Partiti politici: una comparazione con il modello tedesco
Indice:
1. Introduzione sui partiti politici
2. Comparazione con la legislazione tedesca
3. Conclusioni sui partiti politici
Nell’esperienza storica e politica italiana i partiti politici realizzano le condizioni fondamentali all’interno dell’ordinamento costituzionale e sono espressione all’origine di una concezione della democrazia in senso rappresentativo. Nonostante l’essenzialità della presenza e delle azioni dei partiti non è mai stata elaborata, discussa e approvata una legge che li disciplini e che possa a lungo termine evitare fenomeni degenerativi quali la personalizzazione dei partiti (partiti personali o partiti azienda) o una “partitocrazia”. Tale materia come è disciplinata in Germania?
1. Introduzione sui partiti politici
“Per i partiti è l’ultima occasione. Usino la tregua Draghi per riformare il sistema”.
Pronunciate meno di un mese fa, le parole di Enrico Letta, nuovo segretario del Partito Democratico, sono diventate (per il momento nelle intenzioni) oggetto del suo nuovo programma politico: riportare i partiti nella società civile. Partiti che la nostra Costituzione disciplina unicamente con l’articolo 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Risulta facile dedurre che l’articolo abbia causato una vaghezza riguardo alla disciplina di tale materia. Vaghezza che ha determinato l’elaborazione di molteplici interpretazioni dottrinali, nonché di consecutivi interventi legislativi (da ultimo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti nel 2014 voluta dal Governo presieduto proprio da Enrico Letta).
2. Comparazione con la Germania
La scelta di non disciplinare la struttura e le finalità dei partiti con l’approvazione dell’articolo 49 – rientrando perfettamente in una forma di governo a “debole razionalizzazione” – maturò dal rifiuto dei principi della democrazia protetta che esclude dal proprio sistema politico chi non fa propri i principi e metodi democratici.
In altri termini posto che ogni istituto svolga la funzione di tutela dell’esistenza dello Stato, potrebbe nascere l’eventualità che le libertà democratiche riconosciute possano diventare uno strumento per combattere quella funzione stessa, pertanto per la difesa di questa è necessaria una limitazione di quelle libertà (in base anche al cd. paradosso della tolleranza di Karl Popper).
La Repubblica federale tedesca può considerarsi il prototipo di democrazia protetta con un grado di maturità sconosciuto agli altri ordinamenti liberaldemocratici europei. Memori del multipartitismo estremo “weimariano[1]” ritenuto la causa principale dell’ascesa del nazionalsocialismo e del crollo della democrazia i costituenti tedeschi con la Legge fondamentale tedesca (Grundgesetz) hanno introdotto meccanismi volti a garantire un equilibrio tra la libertà dei singoli e le esigenze di democrazia.
Infatti, è previsto l’istituto della libera fondazione dei partiti politici ma contemporaneamente l’articolo 18 disciplina la perdita dei diritti fondamentali da parte di «chiunque, per combattere l’ordinamento fondamentale democratico e liberale, abusa della libertà di espressione del pensiero, in particolare della libertà di stampa, della libertà di insegnamento, della libertà di riunione, della libertà di associazione, del segreto epistolare, postale e delle telecomunicazioni, del diritto di proprietà o del diritto di asilo»: in altre parole, l’abuso delle libertà democratiche.
Non solo: l’articolo 21 definendo compiutamente le funzioni dei partiti sancisce che “i partiti collaborano alla formazione della volontà politica del popolo. La loro fondazione è libera. Il loro ordinamento interno deve corrispondere ai principi fondamentali della democrazia. Devono rendere conto pubblicamente dell’origine dei loro mezzi finanziari. I partiti, che per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti si prefiggono di danneggiare od eliminare l’ordinamento fondamentale democratico e liberale o di minacciare l’esistenza della Repubblica Federale Tedesca, sono incostituzionali. Sulla questione d’incostituzionalità decide il Tribunale Costituzionale Federale. I particolari sono regolati da leggi federali”.
In altre parole, il sistema tedesco è impostato in modo da ostacolare quei partiti che si propongano (sulla base degli scopi e dei comportamenti dei propri aderenti) di impedire, una volta giunti al potere, libere elezioni e l’eguale possibilità per gli altri partiti di giungere al Governo[2].
Nell’ordinamento italiano non esiste nulla di simile, poiché si è preferito creare un’eccezione alla libera istituzione di partiti, risolvendo la questione sul piano dell’antifascismo attraverso l’interpretazione restrittiva della XII disposizione transitoria e finale.
Il nostro Paese, infatti, a differenza della Repubblica federale tedesca, non possiede né ha tentato seriamente di dotarsi di una legislazione organica in materia. Sicuramente una disciplina dell’organizzazione interna dei partiti dovrebbe preoccuparsi di coniugare i margini della loro democrazia interna con la necessità di una protezione del sistema democratico del Paese e attuando, almeno parzialmente, gli elementi della democrazia protetta.
