Revoca dell’assessore: sindacabilità e tutele risarcitorie
Indice
1. La dicotomia atto politico-atto amministrativo e il tertium genus del cd. atto di alta amministrazione
2. La revoca degli incarichi assessorili: il puntum dolens della questione ed i relativi risvolti applicativi
3. L’analisi delle dottrina
4. La terza via del Consiglio di Stato
5. Coordinate processuali della vicenda: azioni esperibili ed oneri probatori
6. Il danno non patrimoniale da lesione all’immagine e alla personalità politica
Abstract
La natura del decreto di revoca sindacale degli incarichi assessorili si inscrive nell’ambito della più ampia tematica afferente alla dicotomia tra atto politico e atto amministrativo.
La questione non assume unicamente rilievo dogmatico, atteso che, ove ne fosse riconosciuta la natura politica, l’atto de quo sarebbe sottratto al sindacato del Giudice Amministrativo e indifferente alle garanzie procedimentali della Legge n. 241 del 1990.
Sul punto, nell’avvicendarsi delle posizioni dottrinali, i recenti pronunciamenti del Consiglio di Stato riconoscono al provvedimento di revoca dell’assessore vocazione di atto di alta amministrazione.
Tale soluzione permette la diretta impugnabilità del provvedimento in parola innanzi al Giudice Amministrativo e consente, pur conservandone veste politica in ordine al soggetto che lo adotta, di affermare la piena operatività della Legge sul Procedimento amministrativo ed, in particolare, le guarentigie partecipative in favore dei destinatari dell’atto.
1. La dicotomia atto politico-atto amministrativo e il tertium genus del cd. atto di alta amministrazione
L’attività amministrativa è manifestazione della funzione pubblica, mediante la quale i soggetti ivi preposti provvedono alla cura degli interessi pubblici (1).
L’individuazione dei fini da perseguire, la qualificazione degli stessi come pubblici e la loro attribuzione alla Pubblica Amministrazione avviene, in sede di indirizzo, da parte di organi di vertice, cui compete la funzione politica di governo.
L’attività politica, dunque, si concreta nel complesso di atti, attraverso i quali si delinea la direzione suprema della “cosa pubblica”.
Dunque, il discrimen tra attività politica e attività amministrativa si inquadra notoriamente nella ricorrenza o meno di un vincolo funzionale cogente sull’attività espletata.
In altre parole, per la Pubblica Amministrazione il perseguimento dell’interesse pubblico rappresenta fine e, al contempo, vincolo di funzione e di scopo da rispettare.
Viceversa, l’attività politica è scevra da vincoli, in quanto ontologicamente preposta a fissare il fine che l’attività amministrativa è chiamata a perseguire.
Da tali premesse, si ricavano agevolmente i lineamenti dell’atto politico: un atto che, sul piano soggettivo, deriva da organi di vertice, volto al governo della res pubblica e, sul piano oggettivo, è vocato alla costituzione, salvaguardia e al funzionamento dei pubblici poteri, nella loro organica struttura e nella loro coordinate applicazione (2).
Dunque, in ragione dei propri caratteri intrinseci, l’atto politico non è soggetto a sindacato giurisdizionale tantomeno al rispetto delle garanzie procedimentali di cui alla Legge n. 241 del 1990.
A ben vedere, tale insindacabilità trae l’originr dall’articolo 7, comma 1, del Codice del Processo amministrativo, che esclude expressis verbis l’impugnabilità di atti e provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico.
La ratio ivi sottesa si rinviene pacificamente nel principio di separazione dei poteri, a garanzia dell’indipendenza delle funzioni dello Stato.
Ad ogni modo, siffatta insindacabilità non assume connotati assoluti.
Al pari di qualsivoglia tipologia di atti, anche quello politico, soggiace al rispetto di vincoli di carattere costituzionale, ovvero dei principi fondanti la legalità costituzionale, e di derivazione comunitaria.
Nondimeno, trattandosi di atti emanati dal Governo o da organi politici di vertice, essi soggiacciono ad altre forme di controllo proprie del corpo elettorale o dell’organo legislativo di riferimento: è di immediata evidenza, in tal senso, il nesso con il voto di fiducia delle Camere nei confronti delle proposte del Governo.
