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Putin e l’occidente: questione di valori

La guerra e le sue conseguenze sono programmate e volute
Vladimir Putin
Vladimir Putin

Putin e l’occidente: questione di valori

Dall’inizio della guerra ho maturato una convinzione e una impressione.

La convinzione: al tavolo da poker sono seduti un fuoriclasse e un branco di dilettanti e il bello è che i dilettanti pensano di essere più furbi del fuoriclasse, che abbia il fiato corto, abbia fatto male i conti e che si alzerà presto dal tavolo, per sfinimento.

L’impressione: USA e Nato (non parliamo di UE) sono sempre state due passi indietro a Putin, pur avendo tutte le informazioni in anticipo, in parte divulgate al pubblico. Emblematico di questo pazzo occidente che sa tutto (o crede di sapere) ma si perde il senso, eccesso di informazione e deficit di decisione. Il fatto stesso che ci si domandi dove e quando si fermerà Putin significa che il bastone del comando l’ha lui. Ha giocato sin dall’inizio come il gatto col topo.

Incominciamo col dire che quella di Putin non è una scommessa. Tutti i commentatori sono concordi almeno in questo: Putin si è preparato da anni: sul piano politico, industriale, mediatico, economico e militare. Si trattava solo di attendere il momento opportuno. Possiamo forse sovrappesare certi eventi, ma non possiamo dubitare che strategia anti-Covid, ritirata indecorosa dall’Afghanistan, mollezza di Biden e dell’occidente e inconsistenza dell’UE siano stati considerati come tante luci verdi.  

Sul piano politico la memoria o troppo corta o troppo lunga dell’occidente dovrebbe provare a ricordare cosa è successo appena qualche mese fa in Kazakistan. Putin concepisce gli stati attorno alla Russia come stati satelliti sotto il suo controllo, non come stati neutrali, tanto meno come democrazie. Il suo è un disegno politico che ha trovato il pretesto della Nato a cui noi siamo disposti a dare credito.

Orlando Figes ha scritto su The Spectator l’8 marzo: “Putin’s aim is to destroy Ukraine as a sovereign nation and restore it as a vassal of ‘historic Russia’ – his twisted vision of the ‘family of peoples’ living in the lands of Russia, Ukraine and Belarus from the time of Kievan Rus in the first millennium. Putin’s war is a war over history. But his history is fantasy. … Ukraine has a special place in this view of history. It was both a ‘borderland’ (the meaning of the Slav word ‘ukraina’) and a conduit for western ideas in Russia. That was why the tsars banned Ukrainian-language publications in the nineteenth century. They feared Ukrainian nationalism as a democratic force. Putin likewise fears Ukraine. A burgeoning democracy on his doorstep represents a challenge to his regime in Russia”.

Dunque la guerra non è come alcuni hanno ipotizzato un segno estremo di debolezza, un azzardo tentato da un leader che cerca affannosamente di recuperare credito verso la propria opinione pubblica. Al contrario la guerra e le sue conseguenze sono programmate e volute.

In realtà Putin non ha neppure dovuto fare molta fatica per prevedere le mosse dell’occidente. Biden e tutti i leader (forse sarebbe opportuno abolire questa parola dal nostro vocabolario) non hanno fatto intendere, hanno proprio detto chiaro e tondo che nessuno paese occidentale avrebbe mandato i propri uomini (opsss devo dire anche donne) a morire per l’Ucraina. Escludendo dunque i boots on the ground l’unica altra arma (arma?) in mano all’occidente era evidentemente quella delle sanzioni. Tutto previsto. Per questo possiamo scordarci che le sanzioni abbiano un effetto su Putin a breve, medio e lungo termine. E mi riferisco anche alla auspicata defenestrazione.

Ci siamo fatti l’idea che il tempo giochi dalla nostra parte, invece gioca dalla sua. O meglio, dalla loro, non sarà una guerra per procura (cinese)?

La verità è che mentre Putin sa tutto di noi, noi non sappiamo nulla di lui. Soprattutto non sappiamo dove e quando si fermerà ma quel che è certo è che ha un piano e non sono così convinto che questo sia stato rallentato/sconvolto dalla resistenza Ucraina.

Forse lo faccio più lucido di quello che è, ma sulla base delle informazioni che tutti abbiamo mi lancio in una ipotesi: può avere propagandato ai propri militari la guerra lampo (quale leader alla vigilia di una guerra fa diversamente?) ma sapeva e voleva una guerra lunga. Perché voleva? ipotizzo una risposta: milioni di profughi in Europa, svuotamento dell’Ucraina. La sua è la strategia del soffocamento e, ripeto, dello sfinimento.

Si siederà seriamente al tavolo delle trattative quando avrà ottenuto i suoi obiettivi. Per ora si tratta di un balletto per prendere tempo e che illude tutti e rende evidente chi comanda la partita.

Per quello che possiamo intuire la partita non è solo territoriale, di allargamento di confini e di creazione di stati satelliti-cuscinetto (Mar Nero, Ucraina, Transnistria, Moldavia, Repubbliche Baltiche) ma affermazione di una concezione del potere, in un certo senso di civiltà.
 

