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Riproduzione dell’opera d’arte: “Il David non è più solo”

David di Michelangelo
David di Michelangelo

Dallo scorso febbraio il David non è più l’unico ospite della Tribuna, la sala della Galleria dell’Accademia in cui regnava in solitudine dal 1873: un nuovo allestimento prevede infatti che il visitatore sia condotto al cospetto del capolavoro di Michelangelo sfilando tra due suggestive ali di statue in gesso evase (per il momento in via sperimentale, ma non ne è esclusa la permanenza) dalla gipsoteca del Museo, in ristrutturazione.

Tra queste – ha spiegato alla stampa la direttrice Cecilie Hollberg“alcuni busti di Lorenzo Bartolini che ritraggono nobildonne sono volti ancora anonimi che adesso, con la nuova collocazione ad altezza di visitatore, potranno essere meglio studiati e magari riconosciuti. E lo potrà fare anche il pubblico in un appassionante identikit collettivo per scoprire, chissà, qualche grande personaggio della storia”[1].

L’idea di un identikit collettivo è effettivamente appassionante, ma dal punto di vista pratico coinvolge il tema della riproduzione dell’opera: difficilmente il visitatore potrà partecipare a questa iniziativa basandosi solo sul suo immediato acume visivo e sulla sua memoria non necessariamente fotografica; vorrà poter contare su un’immagine da portare con sé, magari ripresa con il suo smartphone, così da potervi tornare con la vista e da qui partire per le sue ricerche e riflessioni. E forse non resisterà alla tentazione di postarla su qualche social, innescando magari la moltiplicazione dei partecipanti all’identikit collettivo, e così moltiplicando le possibilità di identificazione della nobildonna ritratta dal Bartolini; ma anche moltiplicando le possibilità che quell’immagine finisca, invito domino, su cartoline, articoli di cancelleria e cartelloni pubblicitari.

Si è osservato che “un bene culturale, in quanto tale, è irriproducibile, è un unicum, perché il risultato di un "sinolo" inscindibile tra supporto materiale e valore immateriale di cui esso è portatore. Ma è proprio la necessità di trasmettere e diffondere questo valore che fa emergere il tema e il problema della riproduzione dei beni, strumento essenziale per promuoverne la conoscenza[2].

Il tema e il problema della riproduzione di beni culturali - o, più in generale, di opere d’arte - si declina, nel campo del diritto, principalmente nella necessità di comporre situazioni di conflitto.

Il diritto privato e quello pubblico affrontano in modo differente tale necessità di componimento.

Il Codice Civile (articolo 832) prevede, come è noto, che il proprietario di un bene può goderne e disporne in modo pieno ed esclusivo: può usarlo, anche al fine di trarne un’utilità economica; venderlo, donarlo, costituirvi diritti reali minori a favore di terzi, ecc..; e può escludere chiunque altro dal godimento e dalla disposizione. L’esclusività del diritto di proprietà, lo ius excludendi alios, ha un’evidente implicazione: il potere di regolamentare l’accesso e la fruizione da parte di terzi[3]. Questo potere si estende alla rappresentazione del bene, alla sua immagine?

La questione è particolarmente delicata se il bene de quo è frutto di un lavoro originale e creativo, perché l’ordinamento pone a questo riguardo norme speciali – quelle sul diritto d’autore – a mente delle quali entro un certo termine – di massima, 70 anni dalla morte dell’autore – un’opera dell’ingegno cade in pubblico dominio[4]. Riconoscere che il diritto di proprietà possa estendersi alla rappresentazione del bene che ne è oggetto, che quindi il proprietario del bene abbia un diritto erga omnes di vietarne la riproduzione, equivarrebbe allora a riconoscere che su una certa opera d’arte, cessata la privativa autoriale, si instaura un’esclusiva dominicale, creando un cortocircuito tra disciplina generale civilistica e disciplina speciale.

Il diritto privato non fornisce una risposta univoca a tale questione, che resta controversa[5].

