteneva l’individuazione degli illeciti da prevenire unitamente alla specificazione del sistema sanzionatorio delle violazioni del modello e si riferivano eminentemente al controllo della qualità del lavoro nell’ottica del rispetto delle normative sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro o degli interessi tutelati in materia ambientale”.

Anche il modello di gestione del rischio, adottato in epoca successiva alla commissione dei reati presupposto, era ritenuto inidoneo per la concessione dell’attenuante della sanzione pecuniaria, a norma dell’articolo 12, n. 2, lett. b) del Decreto Legislativo n. 231/2001, in quanto privo del codice di comportamento e delle relative procedure, del codice etico, delle procedure per la conoscenza dei modelli e del sistema sanzionatorio.

Conclusivamente, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi proposti con riferimento ai profili in questa sede analizzati.

(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 13 settembre 2017, n. 41768)