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Riflessioni a margine del ddl Bassanini sulla riduzione dei controlli

Da l’"Agenda ANCI", Novembre-Dicembre 1996

RIFLESSIONI A MARGINE DEL DDL BASSANINI SULLA RIDUZIONE DEI CONTROLLI

Il 24 ottobre 1996 il Senato ha approvato con modifiche peggiorative e trasmesso alla Camera il disegno di legge Bassanini sullo snellimento delle procedure amministrative (atto Senato 1034), accolto con favorevoli valutazioni da parte dell’ANCI e delle associazioni degli Enti locali.

Tale affrettato consenso non può sicuramente essere condiviso per la parte del DDL relativa ai controlli (art. 4), là ove si tenta di far passare in nome di un malpensato concetto di autonomia una illogica riduzione dei controlli costituzionalmente previsti.

Infatti il sistema dei controlli, così come disciplinato nell’art. 130 della Cost., si concilia con il rispetto dell’autonomia degli Enti locali, riconosciuta dall’art. 5, anche nella prospettiva di una riforma in senso federale dello Stato.

Il controllo implica, è vero, un’attività di vigilanza sull’ente da parte di un soggetto terzo ad esso estraneo, ma, a meno che non si voglia ritenere che l’autonomia si dispieghi soltanto in assenza di controlli, la riduzione e la significativa limitazione del riconoscimento dell’autonomia dell’ente dipendono piuttosto dalle modalità dell’esercizio del controllo.

In altri termini, l’art. 130 può giustificare tanto forme di controllo che consentano soprattutto di garantire il buon funzionamento degli enti e il loro raccordo con la Regione, quanto all’estremo opposto, modalità finalizzate esclusivamente alla verifica della legittimità, imparzialità, trasparenza e buon andamento delle amministrazioni locali che stridono con il concetto di autonomia.

Il sistema costituzionale delle autonomie locali, stabilendo che "la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni" 8art. 114 Cost.), tende ad una parificazione dei tre livelli degli enti, secondo una visione, per così dire, "policentrica", Regione, Province e Comuni sono cioè titolari di una propria autonomia garantita costituzionalmente.

Nell’ambito di un ordinamento nel quale coesistono lo Stato centrale e i soggetti periferici, l’ambito e il fine del controllo si configura come tutela della legalità costituzionale cui tutti i poteri soggiacciono, che come una garanzia nei confronti della stessa comunità locale, la cui autonomia, riconosciuta e garantita dall’art. 5 della Cost. è non già mortificata ma accresciuta da un corretto esercizio dei controlli.

Le istanze di un maggior grado di autonomia degli Enti locali, anche nella prospettiva della riforma in senso federale dello Stato, impongono oggi un ripensamento del ruolo e della funzione dell’attività di controllo.

L’attribuzione dei poteri di controllo all’organo regionale deve essere disciplinato secondo modalità che consentano alla Regione di esercitare un sostanziale potere di "indirizzo collaborativo" verso le amministrazioni locali e quanto più quest’ultimo sarà efficace, tanto più il controllo potrà trasformarsi da vincolo mal tollerato dagli enti in una risorsa utilizzabile come è stato opportunamente affermato - per obiettivi non solo di legalità, ma anche, e soprattutto, di buona ed efficiente amministrazione.

L’autonomia non può essere, invece, intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità.

In un sistema non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni, oltre che al vaglio di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e della efficienza.

Un ripensamento dei controlli amministrativi è oggi necessario alla luce delle esperienze e dei risultati ottenuti, al fine di coniugare la tutela dell’autonomia degli enti territoriali con la garanzia del rispetto della legalità dell’azione amministrativa. Non si può invece condividere la tesi di quanti propugnano l’eliminazione dei controlli, sulla base della considerazione che la vigilanza non ha impedito che l’attività degli Enti locali venisse esercitata in dispregio della legge e delle regole che disciplinano una sana e corretta gestione della cosa pubblica. C’è semmai da chiedersi quali sarebbero stati i risultati se fossero venuti meno anche questi "filtri" amministrativi che, se non hanno potuto reprimere i fenomeni di corruzione e di malversazione nell’ambito degli Enti locali, li hanno tuttavia limitati.

In un paese in cui l’illegalità è diffusa e fortemente radicata nel territorio occorre non già eliminare, ma rafforzare e, se necessario, ricostruire i controlli amministrativi, quegli "anticorpi fisiologici" che costituiscono una difesa contro l’illegalità e gli strumenti ordinari di vigilanza sull’attività amministrativa.

