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Recesso, disdetta e ultrattività del contratto collettivo

Monte Terminillo (Rieti)
Ph. Federico Radi / Monte Terminillo (Rieti)

Abstract

La contrattazione collettiva è una delle più importanti manifestazioni dell’autonomia collettiva. A essa è attribuita la funzione di tutelare gli interessi collettivi in un sistema di relazioni industriali.

L’attività comprende un vasto insieme di rapporti, formali e non, intercorrenti tra imprese (e loro rappresentanti) e rappresentanti dei lavoratori che interagiscono per raggiungere una regolamentazione del rapporto di lavoro .

 

1. I contratti corporativi

All’epoca fascista la funzione affidata dalla legge 3 aprile 1925, n. 523 e dal relativo regolamento di attuazione del 1 luglio 1926, n. 1130 alle associazioni riconosciute era quella di stipulare i contratti collettivi che d’ora in poi chiameremo corporativi.

Il contratto collettivo corporativo ha carattere pubblicistico in quanto appartiene di per sé al diritto pubblico, perché pubblici sono i soggetti che lo pongono in essere, pubbliche sono le finalità che l’atto si propone, pubblici gli interessi che esso tutela

In ogni caso il contratto collettivo corporativo aveva un vero e proprio potere di regolamentazione dei rapporti di lavoro, omogeneo e parallelo a quello legislativo.

La peculiarità dei contratti collettivi fascisti sta soprattutto nell’efficacia erga omnes, vale a dire la capacità di produrre effetti nei confronti di tutti gli appartenenti (i datori di lavoro e lavoratori) alla categoria, per la quale il contratto era stato stipulato.

Il codice civile del 1942 li inserì fra le fonti del diritto, attribuendo loro una specifica disciplina.

L’articolo 2074 Codice Civile sanciva invece «l’ultrattività» del contratto collettivo scaduto (denunziato o meno) affinché continuasse a produrre i suoi effetti fino a che non fosse stato stipulato un nuovo contratto collettivo.

Continuava a produrre i suoi effetti anche il contratto collettivo annullabile fino a che non fosse intervenuta una sentenza di annullamento passata in giudicato.

In ogni caso si può affermare che, nonostante il radicale mutamento avvenuto negli anni a seguire, dell’attuale sistema derivano dall’ordinamento corporativo:

  • l’inserzione automatica delle clausole del contratto collettivo nel contratto individuale difforme, salvo il caso che quest’ultimo sia più favorevole lavoratore (articolo 2077 Codice Civile);
  •  l’ultrattività del contratto scaduto fino alla stipulazione del nuovo: questo principio assume maggiore rilievo nel sistema attuale in quanto, a differenza del vecchio, manca l’integrazione giurisprudenziale e statuale;
  •  la possibilità di revisione anticipata del contratto ove si verifichi un notevole mutamento dello status quo ante.

Ora la situazione, con i contratti di diritto comune è diversa.

 

2. Differenza tra recesso e disdetta

Nel mondo del diritto, si sa, il corretto uso della terminologia è fondamentale e, molto spesso, due termini che sembrano sinonimi nell’italiano che usiamo quotidianamente, in ambito giuridico potrebbero significare cose diverse.

È il caso del recesso e della disdetta, che non sono sinonimi e non possono, dunque, sostituirsi a vicenda, ma sono tra loro molto vicini poiché riguardano entrambi il momento finale di un rapporto giuridico.

 

Il recesso

Il codice civile ci dice, all’articolo 1372, che “il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. Ciò vale a dire che l’impegno tra le parti vincola le stesse come se ci fosse una legge a prevederlo; l’unico modo per venir meno all’impegno preso è quello di trovare un accordo di segno inverso a quello che ha dato luogo alla definizione del contratto (mutuo consenso) con la controparte, a meno che non sia la legge a prevedere dei casi specifici.

L’articolo 1373 c.c. prevede, invece, la possibilità per una sola delle parti di venir meno agli obblighi contrattuali; in tal caso si parla di recesso unilaterale. Questo finché il contratto non abbia avuto inizio (comma 1) o, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, anche successivamente, ma vengono fatte salve le prestazioni già eseguite (comma 2).

