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Diritti in alto mare: discrimen tra rifugiati e richiedenti asilo

Con particolare attenzione ai diritti delle persone soccorse in mare al fine di assicurare l’adozione di misure mirate a soddisfare la tutela dei loro diritti
Sommario:

1. Fondamento storico e giuridico del diritto d’asilo

2. Lo status di rifugiato

a) Casi di esclusione dallo status di rifugiato

b) Casi di esclusione dallo status di protezione sussidiaria

3. Migranti e diritto di aiuto in mare

a) Diritti delle persone soccorse in mare al fine di assicurare il rapido sbarco e l’adozione di misure mirate a soddisfare le loro necessità specifiche, in particolare nel caso di rifugiati e richiedenti asilo

b) Il contesto giuridico internazionale: obblighi del comandante;

c) Diritto internazionale marittimo: obblighi dei Governi e dei Centri di Coordinamento del soccorso;

d) Diritto internazionale dei rifugiati soccorsi in mare; e) Procedure: azione del comandante della nave

1. Fondamento storico e giuridico del diritto d’asilo

La parola "asilo" deriva dal greco "asylon" ed indica un luogo che non può essere violato, ma significa anche cosa non soggetta a cattura, protezione, quello che invece i romani indicavano come "confugium". In origine si trattava dunque di una istituzione religiosa, infatti presso i greci certi templi, considerati inviolabili, costituivano sicuri luoghi di rifugio per coloro i quali sfuggivano il potere secolare.

Il diritto di asilo è un diritto definito all’art. 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo come diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. Tale diritto non è invocabile, però, da chi sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite. A tutt’oggi non esiste ancora in Italia una legge nazionale organica sul diritto d’asilo.

La Costituzione Italiana all’art. 10 comma 3 sancisce che "lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge".

Nel 1990, con la legge Martelli (L. n. 39/90), l’Italia ha abolito la riserva geografica alla Convenzione di Ginevra del 1951 - che limitava il riconoscimento dello status ai rifugiati provenienti dall’Europa - e si è dotata di una legge che ha regolato in parte la materia d’asilo.

Nel 1998 la legge Martelli è stata poi sostituita dalla legge Turco - Napolitano sull’immigrazione (D. Lgs. n. 286/98), che comunque non ha apportato modifiche sostanziali in materia d’asilo. Nel mese di settembre del 2002 è entrata in vigore la legge Bossi - Fini (legge n. 189 del 30 luglio 2002), di modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo. La legge Bossi-Fini è stata pienamente attuata solo nell’aprile del 2005, a seguito del Regolamento attuativo del dicembre 2004 (D.P.R. 303/2004). La legge 189/2002 ha influito notevolmente sulla materia dell’asilo, in particolare attraverso l’introduzione del trattenimento facoltativo e obbligatorio per i richiedenti asilo e di una procedura d’asilo semplificata che affianca la procedura ordinaria e l’istituzione di 7 Commissioni Territoriali - incaricate di determinare lo status di rifugiato e di una Commissione Nazionale. Con la legge 189/2002, le Commissioni Territoriali hanno il compito di determinare lo status di rifugiato, mentre la Commissione centrale è ora diventata Commissione nazionale per il diritto d’asilo, con la funzione di indirizzare e coordinare le neo-istituite Commissioni territoriali.

Nel 2005 l’Italia ha anche recepito la Direttiva comunitaria 2003/9 recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Il Decreto legislativo di attuazione della direttiva – D.Lgs. 140/2005 - ha lo scopo di stabilire le norme sull’accoglienza degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato nel territorio nazionale, in linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati, in particolare la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.

Il Decreto Legislativo 30 maggio 2005, n. 140 "Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri" stabilisce che le sue finalità sono di stabilire le norme relative all’accoglienza degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato nel territorio nazionale.

Lo stesso decreto enuncia una serie di fondamentali definizioni. Ai fini del decreto s’intende per:

a) «richiedente asilo»: lo straniero richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo status dei rifugiati, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967;

b) «straniero»: il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea e l’apolide;

c) «domanda di asilo»: la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato presentata dallo straniero, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo status dei rifugiati, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967.

In ordine alle misure di accoglienza dei soggetti richiedenti asilo, il decreto prevede che “... Il richiedente asilo inviato nel centro di identificazione ovvero nel centro di permanenza temporanea e assistenza ai sensi dell’articolo 1-bis del decreto-legge, ha accoglienza nelle strutture in cui e’ ospitato, per il tempo stabilito e secondo le disposizioni del regolamento.

Inoltre il richiedente asilo, cui e’ rilasciato il permesso di soggiorno, che risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per la salute e per il sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso, con i suoi familiari, alle misure di accoglienza, secondo le norme del presente decreto. L’accesso alle misure di accoglienza e’ disposto dal momento della presentazione della domanda di asilo.

Lo stesso decreto prevede che l’accesso all’accoglienza il richiedente asilo, ai fini dell’accesso alle misure di accoglienza per sé e per i propri familiari, redige apposita richiesta, previa dichiarazione, al momento della presentazione della domanda, di essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza. Quindi la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - cui viene trasmessa, da parte della Questura, la documentazione, valutata, l’insufficienza dei mezzi di sussistenza, accerta, secondo le modalità stabilite con provvedimento del Capo del Dipartimento per libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, la disponibilità di posti all’interno del sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

La Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - provvede all’invio del richiedente nella struttura individuata, anche avvalendosi dei mezzi di trasporto messi a disposizione dal centro stesso. Gli oneri conseguenti sono a carico della Prefettura. L’accoglienza è disposta nella struttura individuata ed è subordinata all’effettiva residenza del richiedente in quella struttura, salvo il trasferimento in altro centro, che può essere disposto, per motivate ragioni, dalla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - in cui ha sede la struttura di accoglienza che ospita il richiedente. L’indirizzo della struttura di accoglienza, è comunicato, a cura della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo - alla Questura, nonché alla Commissione territoriale e costituisce il luogo di residenza del richiedente, valevole agli effetti della notifica e della comunicazione degli atti relativi al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, nonché alle procedure relative all’accoglienza, disciplinate dal presente decreto. E’ nella facoltà del richiedente asilo comunicare tale luogo di residenza al proprio difensore o consulente legale. Avverso il provvedimento di diniego delle misure di accoglienza è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente. I richiedenti asilo sono alloggiati in strutture che garantiscono:

a) la tutela della vita e del nucleo familiare, ove possibile;

b) la possibilità di comunicare con i parenti, gli avvocati, nonché con i rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, denominato «ACNUR», ed i rappresentanti delle associazioni e degli enti di cui all’articolo 11 del regolamento.

La Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - nel cui territorio è collocato il centro di accoglienza dispone, anche avvalendosi dei servizi sociali del comune, i necessari controlli per accertare la qualità dei servizi erogati. Inoltre sono ammessi nei centri, gli avvocati, i rappresentanti dell’ACNUR e le associazioni o gli enti di cui all’articolo 11 del regolamento, al fine di prestare assistenza ai richiedenti asilo ivi ospitati.

I richiedenti asilo e i loro familiari, inseriti nei servizi, sono iscritti, a cura del gestore del servizio di accoglienza, al Servizio sanitario nazionale. I minori richiedenti asilo o i minori figli di richiedenti asilo sono soggetti all’obbligo scolastico.

Qualora la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione della domanda ed il ritardo non possa essere attribuito al richiedente asilo, il permesso di soggiorno per richiesta asilo e’ rinnovato per la durata di sei mesi e consente di svolgere attività lavorativa fino alla conclusione della procedura di riconoscimento.

Il richiedente asilo, che svolge attività lavorativa, può continuare ad usufruire delle condizioni di accoglienza, nel centro assegnato e a condizione di contribuire alle relative spese. Il gestore del servizio di accoglienza determina l’entità e le modalità di riscossione del contributo, tenendo conto del reddito del richiedente e dei costi dell’accoglienza erogata. Il contributo versato non costituisce corrispettivo del servizio ed e’ utilizzato per il pagamento delle spese di accoglienza erogate a favore del richiedente che lo versa. I richiedenti asilo, inseriti nei servizi, possono frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dal programma dell’ente locale dedicato all’accoglienza del richiedente asilo.

In ordine alla revoca dell’accoglienza de richiedente diritti di asilo politico, il prefetto della provincia in cui ha sede il centro di accoglienza con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d’accoglienza in caso di:

a) mancata presentazione presso la struttura individuata ovvero abbandono del centro di accoglienza da parte del richiedente asilo, senza preventiva motivata comunicazione alla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo competente;

b) mancata presentazione del richiedente asilo all’audizione davanti l’organo di esame della domanda, nonostante la convocazione sia stata comunicata presso il centro di accoglienza;

c) presentazione in Italia di precedente domanda di asilo;

d) accertamento della disponibilità del richiedente asilo di mezzi economici sufficienti per garantirsi l’assistenza;

e) violazione grave o ripetuta delle regole del centro di accoglienza da parte del richiedente asilo, ivi ospitato, ovvero comportamenti gravemente violenti.

Qualora il richiedente asilo sia rintracciato o si presenti volontariamente alle Forze dell’Ordine o al centro di assegnazione, il Prefetto dispone, con decisione motivata, sulla base degli elementi addotti dal richiedente, l’eventuale ripristino delle misure di accoglienza. Il ripristino e’ disposto soltanto se la mancata presentazione o l’abbandono sono stati causati da forza maggiore o caso fortuito. Avverso il provvedimento di revoca e’ ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente.