Certamente, il proprietario del bene ha il potere, come già detto, di impedirne o regolamentarne l’accesso, materialmente o mediante atti unilaterali o strumenti negoziali. Su questa base la Corte federale di giustizia tedesca ha giudicato in favore di un gruppo di musei della città di Mannheim (Reiss-Engelhorn Museen) in un caso riguardante la pubblicazione su Wikimedia Commons di immagini di dipinti, caduti in pubblico dominio, di proprietà dei musei stessi. La Corte ha infatti ritenuto che, scattando e caricando on line le foto, il convenuto avesse violato un contratto con il museo e che, a titolo appunto di responsabilità contrattuale, fosse tenuto al risarcimento in forma specifica del danno, i.e. alla rimozione delle immagini[6].

Il problema si pone, però, in termini diversi quando l’aspirante utilizzatore dell’immagine ne sia già in possesso indipendentemente da rapporti col proprietario del bene, oppure se abbia avuto la possibilità di accedere legittimamente al bene senza che la riproduzione e/o divulgazione fosse esclusa o limitata dall'atto giuridico che regolava l'accesso al bene stesso.

La (peraltro abbastanza risalente) giurisprudenza italiana di legittimità e di merito appare divisa sull’attribuzione al proprietario di un diritto erga omnes sull’immagine di un bene[7]; in un caso relativamente recente la Corte di Cassazione, con motivazione peraltro non cristallina, ha però riconosciuto ad una persona giuridica il diritto allo sfruttamento economico esclusivo dell’immagine di un bene aziendale (una barca, nel caso di specie) [8].

Altrettanto divisa è la dottrina. Secondo una prima opinione, "non si vede su quali basi si potrebbe anche solo dubitare che il diritto di proprietà su una cosa si estenda pure alla sua immagine, evidente essendo che esso investe la cosa nella totalità e con riguardo a tutti i suoi aspetti, fra i quali il tratto esteriore gioca un ruolo certamente non secondario non fosse altro perché essenziale ai fini dell'individuabilità della cosa stessa nel mondo esterno"[9]. A ciò si obietta che l’articolo 832 c.c. circoscrive “le facoltà di godimento e disposizione comprese nel diritto di proprietà alle cose che formano oggetto del diritto, senza contemplare le relative proiezioni incorporali"[10]. Secondo una posizione intermedia, si dovrebbero distinguere due ipotesi: quella dello sfruttamento non autorizzato dell’immagine del bene o della sua messa a disposizione del pubblico che, interferendo “in modo significativo con le chances [del proprietario] di trarre profitto dall'autorizzazione all'uso del bene concessa a titolo oneroso“, lede il diritto di proprietà; e quella della riproduzione che avvenga per l'uso esclusivamente privato del soggetto che vi proceda (o per finalità conservative) che “sembra, per un verso, potersi ritenere implicitamente autorizzata con l'atto (unilaterale o contrattuale) che concede l'accesso al bene e, per altro verso, non incidere in misura apprezzabile con il potere di godimento esclusivo del titolare che tale accesso abbia appunto autorizzato”[11]. Secondo altra opinione è "fondata l'attribuzione al proprietario di ogni diritto anche sulla semplice immagine della cosa", purché si tratti di beni infungibili e determinati (come nel caso di opere d’arte), facendo però salvi la libertà di manifestazione del pensiero e il diritto all'informazione, e limitando l’azionabilità di tale diritto al caso dello sfruttamento a fini di lucro dell’immagine del bene[12].

Quest’ultima posizione mi pare preferibile, perché pone l’accento su un necessario contemperamento tra interessi di rango costituzionale: diritto di proprietà, da un lato, e libertà di espressione e di informazione, dall’altro, a cui dovrebbero peraltro aggiungersi quelle di insegnamento e di ricerca.

Una privativa dominicale potrebbe peraltro, in taluni casi, essere conforme all’interesse generale, ponendosi speciali esigenze di tutela dell’opera sia sotto il profilo conservativo che del “decoro” dell’uso della sua immagine. E così il diritto pubblico detta una specifica disciplina, nell’ambito del Codice dei beni culturali e del paesaggio, per la riproduzione dei beni culturali in carico al Ministero, alle regioni e gli altri enti pubblici. Questa è in linea generale subordinata ad un provvedimento concessorio, di natura discrezionale, dell'ente che ha in consegna il bene stesso (articoli 107-109 Codice dei beni culturali). La concessione della facoltà di riproduzione (e la determinazione dell’eventuale canone o corrispettivo) è in particolare subordinata alla valutazione delle utilizzazioni previste, che devono costituire oggetto di dichiarazione e di impegno da parte del richiedente nei confronti dell’Amministrazione, così che il provvedimento concessorio normalmente limita l’ulteriore utilizzabilità delle immagini. Nessun canone è dovuto, ma solo il rimborso delle eventuali spese, per le riproduzioni richieste da privati per uso personale o per motivo di studio, ovvero da soggetti pubblici per finalità di valorizzazione.

