Occupazione di immobile e danno patrimoniale
All’esame delle Sezioni Unite se il danno patrimoniale configurabile in re ipsa per la perdita della facoltà di godimento è distinto da danno patrimoniale inteso come “mancato guadagno”.
La seconda sezione civile con l’ordinanza n. 3964 dell’8 febbraio 2022 ha rimesso gli atti al Primo Presidente per valutare di investire le Sezioni Unite della seguente questione: “La Seconda sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per valutare l’opportunità di investire le Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza relativa alla configurabilità di un danno patrimoniale, derivante dall’occupazione sine titulo di un immobile, inteso come danno in re ipsa da perdita della facoltà di godimento diretto di esso, distinto concettualmente dal danno patrimoniale (sul cui atteggiarsi dal punto di vista processuale e probatorio vi è stata già ordinanza di rimessione della Terza sezione civile, n. 1162 del 2022), inteso come “mancato guadagno” derivante dalla compressione della possibilità, da parte del danneggiato, di mettere “a frutto” l’immobile sul mercato”.
I giudici hanno argomentato che la Suprema Corte ha più volte sostenuto, sin da remoti precedenti, che il proprietario ha pieno diritto di usare e godere della cosa propria secondo la naturale destinazione della stessa, per cui qualsiasi intervento di terzi diretto a limitare tale uso e godimento costituisce turbativa del diritto di proprietà sul bene e legittima il proprietario a chiedere non solo la tutela in forma specifica, mediante cessazione di tale turbativa e ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, ma anche il risarcimento dei danni.
Sulla base di questo presupposto si è giunti spesso alla conclusione che il danno, in tale ipotesi, è in re ipsa (più correttamente dovrebbe sostenersi che la prova del danno è in re ipsa), in quanto automatica conseguenza della limitazione del godimento e della diminuzione temporanea del valore della proprietà, senza neppure che vi sia necessità di una specifica attività probatoria, salva concreta determinazione del danno stesso in sede di liquidazione, cui eventualmente procedere anche in via equitativa.
In tal senso, l'azione risarcitoria sarebbe diretta a porre rimedio all'imposizione di una servitù di fatto, causa di un inevitabile perdita di valore del fondo che si produce per l'intero periodo di tempo anteriore all'eliminazione dell'abuso (cfr. indicativamente, di recente Cass., Sez. 2, n. 21501/2018; Cass., Sez. 2, 25475/2010; Cass., Sez. 2, 15238/2008, in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio; v., invece in epoca ben più risalente, Cass., Sez. 2, n. 2576/1974; Cass., Sez. 2, n. 299/1965; Cass., Sez. 2, n. 2007/1962).
A sostegno di un diverso orientamento vanno richiamate altre pronunce della cassazione che, parallelamente all'analogo percorso seguito per i danni non patrimoniali, hanno negano l'astratta risarcibilità in re ipsa dei danni subiti dal proprietario per la perdita o la diminuzione della disponibilità del bene, affermando la necessaria correlazione della medesima risarcibilità al rapporto causale intercorrente tra "condotta materiale", "evento lesivo" e "conseguenza dannosa", sicché identiche risulterebbero le esigenze di prova - sia per l'an che per il quantum - del danno non patrimoniale o patrimoniale (cfr., ad esempio, Cass., Sez. 3, n. 13071/2018; Cass., Sez. 3, n. 31233/2018).
In realtà, anche nelle pronunce che hanno negato la configurabilità di un danno in re ipsa subìto dal proprietario per l'indisponibilità della cosa, si è comunque riconosciuta all'interessato la facoltà di darne prova mediante ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio; conseguentemente gravando il medesimo dell'onere di indicare tutti gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui, in presenza dei requisiti richiesti dagli artt. 2727 e 2729 c.c., possa desumersi l'esistenza e l'entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito (v., da ultimo, Cass. Sez. 2, n. 39/2021).
Con riferimento ai riportati divergenti indirizzi giurisprudenziali è intervenuta la recente ordinanza interlocutoria della IIII Sezione civile di rimessione della relativa questione (qualificata come di massima di particolare importanza) alle Sezioni unite proprio al fine di pervenire all'adozione di una soluzione definitiva al riguardo.
In detta ordinanza si conferisce soprattutto rilievo - valorizzando, in particolare, la (già richiamata) sentenza della stessa III Sezione civile n. 13071/2018 - al fatto che nel caso di occupazione senza titolo dì un immobile il danno subito dal proprietario non potrebbe ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giungerebbe ad identificare il danno con l'evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto: - sia con l'insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (Cass., SU, sentenza n. 26972/2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno conseguenza, che deve essere allegato e provato; - sia con l'ulteriore e più recente intervento nomofilattico (di cui a Cass. SU, sentenza n. 16601/2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l'ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell'art. 23 Cost.
Da ciò, secondo l'orientamento maggiormente seguito dalla III Sezione civile (manifestatosi con pronunce della stessa anche successive alla citata sentenza n. 13071/2018, come Cass. n. 11203/2019 e Cass. n. 14268/2021, e, del resto, riscontrabile anche nella giurisprudenza relativa ad altre aree del danno patrimoniale e non patrimoniale), dovrebbe conseguire che il danno da occupazione sine titulo, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici; ma che un alleggerimento di tale natura dell'onere probatorio non potrebbe comunque includere anche l'esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto, dovendosi comunque escludere che il pregiudizio da occupazione abusiva possa assumere la connotazione di "danno punitivo".
Orbene, sulla scorta del rilevato stato giurisprudenziale, questo collegio ritiene opportuno rimettere alle Sezioni unite anche la trattazione e decisione del ricorso di cui al presente procedimento, per l'esame congiunto con il procedimento iscritto al n.R.G n. 3930/19 (con riferimento al quale è stata adottata la richiamata ordinanza di rimessione n. 1162/2022 della III Sezione civile), onde sottoporre all'attenzione del massimo consesso nomofilattico l'ulteriore questione (anch'essa qualificabile come di massima di particolare importanza) - connessa e, per certi aspetti, propedeutica rispetto alle argomentazioni sviluppate nella citata ordinanza n. 1162/22 - se il danno patrimoniale da occupazione senza titolo debba qualificarsi, ai sensi dell'articolo 1123 c.c., come "perdita" o come "mancato guadagno"; più precisamente, se la compressione della facoltà di godimento diretto del bene (da garantire fisiologicamente in modo "pieno ed esclusivo") - che, insieme alla facoltà di disposizione del medesimo, costituisce il contenuto del diritto di proprietà fissato dall'articolo 832 cc. - debba considerarsi quale danno patrimoniale da risarcire ai sensi del combinato disposto degli artt. 1223 e 2056.
Il testo integrale dell’ordinanza della seconda sezione civile: Link.