Infatti, con il modello tedesco si è visto che le due esigenze non si pongono in contrapposizione tra loro, giacché l’una è strumentale all’altra. La disciplina legislativa potrebbe essere ammessa, quindi, per quelle attività interne che incidono più da vicino sul funzionamento della rappresentanza – come la selezione delle candidature – mentre non sarebbe ammissibile una regolazione che tocchi tutte le procedure interne del partito.
Non dovrebbero, quindi, porsi ostacoli a una disciplina in tal senso senza, tuttavia, snaturare eccessivamente la struttura del partito. Una disciplina, tutt’al più, dovrebbe stabilire delle regole interne all’organizzazione, da un lato, perché il singolo possa essere tutelato nel perseguimento dei propri interessi che attraverso il partito si esternano, dall’altro, perché con delle regole chiare anche la democrazia si tutela dall’eccessiva autonomia partitica in base alla quale potrebbe nascere il rischio di un sovvertimento della democrazia stessa.
Una disciplina può, in tal senso, servire per ricollocare il cittadino al centro delle scelte partitiche, consegnare la democrazia in mano alla base del partito e facendosi così ponte tra società e istituzioni.
3. Conclusioni sui partiti politici
Liquidare quanto sta oggi avvenendo impiegando l’espressione canonica “crisi dei partiti” rischia però di risultare pleonastico in quanto più che una crisi dei partiti sarebbe più corretto parlare di una crisi democratica, destinata fatalmente a coinvolgere l’ordinamento, la sua dimensione costituzionale, i suoi principi, le sue forme rappresentative tipiche.
Non è da considerare una male sollecitare – laddove necessario – puntuali revisioni della Costituzione per il rafforzamento della democrazia parlamentare, come avvenuto recentemente con la riduzione del numero dei parlamentari e la proposta di modifica dell’istituto dell’iniziativa legislativa popolare, purché vengano garantiti contrappesi efficaci al fine di tutelare il principio di rappresentatività.
A tal proposito sarebbe opportuno accelerare la modifica della legge elettorale (attraverso la costruzione di un più avanzato e coerente sistema di tipo proporzionale abolendo i collegi uninominali e ponendo dei “paletti” come nel modello tedesco) e la stesura di una moderna normativa sul finanziamento pubblico dei partiti con l’obiettivo di impedire che le funzioni politiche diventino sempre più ostaggio dei poteri economici e degli interessi privati.
Inoltre, è vero che l’idea del partito quale esclusivo e imprescindibile soggetto politico di mediazione tra masse e Stato si sia notevolmente affievolita. Le responsabilità sono da ricondurre anche a fattori esogeni, in gran parte riconducibili ai processi di delimitazione dello spazio politico statuale perseguito dai poteri sovranazionali. È questa la realtà che i partiti nazionali hanno oggi di fronte. E a queste sfide non è possibile in alcun modo sottrarsi, rifugiandosi illusoriamente nel mito delle piccole patrie, delle secessioni, dei muri.
I partiti devono farsi interpreti delle terribili sfide del loro tempo. E queste sfide gli impongono un serio processo di autoriforma al fine di scongiurare il rischio che i meccanismi oligarchici di scelta e di controllo del partito continuino a rimanere intatti riversandosi negativamente su tutta la vita democratica ed istituzionale italiana e spianando così la strada alla deriva populista. Lo stesso discorso si potrebbe, inoltre, collocare all’interno di una più ampia e complessa dimensione: l’Europa.
Nel Vecchio continente, infatti, il fenomeno del populismo si sta radicando in maniera preoccupante e trasversale. Risulterebbe necessario provare, in forme nuove, a connettere partecipazione e politica, rappresentanza e diritti, partiti e pratiche costituenti. E puntare così, su queste inedite basi, a convertire finalmente forme e contenuti del processo di integrazione europea su un terreno autenticamente democratico e costituzionale.
[1] Con l’art. 22 la Costituzione di Weimar (I deputati sono eletti con elezione generale, uguale, immediata e segreta da uomini e donne che abbiano raggiunto il 20° anno di età, secondo i principi generali della rappresentanza proporzionale) introdusse la forma più pura di sistema proporzionale, in cui le forze politiche in Parlamento rappresentano esattamente in maniera proporzionale le forze politiche nel paese.
[2] Sulla base di tale impostazione, il Tribunale Costituzionale tedesco ha allontanato negli anni ‘50 il movimento nazionalsocialista e quello comunista dal sistema politico, per incompatibilità tra le finalità perseguite dal partito ed i principi liberaldemocratici sanciti nella Legge fondamentale.