Il d. l. 83/2014, convertito con L. 106/2014 in vigore dal 31 luglio 2014, ha apportato alcune modifiche al Codice, nel senso di una parziale liberalizzazione nell’utilizzo di immagini di beni culturali. In particolare: i) mentre in passato si prevedeva un’esenzione dal pagamento del canone solamente per quei soggetti pubblici che intendessero svolgere attività di valorizzazione,  ora tale esenzione è concessa anche ai privati la cui attività di valorizzazione sia effettuata senza alcun scopo di lucro; ii) è ora consentito di effettuare liberamente e senza autorizzazione – purché nel rispetto di determinati requisiti, e sempre a condizione che siano svolte senza scopo di lucro – talune attività di riproduzione e divulgazione di beni culturali per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, o promozione della conoscenza del patrimonio culturale. Come si è osservato in dottrina, “permangono quali limiti alla libera riproduzione, alcuni punti fermi: le esigenze di conservazione fisica del bene, la disciplina del diritto d’autore, il carattere non lucrativo delle attività rese libere (perché semmai è il proprietario pubblico che potrà commercializzare le immagini o comunque è a lui che spetta concederne eventuali usi a fini di lucro)[13].

La violazione di tali norme raramente è stata portata all’attenzione dei Tribunali. Uno dei pochi casi (forse il primo) ha riguardato l’uso dell’immagine del Teatro Massimo di Palermo per la campagna di affissioni con cui una banca pubblicizzava il trasferimento nel centro della città di alcune sue filiali.

Con sentenza del 15-21 settembre 2017[14] il Tribunale di Palermo ha ritenuto che tale uso non autorizzato e il relativo mancato pagamento del canone di concessione integrasse un danno patrimoniale in capo alla Fondazione Teatro Massimo per la cui quantificazione, in mancanza di un provvedimento di determinazione dei parametri tariffari da parte del direttore dell’Istituto, ha fatto riferimento ai (modesti) corrispettivi di cui al D.M. 8 aprile 1994 applicativo della già da tempo abrogata Legge Ronchey (l. 433/1992)[15].

Circa un mese dopo, il tema della riproduzione di beni culturali ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica proprio riguardo al David di Michelangelo, per via di un’ordinanza del Tribunale di Firenze del 25 ottobre 2017 emessa sul ricorso cautelare del Ministero dei Beni Culturali contro un’agenzia viaggi fiorentina, la Visit Today snc, che – in assenza di concessione e pagamento del relativo canone – utilizzava l’immagine del David per pubblicizzare l’offerta di biglietti e visite guidate a vari musei, tra cui appunto la Galleria dell’Accademia. Il Tribunale ha inibito alla Visit Today “in Italia e su tutto il territorio europeo, la riproduzione a fini commerciali dell’immagine del David di Michelangelo” e ha ordinato “il ritiro immediato dal commercio e la distruzione di tutto il materiale pubblicitario riproducente l’immagine [] sia presso la società resistente che presso terzi”, oltre a disporre la pubblicazione del provvedimento e penali per il ritardo nella sua esecuzione: tutte sanzioni civili tipiche del diritto della proprietà intellettuale, che pure certo non si applica ad un’opera caduta da secoli in pubblico dominio. Pur trattandosi di un provvedimento d’urgenza, emesso in un procedimento in cui la parte resistente era rimasta contumace, è a dir poco laconica la motivazione, che in sostanza si limita ad enunciare (senza argomentare) che la violazione dell’articolo 108 del Codice dei Beni Culturali costituisce un fatto illecito (civile) ex articolo 2043 c.c.; anche sul tema della sussistenza del periculum in mora, il Tribunale usa in modo lapidario una formula – “l’uso indiscriminato dell’immagine … è suscettibile di svilirne la forza attrattiva” – tipica dei provvedimenti industrialistici a tutela dei marchi.