Caratteri diametralmente opposti connotano, invece, l’atto amministrativo in senso stretto, emanato da una Pubblica Amministrazione ed espressione della sua potestà di imperio.
L’atto amministrativo soggiace alle disposizioni della Legge n. 241 del 1990: è reso al termine di un procedimento amministrativo, svolto in contraddittorio con il destinatario, ed imprescindibilmente connotato da uno stringente onere motivazionale.
Orbene, accanto alla dicotomia atto politico-atto amministrativo, si colloca una terza tipologia di atto: cd. di alta amministrazione, una figura ibrida, di natura puramente amministrativa.
Questo tertium genus proviene da un organo di vertice della Pubblica Amministrazione ed è portatore di scelte amministrative di fondo, caratterizzate da una discrezionalità di massima estensione.
In sostanza, esso si colloca in una posizione intermedia tra gli atti politici, volti alla definizione del fine da seguire, e gli atti amministrativi stricto sensu diretti ad attuare le direttive poste a livello organizzativo dai primi.
2. La revoca degli incarichi assessorili: il puntum dolens della questione ed i relativi risvolti applicativi
Tanto premesso a livello definitorio, la questione cha ha catalizzato l’interesse degli interpreti attiene alla natura politica o amministrativa da riconoscere agli atti di revoca da parte del Sindaco degli incarichi assessorili.
Tale aspetto non assume rilievo spiccatamente dogmatico, posto che dall’inquadramento nell’uno o nell’altra categoria discendono differenti conseguenze sul piano applicativo.
In altre parole, sussumere il decreto sindacale di revoca tra gli atti politici equivarrebbe a sottrarlo dal sindacato giurisdizionale del Giudice amministrativo e renderlo indifferente alle garanzie procedimentali della Legge n. 241 del 1990.
Al contrario, riconoscere all’atto in parola natura prettamente amministrativa, quale atto di alta amministrazione, significa ammetterne la diretta impugnabilità innanzi al Giudice Amministrativo e affermare la piena operatività della legge sul procedimento amministrativo, ed in articolare, le guarentigie partecipative in favore dei destinatari dell’atto, tra cui, in primis, onerare il soggetto pubblico di dar conto dei presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la sua decisione, ex articolo 3 della Legge n. 241 del 1990.
3. L’analisi delle dottrina
La questione non è risolta in maniera univoca, alla luce delle significative diversità di vedute tra dottrina e giurisprudenza.
Invero, la dottrina maggioritaria attribuisce al decreto di estromissione dall’incarico di assessore natura politica, traendo in tal senso feconde indicazioni dal tenore letterale dell’articolo 46 del Testo Unico degli Enti Locali, a mente del quale, il Sindaco e il Presidente della Provincia nominano i componenti della Giunta e revocano uno o più assessori, dandone motivata comunicazione al Consiglio.
Del pari, una simile previsione contenuta nell’articolo 122 della Costituzione con riferimento al Presidente della Regione che nomina e revoca i componenti della Giunta.
Orbene, l’articolo 46 del Testo Unico degli Enti Locali dispone un obbligo motivazionale del provvedimento di revoca unicamente nei confronti del Consiglio Comunale, che a sua volta potrebbe in astratto non condividere la scelta operata dal primo cittadino e, conseguentemente, sfiduciarlo.
La norma nulla dispone nei riguardi dell’assessore estromesso, che non appare destinatario di alcuna previa comunicazione del procedimento. La disposizione in parola è stata, pertanto, intesa dalla migliore dottrina come l’assenza in capo all’eletto di una posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela, escludendo, pertanto, l’atto di revoca dal novero degli atti amministrativi.
Sul punto, un particolare filone dottrinale sottolinea come militi in questa direzione anche la recente modifica in materia elettorale (3).
Invero, la disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 267 del 2000 dispone l’elezione diretta e a suffragio universale del Sindaco da parte della collettività e ha, pertanto, valorizzato una forma di governo locale di tipo presidenziale, dove il primo cittadino nomina i componenti dell’organo esecutivo in forza di un rapporto spiccatamente fiduciario.