La forma tipica di recesso unilaterale si manifesta allorché tale diritto deriva da una clausola inserita nel contratto che permetta in modo esplicito ad una delle parti di recedere. Questa clausola può essere il frutto della volontà delle parti oppure di un’imposizione legislativa. Oppure si può recedere per giusta causa.

 

La disdetta

Una volta comprese le caratteristiche del recesso, possiamo definire più agevolmente le differenze con la disdetta. Come il recesso, anche la disdetta è un evento che attiene alla fase conclusiva di un rapporto giuridico: la disdetta, però, non interrompe il vincolo giuridico (si dice, in tal caso che “non ha effetto interruttivo”) ma, più semplicemente, ne impedisce il rinnovo. Essa è, altresì, completamente gratuita, a differenza del recesso.

In altri termini, attraverso la disdetta si fa una dichiarazione di volontà contraria al rinnovo di un contratto in scadenza.[1]

In conclusione sarà usato il termine recesso per indicare l’atto unilaterale con cui una parte pone fine alla vincolavilità del contratto collettivo, mentre sarà usato il termine disdetta per indicare l’atto con cui una parte comunica all’altra che non intende rinnovare il contratto in scadenza.[2]

 

3. Recesso dal contratto collettivo

Come è noto, gli articoli 2067-2077 dettavano una disciplina specifica per il contratto collettivo corporativo prevedendo, tra l’altro, l’obbligo di fissare un termine al contratto (articolo 2071 Codice Civile), la facoltà di denunzia del contratto almeno tre mesi prima della scadenza (articolo 2073 Codice Civile), ed infine sancendone la regola dell’ultrattività sino alla stipulazione di un nuovo contratto collettivo (articolo 2074 Cod. Civ)[3].

Con la caduta dell’ordinamento corporativo e la mancata attuazione dell’articolo 39 Costituzione, il ritorno alle disposizioni del diritto comune dei contratti ha comportato, anche in questo ambito, l’applicazione di quei principi stabiliti dal Codice Civile in materia di recesso.

Pertanto, la regola stabilita dal Codice Civile sembrerebbe quella della perpetuità dei vincoli che sorgono in capo agli stipulanti, salvo il mutuo dissenso, ovvero i casi in cui è la legge stessa che attribuisce il potere di sciogliersi dal vincolo ovvero nel caso in cui quella determinazione è stabilita dalle parti.

Senonchè, è anche noto che gli insegnamenti della giurisprudenza e la costante opera interpretativa della dottrina, attraverso l’elaborazione di alcuni principi generali, hanno affermato la tesi della recedibilità del contratto[4].

In particolare, i percorsi attraverso i quali si è giunta a specificare una libertà di recesso dal contratto collettivo hanno fatto leva, talvolta, sul riconoscimento della libertà contrattuale e della libertà sindacale, talvolta alla necessità dei contratti collettivi di “parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione[5], ma soprattutto sulla tesi dell’inammissibilità dei vincoli perpetui sul rispetto del principio di buona fede nella esecuzione del contratto di cui all’articolo 1375 del codice civile[6].

Ed infatti, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che “il recesso ordinario” “va ammesso come causa estintiva normale del rapporto di durata a tempo indeterminato e risponde all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio[7], laddove si parla di recesso “ordinario” per indicare la risoluzione ad nutum da un contratto senza predeterminazione di un termine di durata; ed invece, di recesso “straordinario” (ipotesi, questa, derogatoria rispetto alla prima) sorretto da una giusta causa, in presenza di un contratto dove sia stabilita per legge o per convenzione la durata[8].

Dunque se il recesso ordinario il recesso è pacificamente ammesso; qualche problematica desta il recesso straordinario che può essere esercitato solo per giusta causa meno che non vi siano delle specifiche clausole. E questo vale sia per le associazioni sindacali e datoriali che per il datore di lavoro.[9]

È chiaro che laddove vi è un termine il rischio che il recesso configuri un inadempimento è molto più elevato, così come è evidente che il principio di inammissibilità dei vincoli perpetui non può essere richiamato.

La giurisprudenza in materia di recesso ante tempus ha, infatti, affermato che “In presenza del termine di scadenza, dunque, la società datoriale non poteva disdettare unilateralmente gli accordi integrativi, senza tener conto di detto termine[10] ed ha in alcuni casi configurato la predetta condotta come di per sé antisindacale atteso che essa crea discredito al sindacato che vede vanificata anzitempo l’efficacia e l’operatività del contratto a termine che ha sottoscritto [11].

