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Riccio e la priorità ai vaccinati, un razzismo etico

Mario Riccio
Mario Riccio

di Tommaso Scandroglio

Le cure te le devi meritare. Vivere è un premio per i migliori, gli altri possono anche schiattare. Questo è il succo di un’intervista rilasciata a Repubblica da Mario Riccio, direttore del reparto di Terapia intensiva dell’ospedale di Casalmaggiore, componente del Consiglio Generale dell’Associazione “Luca Coscioni” di Roma e medico che aiutò Piergiorgio Welby a morire. Gli stessi concetti sono stati espressi da Riccio nel corso di una puntata del programma L’aria che tira (e i commenti degli utenti su Youtube sono stati tutti assai critici, per non dire salaci).

Riccio così esordisce riferendosi ai malati di Covid: “Alcuni ospedali iniziano a scricchiolare. Per decidere a chi assegnare un posto in rianimazione sarebbe giusto tener conto anche della vaccinazione”. Poi ricorda un principio moralmente doveroso, ma che rifiuta: “La regola è dare la precedenza a chi ha più probabilità di farcela. Ma oggi questo criterio assume risvolti paradossali”. Il paradosso secondo il medico di Casalmaggiore sarebbe il seguente: “Oggi di Covid muore solo chi vuole morire. Molti dei pazienti che curiamo nei nostri reparti sono piuttosto giovani, hanno passato il primo anno di pandemia a negare l’esistenza del Covid e il secondo a rifiutare i vaccini. Accanto a loro c’è una parte di vaccinati che ha un’età molto avanzata e due o tre fattori di rischio importanti. Dare la precedenza a chi ha più chance di farcela vuol dire mettere i No Vax davanti ai vaccinati”.

Il dilemma su chi curare per primo non riguarda solo i pazienti Covid in terapia intensiva, ma anche altri pazienti: “E cosa diciamo a chi attende per operarsi di tumore, che il suo letto è bloccato da una persona che non si è voluta vaccinare? Come ha detto il presidente Mattarella, vaccinarsi è un dovere etico. A mio parere dovrebbe essere inserito nei criteri di priorità per le cure. […] Chi arriva in terapia intensiva oggi è molto spesso perché lo ha voluto, non vaccinandosi”. Poi aggiunge: “Difficilmente un polmone verrà assegnato a un grosso fumatore o un fegato a un etilista”. E così conclude: “Se una persona ha fatto scelte di altro tipo, dovremmo cercare di aiutare di più chi invece vorrebbe vivere”.

Il dilemma etico, su cui siamo tornati più volte (clicca quiqui e qui), è dunque il seguente: a chi dare la priorità in terapia intensiva se non ci sono letti a sufficienza per tutti? In via preliminare annotiamo che attualmente non versiamo in questa situazione (e laddove si è presentata è più da addebitare ad una cattiva gestione sanitaria dei pazienti), quindi l’uscita di Riccio appare più come uno sfogo emotivo verso i non vaccinati che non come un’indicazione operativa perché ci troviamo in stato di emergenza. Detto ciò, la risposta al dilemma fornita anche dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), dalla Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) e dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb) è quella ricordata dallo stesso Riccio: “La regola è dare la precedenza a chi ha più probabilità di farcela”. Se voi avete un solo salvagente e due persone stanno per annegare, dovete lanciare il salvagente alla persona che ha più probabilità di farcela, che meglio potrà usare di quel salvagente. In tal modo non volete la morte di nessuno, bensì la salvezza di uno dei due tollerando la morte dell’altro.

Riccio invece elimina il criterio di efficacia e inserisce quello del merito. La meritocrazia entra in corsia, ma non tra i medici - e questo sarebbe lodevole - bensì tra i pazienti. Riccio, quindi, suggerisce che il medico si deve ergere a giudice della condotta morale dei pazienti. In stato di necessità solo coloro che si sono comportati diligentemente possono curarsi e vivere, gli altri pagheranno il fio della loro colpa. Vivere diventa un premio per i virtuosi e morire una giusta pena per gli incivili. Siamo alla summa del paternalismo medico così tanto osteggiato dal pensiero radicale a cui si rifà il dott. Riccio.

A seguire questa logica ne vedremmo delle belle laddove ci fosse penuria di risorse: niente chemio per i malati di tumore che sono fumatori, niente terapie per gli alcolisti con cirrosi epatica, niente ambulanza e tantomeno ricovero per chi ha fatto un incidente stradale perché superava i limiti di velocità oppure perché si era distratto al cellulare, niente assistenza medica per le persone sovrappeso che mangiano in modo disordinato e non fanno sport, nessun soccorso per il rapinatore che si è ferito in una rapina, niente cure per chi non si sottopone ad esami periodici e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Una medicina apparentemente etica, in realtà fortemente discriminatoria: curiamo i migliori. Una medicina letteralmente aristocratica e inficiata da razzismo etico.

