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Potere del giudice nelle procedure di separazione e divorzio di istituire un trust al fine di garantire l’adempimento delle obbligazioni assunte dai coniugi.

Abstract dell’intervento tenuto al convegno: Il Trust nei procedimenti giudiziari, e non, di separazione e divorzio, Bologna, 22 ottobre 2004, Oratorio San Filippo Neri

In via preliminare, ritengo utile portale la loro attenzione su quali siano i contrapposti interessi da soddisfare al fine di valutare l’opportunità dell’impiego del trust sul fronte patologico della vita famigliare.

Rappresentando quindi il comprensibile interesse del coniuge creditore a conseguire certezza che l’obbligo di mantenimento sia adempiuto alle scadenze stabilite, e senza dover ricorrere ai tempi e costi delle azioni esecutive, altrettanto comprensibilmente evidenzio il contrapposto interesse del coniuge debitore a vedere coinvolte nell’adempimento le sole risorse necessarie, scongiurando il pericolo che per il tramite di azioni cautelari o esecutive, il coniuge creditore estenda un vincolo anche su altre sue risorse patrimoniali.

Considerate queste antitetiche posizioni di fatto, l’ambito normativo si delinea fra l’art. 156, 4° co del c.c., in tema di sequestro dei beni dell’obbligato, e l’art. 8, 1° co. della l. n. 898 del 1970, quali norme che riconoscono al giudice il potere di imporre al coniuge debitore di prestare una garanzia reale o personale in caso di pericolo di inadempimento.

Sul punto, però, vorrei fin da subito rappresentare come, se da un canto il coniuge creditore trova nell’ordinamento le norme suddette, proprio pensate dal legislatore in suo favore, seppur armi spuntate per le ragioni che di seguito analizzerò, sul fronte opposto del coniuge debitore che voglia assicurare il coinvolgimento delle sole risorse necessarie a far fronte ai suoi obblighi, tenendo indenne il restante suo patrimonio, alcuno strumento è previsto anzi, incombe inesorabile l’art. 2740 cc.

Infine, per fornire il quadro più completo possibile, evidenzio la sostanziale differenza fra trusts giudiziali e trusts la cui istituzione venga consacrata nel verbale di omologa della separazione consensuale o nella sentenza emessa a seguito di ricorso congiunto di divorzio, considerato che il presente intervento è circoscritto solo alla fattispecie dei trusts giudiziali.

Nel primo caso manca la volontà del soggetto di istituire il trust che viene quindi imposto dalla decisione del giudice che ne costituisce la fonte.

 

Nel secondo caso, invece, il trust contenuto in verbale di separazione consensuale, o nella sentenza di divorzio congiunto, ha la sua fonte nell’autonomia negoziale dei coniugi e l’intervento del giudice rimane esclusivamente finalizzato a far sì che gli effetti del trust incidano sul rapporto sottostante.

In proposito rammento come autorevole dottrina (M. Dogliotti, all’analogo convegno tenutosi in Milano nella primavera scorsa) abbia ritenuto che nulla osta all’istituzione di un trust nel verbale di separazione consensuale dei coniugi, e quindi suggellata dall’omologa, o nel ricorso congiunto di divorzio e quindi consacrata nella sentenza.

Per tali ipotesi poi, è importante ricordare l’ampio spettro di possibilità che viene offerta ai coniugi nella scelta delle tipologia di trusts da istituirsi, anche nella forma quindi dei trusts solutori (dove viene capitalizzata la prestazione dovuta e offerta in un’unica soluzione anticipata, producendo l’effetto di estinguere il debito) mentre per le ipotesi che seguono, ovvero i trusts giudiziali, l’unico tipologia ipotizzabile è quella del trust di garanzia. E’ principio consolidato, infatti, sia in dottrina ed in giurisprudenza, la carenza di potere del giudice ad effettuare d’ufficio la corresponsione di una somma di danaro, o un complesso di beni, con funzione solutoria.

Ciò premesso, vengo ora ai trusts cd. giudiziali ed il punto di partenza è rappresentato dagli artt. 3 e 20 della Convenzione.

Non può essere questa la sede per trattare l’esatta portata dell’art. 3 della Convenzione in raffronto alla ampia ed articolata tipologia di trusts conosciuta dagli ordinamenti di Common Law; rammento soltanto che l’art. 3 prevede che la Convenzione si applica solo ai trusts costituiti volontariamente e comprovati per iscritto.