In linea di massima il principio appare corretto: in presenza di un termine il recesso non può essere libero e acausale come quando il termine non è previsto. Ciononostante non può essere esclusa del tutto la facoltà di recesso anche da un contratto a durata predeterminata.

Infatti, come riconosciuto da una parte della giurisprudenza[12], la facoltà di recesso dal contratto è, non solo legittima, ma doverosa ex articolo 1375 Codice Civile quando siano intervenute modificazioni sostanziali della situazione di fatto che aveva accompagnato l’assunzione del vincolo obbligatorio[13].

In queste ipotesi – sostanziale modifica della situazione di fatto – la presenza del termine non vale ad escludere il recesso laddove il recedente dimostri la sussistenza di una situazione non conosciuta al momento della stipula e che incide sensibilmente sulla situazione di fatto rispetto alla quale il contratto collettivo era il punto di equilibrio[14].

Si può allora concludere che rispetto al contratto collettivo a termine è ipotizzabile un recesso causale.

Ciò non significa che l’apposizione del termine sia del tutto irrilevante.

Sebbene non ostativa al recesso, essa esercita un ruolo fondamentale in quanto costituisce un parametro essenziale per misurare la legittimità del recesso.

Se, infatti, il recesso è il rimedio per ristabilire un equilibrio che non esiste più rispetto al contratto concluso, allora la presenza di un termine, specie se ormai in prossimità di scadenza, può rendere il rimedio inutile ovvero addirittura un abuso[15][16].

Se tuttavia il datore di lavoro recede dalla propria organizzazione, si libera dall’obbligo di applicare i contratti collettivi successivi al recesso, restando il suo obbligo limitato all’applicazione del solo contratto vigente nel momento in cui il recesso si è verificato, e fino alla scadenza del contratto stesso.

L’azienda non può recedere unilateralmente dal CCNL prima della scadenza.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 21357 del 20 agosto 2019, nella quale ha affermato che una azienda non può recedere unilateralmente dal contratto collettivo sottoscritto dall’associazione datoriale cui aderiva prima della sua scadenza. Ciò, quand’anche detto contratto sia divenuto nel tempo troppo oneroso.

La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso della FILCETEM, ha richiamato un consolidato orientamento secondo cui “nel contratto collettivo di lavoro la possibilità di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali che di norma provvedono anche a disciplinare le conseguenze della disdetta; al singolo datore di lavoro, pertanto, non è consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l’eccessiva onerosità dello stesso, ai sensi dell’articolo 1467 c.c., conseguente ad una propria situazione di difficoltà economica, salva l’ipotesi di contratti aziendali stipulati dal singolo datore di lavoro con sindacati locali dei lavoratori[17]. Pertanto “non è legittima la disdetta unilaterale da parte del datore di lavoro del contratto applicato seppure accompagnata da un congruo termine di preavviso. Solo al momento della scadenza contrattuale sarà possibile recedere dal contratto ed applicarne uno diverso a condizione che ne ricorrano i presupposti di cui all’articolo 2069 c.c.”[18].

Va riconosciuta al datore di lavoro la facoltà di recedere da un contratto collettivo di diritto comune stipulato a tempo indeterminato e senza predeterminazione del termine di scadenza, atteso che il contratto stesso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti. Non esiste, invece, una analoga facoltà di recesso anticipato per gli accordi collettivi aventi una durata predeterminata.

In considerazione di quanto sopra esposto, ad avviso della Suprema Corte, non può essere ammessa l’applicazione di nuovo CCNL prima della prevista scadenza di quello in corso di applicazione, che le parti si sono impegnate a rispettare.[19]

 

4. La disdetta

Si ha disdetta dal contratto quando una parte, nel termine indicato, manifesta la propria volontà di non rinnovarlo alla sua scadenza.

Chi può dare disdetta? Come già anticipato, con una sentenza recente la Suprema Corte[20] ha precisato che la disdetta può essere data solo dall’organizzazione sindacale firmataria del contratto e non dal singolo datore di lavoro che applica il contratto medesimo.