E’ perlomeno utopistico pensare che si possa pervenire, nel futuro, a migliori risultati, sostituendo ai controlli amministrativi il controllo giurisdizionale.

La giustizia italiana soffre già di troppi e gravi mali perché si possa ritenerla in grado di perseguire, con efficacia e tempestività, le responsabilità derivanti da una condotta amministrativa che si discosta dai canoni della legalità e dalle regole di una corretta gestione delle risorse pubbliche.

Né ha senso affermare che il sistema dei controlli delineato dalla L. 142/90 ha imbavagliato o appesantito lo svolgimento dell’attività dei Comuni e delle Province.

La normativa entrata in vigore nel 90, fortemente innovando nel sistema, ha escluso il controllo di merito ed ha sensibilmente limitato quello di legittimità a pochi atti, accentuando di conseguenza il carattere autonomo degli Enti locali.

Le difficoltà, i ritardi e le insufficienze che appesantiscono l’azione delle comunità locali non dipendono dai controlli preventivi di legittimità dell’organo regionale, che vengono esercitati entro termini brevissimi, a pena di esecutività degli atti, rispetto ai quali l’esigenza della legittimità come garanzia per tutti prevale sull’altrettanto rilevante valore dell’autonomia.

D’altra parte non si possono gestire le illegalità dell’attività amministrativa con le denunce penali o con i ricorsi agli organi della giurisdizione amministrativa: si accentuerebbe la tanto deprecata sovraesposizione della Magistratura, la quale (con buona pace del potere politico) sarebbe chiamata a svolgere sempre più un ruolo di supplenza che - come è stato giustamente osservato - si accentua proprio ogni qual volta saltano i controlli amministrativi.

Inoltre, la stessa riformulazione del reato di abuso d’ufficio che - secondo la proposta in corso di esame da parte del Parlamento - restringe l’area dell’illecito penale, comporta l’esigenza di accentuare i controlli amministrativi, in quanto i comportamenti assunti in violazione di regole di condotta, benché privi di rilevanza penale, possono ledere la sfera dei diritti o degli interessi dei singoli gruppi.

Da ultimo si ricordi che il Comitato dei tre saggi, nominato un mese fa dal Presidente della Camera per fornire ipotesi di intervento legislativo per estirpare la corruzione nella pubblica amministrazione, suggerisce come principale intervento, da realizzare subito, proprio il rafforzamento dei controlli, suggerimento questo che fa a pugni con le previsioni del DDL 1034 licenziato dal Senato, che peraltro presenta non poche lacune ed incongruenze che vanno, di fronte alla cecità dei più, evidenziate:

a) l’art. 4, che introduce sostanziali modifiche agli artt. 45 e 46 della legge 142/90, mette in moto un meccanismo che svuota le funzioni e i poteri di controllo da parte del Consiglio sull’attività gestionale della Giunta, proprio mentre vengono riservati all’esecutivo, per la prima volta, poteri regolamentari in settori particolarmente delicati, quali quelli del personale, dell’organizzazione degli uffici e del territorio (strumenti urbanistici attuativi quali i PP, i Piani di lottizzazione e di Recupero) esclusi dal controllo necessario;

b) mentre si ampliano le prerogative dell’esecutivo, si attua una incomprensibile e grave limitazione al controllo politico dell’opposizione, che la legge 142/90 aveva introdotto come mezzo giuridico per rendere più pregnante il ruolo delle minoranze consigliari in ordine alla legittimità delle deliberazioni adottate dalla Giunta;

c) parimenti incomprensibile e irrazionale appare la soppressione del controllo eventuale a richiesta degli stessi organi deliberanti che - nel quadro di una riduzione dell’area dei controlli obbligatori - dovrebbe essere salvaguardato anche per realizzare proprio quell’"indirizzo collaborativo" fra Regioni ed Enti locali, su cui si può sostanziare un nuovo sistema di controlli che esalti l’autonomia dei Comuni e delle Province;

d) al n. 6 dell’art. 4 viene mantenuta la comunicazione delle deliberazioni di giunta ai capigruppo consigliari. Tale disposizione appare slegata e senza alcuna logica, essendo stato soppresso l’istituto del controllo eventuale a richiesta delle minoranze, o meglio dimostra anticipatamente quello che sarà l’esito della "riforma": le minoranze, private di ogni potere, non avranno altra possibilità che il ricorso al controllo esercitato in via giurisdizionale e non solo a quello della giustizia amministrativa (ovviamente oneroso), ma quello della Procura della Corte dei Conti e della Procura della Repubblica che diventeranno così i "veri" (ed unici) organi di controllo.