L’art. 20 invece recita : "Ogni Stato contraente potrà, in qualsiasi momento, dichiarare che le disposizioni della presente convenzione saranno estese ai trusts costituiti in base ad una decisione giudiziaria."

Alcune premesse dottrinali sono necessarie per comprendere le argomentazioni che seguono.

Spiega la dottrina più accreditata (M. Lupoi) che la categoria "trusts volontari" non equivale alla categoria inglese di "express trust" traducibile con "trusts espressamente istituiti".

Questa categoria si contrappone alle diverse fattispecie, sempre di matrice anglosassone, di constructive trust e resulting trust che hanno la loro fonte nella legge o in una decisione giudiziale (in conseguenza di un ingiustificato arricchimento o di un comportamento che ha generato un affidamento in un soggetto).

Alla luce di ciò si afferma pacificamente che l’art. 20 ha escluso tout court dalla Convenzione le tipologie predette di resulting e constructive trust a meno che il singolo stato non abbia effettuato l’estensione prevista dal citato art. 20 e preciso fin da subito che lo Stato italiano, ad oggi, non ha proceduto all’estensione.

Nella fattispecie che oggi ci occupa ciò in pratica significa che il giudice non può intervenie d’ufficio e condannare il coniuge a comportarsi (e quindi ad essere considerato) quale trustee in relazione ad una determinata situazione.

Ciò non di meno, il potere del giudice può comunque manifestarsi diversamente, sia in relazione alla fattispecie specifica oggi in esame, sia in relazioni a situazioni diverse laddove vi sia un contenzioso che l’impiego di un trust potrebbe risolvere.

Ho sopra ricordato che il giudice può, in caso di inadempimento o di pericolo di sottrazione della garanzia, imporre al coniuge obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale (art. 156, 4° co c.c. e 8, 1° co L.D.).

Da sempre la dottrina (G. Ferrando, Finocchiaro, M. Dogliotti) dibatte sull’effettività di tali adempimenti coattivi considerato che:

 

1. l’obbligo di fornire garanzia ipotecaria è un minus rispetto al potere di iscrivere ipoteca giudiziale in forza della sentenza di condanna al pagamento dell’assegno di mantenimento;

2. l’obbligo di dare beni da costituire in pegno è incoercibile in quanto non è possibile lo spossessamento coatto;

 

3. l’obbligo di prestare fideiussione è carente di esecuzione in forma specifica, considerata la presenza di un terzo estraneo alla vicenda personale;

 

4. il rimedio apprestato dalla decadenza del beneficio del termine a nulla vale per prestazioni soggette a scadenze mensili continue e quindi, in tale ambito, l’unica strada percorribile rimane il sequestro dei beni con tutte le note conseguenza laddove, medio tempore, l’obbligato si fosse reso abilmente nullatenente.

 

A queste evidenti lacune normativa, o comunque all’inadeguatezza dei nostri mezzi per fronteggiare simili contingenze, ottimo rimedio appresterebbe un trust scaturente da una decisione giudiziale che non osta, per le ragioni che seguono, alla mancata estensione effettuata dallo Stato italiano all’art. 20 della Convenzione.

 

I principi generali sui trusts interni, derivanti dal dettato convenzionale, contengono un punto pacifico ed imprescindibile: il negozio istitutivo del trust è retto dalla legge applicabile prescelta dal disponente (art.6) il negozio di trasferimento dei singoli beni all’interno del trust istituito è retto dal diritto interno del luogo di riferimento (lex rei sitae), e quindi nella nostra ipotesi dalla legge italiana.

 

La Convenzione, infatti, contiene una norma di grande utilità a questo fine, rappresentata dall’art. 4 che recita: " la Convenzione non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee".

 

Il passaggio è quindi immediato: il trasferimento in garanzia dei beni che venisse effettuato ad opera del giudice, in favore del terzo designato è, proprio secondo il dettato convenzionale, estraneo al limite posto dal citato art.20 se si considera che non è il coniuge inadempiente ad essere coattivamente designato trustee, bensì un terzo estraneo alle parti in causa, che assuma volontariamente la carica.

 

Ne deriva che il giudice potrà, in modo assolutamente legittimo, disporre un trasferimento di beni, a scopo di garanzia, ad un terzo per il tramite di una sentenza costitutiva che produca tali effetti.

