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Reato di immigrazione clandestina

Giustificato motivo di permanenza ex art. 14 comma 5 ter del decreto legislativo 286/98 come modificato dalla legge n.94 del 15 luglio 2009

La fattispecie di cui all’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98 si integra soltanto se lo straniero extracomunitario si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal Questore oltre il termine di cinque giorni senza giustificato motivo, talchè sono fatti salvi i casi in cui la permanenza dello straniero dipenda dalla sua impossibilità di ottemperare all’ordine ovvero di farlo tempestivamente.

SOMMARIO

1. Ratio della legge 94 del 15 luglio 2009 e l’introduzione del reato di immigrazione clandestina;

2. In particolare l’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98: giustificato motivo di permanenza nello Stato nonostante il decreto di espulsione;

3. Contrasto giurisprudenziale tra la Suprema Corte e la giurisprudenza di merito in ordine al “giustificato motivo”.

1.Ratio dell’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98

La legge n. 94 del 15 luglio 2009 recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica ha introdotto importanti novità in materia di immigrazione. La ratio della legge è chiaramente ispirata alla necessità ed alla volontà di scoraggiare i flussi migratori illegali.

Il Legislatore, propendendo per la criminalizzazione dell’immigrazione clandestina, ha, all’art. 1, comma 16, della legge 94 del 2009 introdotto un nuova figura di reato.

Si tratta dell’ “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”. Tale norma viene inserita nell’art. 10 bis del Decreto Legislativo 286 del 1998, sanzionandolo con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, per lo straniero che faccia ingresso o si trattenga nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del T.U. nonché di quelle di cui alla L. 68 del 2007 (che riguarda i soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio).

Le fattispecie descritte dalla nuova norma incriminatrice sono due: l’ingresso illegale e la permanenza illegale sul territorio dello Stato;

Dato che l’art. 1 del T.U. 286/86 recita che “il presente T.U., in attuazione dell’art. 10 secondo comma della Costituzione, si applica, salvo che sia diversamente disposto, ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea ed agli apolidi, di seguito indicati come stranieri”, si tratta di un reato proprio.

La prima condotta (l’ingresso) verrà punita nei casi, piuttosto limitati, in cui il soggetto viene sorpreso nel momento in cui varca la frontiera o, al più, immediatamente dopo. Evidentemente il Legislatore, resosi conto che tale evenienza è di difficile verificazione, ha inserito una condotta alternativa (la permanenza) normalmente di più frequente e più facile riscontro.

L’ipotesi di “ingresso clandestino” concretizza un reato a consumazione istantanea, in quanto la condotta matura al momento stesso dell’ingresso illecito. Invece “la permanenza nel territorio” costituisce un reato permanente, che continua a consumarsi fino al momento in cui la condotta non viene interrotta, da un atto spontaneo del clandestino o per intervento di soggetti terzi.

Ai fini meramente definitori vengono classificate come “ingresso clandestino” le condotte incriminate: 1) l’ingresso senza passaporto o documento equivalente; 2) l’entrata senza visto nei casi in cui esso sia necessario; 3) il passaggio in Italia non attraverso i valichi di frontiera salvi i casi di forza maggiore.

Per quanto attiene, invece, ai comportamenti di “intrattenimento” irregolare, i documenti che, in base al T.U., legittimano la permanenza in Italia sono il permesso di soggiorno, la cui durata è variabile a seconda dei motivi di soggiorno (art. 5 T.U.) e la carta di soggiorno per gli stranieri stabilizzati (art. 9 t.u.). Una volta fatto ingresso nel territorio italiano lo straniero deve fare richiesta di permesso di soggiorno al Questore entro otto giorni dal suo ingresso ed è rilasciato per le attività previste dalla normativa sui visti d’ingresso (art. 5 comma 2 del t.u.). Quando l’ingresso è motivato da ragioni occupazionali il permesso di soggiorno è subordinato alla conclusione di un contratto di lavoro secondo quanto stabilisce la legge 189 del 2002. Non è richiesto, invece, il permesso di soggiorno quando il soggiorno non duri oltre tre mesi e quando sia motivato da ragioni di studio, affari, turismo, visite, ecc.

Al fine di provare la responsabilità dello straniero per tale reato, la Pubblica accusa dovrà dimostrare che lo straniero soggiornava sul nostro territorio da più di otto giorni lavorativi atteso che l’art. 5, comma 2 del D.lgs. 286/98 prevede che il permesso di soggiorno debba essere richiesto entro otto giorni lavorativi dall’ingresso. Del resto lo straniero, ai sensi dell’art. 4 del D.lgs. citato, può entrare nello Stato con il passaporto o documento equipollente e il visto di ingresso rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello stato di origine. Dunque la prova della durata della permanenza potrà ricavarsi dal visto apposto sul passaporto, ma se lo straniero non lo esibisce tale accertamento non sarà possibile, tuttavia egli dovrà rispondere del reato di cui all’art. 6, comma 3, D.lgs. 286/98.