La soluzione, condivisibile, dimostra che la Suprema Corte accoglie una nozione di contratto collettivo non come somma ma come sintesi degli interessi dei rappresentati e quindi come frutto del potere di contrattazione che all’organizzazione sindacale deriva direttamente dall’articolo 39 Cost. e non dal mandato individuale degli aderenti (mandato che, invece, è recuperato per spiegare l’ambito di efficacia soggettiva del contratto)[21].

Ancor più incisivamente, la giurisprudenza ha stabilito che se anche “l’articolo 1372 Codice Civile nel disciplinare gli effetti del contratto dispone che questo ha forza di legge tra le parti”, ciò non può significare “irrevocabilità del assoluta contratto”, dovendo riconoscersi, in ogni caso “la possibilità di farne cessare l’efficacia, previa disdetta, anche in mancanza di una espressa previsione legale”. E ciò anche considerando la causa propria del contratto collettivo che “si pone come mezzo di composizione di conflitti sorti in uno specifico contesto produttivo suscettibile sovente di improvvise e talora impreviste variazioni di mercato ed è quindi connaturata ad esso una durata limitata nel tempo[22].

La giurisprudenza di merito[23], in uno dei decreti emessi a seguito de gli articolo 28 relativi al CCNL dei metalmeccanici separato, ha altresì precisato che, essendo il contratto collettivo un contratto con pluralità di parti, la disdetta è legittima anche se comunicata da alcuni solo dei firmatari.

Resta peraltro ferma la possibilità per il singolo di uscire dal sistema sindacale e quindi, ai sensi dell’articolo 39 Costituzione, di non essere più tenuto al rispetto del CCNL[24].

In definitiva la cessazione dell’efficacia nel tempo del contratto collettivo può avvenire sia per scadenza dello stesso sia per abrogazione di tutte o di alcune delle sue clausole in quanto sostituite da un nuovo accordo collettivo sia per disdetta di una delle due parti.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21537 del 20 agosto 2019, ha affrontato il tema della disdetta del Ccnl e della sua sostituzione, in questo caso con un contratto aziendale (definito nella sentenza contratto collettivo specifico di lavoro) di primo livello, specificando che a nulla rileva il recesso dall’organizzazione datoriale che ha sottoscritto tale Ccnl per giustificarne la conseguente disdetta, in quanto solo la scadenza contrattuale rende possibile il recesso dallo stesso e la sostituzione con un nuovo contratto.

L’interpretazione data dalla Suprema Corte, che riprende propri precedenti, evidenzia come la vigenza della contrattazione collettiva, pur oggetto di applicazione “esterna” rispetto al contratto individuale, crei un vero e proprio diritto individuale ad essa: alla scadenza, fermi restando i diritti acquisiti – si pensi al livello retributivo raggiunto – si potrà procedere con la sostituzione del contratto collettivo di riferimento[25].

Va ricordato che In caso di recesso, disdetta o mutuo consenso parziale, invece, il contratto collettivo viene meno per tutti i lavoratori ad eccezione degli aderenti all’organizzazione sindacale che non lo ha esercitato,

i quali quindi continuano ad avere la copertura del vecchio contratto fino alla scadenza.

 

5. Ultrattività

Come noto l’articolo 2074 Codice Civile, che prevede che “Il contratto collettivo, anche quando è stato denunziato, continua a produrre i suoi effetti dopo la scadenza, fino a che sia intervenuto un nuovo regolamento collettivo” è stato dalla giurisprudenza maggioritaria ritenuto non applicabile ai contratti collettivi di diritto comune.

Esiste, invero, una giurisprudenza minoritaria[26] che ritiene che operante anche per i contratti collettivi postcorporativi il principio di ultrattività sancito dal codice civile, con la conseguenza che la scadenza contrattuale non determina l’automatica cessazione dell’efficacia delle clausole a contenuto retributivo.

Come noto, la tesi dell’inapplicabilità ai contratti post-corporativi della norma di cui all’articolo 2074 Codice Civile è, infine, stata fatta propria dalle Sezioni Unite che hanno sancito “il riconoscimento della temporaneità dell’efficacia dei contratti collettivi, corrispondente alla espressione dell’autonomia negoziale[27].

Un’ulteriore indicazione dell’assenza di una regola di ultrattività nell’ordinamento intersindacale si ricava da quanto detto dall’Accordo quadro del 22 gennaio 2009 che per il caso di crisi del negoziato di rinnovo si limita a dire che è possibile l’interessamento del livello interconfederale.