Ne discende che, al fine di garantire la coesione e l’unità dell’organo dell’ente locale, al Sindaco si riconosce il pieno potere di revocare un componente della Giunta, senza obbligo alcuno di fornire analitica motivazione.
In altri termini, venuto meno il rapporto fiduciario che involge il connubio politico tra capo dell’amministrazione e assessore, il Sindaco è legittimato ex lege ad estromettere l’assessore eletto senza alcuna motivazione esplicita, ove ravveda l’assenza dei presupposti per dare attuazione al programma politico per il quale è stato eletto.
Ne deriva, pertanto, in ragione della politicità che connota l’atto de quo, che al destinatario sarebbe precluso adire il Giudice Amministrativo, per contestare la legittimità dell’atto a suo sfavore.
4. La terza via del Consiglio di Stato
La vexata questio è risolta in senso contrario dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, che, in numerosi pronunciamenti, ha riconosciuto, all’atto in parola natura di atto di alta amministrazione.
Tale orientamento ammette la piena sindacabilità del provvedimento di revoca innanzi al Giudice Amministrativo per ragioni di carattere formale, restando un apprezzamento sull’opportunità politico-amministrativa della decisione.
Nondimeno, ne viene ribadita l’essenzialità dell’onere motivazionale.
Il pur ampio potere del Sindaco di revocare un componente della Giunta non può trasmodare in una prerogativa arbitraria insindacabile. Opinando in tal senso, si rischierebbe di trasmodare in un eccesso di potere e ricorrere allo strumento della revoca ogni qualvolta si renda necessario adombrare personalità politiche scomode (4).
Beninteso, si esclude che la scelta del Sindaco possa esporsi a profili di illegittimità, ove la motivazione della rottura del rapporto fiduciario si fondi sul disimpegno politico dell’assessore, ovvero sulla mancanza di un contributo nell’attuazione del programma politico della coalizione.
In questi termini, l’assessore, estromesso dall’organo esecutivo locale, può adire il Giudice Amministrativo, azionando l’ordinaria tutela demolitoria per ottenere una declaratoria di illegittimità dell’atto sfavorevole.
5. Le coordinate processuali della vicenda: azioni esperibili ed oneri probatori
Sul piano processuale, l’articolo 30 del Codice del Processo amministrativo riconosce al ricorrente il diritto di formulare, innanzi al Giudice Amministrativo, contestualmente nell’unico ricorso, la domanda di annullamento e di ristoro del danno subito, ovvero successivamente, all’esito del giudizio caducatorio, entro 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi del comma 5.
Orbene, il diritto al risarcimento del danno da provvedimento amministrativo illegittimo sorge, come tutti i diritti di natura risarcitoria, nel momento in cui si verifica il danno-evento, identificato nell’emanazione dell’atto illegittimo, e viene liquidato alla luce delle conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate, id est il cosiddetto danno-conseguenza.
In altri termini, l’istante deve provare l’esistenza di un danno inteso come pregiudizio che abbia risentito.
La prova di tale pregiudizio rappresenta l’elemento oggettivo della responsabilità di cui all’articolo 2043 del Codice Civile, cui la giurisprudenza amministrativa maggioritaria vi riconduce pacificamente la responsabilità della Pubblica Amministrazione da provvedimento amministrativo illegittimo.
Quanto alla prova dell’elemento soggettivo, secondo la giurisprudenza amministrativa dominante, la colpa della Pubblica Amministrazione si estrinseca, in tale fattispecie, nella violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili dai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, dalle regole poste a garanzia di celerità efficienza e trasparenza, nonché dei principi generali dell’ordinamento, quali quello di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza.
Pertanto, il danneggiato può limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto come prova della colpa della Pubblica Amministrazione, facendo uso delle normali regole di comune esperienza e delle presunzioni semplici di cui all’articolo 2727 del Codice Civile.
È indubitabile, altresì, come la revoca illegittima dalla carica politica costituisca per l’assessore fonte di un danno patrimoniale e, alla luce delle più recenti pronunce della giurisprudenza, anche di natura non patrimoniale.
