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Piccolo, tarchiato, con una voce sgraziata

I colori delle albe e dei tramonti
Ph. Ermes Galli / I colori delle albe e dei tramonti

Così, Stefania Auci, introduce ai suoi lettori Giovanni Boldini nelle cinque misere pagine che dedica al Ritratto di Donna Franca Florio[1] (olio su tela 221x119 cm 1901-1924), il “quadro che la trasformerà in leggenda”, nel deludente secondo capitolo della saga dei Florio[2].

Il dipinto e la sua ventura anche giudiziaria avrebbero, però, meritato molte pagine di più.

L’opera fu commissionata a Boldini nell’inverno del 1901 da Don Ignazio Florio Jr. affinché il ritrattista più famoso dell’epoca celebrasse la bellezza della moglie con la sua presentazione alla Biennale di Venezia.

Parrebbe che il pittore sia stato costretto prima dell’esposizione del 1903 a modificare il dipinto, a richiesta del suo committente. A detta di alcuni storici dell’arte, poiché la postura della moglie ritrattata non era adeguata al suo rango. Per altri, invece, per via della scollatura, “troppo” profonda[3] e delle gambe “troppo” scoperte per una nobildonna.

Nella sua lettera al maestro, è certo, però, che Florio scrivesse, di ritenere il ritratto "innaturale e irreale", come lo erano, del resto, tutte le donne della Belle Époque, nella loro sensualità. Certo è anche che, alla Biennale, il dipinto arrivò “censurato”, con una gonna più lunga e una stola a coprire le spalle della baronessa.

Da qui, la convinzione, condivisa per oltre vent’anni, che esistessero due ritratti di donna Franca.

Pare, invece, che a Boldini, quella commessa non fosse mai stata pagata, forse più per il grave tracollo finanziario che colpì i Florio, che per insoddisfazione e che, dopo la Biennale, l’opera sia tornata nelle sue mani e riportata alla versione originale, come dimostra una fotografia scattata nel suo studio tra il 1908 ed il 1912.

Nel 1934, quando “il giardino dei ciliegi” di casa Florio venne messo all’asta dalla Casa di Vendite Ugo Jandolo[4], il ritratto di Donna Franca non figurava nell’inventario e neppure nel catalogo della vendita.

Nel 1933, l’opera, inoltre, risultava già di proprietà del Barone Maurice de Rothshild, che acquistatala probabilmente tramite la galleria Wildenstein negli anni ’20 (l’attuale versione è ridatata 1924), direttamente nell’atelier parigino dell’artista, la concesse in prestito per un’esposizione a New York[5] nel 1933.

Tra le provenienze successive sono riportati due passaggi in asta da Sotheby’s. All’ultimo, quello del 2005[6], la tela è stato aggiudicata a Francesco Gaetano Caltagirone ed è finita “nella pancia” della società AMT Real Estate S.p.A., del gruppo Acqua Marcia, proprietaria dell’Hotel Villa Igea di Palermo, antica proprietà dei Florio, ove il dipinto è stato collocato e, solo per poco, ritornato a casa.

Qui il dipinto è stato sottoposto a “notifica” con dichiarazione di interesse storico artistico particolarmente importante con provvedimento DDS n. 5249 del 29 febbraio 2008.

A causa di un crack finanziario che ha colpito il gruppo, la società è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo nel 2012 e al ritratto di Donna Franca è toccata un’altra asta, questa volta giudiziaria.

Il Commissario giudiziale ha disposto, con ordinanza, ai sensi dell’art. 532 c.p.c.  la vendita tramite commissionario, nominando la Casa d’Aste Bonino che, prima della vendita, con l’ausilio di indagini scientifiche, ha svelato l’arcano del doppio pentimento di Boldini e dell’unicità dell’opera[7].

Il “Ritratto di donna Franca Florio”, benché oggetto di notifica, è stato aggiudicato a 1.133.029 euro, il 1° marzo 2017.

Qualora i beni di proprietà del debitore destinati al soddisfacimento dei suoi crediti abbiano una natura particolare, come le opere d’arte, la normativa prevede che il Tribunale possa, con provvedimento motivato, ove ritenga che questo possa, portare ad una maggiore valorizzazione e realizzo dei beni pignorati, affidare la vendita delle cose pignorate a un soggetto specializzato nel settore di competenza.