Il Ministero non è peraltro inattivo sul piano della concessione del diritto di riproduzione a terzi a fini di lucro. Significativo al riguardo è l’accordo quadro del 25 gennaio – 4 aprile 2018 tra la Direzione Generale Musei e Bridgeman Images[16], impresa specializzata nella distribuzione e commercializzazione internazionale di immagini d’arte, già titolare di un database di oltre 2.500.000 immagini. L’accordo-quadro ha ad oggetto “l’acquisizione, tramite cessione temporanea e non esclusiva, di immagini di beni assegnati agli istituti afferenti alla Direzione generale Musei […] contenute negli archivi di musei statali e successiva riproduzione indiretta, distribuzione e commercializzazione a terzi”. A seguito della conclusione con i singoli musei di “accordi applicativi di dettaglio”, Bridgeman potrà “distribuirle e cederle in uso a terzi /commercializzarle per finalità editoriali (libri, riviste, cataloghi, periodici, giornali, progetti espositivi, culturali), cartacee o digitali; per la produzione di articoli attribuibili alle classi merceologiche nn. 16 e 28 della “Classificazione di Nizza” – 11° edizione; per documentari e allestimenti per il cinema”, a fronte del pagamento all’Amministrazione di una royalty del 50% dell’importo fatturato all’utilizzatore finale.

Più recentemente, il 28 maggio 2020, la Direzione Generale ha sottoscritto un accordo quadro con Electa[17] che ha suscitato interventi fortemente critici nella stampa di settore[18]. Ciò che differenzia questo accordo quadro da quello stipulato con Bridgeman, infatti, è che non si tratta qui dell’acquisizione ex novo di immagini da parte del contraente privato, ma dell’utilizzo di immagini di beni culturali già presenti (magari da decenni) negli archivi di Electa[19]; il che ha fatto parlare di “balzelli” camuffati da royalties[20] e di “cresta di Stato”[21].

Il dibattito tra chi considera le norme del Codice dei Beni Culturali in materia di riproduzione come uno strumento importante per l’autofinanziamento dei musei, e chi invece le considera come un ostacolo alla democratizzazione della cultura per di più privo di significativi benefici economici per la parte pubblica, è in corso ormai da anni.

L’impatto che la situazione pandemica ha avuto sulla possibilità di fruizione diretta, “in presenza”, di opere ed eventi culturali sembra comunque aver ulteriormente spostato l’ago della bilancia su quest’ultima posizione. Proprio qualche giorno prima della stipula dell’Accordo Electa, il 5 maggio 2020 la Commissione Cultura della Camera adottava una risoluzione in tema di “Misure di sostegno della cultura e dello spettacolo a contrasto degli effetti dell'epidemia Covid-19”[22] con cui tra l’altro impegnava il Governo “a valutare l'opportunità di adottare iniziative volte a favorire, nel rispetto della normativa sul diritto d'autore, la libera riproduzione e divulgazione di immagini di beni culturali pubblici, compresi quelli visibili dalla pubblica via”.

È invece del 8 giugno 2020 l’audizione al Senato di ICOM Italia in merito alla prossima attuazione in Italia della Direttiva UE 2019/790 sul diritto d'autore nel mercato unico digitale, in cui l’associazione degli operatori museali prende una posizione molto netta sul tema[23]. Rilevato che l’articolo 14 della Direttiva “impone agli Stati membri di modificare la loro legislazione interna al fine di chiarire che le riproduzioni fedeli di opere delle arti visive di pubblico dominio non possano essere protette dal diritto d’autore o da diritti connessi, a meno che il materiale derivante da un tale atto di riproduzione sia originale, nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell’autore”, ICOM osserva che il libero riutilizzo delle immagini del patrimonio culturale pubblico, senza restrizioni, che tale norma intende promuovere, trova nell’ordinamento italiano “limitazioni [che] si rinvengono non tanto nella disciplina delle fotografie semplici di cui agli articoli 87 e 88 della legge sul diritto d’autore, quanto negli articoli 107 e 108 del D.Lgs. 42/2004 (“Codice dei Beni Culturali”), i quali sottopongono le immagini (indipendentemente dal fatto che siano tutelate o meno dal diritto d’autore) a una forma di protezione “dominicale” collegata alla detenzione dell’esemplare dell’opera in cura o custodia. […] Se lo scopo della norma in questione è quello di impedire agli istituti di cultura europei di frapporre diritti esclusivi al libero riutilizzo delle riproduzioni, è evidente che il mancato intervento sul Codice dei Beni Culturali rischierebbe di vanificare l’attuazione dell’articolo 14 della direttiva stessa”.