La Polizia Giudiziaria, accertata la presenza di un immigrato clandestino sul territorio dello Stato, che vi abbia fatto appena ingresso illegalmente ovvero la cui permanenza illegale si sia protratta sul territorio dello Stato, dovrà chiedere l’autorizzazione al Pubblico Ministero, stante l’evidenza della prova, e presentare immediatamente l’imputato a giudizio dinanzi al Giudice di Pace. Il rito, denominato “a presentazione immediata”, presenta tutte le caratteristiche tipiche del rito direttissimo, fondato sulla flagranza del reato o sulla sua prova evidente.

Il nuovo art. 62 bis del D.Lgs. 274/2000 prevede che il Giudice di Pace possa applicare la misura amministrativa dell’espulsione in luogo della condanna.

2. In particolare l’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98: giustificato motivo di permanenza nello Stato nonostante il decreto di espulsione

Ai sensi dell’art. 14 comma 5 ter T.U. immigrazione “Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal Questore ai sensi del comma 5-bis, é punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione é stata disposta per ingresso illegale sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno se l’espulsione é stata disposta perché il permesso di soggiorno é scaduto da più di sessanta giorni e non ne é stato richiesto il rinnovo. In ogni caso si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.”

La Corte Costituzionale aveva in più occasioni[1] (riguardo alla assenza di giustificato motivo, richiesta per la integrazione del fatto reato e quando il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter d.lgs. n. 286 del 1998 era ancora una contravvenzione) osservato che - alla luce sia delle finalità dell’incriminazione sia del quadro normativo in cui tale finalità si innesta - la clausola imponeva di escludere la configurabilità del reato in presenza di situazioni ostative che, anche senza integrare delle cause di giustificazione in senso tecnico, incidevano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; che, di conseguenza, attribuisce rilievo alla condizione tipica del "migrante economico".

Ad acclarare tale principio in un recente decisum[2] La Corte costituzione ha espressamente riconosciuto che si tratta del lume basilare principio “ad impossibilia nemo tenetur": la formula "senza giustificato motivo" tuttavia finisce"..per comprimere sensibilmente, in fatto, le capacità di presa della norma incriminatrice, giacché l’ordine di allontanamento dovrebbe essere emesso, in surroga dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, proprio nelle situazioni in cui il destinatario versa in una situazione di rilevante difficoltà ad adempierlo"; Ciò dipende dall’architettura complessiva della nuova disciplina dell’espulsione e può soltanto incidere sulla valutazione della opportunità delle scelte politico-criminali ad essa sottese.

Riconoscendo la Corte costituzionale[3] che il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell’ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale costituisce "..grave problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica né sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione..."; e che "...il quadro normativo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa"; e che nell’ambito di estremo rigore che ha acquisito in particolare la fattispecie in esame, il requisito negativo espresso dalla formula "senza giustificato motivo" svolge, come già ricordato, un significativo ruolo riequilibratore coprendo "tutte le ipotesi di impossibilità o di grave difficoltà (mancato rilascio di documenti da parte dell’autorità competente, assoluta indigenza che rende impossibile l’acquisto di biglietti di viaggio e altre simili situazioni), che, pur non integrando cause di giustificazione in senso tecnico, impediscono allo straniero di prestare osservanza all’ordine di allontanamento nei termini prescritti".

La norma de quo non definisce in alcun modo il "giustificato motivo" né fornisce criteri per determinarlo, così lasciando deliberatamente all’interprete il compito di individuarne i casi nella consapevolezza della infinita varietà di situazioni oggettive e soggettive.

Premessa l’estrema indeterminatezza del concetto di "giustificato motivo", deve tuttavia ritenersi che esso abbracci in realtà situazioni molto più ampie (sia oggettive che soggettive) rispetto allo "stato di necessità" ovvero alle ordinarie "cause di giustificazione".