Per l’arte la scelta cade solitamente su una Casa d’Aste, che deve, però, essere iscritta, in ragione di trasparenza, nell’elenco di cui all’art. 169 sexies disp. att. c.p.c.

Nel decreto o ordinanza di vendita, il Giudice con provvedimento motivato deve indicare il prezzo minimo di vendita, avvalendosi preferibilmente dell’ausilio di uno stimatore esperto in materia.

In questi casi la Casa d’Aste, a cui viene affidata anche la custodia del bene, opererà, però, come ausiliario del Giudice ex art. 168 disp. att. c.p.c. quale “commissionario giudiziario per la vendita dei beni pignorati, e pubblico ufficiale in quanto svolge, senza alcuna dipendenza funzionale dalle parti, compiti d'ausiliario del giudice non meramente esecutivi” (Cass. Pen. 31656/2008 e 3872/2008), e non come mero mandatario senza rappresentanza del venditore, qual è nello svolgimento ordinario della sua attività caratteristica.

Mentre in caso di “aste private” la Casa d’Asta “effettua proprio una «vendita per conto terzi» così come essa dichiara nei suoi cataloghi, agisce cioè come mandataria senza rappresentanza assumendo gli obblighi relativi al negozio posto in essere. L’attività da essa esplicata è attività giuridica, e più specificamente attività di venditrice, sia pure per conto terzi. Essa pubblicizza la vendita attraverso la stampa e la diffusione dei cataloghi nei quali indica le caratteristiche dell’oggetto, il valore, il prezzo d’asta, stabilisce in maniera autonoma il giorno della vendita, le modalità dell’incanto, le «condizioni della vendita», clausole di esonero di responsabilità «oltre quelle sulla qualità di intermediaria», compie le operazioni d’incanto, provvede all’aggiudicazione, percepisce il prezzo totale, o esercita la facoltà di domandarne «solo una parte a titolo di caparra», ha facoltà di valutare la «inadempienza» e di rimettere l’oggetto in vendita” (Corte d’Appello di Roma, 17 luglio 1979, in Foro Italiano,1980,1, pag. 1447e ss.) e soggiace alle norme di cui agli artt. 1705 C.C. e ss..

Viceversa quando si tratta di una vendita giudiziaria di opera d’arte, benché battuta da una casa d’aste, la stessa soggiace alle norme di legge in tema di espropriazione e alle condizioni predeterminate dal Giudice dell’esecuzione.

Va, tuttavia, segnalato che ai fini di attribuire stabilità al trasferimento coattivo compiuto con l’esecuzione forzata, qual è anche quella posta in essere dal commissionario, l’art. 2922 cod. civ. esclude l'applicabilità delle regole dettate per la compravendita in tema di tutela dell'acquirente dell’opera, come di recente precisato dal Tribunale di Monza con sentenza n. 437/2018 del 14 febbraio 2018.

In particolare, i beni pignorati sono venduti nello stato in cui si trovano, essendo di provenienza giudiziaria, poiché nella vendita forzata non opera la garanzia per i vizi della cosa. Si vende secondo la formula del “visto e piaciuto”. Conseguentemente l’esistenza di eventuali vizi o mancanza di qualità o difformità della cosa venduta non potranno dare luogo a risarcimento, indennità o riduzione del prezzo.

L’esclusione dell’operatività delle garanzie per l’acquirente nell’alienazione forzata si sostanzia nel carattere complesso della vendita coattiva nella quale convive l’elemento privatistico del trasferimento del bene e quello pubblicistico della responsabilità patrimoniale del debitore tramite l’alienazione forzosa operata senza la volontà del proprietario a cui si sostituisce un organo di giustizia per il soddisfacimento dei creditori.

Le “condizioni di vendita” standard del catalogo d’asta, quindi, non potranno essere applicate tout court, poiché in questi casi il mandante è il Tribunale, che non potrà essere ritenuto responsabile per gli eventuali vizi delle opere d’arte in virtù del già citato art. 2922 cod. civ., trattandosi di vendita giudiziaria.

Ogni eventuale controversia che coinvolga il mandante, dovrà essere formulata nel rispetto della forma, con un ricorso ex art 617 cpc (opposizione agli atti esecutivi) davanti all’ufficio Giudiziario competente, non potendo operare la deroga convenzionale del foro competente, indicata per prassi dalla casa d’aste nelle condizioni generali di vendita.