Il Ministero, però, sembra continuare ad essere poco sensibile a tali istanze. Con la Circolare del 18 dicembre 2020[24] la Direzione Generale dei Musei ha infatti reso noto di aver stipulato accordi modificativi di quelli in essere con Electa e con Franco Cosimo Panini Editore (non di quello con Bridgeman, avendo quest’ultima “ritenuto di non accettare l'integrazione”). Come si legge nel preambolo di tali accordi integrativi, le modifiche traggono origine “da riscontri pervenuti da alcuni Istituti afferenti [da cui] è emerso che la concessione per progetti espositivi e culturali risulta lesiva degli interessi dell’Amministrazione” poiché “i benefici economici che possono derivare per gli utilizzatori finali dai progetti espositivi e culturali, comporterebbero corrispettivi per l’Amministrazione molto diversi da quelli degli altri prodotti editoriali, introiti che dovrebbero contribuire all’autofinanziamento degli Istituti dotati di autonomia, ma anche al mantenimento degli Istituti dipendenti dalla Direzioni regionali Musei”. L’uso delle immagini per progetti espositivi a fine di lucro viene così sottratto all’operatività dell’accordo quadro, e dovrà essere oggetto di specifica autorizzazione dell’Istituto presso cui è conservata l’opera cui l’immagine si riferisce, con versamento del corrispettivo che verrà di volta in volta fissato dal Direttore dell’Istituto stesso.

Infine, con Circolare del 8 febbraio 2021, la Direzione Generale dei Musei ha comunicato di aver stipulato con la Fondazione Alinari per la Fotografia un accordo quadro[25] relativo alla “riproduzione indiretta delle immagini di beni assegnati agli istituti afferenti alla Direzione generale Musei tratte da archivi di musei statali e cedute temporaneamente e in via non esclusiva dai responsabili dei singoli istituti (…) per distribuirle e cederle in uso a terzi/commercializzarle per finalità editoriali (libri, riviste, cataloghi, periodici, giornali, progetti espositivi, culturali), cartacee o digitali, e per la produzione di articoli attribuibili alle classi merceologiche nn. 16 e 28 della “Classificazione di Nizza”. Si tratta di un accordo-quadro analogo a quello stipulato con Bridgeman, quindi, salvo che l’ammontare delle royalties è inferiore (come nell’Accordo Electa) e resta esclusa la concessione delle immagini per progetti espositivi a fini di lucro. La Fondazione Alinari (che - va rammentato - è “pubblica”, essendo interamente partecipata dalla Regione Toscana) riveste così a sua volta il ruolo contrattuale di un “distributore” di cui Ministero e singoli Istituti (con gli accordi attuativi) sono i principals.