Come noto, al momento della proclamazione degli eletti, si instaura un rapporto tra l’amministratore e l’ente locale: un rapporto di servizio, dal quale scaturisce il diritto ad ottenere un’indennità di funzione.
Il cd. gettone di presenza non ha carattere remunerativo, bensì compensativo, in quanto finalizzato a compensare l’amministratore del tempo e delle risorse sottratte all’attività lavorativa ordinariamente svolta e trascurata in costanza del mandato elettorale.
Inoltre, agli amministratori locali che siano, altresì, lavoratori autonomi o lavoratori dipendenti, senza aspettativa, è riconosciuto l’indennità di funzione, seppur in misura dimidiata.
Dunque, è all’evidenza come il quantum risarcitorio spettante al danneggiato possa essere agevolmente commisurato in misura pari ai mancati emolumenti di funzione, che sarebbero stati percepiti ove non fosse stato adottato il decreto di revoca.
6. Il danno non patrimoniale da lesione all’immagine e alla personalità politica
Del pari, non sussistono ostacoli di carattere logico-giuridico per non riconoscere al danneggiato il ristoro del danno non patrimoniale, identificato nel pregiudizio all’immagine e alla personalità politica, compromesse dalla vicenda (5).
Le incertezze sul punto sono risolte in senso affermativo dal Giudice amministrativo.
Come noto, la Suprema Corte ha ridisegnato l’istituto del danno non patrimoniale come categoria omnicomprensiva di qualsivoglia pregiudizio di natura personale scaturente dall’illecito, attraverso una lettura in chiave evolutiva dell’articolo 2059 del Codice Civile.
Il pregiudizio non patrimoniale viene risarcito, alla luce della sua tipicità, nei casi espressamente previsti dalla legge, nelle ipotesi di reato e ogniqualvolta, pur in assenza di un’espressa previsione legislativa, venga leso un diritto meritevole di tutela a livello costituzionale, ricorrendone la serietà della lesione e la gravità del danno.
Orbene, l’ingiusta estromissione dall’organo esecutivo comunale è fonte di un danno patrimoniale, quale danno morale che, nella fattispecie, non deve necessariamente essere inteso come sofferenza psichica transuente generata dall’illecito, ma inquadrato come nocumento di natura personale che scaturisca dalla lesione di un diritto costituzionalmente riconosciuto.
La partecipazione alla vita politica attiva della comunità locale, in quanto espressiva di crescita personale e, al contempo, del progresso materiale e culturale della comunità locale, costituisce un diritto inviolabile, riconosciuto e tutelato dagli articoli 3 e 4 della Costituzione.
È in ragione di tali argomentazioni, dunque, che il Giudice Amministrativo ritiene meritevole di accoglimento la domanda risarcitoria del danno non patrimoniale, avanzata dall’assessore illegittimamente estromesso, ove, beninteso, siano rispettati gli oneri probatori posti dalla legge.
*Note bibliografiche:
- Caringella F., Manuale di Diritto amministrativo, 2017, Dike Giuridica Editrice, pp. 1076 – 1083.
- Caringella F., Compendio di Diritto Amministrativo- Major, 2016, Dike Giuridica Editrice, pp. 36 – 41.
- Manganiello F., “Revoca degli assessori delle Regioni e degli altri enti locali:una fuga dall’atto politico?”, articolo tratto da www.neldiritto.it;
- Giannotti V., “Illegittima la revoca dell’Assessore disposta da Sindaco se le motivazioni non riguardino in via diretta la sua carica”, tratto da www.quotidianopa.leggiditalia.it ;
- Camarda L., “Illegittima la revoca dell’assessore, risarcimento del danno patrimoniale e all’immagine”, tratto da www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com;
*Note giurisprudenziali.
- Consiglio di Stato, Sez. V, 19 gennaio 2017, n. 215;
- Consiglio di Stato, sent. 23 febbraio 2012, n. 1053;
- Consiglio di Stato, Sez. V,21 gennaio 2009, n. 280;
- Tribunale Amministrativo Regionale di Torino, Sez. II, 2 maggio 2015, n. 746
- Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Bari, Sez. II, 1 aprile 2004, n. 1696;
- Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Lecce, Sez. III, 14 luglio 2003, n. 4740.