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Rapporto tra responsabilità penale ed incapacità di intendere e di volere

L’interrogativo che dobbiamo porci è il seguente: il Giudice penale, quando emette una sentenza di proscioglimento nei confronti di un imputato incapace di intendere e di volere, deve qualificare giuridicamente la condotta delittuosa oppure lo stato di incapacità rappresenta un limite invalicabile davanti al quale il magistrato deve fermarsi in quanto lo stesso fa perdere ogni interesse alla vicenda processuale?

Trattasi di un problema abbastanza sottovalutato dagli operatori del diritto sopratutto per motivi di ordine pratico. Infatti nel processo penale l’ottenimento di una perizia di incapacità rappresenta uno degli obiettivi che il difensore cerca di raggiungere, sopratutto quando gli elementi indiziari a carico del proprio assistito siano talmente gravi da rendere impossibile una sentenza assolutoria. Tutto questo andrebbe bene se però ad una sentenza di proscioglimento ne derivasse la sua immediata scarcerazione…ma sappiamo che così non è!

Per questi soggetti il codice prevede il ricovero in una struttura sanitaria denominata “Ospedale Psichiatrico Giudiziario” la cui durata è proporzionata al tipo di reato commesso ed ecco quindi il problema che esce dalla porta…per rientrare dalla finestra!

Come dicevo poc’anzi la questione è poco dibattuta e quindi, in presenza di scarni riferimenti giurisprudenziali, ho dovuto attingere alla mia esperienza professionale per ricavarne spunti di riflessione.

Ebbene nei casi che ho trattato, il Giudice, in sede di motivazione della sentenza, si è limitato ad una mera descrizione del fatto senza dare ad esso una qualificazione giuridica, nonostante la formulazione di un giudizio di colpevolezza! Eppure l’incapace commette un’azione che, per quanto ovviamente depurata dell’elemento psicologico, deve allo stesso tempo trovare una sua qualificazione giuridica perchè comunque il tipo di condotta e la gravità va a riverberarsi sulla durata della misura di sicurezza da applicarsi.

Tuttavia questo argomento lascia il più delle volte insensibile il magistrato, che ritenendo esaurito il suo compito nello statuire circa l’incapacità dell’imputato, non si preoccupa di andare oltre, assolvendo così pienamente il suo ruolo; ritenendo forse che il difensore si accontenti comunque di una sentenza di proscioglimento e sopratutto operando una violazione dell’articolo 546 II comma lettera e c.p.p. (“La sentenza contiene la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si è fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie”).

Un recente caso da me affrontato renderà più chiaro quanto riferito: in presenza di una doglianza difensiva tesa a derubricare un omicidio aggravato in omicidio preterintenzionale nei confronti di un soggetto per il quale era stata dichiarata l’incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, il Giudice per l’Udienza Preliminare nessuna risposta mi ha fornito nella motivazione della sentenza, limitandosi in questa sede ad una mera descrizione storica del fatto e senza occuparsi né dei rilievi da me eccepiti circa le conclusioni della consulenza medico-legale che non escludevano affatto una eventuale preterintenzionalità della condotta dell’imputato riscontrate anche dalle dichiarazioni rese dallo stesso, né dalle palesi contraddizioni emerse dalle persone chiamate a sommarie informazioni dal P.M., circa il reale svolgimento degli avvenimenti.

Ebbene, sul punto ho presentato ricorso per Cassazione, ritenendo sussistente la violazione dell’articolo 546 II comma c.p.p. ed il cui accoglimento comporterebbe una rideterminazione della durata della misura di sicurezza con riduzione degli anni dieci, attualmente applicati, ad anni cinque.

P.S. Il processo di cui sopra si è celebrato con il rito del giudizio abbreviato che, lungi dal rappresentare un momento di esame dell’organo giudicante dell’attività di indagine del Pubblico Ministero, viene considerato dai magistrati……un “patteggiamento allargato”; evidentemente il termine “giudizio” non evoca nulla alle loro persone…ma la cosa più difficile è che, di quanto detto, il difensore ne dovrà rendere partecipe l’imputato che decide di avvalersi di tale rito!