Al fine di sanare questo parziale vuoto normativo nella materia de quo, si sono resi necessari interventi giurisprudenziali. Secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione inaugurato con la sentenza n. 25028/2005 della Sezione Prima Civile, la norma dell’art. 10 comma 3 della Costituzione non costituirebbe da sé sola una base giuridica idonea a disciplinare in modo stabile ed autonomo il diritto di soggiorno di un richiedente asilo nello Stato, ma offrirebbe, piuttosto, una tutela provvisoria ai richiedenti asilo, che si risolverebbe nel loro diritto di entrare nel territorio dello Stato di ottenere il permesso di soggiornarvi esclusivamente al fine di proporre domanda di riconoscimento del proprio status di rifugiato nei modi e nelle forme previste dalla vigente legislazione ordinaria, e per la sola durata del relativo procedimento. Al termine di tale procedimento, il diritto costituzionale di asilo verrebbe così in ogni caso ad estinguersi, o per intervenuta risoluzione, o, nella ipotesi di positiva conclusione del procedimento stesso, perché assorbito da una forma di protezione più ampia e più completa.

Il diritto di asilo è oggi disciplinato dal decreto legislativo n. 251/2007, adottato in attuazione della direttiva comunitaria n. 2004/83/CE, e dal decreto legislativo n. 25/2008, adottato in attuazione della direttiva comunitaria n. 2005/85/CE e successivamente modificato dal Decreto legislativo 3 ottobre 2008 n. 159 e dalla Legge 24 luglio 2009 n. 94.

Con la nuova normativa sono mutati aspetti sia sostanziali che procedurali rilevanti per i richiedenti asilo politico. La legge n. 94 del 2009 ha modificato il D.lgs. 286/2009.

Il legislatore, in detta materia, ha introdotto nuove ipotesi di reato (si pensi, tra tutte, a quella di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, di cui all’art. 10 bis del T.U. immigrazione) ed ha aggravato le pene di molte disposizioni penali già esistenti.

Con riferimento alle condizioni di ingresso dello straniero, tale ingresso non è ora consentito nel caso in cui questi non “abbia i mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno” e per il rientro nel Paese di provenienza; nel caso in cui “sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato”; nel caso, ancora, in cui sia stato condannato per taluni reati, tassativamente specificati.

Il legislatore ha poi deciso di istituire un “doppio binario” con riferimento alla gravità del fatto di reato.

Mentre, infatti, l’applicazione della pena su richiesta delle parti e la condanna con sentenza non definitiva per una serie di reati più gravi costituisce ragione ostativa all’ingresso nel territorio dello Stato; per ottenere lo stesso effetto impeditivo, occorre, invece, una condanna definitiva con riferimento ad alcuni reati “meno gravi”, relativi alla tutela del diritto d’autore, per il reato previsto dall’art. 473 c.p. (contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali) o per il reato di cui all’art. 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi).

La novella è intervenuta nella formulazione di alcune fattispecie penali.

In base all’art. 5, comma 8 bis, T.U. immigrazione, è ora punito con la reclusione da 1 a 6 anni non solo chi contraffa o altera un visto di ingresso o di reingresso, un permesso di soggiorno o un contratto di soggiorno, ovvero chi contraffa o altera documenti al fine di determinare il rilascio degli atti suddetti, ma anche chi utilizza “uno di tali documenti contraffatti o alterati”.

E’ stato riformulato anche l’art. 6, comma 3, del T.U. immigrazione, che ha implementato la pena originaria (arresto fino a un anno e ammenda fino ad € 2.000,00, in luogo dei precedenti arresto sino a sei mesi e ammenda fino ad € 413,00), con riferimento alla situazione dello straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, “non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato”.

Mentre prima della novella, oggetto della mancata esibizione era il documento identificativo ovvero il permesso di soggiorno, ora il legislatore ha inserito la congiunzione “e” tra i due titoli, a scopo evidentemente cumulativo.

L’art. 10 bis il legislatore si era spinto a criminalizzare e a sanzionare l’immigrazione clandestina tout court, essendosi limitato a sanzionare penalmente il trattenimento o il reingresso dello straniero in Italia.

Il nuovo art. 10 bis del T.U. immigrazione è stato introdotto dall’art. 1, comma16, lett. a) della l. 94/09.

Si tratta di una contravvenzione punita con la sola ammenda da € 5.000,00 ad € 10.000,00, la cui condotta tipica consiste nell’ingresso o nel trattenimento nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni contenute nello stesso D.lgs. n. 286/98 ovvero nell’art. 1 della l. 68/07 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e “studio”). Si tratta di un reato proprio, ai fini del diritto penale con tutte le conseguenze che questo tipo di reato comporta.

Con riferimento alla condotta di ingresso illegale, si è al cospetto di un reato istantaneo, che si consuma nel momento e nel luogo, in cui lo straniero entra, varcando i confini dello Stato senza averne titolo, e cioè senza essere in possesso del passaporto o di altro documento equipollente ovvero senza avere il visto d’ingresso, qualora necessario, o, ancora, quando, pur in possesso dei titoli summenzionati, entri nel nostro paese senza passare dai valichi di frontiera, salva l’ipotesi dello stato di necessità, oppure, ancora, se entra in territorio italiano, pur versando in una delle situazioni ostative all’ammissione nel nostro paese.

L’ipotesi dell’ingresso in condizioni di clandestinità è di difficile accertamento e troverà luogo nei casi, piuttosto limitati, in cui il soggetto venga sorpreso nel momento in cui varca la frontiera o, comunque, immediatamente dopo. Essendo questa fattispecie di difficile verificazione, il legislatore ha inserito nel testo della norma in esame la condotta alternativa del trattenimento, di più facile riscontro, che è reato permanente, protraendosi la sua consumazione per tutto il tempo in cui l’autore permane illegalmente sul territorio italiano.

Le due condotte previste (ingresso e trattenimento), come già ribadito, sono alternative, per cui, allo straniero che, dopo aver fatto illegalmente ingresso in Italia, vi si trattiene, deve essere contestato un solo reato. Il trattenimento illegale consegue naturalmente all’ingresso illegale e si configura, altresì, in tutti quei casi in cui lo straniero non abbia abbandonato il territorio italiano nei termini imposti dalla legislazione vigente.

Ai sensi dell’articolo 4 dello stesso T.U., lo straniero può entrare nello Stato con il passaporto o documento equipollente e il visto di ingresso rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine. La prova della durata della permanenza potrà ricavarsi dal visto apposto sul passaporto, ma se lo straniero non lo esibisce, tale accertamento non sarà possibile, però egli dovrà rispondere del reato di cui all’articolo 6, comma III, T.U. immigrazione.

Un ulteriore restringimento all’applicazione dell’art. 10 bis è determinato dalla clausola di salvezza ivi contenuta, la quale fa sì che detta contravvenzione debba ritenersi assorbita nei più gravi reati, apparentemente concorrenti, di cui agli artt. 13, comma 13 e 14, commi 5 ter e 5 quater del medesimo Testo Unico.

Diversamente da quanto previsto per il delitto previsto dall’art. 14, comma 5 ter, d.lgs. n. 286 del 1998, non è necessario che la sopravvenuta clandestinità dello straniero sia stata “certificata” dall’autorità, attraverso l’ordine di lasciare il territorio dello Stato impartito dal Questore.

Lo stesso straniero deve essere consapevole della situazione di illegalità in cui versa; perciò deve allontanarsi immediatamente dal Paese, commettendo altrimenti l’illecito di cui si tratta.

Laddove l’agente abbia effettivamente ricevuto l’intimazione ad allontanarsi, non è configurabile il concorso tra i due reati, atteso che, come ricordato, l’art. 10 bis contiene una clausola espressa di sussidiarietà, che riconduce il rapporto tra le due fattispecie nel concorso apparente di norme.

A differenza dell’art. 14, comma 5 ter, l’articolo 10 bis non contiene l’esimente del giustificato motivo.

Proprio perché reato di natura contravvenzionale, lo stesso può essere contestato anche solo a titolo di colpa (ex art. 42, comma IV, c.p., che non appare derogato dalla lettera della norma): non assume rilievo, pertanto, l’errore dell’autore della violazione in ordine all’eventuale possesso dei requisiti, che lo legittimano a soggiornare sul territorio italiano.

In deroga all’art. 13, III comma, T.U. immigrazione, il IV comma dell’art. 10 bis consente di procedere all’espulsione dell’autore dell’illecito, senza il nulla osta dell’autorità giudiziaria procedente.

Infine, in base al II comma della previsione contravvenzionale, è stato previsto che, una volta acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o dell’avvenuto respingimento, ai sensi del II comma art. 10 T.U. immigrazione, il giudice pronunzi sentenza di non luogo a procedere, peraltro non ostativa alla riproposizione dell’azione penale, nel caso di reingresso illegale dello straniero, per effetto dell’espresso rinvio all’art. 345 c.p.p., operato nel V comma dell’art. 10 bis

2. Lo status di rifugiato

Bisogna distinguere tra diritto di asilo e lo status di rifugiato. Lo status di "rifugiato" è uno status riconosciuto, secondo il diritto internazionale dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1954 , a chiunque si trovi al di fuori del proprio paese e non possa ritornarvi a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni.

