Plagio - Cassazione Civile: Gabibbo vs. Big Red, nessun plagio
Con la sentenza 503/2017 la Cassazione ha stabilito, dopo quasi 15 anni, che il noto pupazzo “Gabibbo” non costituisce plagio della mascotte americana “Big Red”.
Il caso
Nel 2002, la ADFRA s.r.l. e l’anno successivo, la Western Kentucky University (WKU) e la Crossland Enterprises Inc (CEI) convenivano in giudizio dinnanzi al Tribunale di Ravenna (Sez. staccata di Lugo) RTI Reti Televisive Italiane s.p.a., Mediaset s.p.a., Fininvest s.p.a., Copy s.p.a., Giochi Preziosi s.p.a. e C.A. affinché fosse dichiarato che lo sfruttamento da parte di queste ultime del pupazzo “Gabibbo” integrava la fattispecie di plagio e/o contraffazione della mascotte sportiva di un’università americana, conosciuta con il nome di “Big Red” e descritta come un grande pupazzo “dalle sembianze di umanoide, rivestito di una sorta di pelliccetta di color rosso uniforme, con una grande testa su cui fanno bella mostra due grandi occhi con pupilla nera sormontati da sopracciglia nere piuttosto marcate ed una larghissima bocca”.
Chiedeva altresì che fosse inibito l’uso del pupazzo, che fosse disposta la distruzione di tutti i prodotti nonché del materiale pubblicitario recanti l’immagine dello stesso.
Il Tribunale rigettava tutte le richieste presentate dalle attrici.
Le argomentazioni della Corte d’Appello di Bologna
La Corte di Bologna, nel 2011, confermava la decisione del giudice di primo grado.
In particolar modo, la Corte negava il carattere creativo del pupazzo, sostenendo che questo non poteva dirsi dissimile da altri comunemente conosciuti, aventi tutti caratteristiche molto simili. Così, la banalità delle forme e delle soluzioni grafiche, con cui il pupazzo veniva rappresentato era tale da escludere il raggiungimento della soglia minima di creatività richiesta per ottenere tutela sotto il profilo del diritto d’autore.
Inoltre, la Corte bolognese evidenziava che sì il giudizio sulla confondibilità tra i due pupazzi dovesse essere effettuato sulla visione d’insieme suscitata nell’osservatore comune, ma che non potevano negarsi le differenze formali tra Gabibbo e Big Red, soprattutto riguardanti la forma complessiva del corpo, tali da escludere il plagio.
Tutte queste argomentazioni saranno poi richiamate nella sentenza delle Corte di Cassazione, che lo scorso novembre 2016, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.
(Corte di Cassazione - Prima Sezione Civile, Sentenza 11 gennaio 2017, n. 503)
Con la sentenza 503/2017 la Cassazione ha stabilito, dopo quasi 15 anni, che il noto pupazzo “Gabibbo” non costituisce plagio della mascotte americana “Big Red”.
Il caso
Nel 2002, la ADFRA s.r.l. e l’anno successivo, la Western Kentucky University (WKU) e la Crossland Enterprises Inc (CEI) convenivano in giudizio dinnanzi al Tribunale di Ravenna (Sez. staccata di Lugo) RTI Reti Televisive Italiane s.p.a., Mediaset s.p.a., Fininvest s.p.a., Copy s.p.a., Giochi Preziosi s.p.a. e C.A. affinché fosse dichiarato che lo sfruttamento da parte di queste ultime del pupazzo “Gabibbo” integrava la fattispecie di plagio e/o contraffazione della mascotte sportiva di un’università americana, conosciuta con il nome di “Big Red” e descritta come un grande pupazzo “dalle sembianze di umanoide, rivestito di una sorta di pelliccetta di color rosso uniforme, con una grande testa su cui fanno bella mostra due grandi occhi con pupilla nera sormontati da sopracciglia nere piuttosto marcate ed una larghissima bocca”.
Chiedeva altresì che fosse inibito l’uso del pupazzo, che fosse disposta la distruzione di tutti i prodotti nonché del materiale pubblicitario recanti l’immagine dello stesso.
Il Tribunale rigettava tutte le richieste presentate dalle attrici.
Le argomentazioni della Corte d’Appello di Bologna
La Corte di Bologna, nel 2011, confermava la decisione del giudice di primo grado.
In particolar modo, la Corte negava il carattere creativo del pupazzo, sostenendo che questo non poteva dirsi dissimile da altri comunemente conosciuti, aventi tutti caratteristiche molto simili. Così, la banalità delle forme e delle soluzioni grafiche, con cui il pupazzo veniva rappresentato era tale da escludere il raggiungimento della soglia minima di creatività richiesta per ottenere tutela sotto il profilo del diritto d’autore.
Inoltre, la Corte bolognese evidenziava che sì il giudizio sulla confondibilità tra i due pupazzi dovesse essere effettuato sulla visione d’insieme suscitata nell’osservatore comune, ma che non potevano negarsi le differenze formali tra Gabibbo e Big Red, soprattutto riguardanti la forma complessiva del corpo, tali da escludere il plagio.
Tutte queste argomentazioni saranno poi richiamate nella sentenza delle Corte di Cassazione, che lo scorso novembre 2016, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.
(Corte di Cassazione - Prima Sezione Civile, Sentenza 11 gennaio 2017, n. 503)