A sua volta l’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 prevede che “qualora dopo sei mesi dalla scadenza il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria non sia stato ancora rinnovato, è previsto l’interessamento del Comitato paritetico per la gestione del presente accordo interconfederale per valutare le ragioni che non hanno consentito il raggiungimento dell’accordo per il rinnovo del contratto”.

In assenza di clausola di ultrattività, come già anticipato, il contratto, giunto al termine, perde efficacia ed il rapporto resta di norma regolamentato dalle norme di legge e/o convenzionali esistenti.

Ciò non significa, come ovvio, che il contratto collettivo non possa avere efficacia ultrattiva.

Essa, infatti, può essergli attribuita dalle parti di fatto ovvero convenzionalmente.

La giurisprudenza ritiene che certi comportamenti attivi o passivi configurino un’ipotesi di ultrattività del contratto per facta concludentia.

Tra i predetti comportamenti rientrano la mancata tempestiva disdetta, l’applicazione delle norme del contratto collettivo scaduto come se fossero vigenti, l’avvenuta riproduzione della norma del contratto scaduto anche nel contratto collettivo successivo.

Come ovvio, l’applicazione ultrattiva del contratto per facta concludentia trasforma il medesimo in contratto a tempo indeterminato[28] .

Accanto alle ipotesi di ultrattività di fatto vi è poi quella più comune di ultrattività convenzionale.

Quasi tutti i contratti collettivi nazionali contengono clausole di ultrattività.

Sostanzialmente si possono dividere in due categorie:

  • le clausole secondo cui la mancata disdetta comporta il rinnovo tacito di anno in anno mentre in caso di disdetta vi è un onere di presentazione della proposta di rinnovo (Chimici, Gomma Plastica);
  • le clausole secondo cui la mancata disdetta comporta il rinnovo di anno in anno (Tessili) ovvero per la durata iniziale (Metalmeccanici, Turismo, Pomigliano) mentre in caso di disdetta il contratto disdettato resta in vigore finchè non venga sostituito da successivo (Tessili, Turismo) dello stesso livello (Metalmeccanici, Terziario) ovvero specifico (Pomigliano).

Al riguardo è importante capire come vincolino le predette clausole di ultrattività ed in particolare come operino quelle secondo cui il contratto resta in vigore fino a quando non venga sostituito (così come, peraltro, previsto dall’articolo 2074 Codice Civile) nel caso in cui l’accordo non si trovi o si trovi solo con alcuni (cd. accordo zoppo)[29][30].

Recentemente la Cassazione con sentenza n. 3672 del 12 febbraio 2021 si è pronunciata in riferimento ad una vicenda giudiziale che aveva ad oggetto un CCNL in cui era contenuta una clausola secondo cui “in ogni caso, il presente contratto conserva la sua validità fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL”.

La Corte d’appello, nella sua decisione, aveva richiamato principi e precedenti giurisprudenziali che facevano riferimento a fattispecie diverse, quelle ossia in cui manca un termine di durata o nelle quali le parti abbiano espressamente previsto una durata indeterminata.

In proposito, era stato ricordato quanto enunciato dalle Sezioni Unite, ed ossia che i contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, “atteso che l’opposto principio di ultrattività sino ad uno nuovo regolamento collettivo - secondo la disposizione dell’articolo 2074 Codice Civile - in contrasto con l’intento espresso dagli stipulanti, ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, violerebbe la garanzia prevista dall’articolo 39 Cost.”.

Principi, tuttavia, che non potevano regolare un’ipotesi, come quella in esame, in cui la clausola di ultrattività aveva previsto un termine finale correlato ad una nuova negoziazione.

Per la Cassazione, l’utilizzo dell’espressione “fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL” stava infatti a indicare la volontà delle parti originariamente stipulanti a vincolarsi al contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione e sottoscrizione[31].

La clausola convenzionale di ultrattività che prevede la perdurante vigenza del contratto collettivo scaduto “fino alla sottoscrizione del nuovo CCNL” deve essere intrepretata nel senso della volontà delle parti stipulanti di vincolarsi al contenuto del contratto disdettato anche dopo la scadenza del termine contrattualmente previsto e sino alla stipulazione di un nuovo contratto tra tutte le parti contraenti originarie.