Ad ogni modo, sia il T.U. 286/1998 che la stessa Costituzione offrono spunti ermeneutici per circoscriverne il significato con riferimento in particolare ai diritti fondamentali della persona da salvaguardare in ogni caso. E pertanto, in tale ottica, "giustificati motivi" di mancata esecuzione dell’ordine del Questore potranno attenere, a titolo esemplificativo, all’esigenza di ricevere "soccorso" sanitario ovvero all’indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, o ancora al fatto stesso di essere lo straniero in attesa di rilascio da parte dell’autorità. Analogamente, "giustificati motivi" normatvamente rilevanti possono attenere anche a situazioni soggettive e condizioni personali (quali ad esempio persona obbligata da terzi alla prostituzione impedita dagli sfruttatori all’allontanamento; condizioni precarie di salute incompatibili con un viaggio difficoltoso; stato di gravidanza ovvero necessità di accudire un figlio sotto i sei mesi, oppure la convivenza con parente o coniuge di nazionalità italiana).

Nè può escludersi che "giustificato motivo" del trattenimento sia pure l’esposizione nel Paese di destinazione a concreti e fondati rischi di applicazione della pena di morte ovvero di persecuzione per motivi di razza, di opinioni politiche etc.

Infine, va da sè che "giustificato motivo" sarà la sussistenza di una delle situazioni che impediscono l’espulsione cristallizzate nell’art. 19 T.U. 286/1998, ovvero della situazione di divieto di espulsione nascente dalla pendenza di procedura di sanatoria/emersione dal lavoro irregolare di cui alle leggi 189 e 222 del 2002, situazioni che siano state in qualche modo trascurate al momento dell’emanazione del decreto di espulsione.

La sussistenza del "giustificato motivo" ovvero la mancanza, insufficienza, contraddittorietà della prova della sua insussistenza, induce alla pronuncia assolutoria sotto il profilo psicologico "perché il fatto non costituisce reato”.[4]

3. Contrasto giurisprudenziale tra la Suprema Corte e la giurisprudenza di merito in ordine al “giustificato motivo”

La recente decisione della Corte di Cassazione n. 4683 del 18 gennaio 2007 rappresenta il consolidamento di un indirizzo restrittivo in ordine al “giustificato motivo” ex art. 14 comma 5 ter T.U. immigrazione, e non collima con il diverso orientamento prevalente della giurisprudenza di merito.

Il decisum della Suprema Corte approfondisce la figura del c.d.”migrante economico”.

I giudici di merito vengono stimolati ad un vaglio critico delle allegazioni di parte, lungo una linea di rigoroso accertamento della condizione di concreta inesigibilità dell’inottemperanza.

Viene quindi ribadito che lo straniero avrebbe un onere di allegare i fatti non conosciuti e non conoscibili dal giudice, dedotti a fondamento della causa giustificativa, ivi compresa l’assoluta impossidenza tale da impedirne l’acquisto di un titolo di viaggio.[5]

Appare configurabile la esimente del “giustificato motivo” nella sussistenza di una condizione di oggettiva ed indiscutibile indisponibilità dei mezzi necessari e sufficienti per l’acquisto del titolo di viaggio per l’allontanamento dell’obbligato. L’accertamento di tale condizione dovrà essere condotta dal giudice di merito avendo riguardo:

1) alla presumibile situazione economica dell’interessato desumibile tanto dai proventi di qualsivoglia attività egli svolga od abbia svolto in Italia, quanto dal tempo di accertata presenza irregolare dello stesso sul territorio nazionale e dalle condizioni personali di suo inserimento sociale;

2) al costo presumibile per l’acquisto del titolo di viaggio, tenendo presente che l’allontanamento deve avvenire non già, necessariamente, con rimpatrio nel paese di origine, bensì, secondo la ragionevole previsione dell’art. 14 c.5 bis del.T.U. in direzione di qualunque altro luogo situato fuori dal territorio dello Stato italiano (ben potendo emergere che lo straniero possa avere collegamenti personali con tali luoghi).

Si passerà ora in rassegna una casistica della giurisprudenza di merito volta – invece – ad ampliare le situazioni ostative all’espulsione dal territorio dello Stato.

§ Non punibile straniero in degrado o povertà che non ottempera ad espulsione

“...tenuto conto che l’imputato, colpito dall’ordine di espulsione, è senza fissa dimora, era in Italia solo da un mese al momento dell’arresto, è privo di occupazione e ha dichiarato di non avere i mezzi per tornare nel suo Paese di origine, ritiene questo Giudice che non possa affermarsi che lo stesso fosse economicamente in grado di acquistare i biglietti di viaggio per allontanarsi dal territorio dello Stato, anche sul rilievo che lo stesso ordine del Questore indica l’irreperibilità di un mezzo di trasporto. La descritta situazione di non abbienza e di condizioni di degrado può ragionevolmente integrare quel giustificato motivo che, sotteso alla permanenza sul territorio dello Stato, esclude la sussistenza del reato. Deve infatti operarsi, come affermato dalla Consulta, un bilanciamento tra l’interesse, perseguito dal legislatore, di regolare i flussi immigratori rimovendo situazioni di illiceità o pericolo correlate alla presenza dello straniero in Italia, con valori fondamentali come quello della solidarietà economica e politica che impegnano anche virtù di norme sopranazionali ormai generalmente riconosciute come costituenti diritti umani. In tale bilanciamento, a parere di questo giudice, la situazione in cui versa l’imputato (non smentita da alcuna risultanza probatoria) che ha dichiarato in sede di arresto di non sapere come fare (circostanza credibile attesa la sua situazione) non può che prevalere e l’imputato deve essere assolto.”[6]