Tale "riforma" in buona sostanza attuerà di fatto la giurisdizionalizzazione dei controlli (con relativi tempi e scarse certezze).

Ora se si pensa che ancora alla conferenza nazionale della giustizia tenutasi a Bologna nel 1991, l’allora Ministro in carica affermava che i tempi "medi" di un giudizio penale ammontavano a 8 anni, quelli di un giudizio civile a 10 anni, quelli di un giudizio amministrativo a 12 anni, e che da allora, 5 anni dopo, i tempi si sono ulteriormente dilatati, c’è da preoccuparsi e da rimpiangere i venti giorni di cui all’art. 46 della L. 142/90, tanto lesivi dell’"autonomia":

e) il n. 7 dell’art. 4 prevede il controllo nel termine di trenta giorni dal ricevimento dell’atto. Peraltro al n. 8 si precisa che l’esame del bilancio preventivo e del rendiconto della gestione, deve comprendere la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché dei documenti giustificativi allegati.

Ora considerando che tutti gli enti soggetti a controllo invieranno, nel medesimo periodo, il bilancio ed il conto consuntivo, ci si domanda come potrà il Co.Re.Co., in trenta giorni, esaminare contestualmente i bilanci ed i conti consuntivi di migliaia di enti con le modalità previste dai "marziani" della Commissione Affari Costituzionali del Senato, per poi magari non fare più nulla terminati tali complessi e laboriosi accertamenti.

Tale pretesa pare veramente fare a pugni con tutti i più elementari principi di efficienza dell’azione amministrativa;

f) il n. 9 dell’art. in esame assegna al Co.Re.Co. un termine di 10 giorni per la formulazione della richiesta di "chiarimenti o elementi integrativi di giudizio in forma scritta".

Tale termine è di fatto inapplicabile considerando le fasi del procedimento interno di controllo (protocollazione, assegnazione alla sezione, esame istruttorio, proposta all’ordine del giorno del Co.Re.Co., calendario delle sedute, formulazione e spedizione ordinanza);

g) nel complesso procedimento di nomina del commissario ad acta viene inserito al n. 12, senza alcuna giustificazione logica e sistematica, il difensore civico regionale quale soggetto abilitato alla nomina stessa, in via alternativa al Co.Re.Co., col bel risultato di creare futuri conflitti di competenza, con ulteriore confusione di poteri e di ruoli, in totale dispregio dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa.

Si aggiunga poi che tale previsione appare del tutto incongruente, in quanto il difensore civico non detiene alcun potere di controllo sugli enti e come tale non può avere conoscenza immediata e diretta dell’omissione degli atti obbligatori;

h) dai lavori parlamentari parrebbe che gli emendamenti proposti dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato siano motivati dall’intenzione di "anticipare il risultato di una iniziativa referendaria assunta da alcuni consigli regionali". Ora circa l’iniziativa referendaria assunta dalla Regione Lombardia e dal suo casto presidente, è vero che il dodicesimo referendum chiede: "l’abrogazione dei controlli di legittimità sugli atti amministrativi da parte dei Co.Re.Co..

Referendum sicuramente originale e del tutto incomprensibile se non in un’ottica di automutilazione: la Regione Lombardia in sostanza chiede di abrogare un proprio "organo"...per affidare il controllo ad un organo "statale"!

Ora però il referendum chiede "l’abrogazione" dei Co.Re.Co. non la riduzione degli atti "al minimo indispensabile", per cui l’iniziativa referendaria rimarrebbe comunque in vigore, nonostante le modifiche proposte.

Né si può anticipare il risultato della medesima, come pare di capire dalle argomentazioni svolte in sedi di commissione, altrimenti dovremmo ritenere che anche i prossimi 20 referendum promossi da Pannella sugli argomenti più disparati siano meritevoli di uguale trattamento.

Da ultimo ricordiamo che la Sanità, secondo la vigente riforma voluta da Francesco De Lorenzo, è stata del tutto sottratta al controllo dei Co.Re.Co. e lasciata all’"autonomia" totale dei direttori generali di nomina regionale.

Oa non pare che tale riforma abbia migliorato l’efficienza e forniscono elementi contrari.