Il 9 novembre 2007, invece, il Governo italiano ha emanato i decreti legislativi di recepimento della direttiva comunitaria 2004/83 recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale (c.d. “direttiva qualifiche”), nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta e della direttiva comunitaria 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (c.d. “direttiva procedura”). I due decreti modificano in maniera sostanziale le normative sull’asilo, abolendo, ad esempio, il trattenimento dei richiedenti asilo ed introducendo l’effetto sospensivo del ricorso contro il diniego della domanda d’asilo e la possibilità, anche per coloro cui è stata concessa una protezione umanitaria, di ottenere il ricongiungimento familiare.

I rifugiati hanno dunque diritto di chiedere asilo.

Secondo l’art. 1 A) della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951, rifugiato è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino o, nel caso di apolide, dal Paese dove ha la propria dimora abituale. Può chiede domanda di protezione internazionale con una istanza diretta ad ottenere lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 o lo status di protezione sussidiaria.

Il cittadino di un paese non appartenente all’Unione Europea o l’apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto rifugiato in base all’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel suo paese di origine o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un danno grave, e non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese (art. 2 comma 1 lettera g , dlgs. 251). Per danno grave deve intendersi: la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale

La domanda di protezione internazionale deve essere presentata personalmente all’ufficio di Polizia di frontiera oppure alla Questura competente per il luogo di dimora. Tale domanda, inoltrata da un genitore si intende estesa anche ai figli minori non coniugati, presenti in Italia all’atto di presentazione della stessa. Con il decreto legislativo n. 25 del 28 gennaio 2008 e la relativa circolare dell’11 marzo 2008, sono state individuate altre 3 commissioni territoriali. Le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono presiedute da un funzionario prefettizio, e composte da un funzionario della questura, un rappresentante dell’ente territoriale nominato dalla conferenza unificata stato-città ed autonomie locali, e da un rappresentante dell’UNHCR.

La commissione nazionale per il riconoscimento della protezione internazionale, ha compiti di coordinamento e di indirizzo per le commissioni territoriali; è competente per l’organizzazione di corsi di formazione, per il monitoraggio dei flussi dei richiedenti la protezione internazionale. altre competenze rilevanti riguardano la costituzione e l’aggiornamento di una banca dati informatica, contenente le informazioni utili all’esame e al monitoraggio delle richieste di asilo, la creazione e l’aggiornamento di un centro di documentazione sulla situazione socio-politica-economica dei paesi di origine dei richiedenti (coi).la commissione ha altresì poteri decisionali in tema di revoca e cessazione degli status concessi.

a) Casi di esclusione dallo status di rifugiato

Lo straniero è escluso dallo status di rifugiato se:

1) rientra nel campo d’applicazione dell’articolo 1 letta d) della Convenzione di Ginevra, ossia quando gode della protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle nazioni unite diversi dall’alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (unhcr).

quando tale protezione o assistenza cessa per qualsiasi motivo, il richiedente è ammesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale.

2) se sussistono fondati motivi per ritenere che egli:

a) abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

b) abbia commesso al di fuori del territorio italiano, prima del rilascio del permesso di soggiorno in qualità di rifugiato, un reato grave ovvero atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possano essere classificati quali reati gravi. la gravità del reato e’ valutata anche tenendo conto della pena prevista dalla legge italiana per il reato non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni;

c) si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle nazioni unite, quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle nazioni unite.

in queste ultime tre ipotesi l’esclusione si applica anche a coloro i quali istigano o concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esse previste.

d) Casi di esclusione dallo status di protezione sussidiaria

Lo straniero è escluso dallo status di protezione sussidiaria quando sussistono fondati motivi di ritenere che:

a) abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

b) abbia commesso, nel territorio nazionale o all’estero, un reato grave. la gravità del reato e’ valutata anche tenendo conto della pena, non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, prevista dalla legge italiana per il reato;

c) si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle nazioni unite, quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle nazioni unite;

d) costituisca un pericolo per la sicurezza dello stato o per l’ordine e la sicurezza pubblica. In queste ultime tre ipotesi l’esclusione si applica anche a coloro i quali istigano o concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esse previste. La commissione territoriale può adottare le seguenti decisioni:

1) riconosce lo status di rifugiato al richiedente, il quale ha diritto ad un permesso di soggiorno valido 5 anni, rinnovabile ed al documento di viaggio.

2) riconosce lo status di protezione sussidiaria al richiedente, il quale ha diritto ad un permesso di soggiorno valido 3 anni, rinnovabile (previa verifica delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento dello status) e il rilascio del titolo di viaggio per stranieri, quando sussistono fondate ragioni che non consentano di chiedere il passaporto alle autorità diplomatiche del paese di cittadinanza .

3) non riconosce alcuno status (diniego) in quanto il richiedente non è in possesso dei requisiti necessari o ricorra una delle cause di cessazione o di esclusione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, ovvero provenga da un paese di origine sicuro e non abbia addotto gravi motivi oppure la domanda è manifestamente infondata perché risulta essere stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o di respingimento;

2) non riconosce alcuno status (diniego), ma, ritiene che sussistano gravi motivi di carattere umanitario; in tal caso la commissione trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 6 del t.u. 286/98.

Le decisioni sulle domande vengono comunicate per iscritto al richiedente, corredate da motivazioni di fatto e di diritto e da indicazioni sui mezzi di impugnazione ammissibili. In caso di impugnazione della decisione in sede giurisdizionale, allo straniero sono assicurate le stesse garanzie previste nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Allo straniero o al legale che lo rappresenta nonché all’avvocato di fiducia è garantito l’accesso a tutte le informazioni relative alla procedura che potrebbero formare oggetto di giudizio in sede di ricorso. Le disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di accesso agli atti amministrativi, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 si applicano sia ai procedimenti per l’esame delle domande di protezione internazionale che a quelle per il ricorso. Contro la decisione della commissione territoriale, è ammesso ricorso giurisdizionale entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui si trova la commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento.Il ricorso è ammesso anche nell’ipotesi in cui il richiedente abbia fatto domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato ed abbia ottenuto, diversamente, la sola protezione sussidiaria. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria e avverso le decisioni di revoca e cessazione degli status riconosciuti, comporta la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato. La proposizione del ricorso non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato nei confronti di coloro che:

- non sono stati ammessi alla procedura di asilo, perché la loro domanda è stata ritenuta inammissibile;

- si trovano in condizioni di trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione;

- hanno presentato la domanda di protezione internazionale dopo essere stati fermati per aver eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera o subito dopo, oppure dopo essere stati fermati in condizioni di soggiorno irregolare;

- si sono allontanati dal centro di accoglienza senza giustificato motivo;

- hanno ricevuto il rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza, dovuta alla palese insussistenza dei relativi presupposti ovvero quando risulta che l’istanza sia stata depositata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o di respingimento.

In questi casi è comunque ammessa la richiesta di sospensione del provvedimento al tribunale quando ricorrano gravi e fondati motivi. in tal caso nei 5 giorni successivi al deposito, il tribunale decide con ordinanza non impugnabile. Nel caso di una decisione di sospensione da parte del giudice, al ricorrente viene rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo e ne è disposta l’accoglienza nei centri per richiedenti asilo. Il tribunale decide con sentenza entro 3 mesi dalla presentazione del ricorso, e quindi può: o rigettare il ricorso; oppure riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria.

Avverso la decisione del tribunale, il ricorrente ed il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d’appello, con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte, a pena di decadenza, entro 10 giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. Il reclamo, tuttavia, non sospende gli effetti della sentenza impugnata. La corte d’appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi. Contro la sentenza della corte d’appello può essere proposto ricorso per cassazione, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza.

Al richiedente asilo che ha proposto il ricorso si applicano le garanzie previste dall’art. 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, tra cui il rilascio di un permesso di soggiorno per richiesta di asilo, con diritto a svolgere attività lavorativa, dopo 6 mesi dal deposito della richiesta di protezione presso la questura, ed è rinnovabile sino all’adozione della decisione in merito al ricorso. Il richiedente è ammesso al gratuito patrocinio ove ricorrano le condizioni previste dal dpr 30 maggio 2002, n. 115. in ogni caso per l’attestazione dei redditi prodotti all’estero è consentita l’autocertificazione da parte del ricorrente. Avverso le decisioni di revoca o di cessazione relative allo status di rifugiato e di protezione sussidiaria, adottate dalla commissione nazionale, è ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in relazione alla commissione territoriale che ha emesso il provvedimento con cui si è riconosciuto lo status di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione.

3. Migranti e diritto di aiuto in mare

a) Diritti delle persone soccorse in mare al fine di assicurare il rapido sbarco e l’adozione di misure mirate a soddisfare le loro necessità specifiche, in particolare nel caso di rifugiati e richiedenti asilo.

La Convenzione di Dublino stabilisce che l’Italia è competente ad esaminare una richiesta di riconoscimento dello status, nei casi di:

1. Presenza in Italia di parenti ;

2. Ingresso in Italia con permesso di soggiorno o visto italiano;

3. Ingresso irregolare (senza documenti o senza visto) in uno dei paesi dell’Unione Europea attraverso l’Italia. In questo caso l’Italia diviene responsabile in quanto primo Paese di ingresso.

Si tratta della Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 e della Convenzione sulla ricerca ed il soccorso in mare del 1979. Gli emendamenti sono stati adottati nel maggio 2004 e sono entrati in vigore il 1° luglio 2006.