§ Non punibile straniero per un difetto di piena comprensione del contenuto di detti atti nei destinatari

“...l’imputato, sottoposto a controllo all’interno di un cantiere edile aperto da personale della locale Stazione dei Carabinieri, risulta non avere ottemperato al provvedimento di espulsione adottato nei suoi confronti dal Prefetto per essere entrato nel territorio italiano sottraendosi ai controlli di frontiera ed all’ordine di lasciare lo Stato entro cinque giorni emesso dal Questore, atti entrambi notificati con traduzione in inglese e francese per indisponibilità di interprete di lingua turca, sua lingua madre. Ciò posto, deve osservarsi che la circostanza che l’imputato rimase in Italia in epoca successiva alla scadenza del termine entro il quale avrebbe dovuto lasciare il territorio nazionale non consente di per sé di ritenere configurabile con certezza il reato in contestazione.

Invero, si tratta di soggetto, che non risulta gravato da precedenti penali, che all’atto del controllo da cui è scaturito il presente procedimento era intento a lavorare all’interno di un cantiere edile, che non comprendeva la lingua italiana e che si trovava in Italia a soli tre giorni dalla scadenza del termine dettato dall’ordine del Questore sopra richiamato. L’attenta valutazione di tutti gli elementi sopra delineati ed in modo precipuo della esiguità del lasso temporale in cui risulta che gli imputati si trattennero sul territorio dello Stato in violazione del provvedimento di espulsione, unitamente alla considerazione della mancanza di traduzione nella sua lingua madre del decreto del Prefetto e dell’ordine del Questore determinante verosimilmente un difetto di piena comprensione del contenuto di detti atti nel destinatario, non consentono di ritenere raggiunta la prova certa della volontarietà della trasgressione in contestazione, sicché nei confronti dell’imputato deve essere pronunciata sentenza di assoluzione con la formula indicata in dispositivo....[7]”

§ Grava sulla Pubblica Accusa l’onere di dimostrare la sussistenza dell’assenza del “giustificato motivo”

“...Orbene, ai sensi dell’art. 14, co. 5 ter, D. Lgs. n. 286/98 la permanenza del cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato nonostante l’esistenza di un decreto di espulsione, assume rilevanza penale ed integra gli estremi del reato in oggetto, sol quando si tratti di una permanenza “senza giustificato motivo”.

La prova circa l’assenza di validi motivi grava sulla Pubblica Accusa: trattasi, invero, di un elemento (sia pure negativo) di esistenza del reato che come tale deve essere provato dalla parte sulla quale grava l’onere di provare la sussistenza del fatto illecito.

Nel caso di specie tale elemento di prova appare insussistente: le circostanze dell’arresto dell’imputato (trovato in possesso di alcuni cd illecitamente riprodotti) testimoniano le difficili condizioni di vita dell’imputato, il quale, in sede di convalida dell’arresto, ha esplicitamente riferito di non essersi potuto allontanare dal territorio nazionale in quanto privo di mezzi. A conferma di tanto vi è la circostanza che la perquisizione personale dell’imputato non ha portato al rinvenimento di denaro. In conclusione, la mancata prova dell’assenza di un giustificato motivo del permanere dell’imputato nel territorio nazionale, impone un proscioglimento dello stesso perché il fatto non sussiste...[8]”



[1] Corte Costituzionale sentenza n. 5 del 2004, ordinanze n. 80 e n. 302 del 2004;

[2] Corte costituzionale sentenza n. 286 del 2006;

[3] Corte costituzionale sentenza n. 22 del 2007;

[4] Giudice Monocratico del Tribunale Penale di Nola sentenza del 7.11.2005.