 

La dottrina (T. Arrigo) sostiene in proposito che la sentenza del giudice potrà essere già il titolo che attua il trasferimento in garanzia e l’eventuale inadempimento all’obbligo di consegnare sarà coercibile ex art.2930 cc.

 

In pratica il terzo designato, attraverso una "dichiarazione di trust" (i.e. declaration of trust, nella terminologia corrente) si renderà trustee dei beni che gli sono stati trasferiti sicchè detti beni diverranno beni in trust a tutti gli effetti e subiranno l’effetto minimo della segregazione che sugli stessi viene automaticamente ad essere impressa in forza dell’art. 11 della Convenzione.

 

Ne consegue che da quel momento preciso in poi, i beni in trust potranno essere impiegati al solo fine di soddisfare lo scopo per perseguire il quale il trust è stato istituito, e quindi garantire l’adempimento delle obbligazioni derivanti dalla situazione di separazione o divorzio.

 

La dinamica prospettata può quindi essere così riassunta: il terzo, che in senso strettamente civilistico, fin dalla sentenza del giudice, è qualificabile quale fiduciario o mandatario senza rappresentanza, muta il titolo in base detiene i beni trasferitigli per ordine del giudice nel momento in cui effettuerà la sua dichiarazione di trust.

 

Dal punto di vista procedurale, infine, prospetto le ipotesi possibili.

 

La prima vede l’istanza diretta formulata al giudice, dal coniuge creditore, che dovrà evidentemente argomentare, in termini di prova, in base ai principi generali sul pericolo.

 

In tale domanda il coniuge dovrà indicare il terzo che si rende trustee, il quale dal canto suo avrà già effettuato la dichiarazione di trust (raccolta ad esempio da un notaio) o aver assunto l’obbligo di rendere tale dichiarazione, e quindi istituire il trust, subordinatamente alla favorevole decisione del tribunale.

 

Il giudice, dal canto suo, potrà, nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, sottoporre l’atto istitutivo di trust ad alcune modifiche, o dettarne alcune clausole, se del caso avvalendosi di un CTU.

 

Parimenti potrà avvenire per garantire l’obbligo di mantenimento dei figli e, per tale ipotesi, la dottrina (T. Arrigo) suggerisce che trustee sia il coniuge affidatario.

 

Sul punto sollevo quale perplessità pratica perché chi conosce la litigiosità aspra di certe situazioni concorderà nel ritenere che la terzietà rappresentata da un trustee estraneo sia spesso la migliore panacea e quindi questa potrebbe essere la soluzione concretamente migliore ancorché teoricamente non ottimale.

 

La dottrina poi si spinge fino ad affermare che, in presenza di minori e di forte litigiosità, l’iniziativa possa essere presa anche dal pubblico ministero nonché, nell’ottica dell’interpretazione delle norme procedurali nel modo più garantista e favorevole per i minori coinvolti, persino dal giudice istruttore e tale eventualità, non priva di forte seduzione, ho comunque ritenuto interessante portarla alla loro attenzione.

 

Infine, ricollegandomi alla riflessioni iniziale, parrebbe che quanto fin qui detto soddisfi solo l’interesse del coniuge creditore e non il diverso interesse del coniuge debitore, che vorrebbe impiegati i soli bene necessari a soddisfare le obbligazioni alimentari, senza il coinvolgimento del restante suo patrimonio.

 

A mio parere laddove si giungesse a tale conclusione si cadrebbe in errore ed in proposito vorrei sottoporre un esempio esaustivo.

 

Si pensi al coniuge creditore che faccia domanda di sequestro ex art. 156 sui beni del coniuge obbligato.

 

Ebbene nulla osta, ma ripeto è un mio parere, nel vuoto anche della prassi, che il coniuge convenuto per la domanda di sequestro, proponga in alternativa al tribunale la istituzione di un trust avente ad oggetto i beni necessari a garantire l’adempimento, chiedendo ad esempio che un terzo venga nominato trustee, ottenendo l’effetto, a suo esclusivo vantaggio, di non subire il vincolo cautelare sul restante suo patrimonio.

 

Simile domanda ritengo possa essere accolta e, essendo frutto di un atto di determinazione volontaria del coniuge (che diventa disponente) il problema dell’art. 20 nemmeno si pone.