Il fenomeno dell’arrivo via mare di rifugiati e migranti non è nuovo. Fin dai tempi più antichi, molte persone in tutto il mondo hanno rischiato la propria vita a bordo di navi e altre imbarcazioni, in cerca di lavoro, di migliori condizioni di vita, di opportunità di istruzione o in cerca di protezione internazionale dalla persecuzione o da altre forme di minaccia

alla propria vita, libertà o sicurezza, spesso mettendo il proprio destino nelle mani di trafficanti criminali senza scrupoli. L’espressione “boat people” è ormai entrata nel linguaggio corrente, per indicare tutti coloro che viaggiano per mare in simili pericolose condizioni.

I servizi di Ricerca e Soccorso (Search and Rescue, SAR) in tutto il mondo fanno affidamento sulle navi – per la maggior parte mercantili e pescherecci – per assistere coloro che si trovano in pericolo in mare. Attualmente, segnali di richiesta di aiuto possono essere trasmessi rapidamente grazie alle tecniche di comunicazione satellitari e terrestri, sia alle autorità incaricate della ricerca e del soccorso che si trovano sulla terraferma, sia ad imbarcazioni che si trovino nelle immediate vicinanze. L’operazione di soccorso può essere rapida e coordinata. Tuttavia, anche quando l’operazione di soccorso è stata portata a compimento, possono insorgere problemi per ottenere il consenso di uno Stato allo sbarco dei migranti e dei rifugiati, in particolare quando questi non dispongono di un’adeguata documentazione. Nel riconoscere questo problema, gli Stati membri dell’Organizzazione Marittima Internazionale (International Maritime Organization, IMO) hanno adottato emendamenti a due importanti convenzioni marittime internazionali che trattano l’argomento . Tali modifiche hanno lo scopo di assicurare che all’obbligo del comandante della nave di prestare assistenza faccia da complemento un corrispondente obbligo degli Stati di cooperare nelle situazioni di soccorso, sollevando in tal modo il comandante dalla responsabilità di prendersi cura dei sopravvissuti e di consentire agli individui che vengono soccorsi in mare in simili circostanze di essere prontamente trasferiti in un luogo sicuro.

b) Il contesto giuridico internazionale: obblighi del comandante

Il diritto internazionale prevede che il comandante ha l’obbligo di prestare assistenza a coloro che si trovano in pericolo in mare, senza distinzioni relative alla loro nazionalità, allo status o alle circostanze nelle quali essi vengono trovati. Si tratta di una consuetudine marittima di vecchia data e di un obbligo contemplato dal diritto internazionale. L’adempimento di tale obbligo è essenziale per preservare l’integrità dei servizi di ricerca e soccorso in mare. Tale obbligo si basa, tra gli altri, su due testi fondamentali:

- La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS) dispone che “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: (a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita; (b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di assistenza, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”.

- La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) obbliga il “comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…”..

c) Diritto internazionale marittimo: obblighi dei Governi e dei Centri di Coordinamento del soccorso

Diverse convenzioni marittime definiscono gli obblighi, per gli Stati parte, di assicurare l’organizzazione delle comunicazioni di pericolo e del coordinamento nella propria area di responsabilità, nonché del soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste:

- La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS) impone ad ogni Stato costiero l’obbligo di “…promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare e, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi”.

- La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte “…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie…”.

- La Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR) obbliga gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” ed a “ […] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro”.

Gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR mirano a preservare l’integrità dei servizi di ricerca e soccorso (SAR), garantendo che le persone in pericolo in mare vengano assistite e, allo stesso tempo, riducendo al minimo gli inconvenienti per la nave che presta assistenza. Essi richiedono agli Stati e alle Parti contraenti di: coordinarsi e cooperare per far sì che i comandanti delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in difficoltà in mare siano sollevati dai propri obblighi con una minima ulteriore deviazione rispetto alla rotta prevista dalla nave; e di organizzare lo sbarco al più presto, per quanto praticabile. Essi inoltre obbligano i comandanti che hanno imbarcato persone in difficoltà in mare a trattare queste ultime con umanità, compatibilmente con le possibilità della nave. Al fine di fornire una guida alle autorità di governo ed ai comandanti che si trovano a metter in pratica questi emendamenti, sono state elaborate delle Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare. Esse contengono le seguenti disposizioni: il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito. Un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove: la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale. Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative. Lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate, dovrebbe essere evitato.

Ogni operazione e procedura, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco.

d) Diritto internazionale dei rifugiati soccorsi in mare

Se le persone soccorse in mare rendono nota l’intenzione di chiedere asilo, devono essere applicati i principi fondamentali sanciti nel diritto internazionale dei rifugiati. Il comandante della nave non è responsabile della determinazione dello status delle persone a bordo, ma egli deve comunque essere a conoscenza di tali principi. O, nel caso degli apolidi, il paese nel quale aveva residenza abituale.

L’obbligo di non rinviare una persona dove vi siano fondate ragioni per ritenere che via sia un reale rischio di danno irreparabile deriva dal diritto internazionale dei diritti umani (ad esempio dagli Articoli 6 e 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966). La Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984 proibisce esplicitamente di rinviare una persona nei luoghi in cui vi siano fondate ragioni per ritenere che possa essere in pericolo di essere sottoposta a tortura.

Guida a principi e pratiche da applicarsi a migranti e rifugiati

La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 definisce come rifugiato una persona che “temendo a ragione di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadina e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. e proibisce che il rifugiato o il richiedente asilo “sia espulso o respinto - in alcun modo – verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”..

Un richiedente asilo è un individuo che è in cerca di protezione internazionale e sulla cui domanda non è stata ancora presa una decisione finale da parte del paese nel quale essa è stata inoltrata. Non ogni richiedente asilo sarà, al termine della procedura, riconosciuto come rifugiato, ma ogni rifugiato è, inizialmente, un richiedente asilo.

e) Procedure: azione del comandante della nave

Le seguenti liste si propongono di definire l’azione che deve essere intrapresa dai vari attori coinvolti nel soccorso in mare. Informare il Centro di Coordinamento del Soccorso (Rescue Coordination Centre, RCC) responsabile per la regione riguardo a:

„X la nave che presta assistenza: nome, bandiera e porto di registrazione; nome e indirizzo dell’armatore e dell’agente di questi presso il porto più vicino; posizione dell’imbarcazione, il suo prossimo porto di scalo, le sue condizioni ordinarie di sicurezza e l’attuale livello di autonomia considerando la presenza di altre persone a bordo;

„X i sopravvissuti: nome, età (se possibile), sesso; stato apparente di salute, condizioni mediche e specifiche necessità mediche;

„X le azioni compiute dal comandante o che egli intende compiere;

„X la soluzione preferita dal comandante per lo sbarco dei sopravvissuti;

„X qualsiasi aiuto necessario alla nave che presta assistenza;

„X altre informazioni particolari (es. condizioni meteorologiche prevalenti, livello di deperibilità della merce trasportata, etc. ).

Se una persona soccorsa in mare chiede asilo:

1. allertare il Centro di Coordinamento del Soccorso più vicino;

2. contattare l’UNHCR;

3. non richiedere lo sbarco nel paese d’origine della persona o nel paese dal quale la persona è fuggita;

4. non diffondere informazioni personali relative al richiedente asilo alle autorità di quel paese o ad altri soggetti che possano fornire tali informazioni alle autorità di quel paese.

Azione dei Governi e dei Centri di Coordinamento del Soccorso (RCC)

I Centri di Coordinamento del Soccorso svolgono un ruolo importante nell’assicurare l’adozione di misure per la cooperazione ed il coordinamento nell’ambito degli emendamenti alle Convenzioni SAR e SOLAS. Essi hanno necessità di mantenere efficaci programmi operativi e di coordinamento (tra agenzie o piani ed accordi internazionali se necessario), al fine di poter far fronte ad ogni tipologia di situazione di ricerca e soccorso, in particolare:

- operazioni di recupero;

- sbarco delle persone soccorse dalla nave;

- trasporto dei sopravvissuti in un luogo sicuro;

-accordi con altri enti (come, ad esempio, le dogane, le autorità responsabili dell’immigrazione e dei controlli alla frontiera, l’armatore o lo Stato di bandiera), mentre le persone soccorse si trovano ancora a bordo della nave che sta prestando assistenza, senza distinzioni relative alla nazionalità, allo status dei sopravvissuti o alle circostanze nelle quali sono stati trovati; ciò comprende il sostentamento temporaneo alle persone soccorse nel periodo in cui vengono svolte tali attività; e misure finalizzate a sollevare la nave da tali responsabilità, nel più breve tempo possibile, per evitare indebiti ritardi, oneri finanziari o altre difficoltà derivanti dall’aver assistito le persone soccorse in mare.

Ai sensi dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra è fatto divieto agli Stati di espellere o respingere i rifugiati e i richiedenti asilo verso luoghi in cui la vita o la libertà ne sarebbero minacciati per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o per la loro opinione politica. Tale principio, c.d. di non-refoulement, viene riaffermato in diversi strumenti, in particolare nell’ambito del diritto internazionale umanitario. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sancisce il diritto di non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti: la norma (art. 3) è stata a più riprese interpretata come principio che vieta l’estradizione, l’espulsione o la deportazione, il refoulement verso Stati in cui la persona correrebbe il rischio di essere sottoposta a trattamenti di tal genere. Il divieto trova applicazione anche nel caso in cui il respingimento o allontanamento avvenga verso un Paese definito intermedio, che potrebbe cioè a sua volta rinviare la persona in un territorio in cui sarebbe esposta a tale trattamento. Il divieto di refoulement quale espressione di un principio di diritto umanitario, è ormai ritenuto come un principio di diritto consuetudinario, perciò vincolante anche per quegli Stati che non abbiano sottoscritto le convenzioni che specificamente lo prevedono.

