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Qualcosa è cambiato?

La vita prima
Ph. Cinzia Falcinelli / La vita prima

“Le manine igienizzate quante cose sanno fare”. 

Questo sarebbe stato l’incipit della filastrocca se fosse stata concepita adesso.  

Chi inizia ora a costruire ricordi, avrà questa forma mentis in cui inserirà dettagli da cui probabilmente genererà inventiva condizionata?

Ci stringeremo ancora la mano per salutarci?

Le opere che ci vengono dal corredo creativo della vita precedente hanno una forma settica che mal si adegua al contesto attuale. 

Osservando un’opera d’arte come la Creazione di Adamo per esempio, si possono cogliere dettagli che suggeriscono pensieri nuovi: le dita mantengono un poco di distanza, non si toccano veramente, superando l’esame di adeguatezza al consentito

Si tende, invece, a coprire gli occhi ai bambini davanti allo Studio di mani di Nicolas de Largillière.

Guardando un film, uno spot, un video musicale o anche leggendo in un romanzo “e così afferrò con dolcezza le sue mani”, scatta l’operazione “calcola il percorso” che le mani hanno compiuto prima di toccarsi.

Per esempio, se prima del Covid 19 in un film poteva tollerarsi la disattenzione di una scena in cui uno entra e si siede ad una tavola apparecchiata, senza una sciacquatina alle mani, come l’ossessivo compulsivo Melvin alla prima cena fuori con Carol in Qualcosa è cambiato, ora lo spettatore avvertirebbe prurito. 

O nelle scene di abbracci, l’operazione “calcola il percorso” può provocare un irrigidimento del collo in chi guarda, come a voler allertare, seguìto da un lieve spostamento della seduta sul divano, con una stretta alla copertina. 

Come quando, una volta, stavano per segnare un rigore, o come qualcuno che sul sedile del passeggero frena coi piedi all’approssimarsi di una certa velocità.

E se qualcuno piange e si avventa sul petto di qualcun altro cercandone conforto, il calcolo va sui droplet che vengono fuori dall’urlo di disperazione e il costo in rischi delle lacrime.

Se Paul Verhoeven avesse girato nel 2020, prima dell’interrogatorio non avrebbero detto a Catherine: “In quest’ufficio è vietato fumare, signorina Tramel” ma l’avrebbero redarguita perché non indossava la mascherina.

Alanis Morrisette non avrebbe scelto “Hands clean” come titolo se anziché il 2002 fosse stato il 2020; avrebbe creato senz’altro aspettative differenti sul tema del testo

Tangentopoli sarebbe stata solo tangentopoli per i giornalisti.

Se gli ideali precedenti parlavano di seguire il proprio cuore, ora il cuore è scalzato dalla sopravvivenza.

Il payoff “Chi ama, baci” ora dovrebbe essere sostituito con “Chi ama Baci, fondenti o al latte”. 

Da amare a tutti i costi, ad amare senza rischi; segui il tuo cuore se il percorso è igienico. 

Un ordine naturale sovvertito, almeno in quelle parti di mondo in cui si poteva dare per scontata la sacralità dell’onorare ogni evento lieto e di piangere i propri cari.

Gli ultimi saluti non dati, gli occhi arresi alla solitudine dell’ultima luce senza carezze sono drammi che altre parti di mondo vivono costantemente, combattendo altre guerre. 

Ma non è certo una condivisione che consola. Abbiamo fatto come loro, ingoiato dolore in nome dell’andare avanti.

Il senso pratico aiuta la sopravvivenza, ma toglie la poesia; vuoi o non vuoi, il più delle volte la toglie. La linfa nuova che ci viene dall’arte, dalla cultura, dagli incontri, dagli affetti è stata affidata agli schermi.

Ci tornerà la voglia di aggregazione? 

La abbiamo già, certo, ma ci tornerà la spontaneità nel farlo?

Ci rimarrà un’apnea da tensione nel contatto, nella folla? Continuerà a vivere latente come una colpa, o come certe forme di pregiudizio da cui alcuni sono liberi, e che altri scambiano con la prudenza, o tacciono per pudore ma non ne sono scevri e altri sciorinano fieri? 

In questo lungo periodo di costrizione su modelli di vita tanto inconsueti alcune forme di creatività sono esplose. Ma è sull’implodere della possibilità di condividere che nascono gli interrogativi.

Guardare alle immagini di vita passata per restare ancorati ai ricordi di feste, teatri, cinema, concerti, musei, cortei, compleanni, e pure funerali, sta cominciando a soffocare. Ne abbiamo bisogno per ricordarci che la nostra normalità è quella, ma col risultato che sembra rappresentare invece un carattere di eccezionalità, e questo spaventa.

È più incoraggiante guardare verso luoghi del mondo dove l’incubo allenta la presa a viso scoperto: in Nuova Zelanda, all’Electric Avenue Festival, 25.000 persone senza mascherine e mischiate senza distanza, hanno urlato e gioito sotto un palco celebrando la libertà. Li guardiamo, un po’ li invidiamo ma ci diciamo che torneremo come prima, forse. Abbiamo un disperato bisogno di presente, futuro e anima viva.

In parti del mondo come la nostra, la costrizione si prospetta più dura e duratura. Quanto il tempo determinerà un incancrenirsi dei nuovi modelli mentali e quanto porterà ad evoluzioni inattese è difficile da dirsi.

Di certo siamo andati avanti malgrado la conoscenza di orrori ben più spaventosi; eppure, spesso dobbiamo fermarci e ricordarli certi mostri, per non dimenticare dando così spazio all’insinuarsi del pericolo subdolo. 

Ma la peculiarità di questa battaglia è l’averci fatto avere paura di dare e ricevere l’abbraccio dei fidenti e fidati, che consolava in altre confusioni, perché non sappiamo se il nemico è in noi.

Curioso che il rosso, che impone maggiore isolamento, sia il colore della passione e dell’istinto nel feng shui, del comunismo nella politica.

C’è sempre la firma del beffardo nella tragedia.

Che questa lunga notte non sia nera più del nero, prepariamo secchi di vernice, anche se non possiamo stare mani nelle mani. Un saluto a Riccardo.