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Decreto Sostegni: il divieto di licenziamento

Sulla luminosità
Ph. Simona Balestra / Sulla luminosità
Tabella 1

La principale novità introdotta dal c.d. decreto Sostegni (Decreto Legge 22 marzo 2021, n. 41) è un divieto di licenziamento a “due vie”.

Una scadenza per chi può fruire degli ammortizzatori sociali ordinari, i quali sono indicati all’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 148/2015, e un’altra scadenza per gli altri che possono fruire delle altre tipologie di ammortizzatori sociali.

Il comma 9 dell’articolo 8 del Decreto dispone che fino al 30 giugno 2021 resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, 223 (licenziamenti collettivi) e restano altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020.

Fino alla medesima data di cui al primo periodo, resta, altresì, precluso al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 [1] (licenziamento per giustificato motivo oggettivo) e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge ovvero la comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore, in cui esprime l’intenzione di licenziarlo per giustificato motivo oggettivo.

Dal 1° luglio al 31 ottobre 2021 ai datori di lavoro di cui ai commi 2 e 8 del decreto restano le preclusioni di cui sopra.

Essi sono:

  • Chi può presentare domanda per i trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga;
  • Chi può presentare domanda Fondi di cui all’articolo 27 del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 148;
  • Chi può presentare domanda per il trattamento di cassa integrazione salariale operai agricoli (CISOA).

Le sospensioni e le preclusioni di cui sopra non si applicano:

  • nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;
  • nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. A detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22;
  • sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

 

Decreto Sostegni: cessazione dell’attività

La norma parla di cessazione definitiva dell’attività: ad esempio, che la chiusura di una unità produttiva, con l’impresa che resta “in vita”, non consentirebbe l’aggiramento della sospensione dei licenziamenti.

Inoltre, attenzione che non ci deve essere trasferimento d’azienda.

Qualora si evidenzi tale ultima ipotesi vanno mantenuti i diritti dei lavoratori che si concretizzano nel fatto che:

  • i rapporti continuano con il cessionario ed i lavoratori conservano i diritti che ne derivano;
  • il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che i lavoratori avevano al tempo del trasferimento, salvo liberazione del cedente con le procedure, in sede protetta, previste dagli articoli 410 e 411 c.p.c.;
  • il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa subentrante;
  • il passaggio di azienda (anche in forma parziale o attraverso l’affitto) postula il rispetto della procedura di informazione e di consultazione sindacale prevista dall’articolo 47 della Legge n. 428/1990.

Il Legislatore sembra quindi riferirsi alle imprese costituite in forma societaria ed alla conseguente attività liquidatoria. Tuttavia, la norma si riferisce a tutti i datori di lavoro che cessano l’attività, quindi anche quelli piccoli e piccolissimi che, come si dice in gergo “commerciale”, riconsegnano la “licenza”. In più si ritiene che in caso di cessione di ramo d’azienda e successiva cessazione dell’attività rimasta vi è il dubbio se sia possibile licenziare i lavoratori non rientranti nel ramo ceduto per cessazione d’azienda.

 

Decreto Sostegni: accordo collettivo

Qualora ne ricorrano le condizioni, il datore di lavoro potrà ricorrere ad accordi collettivi con le organizzazioni, anche territoriali, comparativamente più rappresentative a livello nazionale, per giungere a risoluzioni consensuali (magari, con incentivi all’esodo). Ai lavoratori viene riconosciuta la NASPI.

Quello previsto dal del Decreto un accordo collettivo aziendale atipico in quanto sono citate soltanto dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

Non si fa alcun riferimento alle RSA e alle RSU che dunque rimangono esclusi.

L’accordo collettivo va sottoscritto entro la data di “blocco dei licenziamenti” pur potendo le risoluzioni dei rapporti avvenire in data successiva. Il valore dell’incentivo all’esodo può essere diversificato in ragione del profilo professionale, dell’anzianità e delle singole situazioni, non dimenticando anche ipotesi di pensionamento anticipato anche attraverso le procedure del contratto di espansione che, per il 2021, riguarda le imprese con un organico superiore alle 250 unità. Nell’accordo, le parti possono anche convenire che i singoli accordi di risoluzione siano sottoscritti “in sede protetta” ex articolo 410 o 411 Codice Procedura Civile [2].

 

Decreto Sostegni: licenziamenti intimati in caso di fallimento

Le sospensioni e le preclusioni non si applicano anche nelle ipotesi di i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione.

Non deve essere previsto l’esercizio provvisorio ma deve essere stata disposta la cessazione.

Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

 

Decreto Sostegno: appalti

Il divieto di licenziamento non si applica ai dipendenti impiegati in un appalto, qualora vengano riassunti dal nuovo appaltatore – in seguito al subentro nell’appalto – per effetto della legge, di un contratto collettivo o di una clausola del contratto di appalto. Questi dipendenti possono quindi essere licenziati.

La ratio della norma è quella di preservare il posto di lavoro. Infatti per l’appaltatore uscente è possibile licenziare solo a condizione che i lavoratori siano poi riassunti dal nuovo appaltatore.

