Pena illegale: casi pratici di pene fuori norma
Pena illegale: casi pratici di pene fuori norma
La pena illegale è riscontrabile nei casi di applicazione di una pena diversa, per specie, da quella stabilita dalla legge, ovvero quantificata in misura inferiore o superiore ai relativi limiti e nei casi di sostituzione della pena concordata con quella del lavoro di pubblica utilità disposta in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge.
La cassazione sezione V con la sentenza n. 10712 del 24 marzo 2022 ha stabilito che secondo un principio costantemente affermato dalla Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205; n. 40986 del 19/07/2018, P., Rv. 273934; n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348), la pena può definirsi “illegale” solo quando non corrisponde, per specie ovvero per quantità, sia in difetto che in eccesso, a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio delineato dal codice penale (ciò che si verifica anche nel caso in cui la cornice edittale di riferimento sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima oppure sia stata dal giudice individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole).
Rientrano in tale categoria normativa:
- la pena applicata in misura inferiore al minimo assoluto previsto dall’art. 23, cod. pen.;
- la pena-base inferiore a quella prevista come minimo edittale per il reato unito in continuazione;
- la pena applicata ex art. 81, secondo comma, cod. pen., in misura inferiore al minimo fissato per il reato più grave tra quelli in continuazione;
- la mancata applicazione della pena prevista per il reato rientrante nella competenza del giudice di pace;
oltre, ovviamente, ai casi di scuola dell’applicazione di una pena congiunta per una contravvenzione punita con pena alternativa o dell'irrogazione di una pena detentiva in luogo di quella pecuniaria e viceversa.
Esula, invece, dall’ambito della pena illegale il trattamento sanzionatorio che risulti complessivamente legittimo, anche se frutto di un vizio del percorso argomentativo attraverso il quale il giudice sia giunto alla conclusiva determinazione dell'entità della condanna.
Nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, infatti, l’accordo si forma non tanto sulla pena inizialmente indicata e sulle eventuali operazioni con le quali essa viene determinata, bensì sul risultato finale di queste ultime: di qui, l’affermazione – costante nella giurisprudenza di legittimità – della generale irrilevanza degli errori relativi ai vari passaggi interni, attraverso i quali si giunge a tale risultato.
In altra recente sentenza la cassazione sezione IV con la sentenza n. 7811 depositata il 3 marzo 2022 ha esaminato il caso di una pena concordata sostituita, motu proprio dal giudice con il lavoro di pubblica utilità.
Fatto
Il Tribunale di Chieti ha applicato ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. a B. D., in relazione al reato di cui all’art. 186, co. 2 lett. b) e co. 2-sexes Cod. strada, la pena di giorni dieci ed euro 1.000,00 di ammenda, sostituita con sette giorni il lavoro di pubblica utilità.
Ricorre la Procura Generale censurandola per violazione degli artt. 186, co. 2 lett. b), co. 2-sexies e co. 9-bis Cod. strada e 606, co. 1 lett. b) cod. proc. pen. Ad avviso del ricorrente sussiste la violazione di legge perché il Tribunale ha errato nella conversione della pena principale in giorni sette di lavoro di pubblica utilità, invece che in quattordici giorni.
Decisione: questione preliminare
La cassazione esamina in via preliminare l’ammissibilità del ricorso.
Ricordiamo che l’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., introdotto dalla I. 23 giugno 2017, n. 103, consente il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen. soltanto per motivi attinenti all’espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Nel caso, di specie, si è in presenza di una pena illegale, perché determinata attraverso la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, ai sensi dell’art. 53 I. n. 689/81, che non può trovare applicazione unitamente alla sostituzione con il lavoro di pubblica utilità. Sono superati, quindi i limiti imposti dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p..
Con più diretta attinenza alla specificità della vicenda in esame, si è però ritenuto ulteriormente che in tema di ricorso per cassazione avverso una sentenza di applicazione della pena, deve ritenersi “illegale”, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., la sostituzione della pena concordata con quella del lavoro di pubblica utilità disposta in violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge (Sez. 3, Sentenza n. 2277 del 03/12/2020, dep. 2021, Rv. 280894).
Nel caso di specie si trattava di sentenza di patteggiamento per il reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, rispetto al quale la Corte ha escluso la sussistenza di alcuna previsione che espressamente consenta tale sostituzione.
Anche nel caso che occupa non vi è alcuna norma che legittimi la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, in aggiunta alla sostituzione della pena risultante con quella del lavoro di pubblica utilità.
La giurisprudenza della cassazione, salvo un isolato precedente del 2012, è infatti consolidata nell’insegnamento per il quale i due regimi sanzionatori costituiscono strumenti distinti di adeguamento della sanzione al caso concreto ed alle caratteristiche personali dell’imputato, corrispondenti a diversificate e non sovrapponibili istanze afferenti alla relazione della funzione rieducativa della pena, di talché, una volta adottata una strategia sanzionatoria, non è possibile, per esigenze di coerenza e razionalità del sistema, sovrapporne altra (ex multis, Sez. 4, Sentenza n. 27519 del 10/05/2017, Rv. 269977).
La sostituzione della pena concordata con quella del lavoro di pubblica utilità è possibile nelle ipotesi previste dall’art. 54 d.lgs. n. 274 del 2000, che considera solamente reati che rientrano nella competenza funzionale del giudice di pace, nella previsione nell’art. 186, comma 9-bis, c.d.s., che si riferisce alle sole ipotesi del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool, in altre norme (come, ad esempio, l’art. 73, comma 5-bis, D.P.R. n. 309 del 1990), che espressamente consentono la sostituzione della pena principale con il lavoro di pubblica utilità.
Decisione
Pertanto la cassazione ha annullato la sentenza impugnata disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Chieti per nuovo giudizio.
Questa breve rassegna evidenzia lo scenario di fondo su cui si è innestata la tematica della pena illegale, riguardante il rapporto tra i giudici e il legislatore.
Un rapporto che nell’ambito dell’illegalità della pena ha assunto connotati “patologici”: non si deve dimenticare che l’istituto della pena illegale è stato ideato dalla giurisprudenza proprio per rimediare alle carenze legislative inerenti alla rilevazione e rideterminazione di sanzioni la cui applicazione, per un “vizio” originario o sopravvenuto, è intollerabile alla luce del principio costituzionale di legalità.