Sarà così anche per le autonomie locali?

Da l’"Agenda ANCI", Novembre-Dicembre 1996

RIFLESSIONI A MARGINE DEL DDL BASSANINI SULLA RIDUZIONE DEI CONTROLLI

Il 24 ottobre 1996 il Senato ha approvato con modifiche peggiorative e trasmesso alla Camera il disegno di legge Bassanini sullo snellimento delle procedure amministrative (atto Senato 1034), accolto con favorevoli valutazioni da parte dell’ANCI e delle associazioni degli Enti locali.

Tale affrettato consenso non può sicuramente essere condiviso per la parte del DDL relativa ai controlli (art. 4), là ove si tenta di far passare in nome di un malpensato concetto di autonomia una illogica riduzione dei controlli costituzionalmente previsti.

Infatti il sistema dei controlli, così come disciplinato nell’art. 130 della Cost., si concilia con il rispetto dell’autonomia degli Enti locali, riconosciuta dall’art. 5, anche nella prospettiva di una riforma in senso federale dello Stato.

Il controllo implica, è vero, un’attività di vigilanza sull’ente da parte di un soggetto terzo ad esso estraneo, ma, a meno che non si voglia ritenere che l’autonomia si dispieghi soltanto in assenza di controlli, la riduzione e la significativa limitazione del riconoscimento dell’autonomia dell’ente dipendono piuttosto dalle modalità dell’esercizio del controllo.

In altri termini, l’art. 130 può giustificare tanto forme di controllo che consentano soprattutto di garantire il buon funzionamento degli enti e il loro raccordo con la Regione, quanto all’estremo opposto, modalità finalizzate esclusivamente alla verifica della legittimità, imparzialità, trasparenza e buon andamento delle amministrazioni locali che stridono con il concetto di autonomia.

Il sistema costituzionale delle autonomie locali, stabilendo che "la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni" 8art. 114 Cost.), tende ad una parificazione dei tre livelli degli enti, secondo una visione, per così dire, "policentrica", Regione, Province e Comuni sono cioè titolari di una propria autonomia garantita costituzionalmente.

Nell’ambito di un ordinamento nel quale coesistono lo Stato centrale e i soggetti periferici, l’ambito e il fine del controllo si configura come tutela della legalità costituzionale cui tutti i poteri soggiacciono, che come una garanzia nei confronti della stessa comunità locale, la cui autonomia, riconosciuta e garantita dall’art. 5 della Cost. è non già mortificata ma accresciuta da un corretto esercizio dei controlli.

Le istanze di un maggior grado di autonomia degli Enti locali, anche nella prospettiva della riforma in senso federale dello Stato, impongono oggi un ripensamento del ruolo e della funzione dell’attività di controllo.

L’attribuzione dei poteri di controllo all’organo regionale deve essere disciplinato secondo modalità che consentano alla Regione di esercitare un sostanziale potere di "indirizzo collaborativo" verso le amministrazioni locali e quanto più quest’ultimo sarà efficace, tanto più il controllo potrà trasformarsi da vincolo mal tollerato dagli enti in una risorsa utilizzabile come è stato opportunamente affermato - per obiettivi non solo di legalità, ma anche, e soprattutto, di buona ed efficiente amministrazione.

L’autonomia non può essere, invece, intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità.

In un sistema non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni, oltre che al vaglio di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e della efficienza.

Un ripensamento dei controlli amministrativi è oggi necessario alla luce delle esperienze e dei risultati ottenuti, al fine di coniugare la tutela dell’autonomia degli enti territoriali con la garanzia del rispetto della legalità dell’azione amministrativa. Non si può invece condividere la tesi di quanti propugnano l’eliminazione dei controlli, sulla base della considerazione che la vigilanza non ha impedito che l’attività degli Enti locali venisse esercitata in dispregio della legge e delle regole che disciplinano una sana e corretta gestione della cosa pubblica. C’è semmai da chiedersi quali sarebbero stati i risultati se fossero venuti meno anche questi "filtri" amministrativi che, se non hanno potuto reprimere i fenomeni di corruzione e di malversazione nell’ambito degli Enti locali, li hanno tuttavia limitati.

In un paese in cui l’illegalità è diffusa e fortemente radicata nel territorio occorre non già eliminare, ma rafforzare e, se necessario, ricostruire i controlli amministrativi, quegli "anticorpi fisiologici" che costituiscono una difesa contro l’illegalità e gli strumenti ordinari di vigilanza sull’attività amministrativa.