[5] Cass. pen. Sez. VI, 12 febbraio 2004, n. 15484 “..In tema di cause di giustificazione, incombe sull’imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell’esimente”;

[6] Tribunale di Roma, sez. I penale, sentenza 08.04.2004 n. 8525

[7] Tribunale di Modena, Sez. Pen., sentenza del 16.12.2005

[8] Tribunale di Torre Annunziata, Sez. Pen., sentenza n. 288 del 14.02.2006

La fattispecie di cui all’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98 si integra soltanto se lo straniero extracomunitario si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal Questore oltre il termine di cinque giorni senza giustificato motivo, talchè sono fatti salvi i casi in cui la permanenza dello straniero dipenda dalla sua impossibilità di ottemperare all’ordine ovvero di farlo tempestivamente.

SOMMARIO

1. Ratio della legge 94 del 15 luglio 2009 e l’introduzione del reato di immigrazione clandestina;

2. In particolare l’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98: giustificato motivo di permanenza nello Stato nonostante il decreto di espulsione;

3. Contrasto giurisprudenziale tra la Suprema Corte e la giurisprudenza di merito in ordine al “giustificato motivo”.

1.Ratio dell’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98

La legge n. 94 del 15 luglio 2009 recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica ha introdotto importanti novità in materia di immigrazione. La ratio della legge è chiaramente ispirata alla necessità ed alla volontà di scoraggiare i flussi migratori illegali.

Il Legislatore, propendendo per la criminalizzazione dell’immigrazione clandestina, ha, all’art. 1, comma 16, della legge 94 del 2009 introdotto un nuova figura di reato.

Si tratta dell’ “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”. Tale norma viene inserita nell’art. 10 bis del Decreto Legislativo 286 del 1998, sanzionandolo con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, per lo straniero che faccia ingresso o si trattenga nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del T.U. nonché di quelle di cui alla L. 68 del 2007 (che riguarda i soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio).

Le fattispecie descritte dalla nuova norma incriminatrice sono due: l’ingresso illegale e la permanenza illegale sul territorio dello Stato;

Dato che l’art. 1 del T.U. 286/86 recita che “il presente T.U., in attuazione dell’art. 10 secondo comma della Costituzione, si applica, salvo che sia diversamente disposto, ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea ed agli apolidi, di seguito indicati come stranieri”, si tratta di un reato proprio.

La prima condotta (l’ingresso) verrà punita nei casi, piuttosto limitati, in cui il soggetto viene sorpreso nel momento in cui varca la frontiera o, al più, immediatamente dopo. Evidentemente il Legislatore, resosi conto che tale evenienza è di difficile verificazione, ha inserito una condotta alternativa (la permanenza) normalmente di più frequente e più facile riscontro.

L’ipotesi di “ingresso clandestino” concretizza un reato a consumazione istantanea, in quanto la condotta matura al momento stesso dell’ingresso illecito. Invece “la permanenza nel territorio” costituisce un reato permanente, che continua a consumarsi fino al momento in cui la condotta non viene interrotta, da un atto spontaneo del clandestino o per intervento di soggetti terzi.

Ai fini meramente definitori vengono classificate come “ingresso clandestino” le condotte incriminate: 1) l’ingresso senza passaporto o documento equivalente; 2) l’entrata senza visto nei casi in cui esso sia necessario; 3) il passaggio in Italia non attraverso i valichi di frontiera salvi i casi di forza maggiore.

Per quanto attiene, invece, ai comportamenti di “intrattenimento” irregolare, i documenti che, in base al T.U., legittimano la permanenza in Italia sono il permesso di soggiorno, la cui durata è variabile a seconda dei motivi di soggiorno (art. 5 T.U.) e la carta di soggiorno per gli stranieri stabilizzati (art. 9 t.u.). Una volta fatto ingresso nel territorio italiano lo straniero deve fare richiesta di permesso di soggiorno al Questore entro otto giorni dal suo ingresso ed è rilasciato per le attività previste dalla normativa sui visti d’ingresso (art. 5 comma 2 del t.u.). Quando l’ingresso è motivato da ragioni occupazionali il permesso di soggiorno è subordinato alla conclusione di un contratto di lavoro secondo quanto stabilisce la legge 189 del 2002. Non è richiesto, invece, il permesso di soggiorno quando il soggiorno non duri oltre tre mesi e quando sia motivato da ragioni di studio, affari, turismo, visite, ecc.

Al fine di provare la responsabilità dello straniero per tale reato, la Pubblica accusa dovrà dimostrare che lo straniero soggiornava sul nostro territorio da più di otto giorni lavorativi atteso che l’art. 5, comma 2 del D.lgs. 286/98 prevede che il permesso di soggiorno debba essere richiesto entro otto giorni lavorativi dall’ingresso. Del resto lo straniero, ai sensi dell’art. 4 del D.lgs. citato, può entrare nello Stato con il passaporto o documento equipollente e il visto di ingresso rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello stato di origine. Dunque la prova della durata della permanenza potrà ricavarsi dal visto apposto sul passaporto, ma se lo straniero non lo esibisce tale accertamento non sarà possibile, tuttavia egli dovrà rispondere del reato di cui all’art. 6, comma 3, D.lgs. 286/98.