 

A maggior ragione poi la domanda sarà ancor più meritevole di considerazione, laddove il coniuge convenuto precisi che nel trust istituito venga comunque imposto al trustee di provvedere laddove, nel tempo futuro, l’assegno alimentare venisse ad aumentare e quindi, in sostanza, trasferendo beni in trust sufficientemente capienti anche in questa evenienza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In via preliminare, ritengo utile portale la loro attenzione su quali siano i contrapposti interessi da soddisfare al fine di valutare l’opportunità dell’impiego del trust sul fronte patologico della vita famigliare.

Rappresentando quindi il comprensibile interesse del coniuge creditore a conseguire certezza che l’obbligo di mantenimento sia adempiuto alle scadenze stabilite, e senza dover ricorrere ai tempi e costi delle azioni esecutive, altrettanto comprensibilmente evidenzio il contrapposto interesse del coniuge debitore a vedere coinvolte nell’adempimento le sole risorse necessarie, scongiurando il pericolo che per il tramite di azioni cautelari o esecutive, il coniuge creditore estenda un vincolo anche su altre sue risorse patrimoniali.

Considerate queste antitetiche posizioni di fatto, l’ambito normativo si delinea fra l’art. 156, 4° co del c.c., in tema di sequestro dei beni dell’obbligato, e l’art. 8, 1° co. della l. n. 898 del 1970, quali norme che riconoscono al giudice il potere di imporre al coniuge debitore di prestare una garanzia reale o personale in caso di pericolo di inadempimento.

Sul punto, però, vorrei fin da subito rappresentare come, se da un canto il coniuge creditore trova nell’ordinamento le norme suddette, proprio pensate dal legislatore in suo favore, seppur armi spuntate per le ragioni che di seguito analizzerò, sul fronte opposto del coniuge debitore che voglia assicurare il coinvolgimento delle sole risorse necessarie a far fronte ai suoi obblighi, tenendo indenne il restante suo patrimonio, alcuno strumento è previsto anzi, incombe inesorabile l’art. 2740 cc.

Infine, per fornire il quadro più completo possibile, evidenzio la sostanziale differenza fra trusts giudiziali e trusts la cui istituzione venga consacrata nel verbale di omologa della separazione consensuale o nella sentenza emessa a seguito di ricorso congiunto di divorzio, considerato che il presente intervento è circoscritto solo alla fattispecie dei trusts giudiziali.

Nel primo caso manca la volontà del soggetto di istituire il trust che viene quindi imposto dalla decisione del giudice che ne costituisce la fonte.

 

Nel secondo caso, invece, il trust contenuto in verbale di separazione consensuale, o nella sentenza di divorzio congiunto, ha la sua fonte nell’autonomia negoziale dei coniugi e l’intervento del giudice rimane esclusivamente finalizzato a far sì che gli effetti del trust incidano sul rapporto sottostante.

In proposito rammento come autorevole dottrina (M. Dogliotti, all’analogo convegno tenutosi in Milano nella primavera scorsa) abbia ritenuto che nulla osta all’istituzione di un trust nel verbale di separazione consensuale dei coniugi, e quindi suggellata dall’omologa, o nel ricorso congiunto di divorzio e quindi consacrata nella sentenza.

Per tali ipotesi poi, è importante ricordare l’ampio spettro di possibilità che viene offerta ai coniugi nella scelta delle tipologia di trusts da istituirsi, anche nella forma quindi dei trusts solutori (dove viene capitalizzata la prestazione dovuta e offerta in un’unica soluzione anticipata, producendo l’effetto di estinguere il debito) mentre per le ipotesi che seguono, ovvero i trusts giudiziali, l’unico tipologia ipotizzabile è quella del trust di garanzia. E’ principio consolidato, infatti, sia in dottrina ed in giurisprudenza, la carenza di potere del giudice ad effettuare d’ufficio la corresponsione di una somma di danaro, o un complesso di beni, con funzione solutoria.

Ciò premesso, vengo ora ai trusts cd. giudiziali ed il punto di partenza è rappresentato dagli artt. 3 e 20 della Convenzione.

Non può essere questa la sede per trattare l’esatta portata dell’art. 3 della Convenzione in raffronto alla ampia ed articolata tipologia di trusts conosciuta dagli ordinamenti di Common Law; rammento soltanto che l’art. 3 prevede che la Convenzione si applica solo ai trusts costituiti volontariamente e comprovati per iscritto.

L’art. 20 invece recita : "Ogni Stato contraente potrà, in qualsiasi momento, dichiarare che le disposizioni della presente convenzione saranno estese ai trusts costituiti in base ad una decisione giudiziaria."