E’ perlomeno utopistico pensare che si possa pervenire, nel futuro, a migliori risultati, sostituendo ai controlli amministrativi il controllo giurisdizionale.

La giustizia italiana soffre già di troppi e gravi mali perché si possa ritenerla in grado di perseguire, con efficacia e tempestività, le responsabilità derivanti da una condotta amministrativa che si discosta dai canoni della legalità e dalle regole di una corretta gestione delle risorse pubbliche.

Né ha senso affermare che il sistema dei controlli delineato dalla L. 142/90 ha imbavagliato o appesantito lo svolgimento dell’attività dei Comuni e delle Province.

La normativa entrata in vigore nel 90, fortemente innovando nel sistema, ha escluso il controllo di merito ed ha sensibilmente limitato quello di legittimità a pochi atti, accentuando di conseguenza il carattere autonomo degli Enti locali.

Le difficoltà, i ritardi e le insufficienze che appesantiscono l’azione delle comunità locali non dipendono dai controlli preventivi di legittimità dell’organo regionale, che vengono esercitati entro termini brevissimi, a pena di esecutività degli atti, rispetto ai quali l’esigenza della legittimità come garanzia per tutti prevale sull’altrettanto rilevante valore dell’autonomia.

D’altra parte non si possono gestire le illegalità dell’attività amministrativa con le denunce penali o con i ricorsi agli organi della giurisdizione amministrativa: si accentuerebbe la tanto deprecata sovraesposizione della Magistratura, la quale (con buona pace del potere politico) sarebbe chiamata a svolgere sempre più un ruolo di supplenza che - come è stato giustamente osservato - si accentua proprio ogni qual volta saltano i controlli amministrativi.

Inoltre, la stessa riformulazione del reato di abuso d’ufficio che - secondo la proposta in corso di esame da parte del Parlamento - restringe l’area dell’illecito penale, comporta l’esigenza di accentuare i controlli amministrativi, in quanto i comportamenti assunti in violazione di regole di condotta, benché privi di rilevanza penale, possono ledere la sfera dei diritti o degli interessi dei singoli gruppi.

Da ultimo si ricordi che il Comitato dei tre saggi, nominato un mese fa dal Presidente della Camera per fornire ipotesi di intervento legislativo per estirpare la corruzione nella pubblica amministrazione, suggerisce come principale intervento, da realizzare subito, proprio il rafforzamento dei controlli, suggerimento questo che fa a pugni con le previsioni del DDL 1034 licenziato dal Senato, che peraltro presenta non poche lacune ed incongruenze che vanno, di fronte alla cecità dei più, evidenziate:

a) l’art. 4, che introduce sostanziali modifiche agli artt. 45 e 46 della legge 142/90, mette in moto un meccanismo che svuota le funzioni e i poteri di controllo da parte del Consiglio sull’attività gestionale della Giunta, proprio mentre vengono riservati all’esecutivo, per la prima volta, poteri regolamentari in settori particolarmente delicati, quali quelli del personale, dell’organizzazione degli uffici e del territorio (strumenti urbanistici attuativi quali i PP, i Piani di lottizzazione e di Recupero) esclusi dal controllo necessario;

b) mentre si ampliano le prerogative dell’esecutivo, si attua una incomprensibile e grave limitazione al controllo politico dell’opposizione, che la legge 142/90 aveva introdotto come mezzo giuridico per rendere più pregnante il ruolo delle minoranze consigliari in ordine alla legittimità delle deliberazioni adottate dalla Giunta;

c) parimenti incomprensibile e irrazionale appare la soppressione del controllo eventuale a richiesta degli stessi organi deliberanti che - nel quadro di una riduzione dell’area dei controlli obbligatori - dovrebbe essere salvaguardato anche per realizzare proprio quell’"indirizzo collaborativo" fra Regioni ed Enti locali, su cui si può sostanziare un nuovo sistema di controlli che esalti l’autonomia dei Comuni e delle Province;

d) al n. 6 dell’art. 4 viene mantenuta la comunicazione delle deliberazioni di giunta ai capigruppo consigliari. Tale disposizione appare slegata e senza alcuna logica, essendo stato soppresso l’istituto del controllo eventuale a richiesta delle minoranze, o meglio dimostra anticipatamente quello che sarà l’esito della "riforma": le minoranze, private di ogni potere, non avranno altra possibilità che il ricorso al controllo esercitato in via giurisdizionale e non solo a quello della giustizia amministrativa (ovviamente oneroso), ma quello della Procura della Corte dei Conti e della Procura della Repubblica che diventeranno così i "veri" (ed unici) organi di controllo.