È peraltro coevo il divampare della polemica sull’autorizzazione concessa – gratuitamente, a quanto riferito dalla stampa, trattandosi di “operazione di promozione culturale” – al cantante neomelodico Andrea Sannino per girare il videoclip del suo brano Voglia nelle sale del Museo di Capodimonte, con sullo sfondo capolavori come la Flagellazione di Caravaggio. Pubblicato su YouTube a inizio marzo, il video ha raccolto un numero notevole di visualizzazioni, ma anche suscitato aspre critiche circa l’operato della direzione del Museo: “un caso esemplare per riflettere sulla differenza tra valorizzazione e ‘plebeizzazionÈ della cultura. […] I dipinti di Tiziano e di Caravaggio vengono decontestualizzati, deformati, cromaticamente alterati, con soluzioni addirittura fumettistiche”[26]. Si pone qui un duplice problema: quello del decoro dell’uso dell’immagine dell’opera, e quello dell’opportunità per l’Amministrazione di rinunciare a percepire un corrispettivo a fronte di un’operazione commerciale. Certo, si può obiettare che il Museo gode di un veicolo promozionale, e così potrà trarre beneficio da un aumento dei visitatori (Covid permettendo): il videoclip di Apeshit girato al Louvre nel 2018 da Beyocè e Jay-Z pare abbia “fruttato” al Museo parigino un incremento di 10 milioni di visitatori in quell’anno. È però forse lecito dubitare che un simile fenomeno virtuoso avvenga nel caso di Capodimonte: nel video di Apeshit le opere d’arte mantenevano la loro centralità e individualità, con esse si instaurava quel “dialogo” tra una nuova creazione intellettuale ed una preesistente che la recente giurisprudenza della Corte di Giustizia considera elemento caratterizzante della libertà di citazione; in quello di Voglia le opere sono mero sfondo - certo sontuoso, ma fungibile rispetto a qualunque altro - e sullo sfondo appunto si perdono nella luce di un neon verde: difficile che suscitino in un adolescente la curiosità di andarle a vedere dal vivo. 

In conclusione, verrebbe da chiedersi se il David di Michelangelo - opera emblematica del patrimonio culturale italiano, e proprio per questo anche delle istanze e posizioni contraddittorie circa la sua valorizzazione - non si senta oggi magari meno solo rispetto al passato, ma più disorientato.

 

[1] M. Gasperetti, “Il David non sarà più solo”, Corriere della Sera, 17.1.2021, 28.

[2] L. Casini, “Riprodurre il patrimonio culturale? I "pieni" e i "vuoti" normativi”, in Aedon, 2018 http://www.aedon.mulino.it/archivio/2018/3/casini.htm#nota2,

[3] Cfr. F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. I, Padova, 2009, 327 e ss.  

[4] Diverso è il problema del potenziale conflitto tra diritti di proprietà intellettuale dell’autore di un’opera dell’ingegno ancora tutelata e proprietario del bene materiale in cui la stessa è incorporata, che dottrina e giurisprudenza tendono a risolvere in favore dell’autore, negando al proprietario del corpus mechanicum il diritto di riprodurre l’opera, salvo casi particolari (ad es. la riproduzione nel catalogo di un’asta, prodromica all’alienazione del bene). L’articolo 109 LDA del resto espressamente prevede che la cessione del supporto materiale non comporti trasferimento dei diritti esclusivi, salvi i casi ivi previsti.

[5] cfr. G. Spedicato, “Digitalizzazione di opere librarie e diritti esclusivi”, in Aedon. 2011 www.aedon.mulino.it/archivio/2011/2/spedicato.htm.

[6] BGH, 20.12.2018. Per un commento a tale sentenza cfr. T. Lutzi, Digitized Images of Works in the Public Domain: what right vest in them? Analysis of the recent BGH Reiss-Engelhorn judgement – Part 1 in http://ipkitten.blogspot.com/. Il caso portato all’attenzione della Corte riguardava, peraltro, anche profili di diritto d’autore perché, delle 37 fotografie messe a disposizione del pubblico on line, solo alcune erano state scattate direttamente dal convenuto, mentre altre riproducevano preesistenti fotografie commissionate dagli stessi musei.

[7] Per una rassegna, v. Spedicato, op. cit.

[8] Cass. 11.8.2009 n. 18218.

[9] M. Fusi, “Sulla riproduzione non autorizzata di cose altrui in pubblicità”, in Riv. dir. ind., 2006, 98.

[10] G. Resta, “L'immagine dei beni”, in Id. (cur.), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2010, 563.

[11] Spedicato, op. cit.

[12] C.E. Mayr, “I diritti del proprietario sull'immagine della cosa” (nota a Cass. civ., 11 agosto 2009, n. 18218), in AIDA, 2010, 597.

[13] L. Casini, op. cit., 3.