Alcune premesse dottrinali sono necessarie per comprendere le argomentazioni che seguono.

Spiega la dottrina più accreditata (M. Lupoi) che la categoria "trusts volontari" non equivale alla categoria inglese di "express trust" traducibile con "trusts espressamente istituiti".

Questa categoria si contrappone alle diverse fattispecie, sempre di matrice anglosassone, di constructive trust e resulting trust che hanno la loro fonte nella legge o in una decisione giudiziale (in conseguenza di un ingiustificato arricchimento o di un comportamento che ha generato un affidamento in un soggetto).

Alla luce di ciò si afferma pacificamente che l’art. 20 ha escluso tout court dalla Convenzione le tipologie predette di resulting e constructive trust a meno che il singolo stato non abbia effettuato l’estensione prevista dal citato art. 20 e preciso fin da subito che lo Stato italiano, ad oggi, non ha proceduto all’estensione.

Nella fattispecie che oggi ci occupa ciò in pratica significa che il giudice non può intervenie d’ufficio e condannare il coniuge a comportarsi (e quindi ad essere considerato) quale trustee in relazione ad una determinata situazione.

Ciò non di meno, il potere del giudice può comunque manifestarsi diversamente, sia in relazione alla fattispecie specifica oggi in esame, sia in relazioni a situazioni diverse laddove vi sia un contenzioso che l’impiego di un trust potrebbe risolvere.

Ho sopra ricordato che il giudice può, in caso di inadempimento o di pericolo di sottrazione della garanzia, imporre al coniuge obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale (art. 156, 4° co c.c. e 8, 1° co L.D.).

Da sempre la dottrina (G. Ferrando, Finocchiaro, M. Dogliotti) dibatte sull’effettività di tali adempimenti coattivi considerato che:

 

1. l’obbligo di fornire garanzia ipotecaria è un minus rispetto al potere di iscrivere ipoteca giudiziale in forza della sentenza di condanna al pagamento dell’assegno di mantenimento;

2. l’obbligo di dare beni da costituire in pegno è incoercibile in quanto non è possibile lo spossessamento coatto;

 

3. l’obbligo di prestare fideiussione è carente di esecuzione in forma specifica, considerata la presenza di un terzo estraneo alla vicenda personale;

 

4. il rimedio apprestato dalla decadenza del beneficio del termine a nulla vale per prestazioni soggette a scadenze mensili continue e quindi, in tale ambito, l’unica strada percorribile rimane il sequestro dei beni con tutte le note conseguenza laddove, medio tempore, l’obbligato si fosse reso abilmente nullatenente.

 

A queste evidenti lacune normativa, o comunque all’inadeguatezza dei nostri mezzi per fronteggiare simili contingenze, ottimo rimedio appresterebbe un trust scaturente da una decisione giudiziale che non osta, per le ragioni che seguono, alla mancata estensione effettuata dallo Stato italiano all’art. 20 della Convenzione.

 

I principi generali sui trusts interni, derivanti dal dettato convenzionale, contengono un punto pacifico ed imprescindibile: il negozio istitutivo del trust è retto dalla legge applicabile prescelta dal disponente (art.6) il negozio di trasferimento dei singoli beni all’interno del trust istituito è retto dal diritto interno del luogo di riferimento (lex rei sitae), e quindi nella nostra ipotesi dalla legge italiana.

 

La Convenzione, infatti, contiene una norma di grande utilità a questo fine, rappresentata dall’art. 4 che recita: " la Convenzione non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee".

 

Il passaggio è quindi immediato: il trasferimento in garanzia dei beni che venisse effettuato ad opera del giudice, in favore del terzo designato è, proprio secondo il dettato convenzionale, estraneo al limite posto dal citato art.20 se si considera che non è il coniuge inadempiente ad essere coattivamente designato trustee, bensì un terzo estraneo alle parti in causa, che assuma volontariamente la carica.

 

Ne deriva che il giudice potrà, in modo assolutamente legittimo, disporre un trasferimento di beni, a scopo di garanzia, ad un terzo per il tramite di una sentenza costitutiva che produca tali effetti.

 

La dottrina (T. Arrigo) sostiene in proposito che la sentenza del giudice potrà essere già il titolo che attua il trasferimento in garanzia e l’eventuale inadempimento all’obbligo di consegnare sarà coercibile ex art.2930 cc.

