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Quando la pena non realizza né giustizia né sicurezza

Pena
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Il nostro legislatore ha impostato l’ordinamento penale in una modalità univoca, prevedendo per tutti i tipi di reato come unica pena possibile il carcere.

Per riflettere sulla efficacia della sanzione carcere tout court, partirò da un caso pratico.

Vi racconto la storia di un processo “normale”, uno dei tanti che affollano le nostre aule di giustizia. Oltre che del processo, parleremo della pena, diretta conseguenza del procedimento, ma soprattutto della storia di un uomo, per non dimenticare che dietro ogni fascicolo processuale c’è la vita di una persona.

Nell’estate del 2003, un ragazzo tossicodipendente di 22 anni commette tre rapine armato di un taglierino. All’epoca dei fatti, vive per strada di espedienti e reati per procurarsi i soldi per la droga.

Viene arrestato e dopo circa 5 mesi liberato in attesa di giudizio.

Nel maggio del 2006, il Gup del tribunale di Roma lo rinvia a giudizio davanti alla sezione I del Tribunale penale collegiale di Roma, la prima udienza è fissata per il 19 settembre 2066.

Il processo si snoda in numerose udienze e rinvii, per esaminare i molti testi e si arriva alla sentenza del 7 luglio 2014, sono trascorsi 8 anni dall’inizio del processo e 11 anni dai fatti.

Viene interposto appello, la Corte di appello di Roma pronuncia la sentenza il 16 febbraio 2018, condanna ad anni 5 di reclusione per una delle rapine ed assoluzione per le altre due in contestazione.

La sentenza diviene definitiva nel febbraio del 2020, a distanza di 17 anni dalla data di commissione del reato.

Il ragazzo di allora è oramai un uomo maturo e viene arrestato e condotto in carcere per scontare la sua pena.

Quest’uomo oggi è un’altra persona, ha risolto i suoi problemi di tossicodipendenza, lavora come fornaio, è sposato con due figli minori e conduce una vita regolare. Per usare un lessico sociologico-giuridico, si è perfettamente “integrato nella comunità sociale”.

Ma tutto ciò verrà vanificato e spazzato via, dal nostro sistema punitivo-afflittivo che prevede la pena quale unico strumento di risposta al reato.

L’interrogativo retorico che pongo, in questo caso, la pena carcere svolge una funzione rieducativa?

Vieni chiamato a scontare una pena a distanza di 17 anni dalle condotte criminose, la tua vita si interrompe e devi rivivere una realtà criminogena (il carcere) che non ti appartiene più.

Nel caso concreto, l’uomo ha perso il suo lavoro, il rapporto coniugale si è incrinato, le difficoltà economiche hanno travolto il suo nucleo familiare. Quando avrà scontato la sua pena, sarà rieducato o diseducato dalla esperienza carceraria vissuta come ingiusta, in considerazione del lasso temporale che intercorre dalla condotta al castigo.

Riflettiamo su questo paradosso giudiziario e comprendiamo la situazione critica in cui versa il sistema sanzionatorio attuale.

Purtroppo, l’opinione pubblica viene facilmente “conquistata” dal politicante e dal giornalista manettaro di turno che invocano i ferri e la galera come la panacea di tutti i mali.

Ma un’altra via è possibile ed è magnificamente spiegata dal libro: “Partire dalla pena” edito da Liberilibri, scritto da tre magistrati (Silvia Cecchi, Giovanna Di Rosa e Tomaso Emilio Epidendio) che pur nelle loro diverse prospettive, avvertono la necessità di un mutamento radicale della filosofia della sanzione per elaborare strumenti più appropriati alla salvaguardia dei diritti del reo e della vittima.

Tra la giustizia punitiva e la giustizia riparativa esiste un possibile compromesso, come auspica il Professore Giovanni Fiandaca nella sua prefazione del libro, “Sulla pena, al di là del carcere”, edito da Liberilibri, scritto da Silvia Cecchi, Giovanna Di Rosa, Paolo Bonetti e Mario Della Dora. L’insigne giurista indica la necessità: … di un approccio più pragmatico che teorico”, per sollecitare riforme urgenti tese a ridurre drasticamente lo spazio della pena detentiva a favore di un ventaglio di sanzioni extracarcerarie.

I quattro autori di Sulla pena, ognuno partendo dalla propria formazione ed esperienza, prendono atto della costatata inefficacia della pena quale strumento di risposta al reato: “Se il carcere non restaura la giustizia violata e non riannoda il vincolo sociale che è stato spezzato, ma costituisce quasi sempre un ulteriore incentivo alla emarginazione e al conflitto che l’accompagna, si pone l’interrogativo difficile e inquietante su quali debbano essere le pene alternative al carcere”.

Nel libro si indica il possibile e praticabile percorso alternativo, fatto di personalizzazione della pena, di sanzioni mirate al particolare profilo psico-sociologico di ciascun reato. Tutte novità da introdurre in maniera graduale nel nostro ordinamento, ma con la consapevolezza che sono già state sperimentate in altri Stati.

Bibliografia:

Partire dalla pena, il tramonto del carcere, Silvia Cecchi, Giovanna Di Rosa e Tomaso Emilio Epidendio, editore Liberilibri, 2015.

Sulla pena, al di là del carcere, Silvia Cecchi, Giovanna Di Rosa, Paolo Bonetti, Mario Della Dora, editore Liberilibri, 2013.