Sommario:

1. Fondamento storico e giuridico del diritto d’asilo

2. Lo status di rifugiato

a) Casi di esclusione dallo status di rifugiato

b) Casi di esclusione dallo status di protezione sussidiaria

3. Migranti e diritto di aiuto in mare

a) Diritti delle persone soccorse in mare al fine di assicurare il rapido sbarco e l’adozione di misure mirate a soddisfare le loro necessità specifiche, in particolare nel caso di rifugiati e richiedenti asilo

b) Il contesto giuridico internazionale: obblighi del comandante;

c) Diritto internazionale marittimo: obblighi dei Governi e dei Centri di Coordinamento del soccorso;

d) Diritto internazionale dei rifugiati soccorsi in mare; e) Procedure: azione del comandante della nave

1. Fondamento storico e giuridico del diritto d’asilo

La parola "asilo" deriva dal greco "asylon" ed indica un luogo che non può essere violato, ma significa anche cosa non soggetta a cattura, protezione, quello che invece i romani indicavano come "confugium". In origine si trattava dunque di una istituzione religiosa, infatti presso i greci certi templi, considerati inviolabili, costituivano sicuri luoghi di rifugio per coloro i quali sfuggivano il potere secolare.

Il diritto di asilo è un diritto definito all’art. 14 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo come diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. Tale diritto non è invocabile, però, da chi sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite. A tutt’oggi non esiste ancora in Italia una legge nazionale organica sul diritto d’asilo.

La Costituzione Italiana all’art. 10 comma 3 sancisce che "lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge".

Nel 1990, con la legge Martelli (L. n. 39/90), l’Italia ha abolito la riserva geografica alla Convenzione di Ginevra del 1951 - che limitava il riconoscimento dello status ai rifugiati provenienti dall’Europa - e si è dotata di una legge che ha regolato in parte la materia d’asilo.

Nel 1998 la legge Martelli è stata poi sostituita dalla legge Turco - Napolitano sull’immigrazione (D. Lgs. n. 286/98), che comunque non ha apportato modifiche sostanziali in materia d’asilo. Nel mese di settembre del 2002 è entrata in vigore la legge Bossi - Fini (legge n. 189 del 30 luglio 2002), di modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo. La legge Bossi-Fini è stata pienamente attuata solo nell’aprile del 2005, a seguito del Regolamento attuativo del dicembre 2004 (D.P.R. 303/2004). La legge 189/2002 ha influito notevolmente sulla materia dell’asilo, in particolare attraverso l’introduzione del trattenimento facoltativo e obbligatorio per i richiedenti asilo e di una procedura d’asilo semplificata che affianca la procedura ordinaria e l’istituzione di 7 Commissioni Territoriali - incaricate di determinare lo status di rifugiato e di una Commissione Nazionale. Con la legge 189/2002, le Commissioni Territoriali hanno il compito di determinare lo status di rifugiato, mentre la Commissione centrale è ora diventata Commissione nazionale per il diritto d’asilo, con la funzione di indirizzare e coordinare le neo-istituite Commissioni territoriali.

Nel 2005 l’Italia ha anche recepito la Direttiva comunitaria 2003/9 recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Il Decreto legislativo di attuazione della direttiva – D.Lgs. 140/2005 - ha lo scopo di stabilire le norme sull’accoglienza degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato nel territorio nazionale, in linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati, in particolare la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.

Il Decreto Legislativo 30 maggio 2005, n. 140 "Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri" stabilisce che le sue finalità sono di stabilire le norme relative all’accoglienza degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato nel territorio nazionale.

Lo stesso decreto enuncia una serie di fondamentali definizioni. Ai fini del decreto s’intende per:

a) «richiedente asilo»: lo straniero richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo status dei rifugiati, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967;

b) «straniero»: il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea e l’apolide;

c) «domanda di asilo»: la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato presentata dallo straniero, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo status dei rifugiati, modificata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967.

In ordine alle misure di accoglienza dei soggetti richiedenti asilo, il decreto prevede che “... Il richiedente asilo inviato nel centro di identificazione ovvero nel centro di permanenza temporanea e assistenza ai sensi dell’articolo 1-bis del decreto-legge, ha accoglienza nelle strutture in cui e’ ospitato, per il tempo stabilito e secondo le disposizioni del regolamento.

Inoltre il richiedente asilo, cui e’ rilasciato il permesso di soggiorno, che risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per la salute e per il sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso, con i suoi familiari, alle misure di accoglienza, secondo le norme del presente decreto. L’accesso alle misure di accoglienza e’ disposto dal momento della presentazione della domanda di asilo.

Lo stesso decreto prevede che l’accesso all’accoglienza il richiedente asilo, ai fini dell’accesso alle misure di accoglienza per sé e per i propri familiari, redige apposita richiesta, previa dichiarazione, al momento della presentazione della domanda, di essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza. Quindi la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - cui viene trasmessa, da parte della Questura, la documentazione, valutata, l’insufficienza dei mezzi di sussistenza, accerta, secondo le modalità stabilite con provvedimento del Capo del Dipartimento per libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, la disponibilità di posti all’interno del sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

La Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - provvede all’invio del richiedente nella struttura individuata, anche avvalendosi dei mezzi di trasporto messi a disposizione dal centro stesso. Gli oneri conseguenti sono a carico della Prefettura. L’accoglienza è disposta nella struttura individuata ed è subordinata all’effettiva residenza del richiedente in quella struttura, salvo il trasferimento in altro centro, che può essere disposto, per motivate ragioni, dalla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - in cui ha sede la struttura di accoglienza che ospita il richiedente. L’indirizzo della struttura di accoglienza, è comunicato, a cura della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo - alla Questura, nonché alla Commissione territoriale e costituisce il luogo di residenza del richiedente, valevole agli effetti della notifica e della comunicazione degli atti relativi al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, nonché alle procedure relative all’accoglienza, disciplinate dal presente decreto. E’ nella facoltà del richiedente asilo comunicare tale luogo di residenza al proprio difensore o consulente legale. Avverso il provvedimento di diniego delle misure di accoglienza è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente. I richiedenti asilo sono alloggiati in strutture che garantiscono:

a) la tutela della vita e del nucleo familiare, ove possibile;

b) la possibilità di comunicare con i parenti, gli avvocati, nonché con i rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, denominato «ACNUR», ed i rappresentanti delle associazioni e degli enti di cui all’articolo 11 del regolamento.

La Prefettura - Ufficio territoriale del Governo - nel cui territorio è collocato il centro di accoglienza dispone, anche avvalendosi dei servizi sociali del comune, i necessari controlli per accertare la qualità dei servizi erogati. Inoltre sono ammessi nei centri, gli avvocati, i rappresentanti dell’ACNUR e le associazioni o gli enti di cui all’articolo 11 del regolamento, al fine di prestare assistenza ai richiedenti asilo ivi ospitati.

I richiedenti asilo e i loro familiari, inseriti nei servizi, sono iscritti, a cura del gestore del servizio di accoglienza, al Servizio sanitario nazionale. I minori richiedenti asilo o i minori figli di richiedenti asilo sono soggetti all’obbligo scolastico.

Qualora la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione della domanda ed il ritardo non possa essere attribuito al richiedente asilo, il permesso di soggiorno per richiesta asilo e’ rinnovato per la durata di sei mesi e consente di svolgere attività lavorativa fino alla conclusione della procedura di riconoscimento.

Il richiedente asilo, che svolge attività lavorativa, può continuare ad usufruire delle condizioni di accoglienza, nel centro assegnato e a condizione di contribuire alle relative spese. Il gestore del servizio di accoglienza determina l’entità e le modalità di riscossione del contributo, tenendo conto del reddito del richiedente e dei costi dell’accoglienza erogata. Il contributo versato non costituisce corrispettivo del servizio ed e’ utilizzato per il pagamento delle spese di accoglienza erogate a favore del richiedente che lo versa. I richiedenti asilo, inseriti nei servizi, possono frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dal programma dell’ente locale dedicato all’accoglienza del richiedente asilo.

In ordine alla revoca dell’accoglienza de richiedente diritti di asilo politico, il prefetto della provincia in cui ha sede il centro di accoglienza con proprio motivato decreto, la revoca delle misure d’accoglienza in caso di:

a) mancata presentazione presso la struttura individuata ovvero abbandono del centro di accoglienza da parte del richiedente asilo, senza preventiva motivata comunicazione alla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo competente;

b) mancata presentazione del richiedente asilo all’audizione davanti l’organo di esame della domanda, nonostante la convocazione sia stata comunicata presso il centro di accoglienza;

c) presentazione in Italia di precedente domanda di asilo;

d) accertamento della disponibilità del richiedente asilo di mezzi economici sufficienti per garantirsi l’assistenza;

e) violazione grave o ripetuta delle regole del centro di accoglienza da parte del richiedente asilo, ivi ospitato, ovvero comportamenti gravemente violenti.

Qualora il richiedente asilo sia rintracciato o si presenti volontariamente alle Forze dell’Ordine o al centro di assegnazione, il Prefetto dispone, con decisione motivata, sulla base degli elementi addotti dal richiedente, l’eventuale ripristino delle misure di accoglienza. Il ripristino e’ disposto soltanto se la mancata presentazione o l’abbandono sono stati causati da forza maggiore o caso fortuito. Avverso il provvedimento di revoca e’ ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente.