Ai sensi dell’art 533 c.p.c. al commissionario spetterà un compenso determinato con decreto dal Giudice dell’Esecuzione, in luogo di buyer’s premium e Commissions generalmente applicate.

Se lo squalo da 12 milioni di dollari di Damien Hirst (The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living) fosse stato venduto in un’asta giudiziaria e non da Saatchi e Gagosian, quindi, il collezionista non avrebbe potuto invocare la garanzia per vizi una volta che il grosso pesce in formalina era diventato “verde e raggrinzito” e andato in decomposizione.

Altri ipotetici “vizi redibitori o mancanze di qualità” dell’opera d’arte per i quali l’acquirente agli incanti astrattamente potrebbe restare senza tutela attengono ad esempio lo stato di conservazione o il degrado dell’opera, si pensi ad esempio a un olio su una tavola irreparabilmente compromessa da tarli del legno o a un disegno su una carta compromessa da funghi o muffe.

Qualora, invece, un dipinto o una scultura si rivelassero non autentici, si ritiene che l’aggiudicatario possa agire per la risoluzione del contratto per inadempimento consistente nel trasferimento di un aliud pro alio, fattispecie applicabile anche alle vendite giudiziarie.

Si vedano Cass. civ., Sez. I, 14 ottobre 1960, n. 2737 e Cass. Civ., Sez. II, l° luglio 2008, n. 17995: "la cessione di un opera d'arte falsamente attribuita ad artista che in realtà non ne è stato l'autore costituisce una ipotesi di vendita di "aliud pro alio", e legittima l'acquirente a richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, ex art. 1453 cod. civ.".

Secondo la giurisprudenza di legittimità è altresì aliud pro alio anche la cessione di un’opera autentica, ma modificata e alterata da terzi e non più corrispondente all'originale concepito dall'artista (Cass. civ., Sez. II, 8 giugno 2011, n. 12527). 

In tema di vendita forzata una risalente pronuncia in tema di vendita coattiva di un orologio venduto come di marchio “Cartier” rivelatosi, poi, falso aveva ritenuto non applicabile l’art 2922 cod. civ. in quanto la mancanza di tale qualità aveva inciso in maniera determinante nella formazione del consenso dell’atto negoziale (Cass. Civ., 24 marzo 1981, n. 1698).

Un’eventuale errata datazione dell’opera d’arte, come accadde per l’Orchidea Bianca di Mimmo Rotella, per contro, pur incidendo sensibilmente sul valore economico della stessa, potrebbe costituire, al più, una “mancanza di qualità” e il compratore restare privo di tutela in caso di acquisto ai pubblici incanti.

Per quanto concerne, invece, l’eventuale dichiarazione di interesse storico-artistico «particolarmente importante» ai sensi dell'art. 10 del Codice dei Beni Culturali di un’opera d’arte staggita in una vendita giudiziaria, una recente pronuncia del Tar del Lazio del 2 luglio 2019 riguardante «La Falaise du Petit Ailly à Varengeville » di Claude Monet, facente parte della collezione Tanzi, ha chiarito che il provvedimento di avvio del procedimento deve essere notificato sia al debitore e esecutato sia al creditore procedente, onde evitarne l’annullamento per vizi procedimentali.

 

[1] Franca Jacona della Motta di San Giuliano (1873-1950).

[2] S. Auci, L’inverno dei Leoni, la saga dei Florio, Casa Editrice Nord s.u.r.l. 2021

[3] L’abito nero in velluto appartenuto a Donna Florio è conservato alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze.

[4] Catalogo degli oggetti provenienti dalle Collezioni dei Signori Ignazio e Vincenzo Florio di Palermo, Casa di Vendite Ugo Jandolo, Roma, Palazzo Ruspoli 19 marzo – 3 aprile 1934.

[5] Loan Exhibition Paintings by Boldini 1845-1931, benefit for the Child Welfare Committee, March 20 to April 8, 1933, Wildenstein &Co, New York City

[6] Asta del 25 ottobre 2005, aggiudicazione € 760.000,00.

[7] M. Smollizza, Boldini. Il Ritratto di Donna Franca Florio, MONDADORI ELECT, 2018