L’interrogativo che dobbiamo porci è il seguente: il Giudice penale, quando emette una sentenza di proscioglimento nei confronti di un imputato incapace di intendere e di volere, deve qualificare giuridicamente la condotta delittuosa oppure lo stato di incapacità rappresenta un limite invalicabile davanti al quale il magistrato deve fermarsi in quanto lo stesso fa perdere ogni interesse alla vicenda processuale?

Trattasi di un problema abbastanza sottovalutato dagli operatori del diritto sopratutto per motivi di ordine pratico. Infatti nel processo penale l’ottenimento di una perizia di incapacità rappresenta uno degli obiettivi che il difensore cerca di raggiungere, sopratutto quando gli elementi indiziari a carico del proprio assistito siano talmente gravi da rendere impossibile una sentenza assolutoria. Tutto questo andrebbe bene se però ad una sentenza di proscioglimento ne derivasse la sua immediata scarcerazione…ma sappiamo che così non è!

Per questi soggetti il codice prevede il ricovero in una struttura sanitaria denominata “Ospedale Psichiatrico Giudiziario” la cui durata è proporzionata al tipo di reato commesso ed ecco quindi il problema che esce dalla porta…per rientrare dalla finestra!

Come dicevo poc’anzi la questione è poco dibattuta e quindi, in presenza di scarni riferimenti giurisprudenziali, ho dovuto attingere alla mia esperienza professionale per ricavarne spunti di riflessione.

Ebbene nei casi che ho trattato, il Giudice, in sede di motivazione della sentenza, si è limitato ad una mera descrizione del fatto senza dare ad esso una qualificazione giuridica, nonostante la formulazione di un giudizio di colpevolezza! Eppure l’incapace commette un’azione che, per quanto ovviamente depurata dell’elemento psicologico, deve allo stesso tempo trovare una sua qualificazione giuridica perchè comunque il tipo di condotta e la gravità va a riverberarsi sulla durata della misura di sicurezza da applicarsi.

Tuttavia questo argomento lascia il più delle volte insensibile il magistrato, che ritenendo esaurito il suo compito nello statuire circa l’incapacità dell’imputato, non si preoccupa di andare oltre, assolvendo così pienamente il suo ruolo; ritenendo forse che il difensore si accontenti comunque di una sentenza di proscioglimento e sopratutto operando una violazione dell’articolo 546 II comma lettera e c.p.p. (“La sentenza contiene la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si è fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie”).

Un recente caso da me affrontato renderà più chiaro quanto riferito: in presenza di una doglianza difensiva tesa a derubricare un omicidio aggravato in omicidio preterintenzionale nei confronti di un soggetto per il quale era stata dichiarata l’incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, il Giudice per l’Udienza Preliminare nessuna risposta mi ha fornito nella motivazione della sentenza, limitandosi in questa sede ad una mera descrizione storica del fatto e senza occuparsi né dei rilievi da me eccepiti circa le conclusioni della consulenza medico-legale che non escludevano affatto una eventuale preterintenzionalità della condotta dell’imputato riscontrate anche dalle dichiarazioni rese dallo stesso, né dalle palesi contraddizioni emerse dalle persone chiamate a sommarie informazioni dal P.M., circa il reale svolgimento degli avvenimenti.

Ebbene, sul punto ho presentato ricorso per Cassazione, ritenendo sussistente la violazione dell’articolo 546 II comma c.p.p. ed il cui accoglimento comporterebbe una rideterminazione della durata della misura di sicurezza con riduzione degli anni dieci, attualmente applicati, ad anni cinque.

P.S. Il processo di cui sopra si è celebrato con il rito del giudizio abbreviato che, lungi dal rappresentare un momento di esame dell’organo giudicante dell’attività di indagine del Pubblico Ministero, viene considerato dai magistrati……un “patteggiamento allargato”; evidentemente il termine “giudizio” non evoca nulla alle loro persone…ma la cosa più difficile è che, di quanto detto, il difensore ne dovrà rendere partecipe l’imputato che decide di avvalersi di tale rito!