Al fine di sanare questo parziale vuoto normativo nella materia de quo, si sono resi necessari interventi giurisprudenziali. Secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione inaugurato con la sentenza n. 25028/2005 della Sezione Prima Civile, la norma dell’art. 10 comma 3 della Costituzione non costituirebbe da sé sola una base giuridica idonea a disciplinare in modo stabile ed autonomo il diritto di soggiorno di un richiedente asilo nello Stato, ma offrirebbe, piuttosto, una tutela provvisoria ai richiedenti asilo, che si risolverebbe nel loro diritto di entrare nel territorio dello Stato di ottenere il permesso di soggiornarvi esclusivamente al fine di proporre domanda di riconoscimento del proprio status di rifugiato nei modi e nelle forme previste dalla vigente legislazione ordinaria, e per la sola durata del relativo procedimento. Al termine di tale procedimento, il diritto costituzionale di asilo verrebbe così in ogni caso ad estinguersi, o per intervenuta risoluzione, o, nella ipotesi di positiva conclusione del procedimento stesso, perché assorbito da una forma di protezione più ampia e più completa.

Il diritto di asilo è oggi disciplinato dal decreto legislativo n. 251/2007, adottato in attuazione della direttiva comunitaria n. 2004/83/CE, e dal decreto legislativo n. 25/2008, adottato in attuazione della direttiva comunitaria n. 2005/85/CE e successivamente modificato dal Decreto legislativo 3 ottobre 2008 n. 159 e dalla Legge 24 luglio 2009 n. 94.

Con la nuova normativa sono mutati aspetti sia sostanziali che procedurali rilevanti per i richiedenti asilo politico. La legge n. 94 del 2009 ha modificato il D.lgs. 286/2009.

Il legislatore, in detta materia, ha introdotto nuove ipotesi di reato (si pensi, tra tutte, a quella di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, di cui all’art. 10 bis del T.U. immigrazione) ed ha aggravato le pene di molte disposizioni penali già esistenti.

Con riferimento alle condizioni di ingresso dello straniero, tale ingresso non è ora consentito nel caso in cui questi non “abbia i mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno” e per il rientro nel Paese di provenienza; nel caso in cui “sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato”; nel caso, ancora, in cui sia stato condannato per taluni reati, tassativamente specificati.

Il legislatore ha poi deciso di istituire un “doppio binario” con riferimento alla gravità del fatto di reato.

Mentre, infatti, l’applicazione della pena su richiesta delle parti e la condanna con sentenza non definitiva per una serie di reati più gravi costituisce ragione ostativa all’ingresso nel territorio dello Stato; per ottenere lo stesso effetto impeditivo, occorre, invece, una condanna definitiva con riferimento ad alcuni reati “meno gravi”, relativi alla tutela del diritto d’autore, per il reato previsto dall’art. 473 c.p. (contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali) o per il reato di cui all’art. 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi).

La novella è intervenuta nella formulazione di alcune fattispecie penali.

In base all’art. 5, comma 8 bis, T.U. immigrazione, è ora punito con la reclusione da 1 a 6 anni non solo chi contraffa o altera un visto di ingresso o di reingresso, un permesso di soggiorno o un contratto di soggiorno, ovvero chi contraffa o altera documenti al fine di determinare il rilascio degli atti suddetti, ma anche chi utilizza “uno di tali documenti contraffatti o alterati”.

E’ stato riformulato anche l’art. 6, comma 3, del T.U. immigrazione, che ha implementato la pena originaria (arresto fino a un anno e ammenda fino ad € 2.000,00, in luogo dei precedenti arresto sino a sei mesi e ammenda fino ad € 413,00), con riferimento alla situazione dello straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, “non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato”.

Mentre prima della novella, oggetto della mancata esibizione era il documento identificativo ovvero il permesso di soggiorno, ora il legislatore ha inserito la congiunzione “e” tra i due titoli, a scopo evidentemente cumulativo.

L’art. 10 bis il legislatore si era spinto a criminalizzare e a sanzionare l’immigrazione clandestina tout court, essendosi limitato a sanzionare penalmente il trattenimento o il reingresso dello straniero in Italia.

Il nuovo art. 10 bis del T.U. immigrazione è stato introdotto dall’art. 1, comma16, lett. a) della l. 94/09.

Si tratta di una contravvenzione punita con la sola ammenda da € 5.000,00 ad € 10.000,00, la cui condotta tipica consiste nell’ingresso o nel trattenimento nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni contenute nello stesso D.lgs. n. 286/98 ovvero nell’art. 1 della l. 68/07 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e “studio”). Si tratta di un reato proprio, ai fini del diritto penale con tutte le conseguenze che questo tipo di reato comporta.

Con riferimento alla condotta di ingresso illegale, si è al cospetto di un reato istantaneo, che si consuma nel momento e nel luogo, in cui lo straniero entra, varcando i confini dello Stato senza averne titolo, e cioè senza essere in possesso del passaporto o di altro documento equipollente ovvero senza avere il visto d’ingresso, qualora necessario, o, ancora, quando, pur in possesso dei titoli summenzionati, entri nel nostro paese senza passare dai valichi di frontiera, salva l’ipotesi dello stato di necessità, oppure, ancora, se entra in territorio italiano, pur versando in una delle situazioni ostative all’ammissione nel nostro paese.

L’ipotesi dell’ingresso in condizioni di clandestinità è di difficile accertamento e troverà luogo nei casi, piuttosto limitati, in cui il soggetto venga sorpreso nel momento in cui varca la frontiera o, comunque, immediatamente dopo. Essendo questa fattispecie di difficile verificazione, il legislatore ha inserito nel testo della norma in esame la condotta alternativa del trattenimento, di più facile riscontro, che è reato permanente, protraendosi la sua consumazione per tutto il tempo in cui l’autore permane illegalmente sul territorio italiano.

Le due condotte previste (ingresso e trattenimento), come già ribadito, sono alternative, per cui, allo straniero che, dopo aver fatto illegalmente ingresso in Italia, vi si trattiene, deve essere contestato un solo reato. Il trattenimento illegale consegue naturalmente all’ingresso illegale e si configura, altresì, in tutti quei casi in cui lo straniero non abbia abbandonato il territorio italiano nei termini imposti dalla legislazione vigente.

Ai sensi dell’articolo 4 dello stesso T.U., lo straniero può entrare nello Stato con il passaporto o documento equipollente e il visto di ingresso rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine. La prova della durata della permanenza potrà ricavarsi dal visto apposto sul passaporto, ma se lo straniero non lo esibisce, tale accertamento non sarà possibile, però egli dovrà rispondere del reato di cui all’articolo 6, comma III, T.U. immigrazione.

Un ulteriore restringimento all’applicazione dell’art. 10 bis è determinato dalla clausola di salvezza ivi contenuta, la quale fa sì che detta contravvenzione debba ritenersi assorbita nei più gravi reati, apparentemente concorrenti, di cui agli artt. 13, comma 13 e 14, commi 5 ter e 5 quater del medesimo Testo Unico.

Diversamente da quanto previsto per il delitto previsto dall’art. 14, comma 5 ter, d.lgs. n. 286 del 1998, non è necessario che la sopravvenuta clandestinità dello straniero sia stata “certificata” dall’autorità, attraverso l’ordine di lasciare il territorio dello Stato impartito dal Questore.

Lo stesso straniero deve essere consapevole della situazione di illegalità in cui versa; perciò deve allontanarsi immediatamente dal Paese, commettendo altrimenti l’illecito di cui si tratta.

Laddove l’agente abbia effettivamente ricevuto l’intimazione ad allontanarsi, non è configurabile il concorso tra i due reati, atteso che, come ricordato, l’art. 10 bis contiene una clausola espressa di sussidiarietà, che riconduce il rapporto tra le due fattispecie nel concorso apparente di norme.

A differenza dell’art. 14, comma 5 ter, l’articolo 10 bis non contiene l’esimente del giustificato motivo.

Proprio perché reato di natura contravvenzionale, lo stesso può essere contestato anche solo a titolo di colpa (ex art. 42, comma IV, c.p., che non appare derogato dalla lettera della norma): non assume rilievo, pertanto, l’errore dell’autore della violazione in ordine all’eventuale possesso dei requisiti, che lo legittimano a soggiornare sul territorio italiano.

In deroga all’art. 13, III comma, T.U. immigrazione, il IV comma dell’art. 10 bis consente di procedere all’espulsione dell’autore dell’illecito, senza il nulla osta dell’autorità giudiziaria procedente.

Infine, in base al II comma della previsione contravvenzionale, è stato previsto che, una volta acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o dell’avvenuto respingimento, ai sensi del II comma art. 10 T.U. immigrazione, il giudice pronunzi sentenza di non luogo a procedere, peraltro non ostativa alla riproposizione dell’azione penale, nel caso di reingresso illegale dello straniero, per effetto dell’espresso rinvio all’art. 345 c.p.p., operato nel V comma dell’art. 10 bis

2. Lo status di rifugiato

Bisogna distinguere tra diritto di asilo e lo status di rifugiato. Lo status di "rifugiato" è uno status riconosciuto, secondo il diritto internazionale dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1954 , a chiunque si trovi al di fuori del proprio paese e non possa ritornarvi a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni.

Il 9 novembre 2007, invece, il Governo italiano ha emanato i decreti legislativi di recepimento della direttiva comunitaria 2004/83 recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale (c.d. “direttiva qualifiche”), nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta e della direttiva comunitaria 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (c.d. “direttiva procedura”). I due decreti modificano in maniera sostanziale le normative sull’asilo, abolendo, ad esempio, il trattenimento dei richiedenti asilo ed introducendo l’effetto sospensivo del ricorso contro il diniego della domanda d’asilo e la possibilità, anche per coloro cui è stata concessa una protezione umanitaria, di ottenere il ricongiungimento familiare.