 

[1] Si veda Recesso e disdetta sono la stessa cosa?, www.brocardi.it

[2] Cfr. con Ultrattività, risoluzione, disdetta del contratto collettivo nella prassi e nella giurisprudenza, di Giovanna Pacchiani Parravicini

[3] Sugli artt. 2073 e 2074 Codice Civile cfr., tra le tante: Cass. 18 ottobre 2002, n. 14827, in Mass. Giur. Civ., 2002, 1823; Cass. 9 giugno 1993, n. 6408, in Mass. Giur. Lav., 1993, 414.

[4] Cass. sez. lav. 18 settembre 2008, n. 19351, in Mass. Giur. lav., 2008, p. 118; Cass. 30 luglio 1984, n. 4530, in Giust. Civ., 1985, I, p. 4014; Cass. 28 novembre 1981, n. 6354, in Giust. Civ. mass., 1981, f. 11; Cass., 19 giugno 1980, in Giur.it, 1982, I, 2, c. 102; cfr. anche GALGANO, Diritto civile e commerciale. Le obbligazioni e i contratti, tomo, I, Cedam, 1993; GAZZONI, Manuale di diritto privato, ESI, Napoli, 1994, p. 966; RESCIGNO, Contratto collettivo senza

predeterminazione di durata e libertà di recesso, in Mass. Giur. lav., 1993, p. 576; RUCCI, In tema di recesso dal contratto collettivo (con cenni sulla disdetta dell’uso aziendale), in Riv. It dir. Lav., 1991, II, p. 290; MARESCA, Contratto collettivo e libertà di recesso , in Arg. Dir. Lav., 1995, II, p. 35 ss; CIUCCIOVINO, Sulla libertà di recesso dal contratto collettivo a tempo indeterminato, in Riv. It. Dir. Lav., 2007, II, p. 616 ss.; TIRABOSCHI, L’efficacia temporale del contratto collettivo di lavoro: atipicità dello schema negoziale, giuridicità del vincolo e cause di scioglimento, in SENATORI (a cura di), Teoria e prassi delle relazioni industriali. Letture di diritto delle relazioni industriali, Giuffrè, 2008, pp. 233-323; PACCHIANA PARRAVICINI, Il recesso dal contratto collettivo, Giappichelli, 2010; Sul tema del recesso dal contratto collettivo cfr. anche, TURSI, La pretesa ultrattività del contratto collettivo di lavoro e l’incerto statuto teorico dell’autonomia collettiva, in Riv. It. Dir. Lav., 2006, I, p. 201; più di recente, LASSANDARI, La “strana” disdetta del contratto nazionale di categoria dei metalmeccanici, in Lavoro e diritto, 2010, 4, p. 353 ss; G. SANTORO-PASSARELLI, L’impatto del conflitto intersindacale sui livelli contrattuali nella categoria dei metalmeccanici. Note minime su questioni ancora molto controverse, in Arg. Dir. Lav., 2, 2011, p. 219 ss; TIRABOSCHI, Gli accordi sindacali separati tra formalismo giuridico e dinamiche intersindacali, in Dir. Rel. Ind., 2, 2011, p. 346 ss.

[5] Cass. 18 settembre 2007, n. 19351, in Mass. Giur. Civ., 2007, p. 9.

[6] 197Cass. 18 dicembre 2006, n. 27031, in Riv. Giur. Lav. 2007, 3, II, p. 616; Cass. 20 settembre 2005, n. 18508, in Mass. Giur. civ, 2005, p. 9; Cass. 20 giugno 2001, n. 8429, in Mass. Giur. Civ., 2001, p. 1226; Cass. 25 febbraio 1997, n. 1694, in Mass. Giur. civ, 1997

[7] Cass. 16 aprile 1993 n. 4507,in Mass. Giur. lav., 1993, p. 322; cfr. anche Cass. 9 giugno 1993, n. 6410, ibidem, 1993, p. 467; Cass. 20 settembre 1996, 8360, in Not. Giur. lav., 1997, p. 8; di recente, Cass. 20 agosto 2009, n. 18548, in MGC, 2009, 9, 1263 .

[8] Cfr. RESCIGNO, Contratto collettivo senza predeterminazione, op. cit., p. 576.