La Polizia Giudiziaria, accertata la presenza di un immigrato clandestino sul territorio dello Stato, che vi abbia fatto appena ingresso illegalmente ovvero la cui permanenza illegale si sia protratta sul territorio dello Stato, dovrà chiedere l’autorizzazione al Pubblico Ministero, stante l’evidenza della prova, e presentare immediatamente l’imputato a giudizio dinanzi al Giudice di Pace. Il rito, denominato “a presentazione immediata”, presenta tutte le caratteristiche tipiche del rito direttissimo, fondato sulla flagranza del reato o sulla sua prova evidente.

Il nuovo art. 62 bis del D.Lgs. 274/2000 prevede che il Giudice di Pace possa applicare la misura amministrativa dell’espulsione in luogo della condanna.

2. In particolare l’art. 14 comma 5 ter D.Lgs. 286/98: giustificato motivo di permanenza nello Stato nonostante il decreto di espulsione

Ai sensi dell’art. 14 comma 5 ter T.U. immigrazione “Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal Questore ai sensi del comma 5-bis, é punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione é stata disposta per ingresso illegale sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno se l’espulsione é stata disposta perché il permesso di soggiorno é scaduto da più di sessanta giorni e non ne é stato richiesto il rinnovo. In ogni caso si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.”

La Corte Costituzionale aveva in più occasioni[1] (riguardo alla assenza di giustificato motivo, richiesta per la integrazione del fatto reato e quando il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter d.lgs. n. 286 del 1998 era ancora una contravvenzione) osservato che - alla luce sia delle finalità dell’incriminazione sia del quadro normativo in cui tale finalità si innesta - la clausola imponeva di escludere la configurabilità del reato in presenza di situazioni ostative che, anche senza integrare delle cause di giustificazione in senso tecnico, incidevano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; che, di conseguenza, attribuisce rilievo alla condizione tipica del "migrante economico".

Ad acclarare tale principio in un recente decisum[2] La Corte costituzione ha espressamente riconosciuto che si tratta del lume basilare principio “ad impossibilia nemo tenetur": la formula "senza giustificato motivo" tuttavia finisce"..per comprimere sensibilmente, in fatto, le capacità di presa della norma incriminatrice, giacché l’ordine di allontanamento dovrebbe essere emesso, in surroga dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, proprio nelle situazioni in cui il destinatario versa in una situazione di rilevante difficoltà ad adempierlo"; Ciò dipende dall’architettura complessiva della nuova disciplina dell’espulsione e può soltanto incidere sulla valutazione della opportunità delle scelte politico-criminali ad essa sottese.

Riconoscendo la Corte costituzionale[3] che il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell’ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale costituisce "..grave problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica né sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione..."; e che "...il quadro normativo in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa"; e che nell’ambito di estremo rigore che ha acquisito in particolare la fattispecie in esame, il requisito negativo espresso dalla formula "senza giustificato motivo" svolge, come già ricordato, un significativo ruolo riequilibratore coprendo "tutte le ipotesi di impossibilità o di grave difficoltà (mancato rilascio di documenti da parte dell’autorità competente, assoluta indigenza che rende impossibile l’acquisto di biglietti di viaggio e altre simili situazioni), che, pur non integrando cause di giustificazione in senso tecnico, impediscono allo straniero di prestare osservanza all’ordine di allontanamento nei termini prescritti".

La norma de quo non definisce in alcun modo il "giustificato motivo" né fornisce criteri per determinarlo, così lasciando deliberatamente all’interprete il compito di individuarne i casi nella consapevolezza della infinita varietà di situazioni oggettive e soggettive.

Premessa l’estrema indeterminatezza del concetto di "giustificato motivo", deve tuttavia ritenersi che esso abbracci in realtà situazioni molto più ampie (sia oggettive che soggettive) rispetto allo "stato di necessità" ovvero alle ordinarie "cause di giustificazione".

Ad ogni modo, sia il T.U. 286/1998 che la stessa Costituzione offrono spunti ermeneutici per circoscriverne il significato con riferimento in particolare ai diritti fondamentali della persona da salvaguardare in ogni caso. E pertanto, in tale ottica, "giustificati motivi" di mancata esecuzione dell’ordine del Questore potranno attenere, a titolo esemplificativo, all’esigenza di ricevere "soccorso" sanitario ovvero all’indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, o ancora al fatto stesso di essere lo straniero in attesa di rilascio da parte dell’autorità. Analogamente, "giustificati motivi" normatvamente rilevanti possono attenere anche a situazioni soggettive e condizioni personali (quali ad esempio persona obbligata da terzi alla prostituzione impedita dagli sfruttatori all’allontanamento; condizioni precarie di salute incompatibili con un viaggio difficoltoso; stato di gravidanza ovvero necessità di accudire un figlio sotto i sei mesi, oppure la convivenza con parente o coniuge di nazionalità italiana).