I rifugiati hanno dunque diritto di chiedere asilo.

Secondo l’art. 1 A) della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951, rifugiato è colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino o, nel caso di apolide, dal Paese dove ha la propria dimora abituale. Può chiede domanda di protezione internazionale con una istanza diretta ad ottenere lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 o lo status di protezione sussidiaria.

Il cittadino di un paese non appartenente all’Unione Europea o l’apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto rifugiato in base all’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel suo paese di origine o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un danno grave, e non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese (art. 2 comma 1 lettera g , dlgs. 251). Per danno grave deve intendersi: la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale

La domanda di protezione internazionale deve essere presentata personalmente all’ufficio di Polizia di frontiera oppure alla Questura competente per il luogo di dimora. Tale domanda, inoltrata da un genitore si intende estesa anche ai figli minori non coniugati, presenti in Italia all’atto di presentazione della stessa. Con il decreto legislativo n. 25 del 28 gennaio 2008 e la relativa circolare dell’11 marzo 2008, sono state individuate altre 3 commissioni territoriali. Le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono presiedute da un funzionario prefettizio, e composte da un funzionario della questura, un rappresentante dell’ente territoriale nominato dalla conferenza unificata stato-città ed autonomie locali, e da un rappresentante dell’UNHCR.

La commissione nazionale per il riconoscimento della protezione internazionale, ha compiti di coordinamento e di indirizzo per le commissioni territoriali; è competente per l’organizzazione di corsi di formazione, per il monitoraggio dei flussi dei richiedenti la protezione internazionale. altre competenze rilevanti riguardano la costituzione e l’aggiornamento di una banca dati informatica, contenente le informazioni utili all’esame e al monitoraggio delle richieste di asilo, la creazione e l’aggiornamento di un centro di documentazione sulla situazione socio-politica-economica dei paesi di origine dei richiedenti (coi).la commissione ha altresì poteri decisionali in tema di revoca e cessazione degli status concessi.

a) Casi di esclusione dallo status di rifugiato

Lo straniero è escluso dallo status di rifugiato se:

1) rientra nel campo d’applicazione dell’articolo 1 letta d) della Convenzione di Ginevra, ossia quando gode della protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle nazioni unite diversi dall’alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (unhcr).

quando tale protezione o assistenza cessa per qualsiasi motivo, il richiedente è ammesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale.

2) se sussistono fondati motivi per ritenere che egli:

a) abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

b) abbia commesso al di fuori del territorio italiano, prima del rilascio del permesso di soggiorno in qualità di rifugiato, un reato grave ovvero atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possano essere classificati quali reati gravi. la gravità del reato e’ valutata anche tenendo conto della pena prevista dalla legge italiana per il reato non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni;

c) si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle nazioni unite, quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle nazioni unite.

in queste ultime tre ipotesi l’esclusione si applica anche a coloro i quali istigano o concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esse previste.

d) Casi di esclusione dallo status di protezione sussidiaria

Lo straniero è escluso dallo status di protezione sussidiaria quando sussistono fondati motivi di ritenere che:

a) abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

b) abbia commesso, nel territorio nazionale o all’estero, un reato grave. la gravità del reato e’ valutata anche tenendo conto della pena, non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, prevista dalla legge italiana per il reato;

c) si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle nazioni unite, quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle nazioni unite;

d) costituisca un pericolo per la sicurezza dello stato o per l’ordine e la sicurezza pubblica. In queste ultime tre ipotesi l’esclusione si applica anche a coloro i quali istigano o concorrono alla commissione dei crimini, reati o atti in esse previste. La commissione territoriale può adottare le seguenti decisioni:

1) riconosce lo status di rifugiato al richiedente, il quale ha diritto ad un permesso di soggiorno valido 5 anni, rinnovabile ed al documento di viaggio.

2) riconosce lo status di protezione sussidiaria al richiedente, il quale ha diritto ad un permesso di soggiorno valido 3 anni, rinnovabile (previa verifica delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento dello status) e il rilascio del titolo di viaggio per stranieri, quando sussistono fondate ragioni che non consentano di chiedere il passaporto alle autorità diplomatiche del paese di cittadinanza .

3) non riconosce alcuno status (diniego) in quanto il richiedente non è in possesso dei requisiti necessari o ricorra una delle cause di cessazione o di esclusione dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, ovvero provenga da un paese di origine sicuro e non abbia addotto gravi motivi oppure la domanda è manifestamente infondata perché risulta essere stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o di respingimento;

2) non riconosce alcuno status (diniego), ma, ritiene che sussistano gravi motivi di carattere umanitario; in tal caso la commissione trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 6 del t.u. 286/98.

Le decisioni sulle domande vengono comunicate per iscritto al richiedente, corredate da motivazioni di fatto e di diritto e da indicazioni sui mezzi di impugnazione ammissibili. In caso di impugnazione della decisione in sede giurisdizionale, allo straniero sono assicurate le stesse garanzie previste nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Allo straniero o al legale che lo rappresenta nonché all’avvocato di fiducia è garantito l’accesso a tutte le informazioni relative alla procedura che potrebbero formare oggetto di giudizio in sede di ricorso. Le disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di accesso agli atti amministrativi, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 si applicano sia ai procedimenti per l’esame delle domande di protezione internazionale che a quelle per il ricorso. Contro la decisione della commissione territoriale, è ammesso ricorso giurisdizionale entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui si trova la commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento.Il ricorso è ammesso anche nell’ipotesi in cui il richiedente abbia fatto domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato ed abbia ottenuto, diversamente, la sola protezione sussidiaria. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria e avverso le decisioni di revoca e cessazione degli status riconosciuti, comporta la sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato. La proposizione del ricorso non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato nei confronti di coloro che:

- non sono stati ammessi alla procedura di asilo, perché la loro domanda è stata ritenuta inammissibile;

- si trovano in condizioni di trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione;

- hanno presentato la domanda di protezione internazionale dopo essere stati fermati per aver eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera o subito dopo, oppure dopo essere stati fermati in condizioni di soggiorno irregolare;

- si sono allontanati dal centro di accoglienza senza giustificato motivo;

- hanno ricevuto il rigetto della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza, dovuta alla palese insussistenza dei relativi presupposti ovvero quando risulta che l’istanza sia stata depositata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o di respingimento.

In questi casi è comunque ammessa la richiesta di sospensione del provvedimento al tribunale quando ricorrano gravi e fondati motivi. in tal caso nei 5 giorni successivi al deposito, il tribunale decide con ordinanza non impugnabile. Nel caso di una decisione di sospensione da parte del giudice, al ricorrente viene rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo e ne è disposta l’accoglienza nei centri per richiedenti asilo. Il tribunale decide con sentenza entro 3 mesi dalla presentazione del ricorso, e quindi può: o rigettare il ricorso; oppure riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria.

Avverso la decisione del tribunale, il ricorrente ed il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d’appello, con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte, a pena di decadenza, entro 10 giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. Il reclamo, tuttavia, non sospende gli effetti della sentenza impugnata. La corte d’appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi. Contro la sentenza della corte d’appello può essere proposto ricorso per cassazione, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza.

Al richiedente asilo che ha proposto il ricorso si applicano le garanzie previste dall’art. 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, tra cui il rilascio di un permesso di soggiorno per richiesta di asilo, con diritto a svolgere attività lavorativa, dopo 6 mesi dal deposito della richiesta di protezione presso la questura, ed è rinnovabile sino all’adozione della decisione in merito al ricorso. Il richiedente è ammesso al gratuito patrocinio ove ricorrano le condizioni previste dal dpr 30 maggio 2002, n. 115. in ogni caso per l’attestazione dei redditi prodotti all’estero è consentita l’autocertificazione da parte del ricorrente. Avverso le decisioni di revoca o di cessazione relative allo status di rifugiato e di protezione sussidiaria, adottate dalla commissione nazionale, è ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in relazione alla commissione territoriale che ha emesso il provvedimento con cui si è riconosciuto lo status di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione.

3. Migranti e diritto di aiuto in mare

a) Diritti delle persone soccorse in mare al fine di assicurare il rapido sbarco e l’adozione di misure mirate a soddisfare le loro necessità specifiche, in particolare nel caso di rifugiati e richiedenti asilo.

La Convenzione di Dublino stabilisce che l’Italia è competente ad esaminare una richiesta di riconoscimento dello status, nei casi di:

1. Presenza in Italia di parenti ;

2. Ingresso in Italia con permesso di soggiorno o visto italiano;

3. Ingresso irregolare (senza documenti o senza visto) in uno dei paesi dell’Unione Europea attraverso l’Italia. In questo caso l’Italia diviene responsabile in quanto primo Paese di ingresso.

Si tratta della Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 e della Convenzione sulla ricerca ed il soccorso in mare del 1979. Gli emendamenti sono stati adottati nel maggio 2004 e sono entrati in vigore il 1° luglio 2006.

Il fenomeno dell’arrivo via mare di rifugiati e migranti non è nuovo. Fin dai tempi più antichi, molte persone in tutto il mondo hanno rischiato la propria vita a bordo di navi e altre imbarcazioni, in cerca di lavoro, di migliori condizioni di vita, di opportunità di istruzione o in cerca di protezione internazionale dalla persecuzione o da altre forme di minaccia

alla propria vita, libertà o sicurezza, spesso mettendo il proprio destino nelle mani di trafficanti criminali senza scrupoli. L’espressione “boat people” è ormai entrata nel linguaggio corrente, per indicare tutti coloro che viaggiano per mare in simili pericolose condizioni.