Tale "riforma" in buona sostanza attuerà di fatto la giurisdizionalizzazione dei controlli (con relativi tempi e scarse certezze).

Ora se si pensa che ancora alla conferenza nazionale della giustizia tenutasi a Bologna nel 1991, l’allora Ministro in carica affermava che i tempi "medi" di un giudizio penale ammontavano a 8 anni, quelli di un giudizio civile a 10 anni, quelli di un giudizio amministrativo a 12 anni, e che da allora, 5 anni dopo, i tempi si sono ulteriormente dilatati, c’è da preoccuparsi e da rimpiangere i venti giorni di cui all’art. 46 della L. 142/90, tanto lesivi dell’"autonomia":

e) il n. 7 dell’art. 4 prevede il controllo nel termine di trenta giorni dal ricevimento dell’atto. Peraltro al n. 8 si precisa che l’esame del bilancio preventivo e del rendiconto della gestione, deve comprendere la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché dei documenti giustificativi allegati.

Ora considerando che tutti gli enti soggetti a controllo invieranno, nel medesimo periodo, il bilancio ed il conto consuntivo, ci si domanda come potrà il Co.Re.Co., in trenta giorni, esaminare contestualmente i bilanci ed i conti consuntivi di migliaia di enti con le modalità previste dai "marziani" della Commissione Affari Costituzionali del Senato, per poi magari non fare più nulla terminati tali complessi e laboriosi accertamenti.

Tale pretesa pare veramente fare a pugni con tutti i più elementari principi di efficienza dell’azione amministrativa;

f) il n. 9 dell’art. in esame assegna al Co.Re.Co. un termine di 10 giorni per la formulazione della richiesta di "chiarimenti o elementi integrativi di giudizio in forma scritta".

Tale termine è di fatto inapplicabile considerando le fasi del procedimento interno di controllo (protocollazione, assegnazione alla sezione, esame istruttorio, proposta all’ordine del giorno del Co.Re.Co., calendario delle sedute, formulazione e spedizione ordinanza);

g) nel complesso procedimento di nomina del commissario ad acta viene inserito al n. 12, senza alcuna giustificazione logica e sistematica, il difensore civico regionale quale soggetto abilitato alla nomina stessa, in via alternativa al Co.Re.Co., col bel risultato di creare futuri conflitti di competenza, con ulteriore confusione di poteri e di ruoli, in totale dispregio dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa.

Si aggiunga poi che tale previsione appare del tutto incongruente, in quanto il difensore civico non detiene alcun potere di controllo sugli enti e come tale non può avere conoscenza immediata e diretta dell’omissione degli atti obbligatori;

h) dai lavori parlamentari parrebbe che gli emendamenti proposti dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato siano motivati dall’intenzione di "anticipare il risultato di una iniziativa referendaria assunta da alcuni consigli regionali". Ora circa l’iniziativa referendaria assunta dalla Regione Lombardia e dal suo casto presidente, è vero che il dodicesimo referendum chiede: "l’abrogazione dei controlli di legittimità sugli atti amministrativi da parte dei Co.Re.Co..

Referendum sicuramente originale e del tutto incomprensibile se non in un’ottica di automutilazione: la Regione Lombardia in sostanza chiede di abrogare un proprio "organo"...per affidare il controllo ad un organo "statale"!

Ora però il referendum chiede "l’abrogazione" dei Co.Re.Co. non la riduzione degli atti "al minimo indispensabile", per cui l’iniziativa referendaria rimarrebbe comunque in vigore, nonostante le modifiche proposte.

Né si può anticipare il risultato della medesima, come pare di capire dalle argomentazioni svolte in sedi di commissione, altrimenti dovremmo ritenere che anche i prossimi 20 referendum promossi da Pannella sugli argomenti più disparati siano meritevoli di uguale trattamento.

Da ultimo ricordiamo che la Sanità, secondo la vigente riforma voluta da Francesco De Lorenzo, è stata del tutto sottratta al controllo dei Co.Re.Co. e lasciata all’"autonomia" totale dei direttori generali di nomina regionale.

Oa non pare che tale riforma abbia migliorato l’efficienza e forniscono elementi contrari.

Sarà così anche per le autonomie locali?