In merito poi alla frase “Difficilmente un polmone verrà assegnato a un grosso fumatore o un fegato a un etilista”, Riccio la inserisce nell’intervista in modo furbo. Il criterio in realtà è il seguente: il fumatore o l’etilista che promettono di astenersi da sigarette e alcol entreranno in lista di attesa, in caso contrario no. Ma questo avviene non perché si elegge il criterio di buona condotta a principio utile per i trapianti, ma perché si sceglie il già menzionato criterio di efficacia: preferibile dare il polmone a chi lo “utilizzerà” al meglio (il non fumatore) oppure al peggio (il fumatore)? In futuro gli effetti positivi del trapianto saranno tanto maggiori quanto più il ricevente assumerà condotte di vita sane (al netto ovviamente del giudizio sul quadro clinico del ricevente fumatore o etilista che in quanto tale potrebbe compromettere il buon esito dell’operazione di trapianto: ulteriore risvolto del criterio di efficacia di cui sopra). È lo stesso motivo per cui soggetti non indicati a ricevere un polmone sono chi fa abuso di droghe, chi è affetto da obesità morbosa o da una malattia coronarica, etc. Gli organi sono pochi, diamoli a chi vive nelle migliori condizioni cliniche possibili. Il giudizio morale sullo stile di vita non c’entra nulla.

In terzo luogo non è vero, come asserisce Riccio, che la persona che non si è vaccinata vuole morire. È vero l’opposto: a torto o a ragione - non entriamo in argomenti che sfuggono alla nostra competenza - la persona che non si è vaccinata ha preso questa decisione per tutelare la propria salute e laddove viene ricoverata vuole essere curata. Vi sono poi soggetti che rifiutano anche in questi frangenti drammatici le cure? Come ha ricordato lo stesso Riccio nell’intervista “il 31 dicembre [la Siaarti] ha redatto un documento in cui ci chiede di spiegare con ragionevole insistenza e in modo ripetuto l’utilità di alcune cure cui a volte il paziente No Vax si oppone, ad esempio l’intubazione”. Pratica che Riccio accoglie con fastidio, ma, ahilui, fa parte del suo mestiere proporre e non imporre le cure, né tantomeno rifiutarle a chi non si dimostra degno.

Curioso poi che Riccio, così favorevole all’autodeterminazione persino anche quando questa conduce ad una scelta eutanasica, non rispetti l’autodeterminazione di chi non si vuole vaccinare e - errando da un punto di vista morale - non voglia intubarsi. Aiutiamo a morire per rispetto della libertà altrui ed invece, non rispettando la libertà altrui, obblighiamo a vaccinarsi, intubiamo a forza (lecito secondo morale naturale se in ballo c’è la vita, illecito nella prospettiva di Riccio) e costringiamo i cosiddetti “no vax” a non curarsi perché li escludiamo dalle terapie intensive? Non è contraddittorio? Il consenso o il rifiuto non dovrebbero essere sempre rispettati?

E non chiamiamo in causa il supposto bene degli altri che nella scelta eutanasica non verrebbe compromesso ed invece nel rifiuto ai vaccini sì. Anche chi sceglie l’eutanasia provoca danni a terzi: la sofferenza dei parenti che non hanno accettato questa scelta, gli effetti emulativi su altri, le risorse pubbliche, etc. Inoltre, come già appuntato, tutti coloro che hanno uno stile di vita insano sottraggono risorse mediche, quando si ammalano, a chi invece si è sempre preoccupato della propria salute. Ogni nostra azione provoca effetti sugli altri.

Infine Riccio compie una interessante e quanto mai inquietante operazione: applica il principio eugenetico alle condotte. Come il bambino malato può essere ucciso nel ventre materno o come alla persona disabile possono essere sottratte cure indispensabili per vivere, così la persona che non si comporta bene (un “bene” giudicato, tra l’altro, in modo arbitrario) potrà non accedere ad alcuni piani terapeutici. Se nasci o vivi male puoi morire e, in modo analogo, se ti comporti male puoi ugualmente morire. L’eugenetica, che riguarda l’essere-bene, viene trasposta in campo morale e diventa euprassi, che riguarda l’agire-bene. Arrivati a questo punto, si salveranno solo i migliori dal punto di vista fisico e morale.