[9] Si veda “L’efficacia soggettiva del contratto collettivo”, di Ludovica Cioffi

Curriculum in Diritto del Lavoro

[10] Cass. Lav. 20 settembre 2005, n. 18508. Nel senso dell’illegittimità del recesso ante tempus cfr. anche Trib. Modena 22 aprile 2011 che ha dichiarato illegittima la disdetta del ccnl metalmeccanico 20 gennaio 2008 operata da Cisl e Uil in quanto ante tempus rispetto alla scadenza del contratto.

[11] Trib. Torino, dott.ssa Cirvilleri, 18 aprile 2011. ma contra sul fatto che il recesso di per sé crei un discredito giuridicamente antisindacale cfr. Cass. Lav. 22 aprile 2004, n. 7706.

[12] S. Sangiorgi, Rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965; da ultimo Cass. Lav. 18 settembre 2007, n. 19351, cit. e Cass. Lav. 20 dicembre 2006, n. 27198 ma si vedano già Cass. , 16 aprile 1993, n. 4507, in Mass. Giur. Lav. , 1993, pag. 322 nonché Cass. Lav. 7 marzo 2002, n. 3296, in Notiz. Giur. Lav. 2002, pag. 437.

[13] Sul valore dei principi di buona fede e correttezza come norme integrative del contratto, ed in particolare del contratto di lavoro, cfr. Cass. , 8 settembre 1995, n. 9501, in Mass. Giur. Lav. 1996, pag. 14, con nota di M. Papaleoni, Nozione di antisindacalità e abuso del diritto. Cfr. anche Cass. Lav. , 22 aprile 2004, n. 7706.

[14] Cass. Lav. 20 settembre 1996, n. 8360 est. Ianniruberto nonché Cass. Lav. 16 aprile 1993, n. 4507 in Mass. Giur. Lav. , 1993, pag. 322.

[15] Cass. , Sez. Lav. , 22 aprile 2004, n. 7706.

[16] Si veda Giovanna Pacchiani Parravicini, op. cit.

[17] cfr. Cass. 8994/2011, Cass. 3296/2002, e Cass. 15863/2002 richiamate da Cass. 25062/2013

[18] cfr Cass. 25062/2013

[19] Vedi https://www.delucapartners.it/dlp-insights/giurisprudenza/lazienda-non-puo-recedere-unilateralmente-dal-ccnl-prima-della-scadenza/

[20] Cass. , Sez. Lav. , 19 aprile 2011, n. 8994.

[21] In questo senso cfr. M. Persiani, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, op. cit. nonché Id. Ancora sull’autonomia privata collettiva, op. cit. , pag. 759; contra A. Lassandari, Le nuove regole sulla contrattazione, op. cit.

[22] Cass. 16 aprile 1993, n. 4507, cit.

[23] Trib. Torino, est. Visaggi, 2 maggio 2011 FIOM CGIL c. Prima Industrie, in Riv. It. Dir. Lav., 2011, pag. 688.

[24] P. Tosi, Contrattazione collettiva e controllo del conflitto, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind. , 1988, pag. 449.

[25] Si veda Disdetta dal Ccnl e sostituzione: necessaria la sua scadenza, di Luca Vannoni, www.wclavoro.it

[26] Cass. , Sez. Lav. , 14 aprile 2003, n. 5908; conf. Cass. Lav. , 22 aprile 1995, n. 4563 e Cass. , Sez. Lav. , 21 aprile 1987, n. 3899.

[27] Cass. Sez. Un. , 30 maggio 2005 n. 11325, in Mass. Giur. Lav. , 2005, pag. 590.

[28] Così Cass. , Sez. Lav. , 10 novembre 2000, n. 14613 nonché Cass. , Sez. Lav. , 9 maggio 2008 n. 11602 e Cass. , Sez. Lav. , 2 febbraio 2009 n. 2590.

[29] In tema di accordi separati e relative problematiche cfr. P. Tosi, Lo shock di Pomigliano sul diritto del lavoro: il sistema collettivo, in relazione al VI° Seminario di Bertinoro ora in Arg. Dir. Lav. 2010, pag. 1080; A. Maresca, Accordi collettivi separati: tra libertà contrattuale e democrazia sindacale, op. cit. , pag. 29.

[30] Si veda Giovanna Pacchiani Parravicini, op. cit.

[31] www.edotto.it