Nè può escludersi che "giustificato motivo" del trattenimento sia pure l’esposizione nel Paese di destinazione a concreti e fondati rischi di applicazione della pena di morte ovvero di persecuzione per motivi di razza, di opinioni politiche etc.

Infine, va da sè che "giustificato motivo" sarà la sussistenza di una delle situazioni che impediscono l’espulsione cristallizzate nell’art. 19 T.U. 286/1998, ovvero della situazione di divieto di espulsione nascente dalla pendenza di procedura di sanatoria/emersione dal lavoro irregolare di cui alle leggi 189 e 222 del 2002, situazioni che siano state in qualche modo trascurate al momento dell’emanazione del decreto di espulsione.

La sussistenza del "giustificato motivo" ovvero la mancanza, insufficienza, contraddittorietà della prova della sua insussistenza, induce alla pronuncia assolutoria sotto il profilo psicologico "perché il fatto non costituisce reato”.[4]

3. Contrasto giurisprudenziale tra la Suprema Corte e la giurisprudenza di merito in ordine al “giustificato motivo”

La recente decisione della Corte di Cassazione n. 4683 del 18 gennaio 2007 rappresenta il consolidamento di un indirizzo restrittivo in ordine al “giustificato motivo” ex art. 14 comma 5 ter T.U. immigrazione, e non collima con il diverso orientamento prevalente della giurisprudenza di merito.

Il decisum della Suprema Corte approfondisce la figura del c.d.”migrante economico”.

I giudici di merito vengono stimolati ad un vaglio critico delle allegazioni di parte, lungo una linea di rigoroso accertamento della condizione di concreta inesigibilità dell’inottemperanza.

Viene quindi ribadito che lo straniero avrebbe un onere di allegare i fatti non conosciuti e non conoscibili dal giudice, dedotti a fondamento della causa giustificativa, ivi compresa l’assoluta impossidenza tale da impedirne l’acquisto di un titolo di viaggio.[5]

Appare configurabile la esimente del “giustificato motivo” nella sussistenza di una condizione di oggettiva ed indiscutibile indisponibilità dei mezzi necessari e sufficienti per l’acquisto del titolo di viaggio per l’allontanamento dell’obbligato. L’accertamento di tale condizione dovrà essere condotta dal giudice di merito avendo riguardo:

1) alla presumibile situazione economica dell’interessato desumibile tanto dai proventi di qualsivoglia attività egli svolga od abbia svolto in Italia, quanto dal tempo di accertata presenza irregolare dello stesso sul territorio nazionale e dalle condizioni personali di suo inserimento sociale;

2) al costo presumibile per l’acquisto del titolo di viaggio, tenendo presente che l’allontanamento deve avvenire non già, necessariamente, con rimpatrio nel paese di origine, bensì, secondo la ragionevole previsione dell’art. 14 c.5 bis del.T.U. in direzione di qualunque altro luogo situato fuori dal territorio dello Stato italiano (ben potendo emergere che lo straniero possa avere collegamenti personali con tali luoghi).

Si passerà ora in rassegna una casistica della giurisprudenza di merito volta – invece – ad ampliare le situazioni ostative all’espulsione dal territorio dello Stato.

§ Non punibile straniero in degrado o povertà che non ottempera ad espulsione

“...tenuto conto che l’imputato, colpito dall’ordine di espulsione, è senza fissa dimora, era in Italia solo da un mese al momento dell’arresto, è privo di occupazione e ha dichiarato di non avere i mezzi per tornare nel suo Paese di origine, ritiene questo Giudice che non possa affermarsi che lo stesso fosse economicamente in grado di acquistare i biglietti di viaggio per allontanarsi dal territorio dello Stato, anche sul rilievo che lo stesso ordine del Questore indica l’irreperibilità di un mezzo di trasporto. La descritta situazione di non abbienza e di condizioni di degrado può ragionevolmente integrare quel giustificato motivo che, sotteso alla permanenza sul territorio dello Stato, esclude la sussistenza del reato. Deve infatti operarsi, come affermato dalla Consulta, un bilanciamento tra l’interesse, perseguito dal legislatore, di regolare i flussi immigratori rimovendo situazioni di illiceità o pericolo correlate alla presenza dello straniero in Italia, con valori fondamentali come quello della solidarietà economica e politica che impegnano anche virtù di norme sopranazionali ormai generalmente riconosciute come costituenti diritti umani. In tale bilanciamento, a parere di questo giudice, la situazione in cui versa l’imputato (non smentita da alcuna risultanza probatoria) che ha dichiarato in sede di arresto di non sapere come fare (circostanza credibile attesa la sua situazione) non può che prevalere e l’imputato deve essere assolto.”[6]