[14] Reperibile in http://aliprandi.blogspot.com/2017/12/sentenza-palermo-riproduzioni-teatro-massimo.html

[15] Il Tribunale ha peraltro valorizzato, oltre alle norme del Codice dei Beni Culturali sopra richiamate, anche l’articolo 15 co. 2 del Decreto Legislativo 29 giugno 1996, n. 367 ("Disposizioni per la trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in fondazioni di diritto privato") che così dispone: “La fondazione ha il diritto esclusivo all'utilizzo del suo nome, della denominazione storica e dell'immagine del teatro ad essa affidato, nonché delle denominazioni delle manifestazioni organizzate; può consentire o concederne l'uso per iniziative coerenti con le finalità della fondazione stessa”.

[16] Reperibile sul sito istituzionale del Ministero, http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2018/04/Accordo-quadro-Direzione-generale-Musei-e-Bridgeman-Images-Srl.pdf

[17] Anch’esso reperibile sul sito istituzionale del Ministero  http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2020/06/Accordo-quadro-uso-immagini-dei-musei-statali-%E2%80%93-Electa-S.p.A.-Circolare-30-anno-2020.pdf

[18] Cfr. D. Manacorda, “La cresta di Stato (taccagnerie ministeriali)”, in Il Giornale dell’Arte, luglio-agosto 2020, 1 e 3.

[19] Si dà atto nelle premesse dell’Accordo che “Electa è proprietaria di un archivio fotografico di circa n. 1.000.000 immagini, 60.000 delle quali digitalizzate, e ne cura la conservazione, catalogazione e fruizione pubblica anche mediante attività editoriale; l’Archivio fotografico riproduce circa 200.000 opere relative a beni in consegna al Ministero”.

[20] Che sono peraltro inferiori a quelle previste nell’Accordo Bridgeman: v. la clausola 5 dell’Accordo Electa: “il corrispettivo dovuto al Ministero da Electa per l’utilizzo delle immagini per finalità editoriali (libri, riviste, cataloghi, periodici, giornali, progetti espositivi, culturali), cartacee o digitali, dovrà essere corrispondente ad una percentuale ricompresa tra il 25% e il 35%, calcolata al netto dell’I.V.A., sull’importo fatturato da Electa per la riproduzione finalizzata all’utilizzo da parte propria e di terzi delle medesime e dovrà essere corrisposto entro il 30 aprile di ogni anno in favore della direzione (della Direzione regionale Musei, dell’istituto o museo dotato di autonomia speciale) avente in consegna l’opera oggetto di riproduzione; b) il corrispettivo dovuto al Ministero da Electa per l’utilizzo delle immagini per la produzione di articoli attribuibili alle classi merceologiche nn. 16 e 28 della “Classificazione di Nizza” – 11° edizione dovrà essere corrispondente ad una percentuale ricompresa tra il 30% e il 40%, calcolata al netto dell’I.V.A., sull’importo fatturato da Electa per la riproduzione finalizzata all’utilizzo, da parte propria e di terzi, delle medesime e dovrà essere corrisposto entro il 30 aprile di ogni anno in favore della direzione (della Direzione regionale Musei, dell’istituto o museo dotato di autonomia speciale) avente in consegna l’opera oggetto di riproduzione”.

[21] D. Manacorda, ibid.

[22]Reperibile al sito istituzionale https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=8- 00073&ramo=C&leg=18&fbclid=IwAR1wKW3sW8yv7EYDFXRo9hwt87heqR_4iQD9pLzBmhXoEMQ1Pd56ZwsFczg

[23] Il testo è reperibile al sito istituzionale di ICOM Italia http://www.icom-italia.org/wp-content/uploads/2020/06/Audizione-ICOM-Italia-Diritto-d%E2%80%99autore-e-i-diritti-connessi-nel-mercato-digitale-unico.pdf

[24] Reperibile, con i testi degli accordi in allegato, al sito istituzionale http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2021/01/Accordi-quadro-uso-immagini-dei-musei-statali-Integrazioni-Electa-S.p.A.-e-FCP-Haltadefinizione-Circolare-69-anno-2020.pdf

[25] Allegato alla Circolare stessa e reperibile al sito istituzionale http://musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2021/02/Accordo-quadro-uso-immagini-dei-musei-statali-Fondazione-Alinari-Circolare-11-anno-2021.pdf

[26] V. Trione, “Ma a volte il museo diventa un Carnevale”, in la Lettura, 7 marzo 2021, 39.