Putin: non ricerca di equilibrio ma di egemonia.

Ecco perché non mi sembra appropriato parlare di lancette della storia riportate indietro nel tempo ma semmai di accelerazione repentina. La storia non ha mai corso velocemente come negli ultimi anni. Al confronto, le rivoluzioni passate viaggiavano con passo da tartaruga.

In questo contesto tragico l’occidente sta dando una prova a dir poco imbarazzante. Nel deserto dei valori si fa strada la cultura del piagnisteo che mette in evidenza le colpe dell’occidente, la cultura della pace con lo sventolio lacrimoso di bandiere arcobaleno, la cultura liberticida che rende pan per focaccia visto che non è capace di fare altro, la cultura dell’armatevi e partite.

Non voglio entrare in questo triste gioco di società che si muove tra pezzetti di storia, stralci di geopolitica, battaglioni di SS, territori contesi, strette di mano, dispetti a direttori d’orchestra e a intere orchestre, embarghi elastici, sanzioni semi-suicide, patenti di presentabilità, oligarchi buoni e cattivi, visite nottetempo ad ambasciatori, vuoti proclami, abbassamento del riscaldamento in casa, equilibri nucleari, interruttore chiuso ai media, esperti sì ed esperti no, filoputiniani bannati, groupies di questa o quella parte. Insopportabile retorica pari all’insopportabile cinismo di quelli per cui solo gli esperti possono parlare.
 

Putin: la partita andava giocata diversamente e lo scopriremo troppo tardi.

Tutto ciò aumenta il mio senso di disorientamento.

Forse l’interrogativo che ci dovremmo veramente porre non è tattico (perché di tattica si muore e questo i nostri democristiani e centristi lo dovrebbero sapere bene) ma strategico, dobbiamo cercare – per non essere sempre in ritardo sugli altri – di vedere le cose dall’alto.

Quali valori oggi ha l’occidente? quali valori promuove e difende? e fino a che punto è disposto a spingersi per difenderli?

Da tempo me lo domando (in realtà in vista della programmata conquista di Taiwan).

L’inverno della democrazia è conseguenza del fatto che i pozzi sono prosciugati e su questo Russia e Cina ci marciano e ci prendono pure in giro e le altre potenze regionali se lo segnano nel taccuino.

Rischiamo di avere finito la merce più preziosa da esportare. La nostra forza – con tutte le semplificazioni del caso – è di aver metabolizzato – o almeno cercato di – Atene e Sparta, il mercante e il cavaliere, il tutto sotto l’ombrello e con l’orizzonte cristiano (si può ancora dire?). Ne siamo ancora consapevoli?

Sarà un caso che questa accelerazione della storia arriva mentre siamo fiaccati da due anni di repressione della libertà, dai venti gelidi della cancel culture, dall’affermarsi dello psicanalista collettivo, dalla devastazione del progressismo, dal cortocircuito del dirittismo, dal centralismo statalista di stampo comunitario, dai sofismi del transumanesimo, dall’affermazione del *?

Queste sono le colpe dell’occidente che producono tutto il resto.

Siamo noi i vasi di coccio, e non mi riferisco (solo) alla questione energetica e militare. Siamo proprio inflacciditi, in realtà siamo morti da un pezzo. Per carità di patria non entro nel merito dei dibattiti del parlamento Ue e del parlamento italiano prima e durante questa immane tragedia. Sono sotto gli occhi di tutti, ma non li vediamo, presi dalla preoccupazione di “interpretare”.

Se proprio vogliamo cercare le colpe/ragioni di questa guerra, invece che pensare all’equilibrio delle minacce e delle testate nucleari (forse ci siamo scordati di quelle che circolano nei nostri mari), guardiamoci alle spalle e cerchiamo di comprendere chi siamo e chi vogliamo essere. Mi rendo conto che sia un programma troppo vasto che nessuno ha voglia di percorrere fino in fondo. Figuriamoci oggi che sui media prevale l’enfasi per la ritrovata unità e la forza europea, pura follia sulla quale si baloccano i nostri giornali (menzione d’onore a Il Foglio), oggi con la foto dei nostri piccoli uomini (e donne, per carità) che appaiono ancora più piccoli/e a Versailles.

Qualche incauto commentatore ha fatto il nome di Reagan, col rischio di essere sbertucciato dal mondo liberal. Non è nostalgia del passato, è il rimpianto per l’etica viva e forte dalla quale proveniva e alla quale si era formato.

In questa terra desolata si fa fatica a cogliere segni di speranza, se si guarda per terra. Bisogna forse alzare lo sguardo, per quanto possa apparire folle all’uomo materialista di oggi. Ai miei amici progressisti-radicali – e a tutti naturalmente – consiglio di approfondire la storia delle apparizioni di Fatima e della consacrazione della Russia al cuore immacolato di Maria. Non è necessario credere per avere speranza.