 

In pratica il terzo designato, attraverso una "dichiarazione di trust" (i.e. declaration of trust, nella terminologia corrente) si renderà trustee dei beni che gli sono stati trasferiti sicchè detti beni diverranno beni in trust a tutti gli effetti e subiranno l’effetto minimo della segregazione che sugli stessi viene automaticamente ad essere impressa in forza dell’art. 11 della Convenzione.

 

Ne consegue che da quel momento preciso in poi, i beni in trust potranno essere impiegati al solo fine di soddisfare lo scopo per perseguire il quale il trust è stato istituito, e quindi garantire l’adempimento delle obbligazioni derivanti dalla situazione di separazione o divorzio.

 

La dinamica prospettata può quindi essere così riassunta: il terzo, che in senso strettamente civilistico, fin dalla sentenza del giudice, è qualificabile quale fiduciario o mandatario senza rappresentanza, muta il titolo in base detiene i beni trasferitigli per ordine del giudice nel momento in cui effettuerà la sua dichiarazione di trust.

 

Dal punto di vista procedurale, infine, prospetto le ipotesi possibili.

 

La prima vede l’istanza diretta formulata al giudice, dal coniuge creditore, che dovrà evidentemente argomentare, in termini di prova, in base ai principi generali sul pericolo.

 

In tale domanda il coniuge dovrà indicare il terzo che si rende trustee, il quale dal canto suo avrà già effettuato la dichiarazione di trust (raccolta ad esempio da un notaio) o aver assunto l’obbligo di rendere tale dichiarazione, e quindi istituire il trust, subordinatamente alla favorevole decisione del tribunale.

 

Il giudice, dal canto suo, potrà, nell’ambito dei suoi poteri discrezionali, sottoporre l’atto istitutivo di trust ad alcune modifiche, o dettarne alcune clausole, se del caso avvalendosi di un CTU.

 

Parimenti potrà avvenire per garantire l’obbligo di mantenimento dei figli e, per tale ipotesi, la dottrina (T. Arrigo) suggerisce che trustee sia il coniuge affidatario.

 

Sul punto sollevo quale perplessità pratica perché chi conosce la litigiosità aspra di certe situazioni concorderà nel ritenere che la terzietà rappresentata da un trustee estraneo sia spesso la migliore panacea e quindi questa potrebbe essere la soluzione concretamente migliore ancorché teoricamente non ottimale.

 

La dottrina poi si spinge fino ad affermare che, in presenza di minori e di forte litigiosità, l’iniziativa possa essere presa anche dal pubblico ministero nonché, nell’ottica dell’interpretazione delle norme procedurali nel modo più garantista e favorevole per i minori coinvolti, persino dal giudice istruttore e tale eventualità, non priva di forte seduzione, ho comunque ritenuto interessante portarla alla loro attenzione.

 

Infine, ricollegandomi alla riflessioni iniziale, parrebbe che quanto fin qui detto soddisfi solo l’interesse del coniuge creditore e non il diverso interesse del coniuge debitore, che vorrebbe impiegati i soli bene necessari a soddisfare le obbligazioni alimentari, senza il coinvolgimento del restante suo patrimonio.

 

A mio parere laddove si giungesse a tale conclusione si cadrebbe in errore ed in proposito vorrei sottoporre un esempio esaustivo.

 

Si pensi al coniuge creditore che faccia domanda di sequestro ex art. 156 sui beni del coniuge obbligato.

 

Ebbene nulla osta, ma ripeto è un mio parere, nel vuoto anche della prassi, che il coniuge convenuto per la domanda di sequestro, proponga in alternativa al tribunale la istituzione di un trust avente ad oggetto i beni necessari a garantire l’adempimento, chiedendo ad esempio che un terzo venga nominato trustee, ottenendo l’effetto, a suo esclusivo vantaggio, di non subire il vincolo cautelare sul restante suo patrimonio.

 

Simile domanda ritengo possa essere accolta e, essendo frutto di un atto di determinazione volontaria del coniuge (che diventa disponente) il problema dell’art. 20 nemmeno si pone.

 

A maggior ragione poi la domanda sarà ancor più meritevole di considerazione, laddove il coniuge convenuto precisi che nel trust istituito venga comunque imposto al trustee di provvedere laddove, nel tempo futuro, l’assegno alimentare venisse ad aumentare e quindi, in sostanza, trasferendo beni in trust sufficientemente capienti anche in questa evenienza.