Questo effetto si realizza per lo più tramite pattuizioni di clausole sociali, contenute nel contratto di appalto o nel bando di gara o nei contratti collettivi (ad esempio il Ccnl Telecomunicazioni, il Ccnl Trasporto aereo, il Ccnl per le agenzie di somministrazione e quello Multiservizi). Nel nostro regime, il subingresso di un nuovo appaltatore non impone di per sé il passaggio dei lavoratori addetti all’appalto alle dipendenze del nuovo appaltatore.

Alcuni contratti collettivi prevedono condizioni di miglior favore con clausole ad hoc, disponendo che il rapporto debba necessariamente proseguire a parità di condizioni. Le clausole sociali sono appunto quelle volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato in un appalto: questo tipo di pattuizioni mira a salvaguardare il posto di lavoro di lavoratori occupati da un’azienda che si trova a perdere una gara d’appalto.

Nell’impossibilità di ricollocare i dipendenti addetti a quell’appalto, l’appaltatore uscente avrebbe facoltà di licenziare i lavoratori per soppressione della posizione lavorativa.

Tramite la clausola sociale, invece, è fatto obbligo all’azienda subentrante di riassumere il personale che altrimenti sarebbe in esubero, per garantire appunto la continuità occupazionale. La previsione subordina dunque la liceità dei licenziamenti a un comportamento non già del soggetto che recede, titolare del rapporto di lavoro, cioè il vecchio appaltatore, bensì alla condotta di un soggetto estraneo al rapporto, cioè l’appaltatore subentrante.

Se il vecchio e il nuovo appaltatore applicano lo stesso contratto collettivo, non sorgono particolari criticità.

Vi sono invece le seguenti criticità:

  • contratti collettivi che prevedono la riassunzione dei dipendenti impiegati dal precedente appaltatore, ma solo a determinate condizioni, quali ad esempio aver lavorato nell’appalto più di quattro mesi;
  • obbligo di riassunzione scatta se nell’appalto sono impiegati più di un certo numero di dipendenti.

In linea di principio, la clausola sociale, nella dimensione dei contratti collettivi, libera l’appaltatore uscente dalla continuazione di un rapporto non più necessario alla sua impresa e pone in capo al nuovo appaltatore l’obbligo di riassunzione.

Queste problematiche non sono contemplate dalla norma, per cui il nuovo appaltatore potrebbe legittimamente decidere di attenersi al contratto applicato dalla sua impresa, ma questa scelta potrebbe avere un serio impatto sulla legittimità del licenziamento messo in atto dal precedente appaltatore, realizzando così un effetto quantomeno anomalo sotto il profilo giuridico. Anche perché potrebbe non esistere un obbligo di riassunzione generalizzato dei lavoratori impiegati nell’appalto, e il riassorbimento potrebbe essere limitato.

La norma specifica il momento in cui debba intervenire la riassunzione del dipendente. Ma considerato che la ratio della normativa d’urgenza è quella di evitare la perdita di posti di lavoro e di minimizzare gli effetti del cambiamento di appalto sui lavoratori, sembra si possa affermare che la riassunzione debba essere immediatamente successiva al recesso del primo appaltatore.[3]

 

Decreto Sostegni: licenziamenti non compresi nel blocco

Ma quali sono i licenziamenti che non rientrano nel divieto?

Sono i seguenti:

  • I licenziamenti per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 Codice Civile;
  • I licenziamenti per giustificato motivo soggettivo legge 66/604;
  • I licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia;
  • I licenziamenti determinati da superamento del periodo di comporto;
  • I licenziamenti durante o al termine del periodo di prova;
  • I licenziamenti dei dirigenti sulla base della c.d. “giustificatezza”, frutto della elaborazione della contrattazione collettiva: si tratta di un criterio di valutazione più forte rispetto al giustificato motivo oggettivo che si applica agli altri lavoratori subordinati;
  • I licenziamenti dei lavoratori domestici che sono “ad nutum”;
  • I licenziamenti dei lavoratori dello spettacolo a tempo indeterminato (cosa rara), laddove nel contratto di scrittura artistica sia prevista la c.d. “clausola di protesta”, cosa che consente la risoluzione del rapporto allorquando il lavoratore sia ritenuto non idoneo alla parte [4].

 

Decreto Sostegni: conseguenze del licenziamento illegittimo

Il licenziamento intimato in violazione delle predette norme è nullo. In tali ipotesi, il giudice, dichiarando nullo il licenziamento, ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore al risarcimento del danno subito per il periodo successivo al licenziamento e fino alla reintegrazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo intercorrente fra il licenziamento e la reintegrazione.

Il risarcimento del danno è rappresentato da un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione e non può in ogni caso essere inferiore alle cinque mensilità (non è invece previsto un limite massimo). Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative.

Fermo restando tale risarcimento, il lavoratore ha, comunque, la possibilità - entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza - di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro.

 

[1] Ai sensi dell’articolo 3 della legge 604/1966, il licenziamento può essere intimato “per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”: si tratta del c.d. licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

[2] Cfr. con Divieto di licenziamento: proroga in due tempi nel decreto Sostegni, Eufranio Massi, Ipsoa quotidiano del 25 marzo 2021.

[3] Cfr. con Decreto sostegni : le novità per il lavoro e gli altri aiuti al reddito, A cura di Francesco Geria

[4] Cfr. con Divieto di licenziamento: proroga in due tempi nel decreto Sostegni, Eufranio Massi, Ipsoa quotidiano del 25 marzo 2021.