§ Non punibile straniero per un difetto di piena comprensione del contenuto di detti atti nei destinatari

“...l’imputato, sottoposto a controllo all’interno di un cantiere edile aperto da personale della locale Stazione dei Carabinieri, risulta non avere ottemperato al provvedimento di espulsione adottato nei suoi confronti dal Prefetto per essere entrato nel territorio italiano sottraendosi ai controlli di frontiera ed all’ordine di lasciare lo Stato entro cinque giorni emesso dal Questore, atti entrambi notificati con traduzione in inglese e francese per indisponibilità di interprete di lingua turca, sua lingua madre. Ciò posto, deve osservarsi che la circostanza che l’imputato rimase in Italia in epoca successiva alla scadenza del termine entro il quale avrebbe dovuto lasciare il territorio nazionale non consente di per sé di ritenere configurabile con certezza il reato in contestazione.

Invero, si tratta di soggetto, che non risulta gravato da precedenti penali, che all’atto del controllo da cui è scaturito il presente procedimento era intento a lavorare all’interno di un cantiere edile, che non comprendeva la lingua italiana e che si trovava in Italia a soli tre giorni dalla scadenza del termine dettato dall’ordine del Questore sopra richiamato. L’attenta valutazione di tutti gli elementi sopra delineati ed in modo precipuo della esiguità del lasso temporale in cui risulta che gli imputati si trattennero sul territorio dello Stato in violazione del provvedimento di espulsione, unitamente alla considerazione della mancanza di traduzione nella sua lingua madre del decreto del Prefetto e dell’ordine del Questore determinante verosimilmente un difetto di piena comprensione del contenuto di detti atti nel destinatario, non consentono di ritenere raggiunta la prova certa della volontarietà della trasgressione in contestazione, sicché nei confronti dell’imputato deve essere pronunciata sentenza di assoluzione con la formula indicata in dispositivo....[7]”

§ Grava sulla Pubblica Accusa l’onere di dimostrare la sussistenza dell’assenza del “giustificato motivo”

“...Orbene, ai sensi dell’art. 14, co. 5 ter, D. Lgs. n. 286/98 la permanenza del cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato nonostante l’esistenza di un decreto di espulsione, assume rilevanza penale ed integra gli estremi del reato in oggetto, sol quando si tratti di una permanenza “senza giustificato motivo”.

La prova circa l’assenza di validi motivi grava sulla Pubblica Accusa: trattasi, invero, di un elemento (sia pure negativo) di esistenza del reato che come tale deve essere provato dalla parte sulla quale grava l’onere di provare la sussistenza del fatto illecito.

Nel caso di specie tale elemento di prova appare insussistente: le circostanze dell’arresto dell’imputato (trovato in possesso di alcuni cd illecitamente riprodotti) testimoniano le difficili condizioni di vita dell’imputato, il quale, in sede di convalida dell’arresto, ha esplicitamente riferito di non essersi potuto allontanare dal territorio nazionale in quanto privo di mezzi. A conferma di tanto vi è la circostanza che la perquisizione personale dell’imputato non ha portato al rinvenimento di denaro. In conclusione, la mancata prova dell’assenza di un giustificato motivo del permanere dell’imputato nel territorio nazionale, impone un proscioglimento dello stesso perché il fatto non sussiste...[8]”



[1] Corte Costituzionale sentenza n. 5 del 2004, ordinanze n. 80 e n. 302 del 2004;

[2] Corte costituzionale sentenza n. 286 del 2006;

[3] Corte costituzionale sentenza n. 22 del 2007;

[4] Giudice Monocratico del Tribunale Penale di Nola sentenza del 7.11.2005.

[5] Cass. pen. Sez. VI, 12 febbraio 2004, n. 15484 “..In tema di cause di giustificazione, incombe sull’imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell’esimente”;

[6] Tribunale di Roma, sez. I penale, sentenza 08.04.2004 n. 8525

[7] Tribunale di Modena, Sez. Pen., sentenza del 16.12.2005

[8] Tribunale di Torre Annunziata, Sez. Pen., sentenza n. 288 del 14.02.2006