I servizi di Ricerca e Soccorso (Search and Rescue, SAR) in tutto il mondo fanno affidamento sulle navi – per la maggior parte mercantili e pescherecci – per assistere coloro che si trovano in pericolo in mare. Attualmente, segnali di richiesta di aiuto possono essere trasmessi rapidamente grazie alle tecniche di comunicazione satellitari e terrestri, sia alle autorità incaricate della ricerca e del soccorso che si trovano sulla terraferma, sia ad imbarcazioni che si trovino nelle immediate vicinanze. L’operazione di soccorso può essere rapida e coordinata. Tuttavia, anche quando l’operazione di soccorso è stata portata a compimento, possono insorgere problemi per ottenere il consenso di uno Stato allo sbarco dei migranti e dei rifugiati, in particolare quando questi non dispongono di un’adeguata documentazione. Nel riconoscere questo problema, gli Stati membri dell’Organizzazione Marittima Internazionale (International Maritime Organization, IMO) hanno adottato emendamenti a due importanti convenzioni marittime internazionali che trattano l’argomento . Tali modifiche hanno lo scopo di assicurare che all’obbligo del comandante della nave di prestare assistenza faccia da complemento un corrispondente obbligo degli Stati di cooperare nelle situazioni di soccorso, sollevando in tal modo il comandante dalla responsabilità di prendersi cura dei sopravvissuti e di consentire agli individui che vengono soccorsi in mare in simili circostanze di essere prontamente trasferiti in un luogo sicuro.

b) Il contesto giuridico internazionale: obblighi del comandante

Il diritto internazionale prevede che il comandante ha l’obbligo di prestare assistenza a coloro che si trovano in pericolo in mare, senza distinzioni relative alla loro nazionalità, allo status o alle circostanze nelle quali essi vengono trovati. Si tratta di una consuetudine marittima di vecchia data e di un obbligo contemplato dal diritto internazionale. L’adempimento di tale obbligo è essenziale per preservare l’integrità dei servizi di ricerca e soccorso in mare. Tale obbligo si basa, tra gli altri, su due testi fondamentali:

- La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS) dispone che “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: (a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita; (b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di assistenza, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”.

- La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) obbliga il “comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…”..

c) Diritto internazionale marittimo: obblighi dei Governi e dei Centri di Coordinamento del soccorso

Diverse convenzioni marittime definiscono gli obblighi, per gli Stati parte, di assicurare l’organizzazione delle comunicazioni di pericolo e del coordinamento nella propria area di responsabilità, nonché del soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste:

- La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS) impone ad ogni Stato costiero l’obbligo di “…promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare e, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi”.

- La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte “…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie…”.

- La Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR) obbliga gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” ed a “ […] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro”.

Gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR mirano a preservare l’integrità dei servizi di ricerca e soccorso (SAR), garantendo che le persone in pericolo in mare vengano assistite e, allo stesso tempo, riducendo al minimo gli inconvenienti per la nave che presta assistenza. Essi richiedono agli Stati e alle Parti contraenti di: coordinarsi e cooperare per far sì che i comandanti delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in difficoltà in mare siano sollevati dai propri obblighi con una minima ulteriore deviazione rispetto alla rotta prevista dalla nave; e di organizzare lo sbarco al più presto, per quanto praticabile. Essi inoltre obbligano i comandanti che hanno imbarcato persone in difficoltà in mare a trattare queste ultime con umanità, compatibilmente con le possibilità della nave. Al fine di fornire una guida alle autorità di governo ed ai comandanti che si trovano a metter in pratica questi emendamenti, sono state elaborate delle Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare. Esse contengono le seguenti disposizioni: il governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito. Un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, e dove: la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale. Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative. Lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate, dovrebbe essere evitato.

Ogni operazione e procedura, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco.

d) Diritto internazionale dei rifugiati soccorsi in mare

Se le persone soccorse in mare rendono nota l’intenzione di chiedere asilo, devono essere applicati i principi fondamentali sanciti nel diritto internazionale dei rifugiati. Il comandante della nave non è responsabile della determinazione dello status delle persone a bordo, ma egli deve comunque essere a conoscenza di tali principi. O, nel caso degli apolidi, il paese nel quale aveva residenza abituale.

L’obbligo di non rinviare una persona dove vi siano fondate ragioni per ritenere che via sia un reale rischio di danno irreparabile deriva dal diritto internazionale dei diritti umani (ad esempio dagli Articoli 6 e 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966). La Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984 proibisce esplicitamente di rinviare una persona nei luoghi in cui vi siano fondate ragioni per ritenere che possa essere in pericolo di essere sottoposta a tortura.

Guida a principi e pratiche da applicarsi a migranti e rifugiati

La Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 definisce come rifugiato una persona che “temendo a ragione di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadina e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di siffatti avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”. e proibisce che il rifugiato o il richiedente asilo “sia espulso o respinto - in alcun modo – verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”..

Un richiedente asilo è un individuo che è in cerca di protezione internazionale e sulla cui domanda non è stata ancora presa una decisione finale da parte del paese nel quale essa è stata inoltrata. Non ogni richiedente asilo sarà, al termine della procedura, riconosciuto come rifugiato, ma ogni rifugiato è, inizialmente, un richiedente asilo.

e) Procedure: azione del comandante della nave

Le seguenti liste si propongono di definire l’azione che deve essere intrapresa dai vari attori coinvolti nel soccorso in mare. Informare il Centro di Coordinamento del Soccorso (Rescue Coordination Centre, RCC) responsabile per la regione riguardo a:

„X la nave che presta assistenza: nome, bandiera e porto di registrazione; nome e indirizzo dell’armatore e dell’agente di questi presso il porto più vicino; posizione dell’imbarcazione, il suo prossimo porto di scalo, le sue condizioni ordinarie di sicurezza e l’attuale livello di autonomia considerando la presenza di altre persone a bordo;

„X i sopravvissuti: nome, età (se possibile), sesso; stato apparente di salute, condizioni mediche e specifiche necessità mediche;

„X le azioni compiute dal comandante o che egli intende compiere;

„X la soluzione preferita dal comandante per lo sbarco dei sopravvissuti;

„X qualsiasi aiuto necessario alla nave che presta assistenza;

„X altre informazioni particolari (es. condizioni meteorologiche prevalenti, livello di deperibilità della merce trasportata, etc. ).

Se una persona soccorsa in mare chiede asilo:

1. allertare il Centro di Coordinamento del Soccorso più vicino;

2. contattare l’UNHCR;

3. non richiedere lo sbarco nel paese d’origine della persona o nel paese dal quale la persona è fuggita;

4. non diffondere informazioni personali relative al richiedente asilo alle autorità di quel paese o ad altri soggetti che possano fornire tali informazioni alle autorità di quel paese.

Azione dei Governi e dei Centri di Coordinamento del Soccorso (RCC)

I Centri di Coordinamento del Soccorso svolgono un ruolo importante nell’assicurare l’adozione di misure per la cooperazione ed il coordinamento nell’ambito degli emendamenti alle Convenzioni SAR e SOLAS. Essi hanno necessità di mantenere efficaci programmi operativi e di coordinamento (tra agenzie o piani ed accordi internazionali se necessario), al fine di poter far fronte ad ogni tipologia di situazione di ricerca e soccorso, in particolare:

- operazioni di recupero;

- sbarco delle persone soccorse dalla nave;

- trasporto dei sopravvissuti in un luogo sicuro;

-accordi con altri enti (come, ad esempio, le dogane, le autorità responsabili dell’immigrazione e dei controlli alla frontiera, l’armatore o lo Stato di bandiera), mentre le persone soccorse si trovano ancora a bordo della nave che sta prestando assistenza, senza distinzioni relative alla nazionalità, allo status dei sopravvissuti o alle circostanze nelle quali sono stati trovati; ciò comprende il sostentamento temporaneo alle persone soccorse nel periodo in cui vengono svolte tali attività; e misure finalizzate a sollevare la nave da tali responsabilità, nel più breve tempo possibile, per evitare indebiti ritardi, oneri finanziari o altre difficoltà derivanti dall’aver assistito le persone soccorse in mare.

Ai sensi dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra è fatto divieto agli Stati di espellere o respingere i rifugiati e i richiedenti asilo verso luoghi in cui la vita o la libertà ne sarebbero minacciati per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o per la loro opinione politica. Tale principio, c.d. di non-refoulement, viene riaffermato in diversi strumenti, in particolare nell’ambito del diritto internazionale umanitario. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sancisce il diritto di non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti: la norma (art. 3) è stata a più riprese interpretata come principio che vieta l’estradizione, l’espulsione o la deportazione, il refoulement verso Stati in cui la persona correrebbe il rischio di essere sottoposta a trattamenti di tal genere. Il divieto trova applicazione anche nel caso in cui il respingimento o allontanamento avvenga verso un Paese definito intermedio, che potrebbe cioè a sua volta rinviare la persona in un territorio in cui sarebbe esposta a tale trattamento. Il divieto di refoulement quale espressione di un principio di diritto umanitario, è ormai ritenuto come un principio di diritto consuetudinario, perciò vincolante anche per quegli Stati che non abbiano sottoscritto le convenzioni che specificamente lo prevedono.